Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 12 Gennaio 2008

Sentenza 02 agosto 2007, n.16999

Corte di Cassazione. Sezione I Civile. Sentenza 2 agosto 2007, n. 16999: “Riserva mentale e nullità del matrimonio concordatario”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISCUOLO Alessandro – Presidente –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. PANZANI Luciano – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Carlo Poma 4, presso l’avv. Domenico Gentile, rappresentato e difeso dall’avv. Tomassoni Italo del foro di Perugia giusta delega in atti;
– ricorrente –

contro

B.R.;
– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 423/03 del 28.10.2003.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/06/07 dal Relatore Cons. Dr. Luciano Panzani;
Udito l’avv. Tomassoni per il ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CALIENDO Giacomo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Perugia con sentenza 28.10.2003 respingeva la domanda proposta da C.A. di delibazione in Italia della sentenza 23.2.2001 del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, ratificata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco e resa esecutiva con decreto 20.1.2003 del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con cui era stata dichiarata la nullità del matrimonio da lui contratto il 27.8.1977 con B.R..
Osservava la Corte d’appello che il giudice ecclesiastico aveva pronunciato la nullità perchè il matrimonio risultava viziato da riserva mentale dello sposo in ordine al vincolo di indissolubilità del matrimonio e al desiderio di non avere figli, pronuncia che contrastava con il principio della tutela dell’affidamento facente parte dell’ordine pubblico italiano. Precisava la Corte che la sentenza ecclesiastica non conteneva nessun accertamento, neppure implicito, sulla conoscenza che la B. potesse aver avuto della riserva mentale del marito, conoscenza che non emergeva neppure dall’ampia disamina condotta dalla decisione canonica delle prove raccolte. Avverso la sentenza ricorre per cassazione il C., articolando due motivi, illustrati da memoria.
L’intimata B. non ha svolto attività difensiva.

DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per violazione degli artt. 72, 132 c.p.c., n. 3, art. 796 c.p.c., comma 3, e difetto di motivazione. Osserva che dagli atti del procedimento risulta che il Procuratore generale avrebbe concluso perchè la Corte d’appello dichiarasse l’efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica, mentre in motivazione la Corte territoriale ha affermato che il P.M. si è opposto all’accoglimento del ricorso (cfr. p. 3 della sentenza). Non si tratterebbe di un semplice errore materiale perchè inficerebbe la partecipazione necessaria del P.M. al giudizio.
Inoltre il travisamento delle conclusioni del P.M. avrebbe inciso sull’iter decisionale della Corte d’appello. Infine esso impedirebbe di valutare l’adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata rispetto alle conclusioni assunte dal P.M. La sentenza sarebbe comunque affetta da difetto assoluto di motivazione in ordine alle conclusioni assunte dal P.M..
Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per difetto di motivazione su più punti decisivi della controversia.
La Corte d’appello avrebbe affermato che dalla sentenza delibanda non risultava che il C. avesse mai dichiarato di aver portato a conoscenza della moglie il proprio proposito in ordine all’esclusione dei bona sacramenti nè che la moglie avesse mai dichiarato di aver avuto conoscenza di tale vizio della volontà nè che tale circostanza fosse mai stata dedotta nell’atto introduttivo del procedimento di delibazione.
Dalla lettura della sentenza delibanda sarebbe risultato il contrario tanto relativamente alle dichiarazioni rese dal C. che dai testimoni escussi, in particolare C.A.M., M. M.A., R.M.. Anche l’atto introduttivo del giudizio di delibazione avrebbe preso espressamente posizione sul punto.
Ancora la Corte d’appello avrebbe affermato che la sentenza ecclesiastica non conteneva alcun accertamento in ordine al fatto che la B. potesse con l’ordinaria diligenza aver conoscenza dell’esclusione dei bona matrimoni da parte del fidanzato.
Anche a questo proposito sarebbe risultato il contrario dalla lettura della sentenza ecclesiastica di primo grado con riferimento alle riportate dichiarazioni di M.M.A., C. A., T.M., P.I.. La Corte avrebbe pertanto errato nel ritenere che il vizio del consenso del C. fosse rimasto a livello di riserva mentale e non fosse mai stato palesato o reso conoscibile alla B..

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
E’ pacifica la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale costituisce mero errore materiale, suscettibile di correzione nelle forme di legge, l’erronea trascrizione in sentenza delle conclusioni delle parti, purchè risulti che siano state concretamente esaminate quelle effettivamente proposte (Cass. 23.2.2007, n. 4208; Cass. 7.11.1996, n. 9711; Cass. 23.4.1980, n. 2676). Tuttavia la mancata indicazione delle conclusioni può tradursi in vizio di nullità della sentenza quando essa abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, comportando omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti.
Nel caso di specie la sentenza impugnata afferma erroneamente, come risulta dal confronto con le conclusioni assunte dal Procuratore Generale il 17.4.2003 agli atti del fascicolo d’ufficio, successivamente non modificate, che il P.G. avrebbe concluso per il rigetto della domanda di delibazione. Dal tenore della sentenza non emerge che le conclusioni effettivamente assunte dal P.G., che erano invece di accoglimento della domanda, siano state esaminate dalla Corte d’appello, con il che risulta leso il principio del contraddittorio, perchè il giudice non ha pronunciato sull’effettivo contenuto del dibattito processuale e sulle reali conclusioni assunte dalle parti, donde la nullità della pronuncia che n’è derivata.

3. Il secondo motivo è del pari fondato. Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte è costante – anche nell’interpretazione dell’Accordo del 1984, di modifica del Concordato lateranense del 1929 – nel ritenere che la declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico, che ha pronunciato la nullità del matrimonio concordatario, per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè la divergenza unilaterale fra volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che questi l’abbia in concreto conosciuta, oppure che non l’abbia potuta conoscere a cagione della propria negligenza, atteso che, ove quella nullità venga fondata su una simulazione unilaterale non conosciuta, nè conoscibile, la delibazione della relativa pronuncia trova ostacolo nella contrarietà con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va compreso l’essenziale principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (Cass. 2 dicembre 1993 n. 11951; Cass. 14.3.1996, n. 2138; Cass. 28.1.2005, n. 1822). Il vincolo rappresentato dal rispetto del principio dell’ordine pubblico trova fondamento nel combinato disposto dell’art. 8, comma 2, lett. c) dell’Accordo del 1984 di modifica del Concordato lateranense del 1929 e della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g). In proposito la della L. n. 218 del 1995, art. 2 fa espressamente salva l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, precisando che l’applicazione della “presente legge” non pregiudica l’applicazione delle convenzioni internazionali, con la conseguenza che, ove non incompatibili, sia le disposizioni contenute nella convenzione internazionale sia quelle previste dalla legge processuale nazionale di diritto privato debbono trovare applicazione. Occorre poi che, al fine di escludere il contrasto della sentenza con l’ordine pubblico interno, il giudice della delibazione proceda – ricavando il proprio autonomo convincimento dagli atti del processo canonico, con apprezzamento dei fatti acclarati dal giudice ecclesiastico insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivato – all’accertamento della sola conoscenza o conoscibilità della riserva mentale da parte dell’altro coniuge, alla stregua dell’inderogabile principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (Cass. 29.4.2004, n. 8205).
Nel caso in esame la Corte d’appello nell’affermare che la sentenza di primo grado del giudice ecclesiastico non aveva riportato circostanze che consentissero di ritenere che la riserva mentale fosse stata portata a conoscenza della sposa o che questa potesse, con l’ordinaria diligenza, esserne informata, ha trascurato le dichiarazioni dei testi C.A.M., M.M. A., R.M., riportate dalla sentenza ecclesiastica in passi che sono stati trascritti nel ricorso.
In particolare i tre testi, nei passi delle deposizioni rese davanti al giudice ecclesiastico, citati dalla sentenza oggetto di delibazione e riportati nel ricorso, hanno concordemente affermato che il C. dichiarò loro, in diverse occasioni, che si sposava con l’intendimento, in caso d’insuccesso dell’unione con la B., di divorziare. I testi hanno anche aggiunto che il C. aveva comunicato questa sua volontà alla fidanzata, che ne aveva discusso sia con la M. che con la R..
E’ dunque evidente che l’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale la sentenza ecclesiastica non conterrebbe alcun “accertamento, nemmeno implicito, sulla conoscenza che la B. … potesse avere” della riserva mentale dello sposo, contrasta con il contenuto della sentenza stessa e si traduce in vizio di motivazione in ordine alla conoscenza o conoscibilità della riserva mentale del C. da parte della B..
In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, che pronuncerà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2007