Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Dicembre 2003

Sentenza 01 marzo 1997, n.1819

Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 1 marzo 1997, n. 1819

(Senofonte; Vitrone)

MOTIVI DELLA DECISIONE.
Il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3 della legge l° dicembre 1970, n. 898, così come modificato dalla legge 6 marzo 1987, n.74, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., si duole che la sentenza impugnata si sia discostata senza congrua motivazione dall’orientamento dominante della giurisprudenza, secondo cui per accertare il decorso del termine fissato dalla legge per la proponibilità della domanda di divorzio occorre far riferimento non già al momento del deposito del ricorso bensì quello successivo della sua notificazione.

La censura non è meritevole di accoglimento perché si fonda su un sostanziale fraintendimento della giurisprudenza citata a sostegno della tesi posta a fondamento del ricorso.

Questa Corte, infatti, non ha mai dubitato che il termine di proponibilità della domanda di divorzio dovesse essere decorso prima del deposito del ricorso introduttivo del giudizio.

Le pronunce citate dal Capobianco sono infatti intervenute per risolvere i contrasti formatisi nelle pronunce dei giudici di merito in ordine alla questione della maturazione del termine della separazione di fatto nell’ipotesi della sua elevazione a seguito di opposizione del coniuge convenuto, ai sensi del testo originario dell’art.3, n 2, secondo cpv. lett. b) della legge n. 898 del 1970, poi soppresso dall’art. 6 della legge n. 74 del 1987. Le sezioni unite, con la sentenza n. 3802 del 25 novembre 1974, statuirono che, non prevedendo la legge il preventivo interpello del coniuge convenuto, la maturazione del termine di separazione di fatto che si fosse verificata dopo la presentazione del ricorso, ma prima della sua notifica, non incideva sull’ammissibilità della domanda, poiché il comportamento che il coniuge convenuto era tenuto a spiegare solo dopo la contestazione della lite agli effetti della elevazione del termine di proponibilità della domanda di divorzio non poteva farsi rientrare fra i presupposti processuali dell’atto introduttivo del giudizio, ma, come preciserà la giurisprudenza successiva, poteva solo comportare la temporanea improseguibilità del giudizio che, quindi, non subiva arresto nel caso che il termine elevato fosse maturato prima della notificazione del ricorso introduttivo. Nello stesso senso si è poi pronunciata la Corte con la successiva sentenza 25 gennaio 1977, n. 364, in una fattispecie identica, sicché non può dubitarsi che, ancor prima delle modifiche al testo originario della legge del 1970 la giurisprudenza avesse ben chiara la distinzione tra il termine legale di proponibilità della domanda, avente natura di presupposto processuale e quello maggiorato a seguito di opposizione del coniuge convenuto, avente natura di condizione di proseguibilità dell’azione.

Nè possono trarsi validi argomenti contrari dalla affermazione espressa dalla sentenza n. 3237 del.27 maggio 1982, che si limita ad un acritico richiamo alla precedente pronuncia delle sezioni unite del 1974, innanzi citata.

Se poi si passa a considerare il quadro dell’evoluzione normativa, va considerato che il primo cpv. della lett. b) dell’art. 3 della legge in esame il quale prescriveva nel testo originario che “… per la proposizione della domanda…le separazioni devono protrarsi ininterrottamente da almeno cinque anni…” è stato sostituito dall’art. 5 della legge n. 74 del 1987, il quale non si è limitato ad abbreviare il termine anzidetto, ma ha anche modificato la formulazione letterale della norma, avendo cura di specificare che “… le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente per almeno tre anni…”, eliminando così ogni possibile dubbio interpretativo in ordine alla circostanza che il termine di ininterrotta separazione deve essere già decorso al momento del deposito dell’atto introduttivo del giudizio, che segna il momento della proposizione della domanda per la quale è prescritta la forma del ricorso (art. 4, n. 2 della legge in esame).

Può altresì ricordarsi che è assolutamente costante l’affermazione diffusa con riferimento al rito del lavoro che la domanda introduttiva si propone con il deposito in cancelleria del ricorso, mentre la successiva notificazione alla parte convenuta attiene unicamente alla realizzazione della vocatio in ius.

E, del resto, quando il legislatore ha inteso ricondurre la produzione di determinati effetti giuridici non alla mera proposizione di una domanda giudiziale, ma alla conoscenza che di essa abbia avuto la parte convenuta in giudizio, lo ha espressamente specificato, come in tema di interruzione della prescrizione risulta dall’art. 2943 c.c. che richiede a tal fine la notificazione dell’atto col quale si inizia un giudizio di talché è pacifico che nei giudizi che si introducono con ricorso, il mero deposito di esso non è sufficiente a provocare effetti interruttivi, occorrendo la notificazione al convenuto della copia del ricorso medesimo (Cass. 2 aprile 1981 n. 1876).

E pertanto, essendo rimasto incontestabilmente accertato che il Capobianco e la Panighini sono comparsi dinanzi al presidente del tribunale per il tentativo di conciliazione in data 5 marzo 1987, deve ritenersi intempestivo e quindi inammissibile il ricorso per divorzio depositato il 26 febbraio 1990.

In conclusione, il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.

Le spese giudiziali restano compensate fra le parti.