Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Febbraio 2004

Sentenza 01 marzo 2002, n.3027

Cassazione Civile. Sezioni Unite. Sentenza 1 marzo 2002, n. 3027.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Aldo VESSIA – Presidente aggiunto – Dott. Rafaele CORONA – Presidente di sezione -Dott. Giovanni PRESTIPINO – Consigliere -Dott. Erminio RAVAGNANI – Consigliere – Dott. Alessandro CRISCUOLO – Consigliere -Dott. Giandonato NAPOLETANO – Consigliere -Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI – Consigliere -Dott. Roberto Michele TRIOLA – Consigliere -Dott. Guido VIDIRI – Rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
I.P.A.B. OPERA PIA BENEFICIO MADONNA DELLE GRAZIE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato CORRADOCARRUBA, rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI CAPRIOLI,CESARE CONTE, giusta delega a margine del ricorso;
ricorrente – contro COSMA ESTERINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato LUIGI GARDIN, rappresentata edifesa dall’avvocato FRANCESCO FLASCASSOVITTI, giusta delega a margine del controricorso;
contro ricorrente avverso la sentenza n. 2991-99 del Tribunale di LECCE, depositata il15-12-99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del13-12-01 dal Consigliere Dott. Guido. VIDIRI;
uditi gli Avvocati Giovanni CAPRIOLI, Saverio BASILE, per delega dell’avvocato Francesco FLASCASSOVITTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.Marco PIVETTI che ha concluso per il rigetto del primo e terzo motivo, rimessione atti sezione ordinaria per il quarto motivo.

Fatto

Con sentenza del 15 dicembre 1999 il Tribunale di Lecce confermava la precedente decisione del Pretore del lavoro di Galatina, che in accoglimento della domanda, proposta con ricorso depositato in data 28 maggio 1991 da Esterina Cosma, dipendente della I.P.A.B. (Opera Pia Beneficio Madonna delle Grazie) dal luglio 1978 al 1994, aveva condannato essa I.P.A.B. al pagamento in favore della sua dipendente della complessiva somma di lire 127.815.435, oltre accessori per differenze retributive, straordinario ed altre competenze, ed aveva altresì dichiarato cessata la materia del contendere sulla riconvenzionale per il rilascio del locale detenuto dalla Cosma Esterina e per risarcimento danni. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale, dopo avere premesso che l’I.P.A.B. non era stato mai eretto ad ente pubblico e che il rapporto con la Cosma Esterina doveva ritenersi di diritto privato, osservava che il primo giudice aveva correttamente fatto riferimento alla contrattazione collettiva di categoria ai fini di dedurre, alla stregua dell’art. 36 Cost., la inadeguatezza delle retribuzioni corrisposte alla lavoratrice. Lo stesso giudice aveva fatto, anche in ordine al lavoro straordinario ed alle ferie, buon uso delle risultanze processuali.
Avverso tale sentenza l’I.P.A.B. propone, con atto notificato in data 10 novembre 2000, ricorso a questa Corte, affidato a quattro motivi e nel quale deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Si oppone anche su tale punto Cosma Esterina con concontroricorso.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso l’I.P.A.B. Opera Pia Beneficio Madonna delle Grazie, deduce violazione e falsa applicazione di norme di legge, e precisamente dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. lamentando che il Tribunale non ha fornito nessuna motivazione sulle conclusioni seguite, limitandosi ad affermazioni del tutto generiche sia in relazione alla sollevata eccezione di difetto di giurisdizione sia in relazione al merito della controversia con specifico riguardo alla ritenuta applicazione alla fattispecie in esame della contrattazione relativa ai rapporti del “personale non medico alle dipendenze di case di cura private”.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce difetto di giurisdizione nonché violazione e falsa applicazione di norme inderogabili(l. 17 luglio 1890 n. 6972 e D.P.C.M. del 16 febbraio 1990; l. 15 maggio 1997 n. 127 ed art. 136 Cost.) in relazione all’art. 360 n. 1 c.p.c..
In particolare sostiene che la sentenza impugnata deve essere cassata in quanto la controversia de quo va devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ragione della natura pubblica di esso ente ricorrente. A tale riguardo evidenzia che venne eretto in ente morale con regio decreto del 16 aprile 1908 e che da quella data l’amministrazione è stata affidata ad un Commissario regio; che non ha mai cessato di essere sotto l’egida ed il controllo della pubblica amministrazione; che all’accoglimento della sollevata eccezione non osta la sentenza della Corte Costituzionale del 7 aprile 1988 n. 386 in quanto detta decisione, che aveva determinato soltanto il superamento del principio – quello di “pubblicizzazione generalizzata” delle istituzioni di assistenza e beneficenza – posto dalla “legge Crispi”, ma non aveva determinato il necessario riconoscimento della personalità privata degli enti stessi, la cui disciplina rimaneva quindi quella dettata dalla legge n. 6972 del 1890; che la statuizione del giudice delle leggi non poteva incidere su un rapporto – quale quello instaurato con Cosma nel lontano 1978 – che aveva sempre presentato i connotati propri del rapporto di pubblico impiego; che, infine, continuava ad essere necessario il riconoscimento di persona giuridica privata come condicio sine qua perché l’ente di assistenza e beneficenza, ricorrendo le altre condizioni stabilite dalla legge, potesse trasformarsi da pubblico in privato.
Con il terzo motivo l’I.P.A.B. denunzia violazione e falsa applicazione di norme inderogabili (l. 6972 del 17 luglio 1890 e D.P.C.M. del 16 febbraio 1990; l. 15 maggio 1997 n. 127, art. 136 Cost., art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 1 c.p.c.).
Sostiene che ogni dubbio interpretativo circa la effettiva vigenza della legge 6972-1890 era destinato a dissolversi per effetto del D.P.C.M. del 16 febbraio 1990, intervenuto proprio in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 386 del 1988 e che devolveva alle Regioni, nell’ambito delle proprie competenze, il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, riconoscimento che nel caso di specie non era mai stato richiesto alla Regione Puglia. Per di più non vi erano nella fattispecie in esame presenti quei requisiti (carattere associativo dell’ente, fondazione ed amministrazione da parte di privati ed ispirazione religiosa) richiesti per la qualificazione come privato dell’Istituto di beneficenza.
Con il quarto motivo il ricorrente addebita alla decisione impugnata difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 136 c.p.c., art. 2697 c.c. ed art. 36 Cost. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) deducendo che il Tribunale non ha fornito alcuna congrua motivazione in ordine alla ritenuta applicabilità del contratto collettivo del “personale non medico delle case di cura private”, sulla nullità del ricorso introduttivo del giudizio per mancata indicazione del contratto collettivo applicato, sulla sufficienza della retribuzione corrisposta alla Cosma, ed, infine, sui corrispettivi dovuti per lavoro straordinario e ferie non godute.
Sulle censure con le quali il ricorrente deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la Corte rileva che la qualificazione del rapporto di lavoro tra l’I.P.A.B. e la Cosma, e quindi la devoluzione della relativa controversia al giudice ordinario o al giudice amministrativo, ha come presupposto imprescindibile la determinazione della natura pubblica o privata dell’ente datore di lavoro.
A tale riguardo va ricordato che il problema della natura giuridica degli enti di assistenza e beneficenza, tra i quali va annoverata l’Opera Pia Beneficio Madonna delle Grazie, è stato affrontato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 7 aprile 1988 n. 396, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 (Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) nella parte in cui detta norma non prevedeva che le I.P.A.B. regionali e infraregionali potessero continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, pur in presenza di tutti i requisiti propri di un’istituzione privata.
L’indicata decisione – dopo avere richiamato le precedenti sentenze n. 173 del 1981 e n. 195 del 1987, che avevano evidenziato come gli istituti di assistenza e beneficenza venivano ad assumere “una impronta assai peculiare rispetto a tutti gli altri enti pubblici” in ragione dell’intrecciarsi di una disciplina pubblicistica in funzione di controllo con una notevole permanenza di elementi privatistici – rilevava che un sistema come quello introdotto dalla legge n. 6972 del 1890 (c.d. legge Crispi),che qualificava come pubblici tutti gli enti aventi finalità di assistenza e beneficenza, per il solo fatto di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, si poneva in palese contrasto con il principio pluralistico che ispira nel suo complesso la Costituzione repubblicana e che garantisce l’iniziativa privata nel campo dell’assistenza attraverso l’ultimo comma dell’art. 38 rispetto al quale finiva per risultare incompatibile “il monopolio pubblico” delle suddette istituzioni. In mancanza di una apposita normativa disciplinante le ipotesi ed i procedimenti per l’accertamento della natura privata delle I.P.A.B., la Corte Costituzionale riteneva, infine, praticabile – al fine di consentire ai soggetti che hanno i requisiti per continuare a sussistere come persone giuridiche di diritto privato – unitamente alla via della trasformazione in via amministrativa (sulla base dell’esercizio dei poteri di cui sono titolari sia l’amministrazione statale che quella regionale in tema di riconoscimento, trasformazione ed estinzione delle persone giuridiche private) anche la via dell'”accertamento giudiziale”.
La sentenza costituzionale indusse la Corte di Cassazione, in numerose controversie in cui si discuteva della natura del rapporto di lavoro dei dipendenti di istituzioni di assistenza e beneficenza, a ritenere: a) che fosse compito del giudice ordinario, nel caso fosse stato chiamato a risolvere la questione di giurisdizione, l’accertamento della natura pubblica o privata dell’istituzione datrice di lavoro; b) che l’accertamento stesso dovesse essere compiuto tenendo conto delle concrete caratteristiche proprie delle istituzioni prese in considerazione e facendo ricorso ai criteri tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza ai fini della distinzione tra enti pubblici ed enti privati, a prescindere dalle denominazioni assunte e dalla stessa volontà degli organi direttivi (cfr. ex plurimis: Cass., Sez. Un., 19 dicembre 1989 nn. 5680 e 5681; Cass., Sez. Un., 13 luglio 1989 n. 3283; Cass., Sez. Un., 29 marzo 1989 nn. 1543, 1544, 1545; Cass., Sez. Un., 18 novembre 1988 n. 6249).
In data 16 febbraio 1990, il Presidente del Consiglio dei Ministri, emise un decreto (G.U. del 23 febbraio 1990), contenente direttive alle Regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale ed infraregionale.
Il suddetto decreto dopo avere nel preambolo richiamato espressamente la sentenza costituzionale n. 396 del 1988 nella parte in cui aveva ritenuto possibile procedere all’accertamento della sussistenza dei requisiti di istituzione privata delle I.P.A.B. regionali seguendo la via amministrativa (e sulla base dell’esercizio dei poteri di cui sono titolari sia l’amministrazione statale che quella regionale), e dopo avere pure sottolineato l’opportunità di impartire le necessarie direttive (ai sensi dell’art. 4 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, tramite i commissari di governo) per l’esercizio delle funzioni delegate alle Regioni “in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato” allo scopo di assicurare una necessaria uniformità di regolamentazione – stabilì che dovesse essere riconosciuto il carattere di istituzione privata a quelle istituzioni in ordine alle quali fosse stato “alternativamente” accertato :a) il carattere associativo; b) il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati; c) l’ispirazione religiosa. Perché un ente potesse poi rientrare nella categoria degli enti di diritto privato il decreto specificò anche gli elementi che dovevano congiuntamente ricorrere per la ricognizione del carattere sub a) (costituzione dell’ente per iniziativa volontaria dei soci o di promotori privati; esistenza di disposizioni statutarie che prescrivano la designazione da parte di associazioni o di soggetti privati di una quota significativa di componenti dell’organo deliberante; esplicazione dell’attività dell’ente anche sulla base delle prestazioni volontarie dei soci); di quello sub b) (atto costitutivo o di fondazione posto in essere da privati;
esistenza di disposizioni statutarie che prescrivano la designazione da parte di associazioni o di soggetti privati di una quota significativa di componenti dell’organo deliberante; patrimonio costituito prevalentemente dalla dotazione originaria o da incrementi o trasformazione della stessa o da beni derivanti dallo svolgimento dell’attività istituzionale); ed, infine, del carattere sub c) (attività istituzionale perseguente indirizzi religiosi o che comunque inquadri l’Opera di beneficenza ed assistenza nell’ambito della finalità religiosa; collegamento dell’istituzione con una confessione religiosa).
In un tale contesto la qualificazione come privata di una istituzione si concretizzava in una attività di mera verifica di una situazione già esistente senza esercizio alcuno di discrezionalità tanto da potere essere compiuto in sede giudiziale (cfr. Corte Costituzionale 16 ottobre 1990 n. 446), trovando così conferma l’orientamento di queste Sezioni Unite secondo il quale avevano ad oggetto diritti soggettivi non soltanto le controversie in cui fosse in gioco l’esistenza di una.P.A.B. ma anche quelle concernenti il modo dell’esistere dell’istituzione e cioè la sua natura pubblica o privata e, quindi, l’individuazione della disciplina in concreto applicabile.
L’indicato orientamento, di cui si è evidenziata l’aderenza a quelle opinioni dottrinarie, che hanno affermato l’ancoraggio dell’attività di qualificazione degli enti operanti nel campo di assistenza ai principi generali dell’ordinamento, se non addirittura a quelli costituzionali (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 22 novembre 1999 n. 812), è stato più volte ribadito da questa Corte che, nell’affermare la necessità del ricorso alle regole distintive tra enti pubblici e privati, indicati tradizionalmente dalla giurisprudenza, ha utilizzato per l’identificazione della natura delle I.P.A.B. i criteri dettati dal D.P.C.M. del 16 febbraio 1990, valorizzando l’atto costitutivo (o la tavola di fondazione) e le disposizioni statutarie al fine di stabilire la riconducibilità all’iniziativa privata, oltre che della nascita dell’istituzione, anche della sua regolamentazione e dei suoi finanziamenti (cfr. ex plurimis: Cass., Sez. Un., 15 marzo 1999 n. 139; Cass., Sez. Un., 7 maggio 1998 n. 4631; Cass., Sez. Un., 7 agosto 1996 n. 7220), senza dare rilevanza alle denominazioni assunte dagli enti ed alla stessa volontà degli organi direttivi e senza attribuire rilievo decisivo alle finalità sociali perseguite dagli stessi (Cass., Sez. Un., 7 maggio 1998 n. 4631 cit.; Cass., Sez. Un., 7 agosto 1996 n. 7220 cit.) o all’esistenza di controlli pubblicistici, all’assunzione del personale mediante concorsi e all’approvazione della pianta organica da parte della Prefettura (cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., 26 agosto 1997 n. 8053, cui adde, sempre per l’affermazione che la natura pubblica dell’ente non è desumibile dalla sua soggezione a controlli dell’autorità regionale di vigilanza, Cass., Sez. Un., 4 dicembre 1991 n. 13024; Cass., Sez Un., 18 dicembre 1990 n. 12000).
Orbene, applicando gli esposti principi nell’esame delle concrete caratteristiche dell’ente ricorrente, se ne deduce agevolmente la natura privatistica.
Lo statuto dell’Ospizio “Beneficio Madonna delle Grazie”, datato 8 marzo 1924 e depositato agli atti, pone in chiara evidenza: a) che il suddetto ente è stato costituito in base al testamento di Giovanni Carrozzini, è stato eretto in ente morale, ed il suo iniziale patrimonio è stato formato con i vari beni del predetto fondatore (artt. 1 e 2 statuto); b) che lo scopo dell’Opera è quello di ricoverare i poveri di ambi i sessi del Comune di Soleto, impossibilitati a lavorare, di ricoverare, educare ed istruire gli orfani di ambo i sessi dello stesso Comune nonché di ricoverare i congiunti del fondatore di qualsiasi età purché poveri, provvedendo gratuitamente al suddetto ricovero, al mantenimento ed alla loro assistenza (artt. 2 e 3 statuto), pur prevedendosi, nell’esistenza di posti disponibili oltre quelli gratuiti, l’accoglimento di orfani non poveri di altro comune verso il pagamento di una retta (art. 9 statuto); c) che l’ente trae i propri mezzi per svolgere gli indicati compiti con le rendite del proprio patrimonio, con il ricavo delle rette, con un terzo dei proventi dei lavori dei ricoverati e con altri introiti non destinati ad aumentare il patrimonio (art. 21 statuto); d) che il diritto di amministrare l’ente – spettante inizialmente a termine delle tavole di fondazione all’erede del Carrozzini Giovanni ma per decesso dello stesso devoluto al suo primogenito – assume carattere “strettamente personale”, perché viene trasferito “di successione in successione al discendente primogenito in linea maschile o, in caso di estinzione di quest’ultimo ai congiunti maschi della linea collaterale, sempre però del casato Carrozzini”, prevedendosi solo in caso di assenza, impedimento o incapacità dell’amministratore titolare l’intervento di una Commissione di supplenti composta di tre membri (di cui uno in persona del Presidente della locale Congregazione di Carità con le funzioni di Presidente, uno nominato dal Consiglio comunale di Soleto ed uno dal Prefetto della Provincia; i due ultimi rimangono in carica due anni e possono essere rieletti) (art. 26 statuto); d) che l’amministratore provvede al regolare funzionamento dell’ente con ampi poteri di gestione potendo tra l’altro formare i progetti di regolamenti interni, nominare, sospendere e licenziare gli impiegati ed i salariati e deliberando anche “sull’ammissione, il licenziamento e l’espulsione dei ricoverati” (art. 28 statuto).
Emerge, dunque, con certezza – anche in ragione dell’assoluta prevalenza (se non dell’esclusività) delle risorse economiche di natura spiccatamente privatistica e dei criteri di amministrazione dell’ente (attestante una gestione improntata anche essa a regole privatistiche se non di gestione familiare) – la sussistenza di tutti gli elementi che, alla stregua dei principi innanzi enunciati, individuano la natura privata dell’ente.
In conclusione, il ricorso va rigettato in relazione alla sollevata questione di giurisdizione e va dichiarata la sussistenza della giurisdizione ordinaria.
Esaurito in tali termini l’esame delle censure di competenza delle Sezioni Unite, gli atti devono essere rimessi, ai sensi dell’art. 142 disp. att. c.p.c., alla Sezione semplice, e segnatamente alla Sezione lavoro, per l’ulteriore corso del giudizio.

P.Q.M

la Corte rigetta il ricorso in relazione alla questione di giurisdizione sollevata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Rimette gli atti alla Sezione lavoro di questa Corte per l’ulteriore corso del giudizio.

Così deciso in Roma il 13 dicembre 2001.