Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Luglio 2005

Sentenza 01 luglio 2003, n.18008

Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 1 luglio 2003, n. 18008: "Contributi INPS e privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle comunità ebraiche".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giovanni PRESTIPINO – Presidente –
Dott. Natale CAPITANIO – Consigliere –
Dott. Aldo DE MATTEIS – Rel. Consigliere –
Dott. Filippo CURCURUTO – Consigliere –
Dott. Bruno BALLETTI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COMUNITÀ EBRAICA VENEZIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANGELO SECCHI 4, presso lo studio dell'avvocato UGO LIMENTANI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato AMELIO BALICH, giusta delega in atti; – ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, FABIO FONZO, giusta delega in atti; – controricorrente –

avverso la sentenza n. 175-00 del Tribunale di VENEZIA, depositata il 08-03-00 – R.G.N. 15-99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1-07-03 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;
udito l'Avvocato BALICH;
udito l'Avvocato FONZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per l'accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso, ed assorbito il terzo.

Fatto

L'Inps pretende dalla Comunità Ebraica di Venezia i contributi S.S.N. e T.F.R., oltre una aliquota differenziale per contributi GESCAL, ed a tale titolo ha ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento per L. 18.569.000, oltre sanzioni aggiuntive per L. 19.893.566, per il periodo 1.1.1986-31.3.1993.
La Comunità Ebraica di Venezia ritiene di non doverli, in forza dell'art. 31 L. 8.3.1989, n. 101, secondo cui "nulla è innovato, quanto al regime previdenziale dei rapporti di lavoro dei dipendenti dell'Unione e delle Comunità, in atto alla data di entrata in vigore della presente legge"; ha rilevato che i suoi dipendenti sono assicurati presso la CPDEL , ora INPDAP, attesa la natura pubblica, ai limitati fini previdenziali, della Comunità.
Ha pertanto proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo di pagamento, chiedendo altresì, con domanda riconvenzionale, il pagamento di L. 66.699.721 a titolo di contributi TBC indebitamente versati.
Il Pretore ha respinto l'opposizione e accolto parzialmente la domanda riconvenzionale.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza 18 novembre 1999-8 marzo 2000 n. 175, ha respinto l'appello della Comunità Ebraica di Venezia.
Il Tribunale ha osservato che la difesa della Comunità si fonda, sostanzialmente, sull'assunto della natura pubblicistica della interessata ai soli fini previdenziali complessivamente intesi; ha ritenuto pertanto prodromico, ad ogni ulteriore accertamento di causa, l'accertamento relativo alla assunta natura pubblicistica dell'ente appellante.
A tal fine ha preliminarmente effettuato la ricognizione del quadro normativo: il r.d. 1827-1935, tutt'ora in vigore quale legge generale in materia previdenziale, dispone, all'art. 37, il generale obbligo dell'assicurazione invalidità e vecchiaia, tubercolosi e disoccupazione involontaria per la generalità dei soggetti che prestano lavoro retribuito alle dipendenze di terzi; e, all'art. 38, i casi, espressi, di esclusione, tra cui i dipendenti delle amministrazioni statali, degli enti locali e delle istituzioni pubbliche di beneficenza, categoria nella quale rientra la Comunità ebraica.
Il r.d. 1731 del 1930 configurava le Comunità israelitiche e la unione delle comunità come persone giuridiche pubbliche, ma il Tribunale ha ritenuto che tale assetto, ispirato dalle ben note ragioni di repressione razziale del regime fascista, è venuto meno, a seguito di varie fonti normative: a) la Legge 20 marzo 1975 n. 70, la quale, nell'intento di "tagliare i c.d. rami secchi" e riordinare gli enti pubblici, ha adottato un criterio nominalistico, eliminando dal novero degli enti pubblici non economici tutti quelli ivi non espressamente indicati ovvero quelli non definiti come tali in sede di relativa istituzione; b) la Legge 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane), dalla quale emerge con assoluta chiarezza la natura di persona giuridica di natura privata delle Comunità Ebraiche; c) la successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 259-1990, la quale ha dichiarato illegittimo il regime del r.d. 1731-1930, perché contrastante con il principio di libertà delle confessioni religiose sancito dall'art. 8, 2 comma, Cost..
Da quanto sopra il giudice d'appello ha dedotto che il "previgente regime previdenziale" fatto salvo dalla legge 89-101 non può essere quello proprio dei soggetti di natura pubblicistica perché tale natura è esclusa dalla legge medesima, dai principi generali in materia e dalla stessa sentenza della Corte.
Il Tribunale ha poi esaminato l'art. 5 L. 8 agosto 1991, n. 274, in forza del quale possono optare per il mantenimento dell'iscrizione alle Casse pensioni degli istituti di previdenza i dipendenti degli enti che perdono la natura giuridica pubblica che consente l'iscrizione alle Casse predette; ma ha escluso che tale norma possa giovare alla Comunità, sia perché riguarda solo i contributi I.V.S., che non sono oggetto dell'ingiunzione, sia perché la Comunità Ebraica di Venezia non ha provato l'opzione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Comunità Ebraica di Venezia, con tre motivi.
L'intimato Istituto si è costituito con controricorso, resistendo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso la Comunità ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 38 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, 31 Legge 8 marzo 1989, n. 101; 5 91-274; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la lettura operata dalla sentenza impugnata dell'art. 31 Legge 8 marzo 1989, n. 101, in quanto contraddittoria proprio alla luce dell'interpretazione complessiva del regime previdenziale offerta dal Tribunale di Venezia. Argomenta: se "la natura di persona giuridica di natura privata delle Comunità Ebraiche emerge, con assoluta chiarezza, dalla L. 101-1989" (pag. 16 della sentenza), è evidente che il regime previdenziale "fatto salvo" dall'art. 31 di tale legge non potrà che essere un regime disomogeneo rispetto alla natura privata: e, dunque, il regime pubblico, che è, appunto, quello "previgente".
Il motivo è fondato.
Come già affermato da questa Corte in analoga controversia promossa dalla Comunità ebraica di Torino, l'art. 31 Legge 8 marzo 1989, n. 101 si ispira al medesimo criterio adottato in altri casi di trasformazioni degli enti da pubblici a privati, in cui, per evitare i problemi derivanti dal mutamento del regime previdenziale, viene data facoltà, ai dipendenti già in forza, di optare per la conservazione del precedente regime pubblicistico (Cass. 12 marzo 2003 n. 3614). L'esempio, ivi citato, dell'art. 5 del d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, relativo alla trasformazione in persone giuridiche private degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza, si può ritenere applicazione di un modello paradigmatico iniziato con la trasformazione dell'Azienda autonoma Ferrovie dello Stato in ente pubblico economico, modello caratterizzato, per quanto riguarda il personale, dalla sottoposizione del rapporto di lavoro alla disciplina del codice civile e del contratto collettivo, ma con la ultrattività del precedente regime previdenziale, pensionistico ed infortunistico, pubblico (salvo la variante, in alcuni casi, del diritto di opzione):
– la legge 17 maggio 1985, n. 210, istitutiva dell'ente pubblico economico Ferrovie dello Stato, dispone, all'art. 21, 1 comma, la contrattualizzazione del rapporto di lavoro secondo la disciplina del codice civile, e, contestualmente, al comma 4, la prosecuzione del regime previdenziale pubblicistico (Cass. 3 maggio 1989 n. 2050;
Cass. 30 maggio 1990 n. 5055; Cass. 18 giugno 1990 n. 6112);
– Amministrazione delle poste, per la quale, a fronte di un'immediata privatizzazione del rapporto e devoluzione delle controversie all'autorità giudiziaria ordinaria (artt. 1, 1 comma, e 6, 2 comma, D.L. 1 dicembre 1993 n. 487, convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1994 n. 79, la legge prevede un articolato regime transitorio sia per gli aspetti economici e normativi del rapporto di lavoro, sia per gli aspetti previdenziali ed infortunistici: l'art. 6, 6 comma, dispone l'ultrattività dei trattamenti vigenti fino alla stipulazione di un nuovo contratto, da intendersi come trattamenti economici e normativi (Cass. sez. un. 5 settembre 1997 n. 8585); lo stesso art. 6, commi 5, 7, 8, 9, 10, prevede una specifica normativa per il trattamento di quiescenza, mentre, per la tutela infortunistica, l'art. 10 d.l. 27 marzo 1995 n. 89, convertito in l. 17 maggio 1995 n. 186 (riprendendo una disposizione già contenuta nel l'art. 8 d.l. 23 febbraio 1995 n. 41, soppresso in sede di conversione della l. 22 marzo 1995 n. 85) ha stabilito che dalla data di costituzione dell'Ente poste italiane, e fino alla trasformazione dell'ente stesso in società per azioni, ai dipendenti dell'ente continuano ad applicarsi, in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, le disposizioni contenute nel r.d. 16 giugno 1938 n. 1275, modificato ed integrato dalla l. 21 dicembre 1955 n. 1350 e dal testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali 1124-65);
– Azienda nazionale autonoma per le strade, per la quale il d. lgs. 26 febbraio 1994 n. 143 prevede, in analogia con i modelli delle Ferrovie dello Stato e delle Poste, la trasformazione in ente pubblico economico, la privatizzazione del rapporto di lavoro del personale dipendente dall'ente, ma, contestualmente (art. 11, comma 10), che al personale in servizio continua ad applicarsi il regime previdenziale e pensionistico in atto all'entrata in vigore del decreto;
– Azienda autonoma di assistenza al volo, trasformata in ente pubblico economico dalla Legge 21 dicembre 1996 n. 665, per il cui personale l'art. 8 (come il precedente art. 8 del d.l. 25.11.1995 n. 497 decaduto per mancata conversione), prevede che i dipendenti in servizio all'atto della trasformazione conservino il precedente regime pensionistico, mentre quelli assunti dopo la trasformazione siano iscritti all'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'Inps.
Pertanto la trasformazione delle Comunità ebraiche in persone giuridiche private, a seguito degli atti normativi ricordati nella sentenza impugnata, non preclude la permanenza del regime pubblicistico del previgente sistema previdenziale, e della relativa contribuzione.
Più in particolare, per quanto riguarda la portata della sentenza della Corte Costituzionale 259-1990, non si può non ripetere, con Cass. 3164-2003 cit., che tale sentenza ha affermato che la natura pubblica delle Comunità ebraica contrasta con i principi costituzionali dell'autonomia statutaria delle confessioni religiose diverse da quella cattolica e di laicità dello Stato, il che non comporta però che siano travolte con effetto retroattivo le disposizioni relative al trattamento previdenziale pubblico allora applicato ai dipendenti, nè contrastano con i principi affermati dalla Corte Costituzionale le norme intese alla sua conservazione, trattandosi di un aspetto che risponde ad una logica del tutto diversa ed estranea rispetto a quella che ha ispirato la pronuncia della Corte Costituzionale.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 38 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.) focalizza le sue censure sui singoli contributi pretesi.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
I contributi c.d. minori oggetto di causa sono quattro, compreso quello per tbc oggetto della domanda riconvenzionale.
Esaminandoli in ordine di proposizione, avremo: 1. contributi per il Servizio sanitario nazionale.
A decorrere dal 1.1.1980 l'assicurazione contro le malattie è divenuta obbligatoria per tutti i cittadini (art. 63, 1 comma, Legge 23 dicembre 1978, n. 833). Tutti devono perciò concorrere al finanziamento del relativo servizio. Coloro i quali, secondo le leggi vigenti alla data di entrata in vigore della Legge n. 833-1978, erano tenuti all'iscrizione in un istituto mutualistico di natura pubblica, continuano a pagare i contributi previsti da tali leggi, e la quota parte di essi afferenti alle prestazioni di malattia, erogate ora dall'Inps, è devoluta a tale Istituto (art. 74, 1 comma, Legge 23 dicembre 1978, n. 833), il quale provvederà alla riscossione secondo le norme e le procedure per l'accertamento e la riscossione dei contributi di propria pertinenza (art. 76, 2 comma, Legge 23 dicembre 1978, n. 833; Cass. 5.8.1999 n. 8443).
La pretesa dell'Inps, nei limiti della quantità accertata dal giudice del merito, è quindi fondata. 2. Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto: esso è stato istituito dall'art. 2 legge 29 maggio 1982, n. 297, allo scopo di "sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, disciplinato dall'art. 2120 cod. civ., spettante ai lavoratori o loro aventi diritto".
Risulta dunque per tabulas il collegamento tra il fondo di garanzia ed il regime previsto dalla legge 29 maggio 1982, n. 297.
La ricorrente argomenta che i contributi pretesi dall'Inps per il fondo di garanzia non sono dovuti, in quanto essa provvede già a pagare i contributi per la indennità premio di fine servizio per i propri dipendenti all'Inadel (ora Inpdap). Tale circostanza rileva non perché i contributi per il fondo di garanzia, mirati a coprire il rischio di insolvenza del datore di lavoro, abbiano la stessa funzione dei contributi diretti a coprire il bisogno connesso alla cessazione del rapporto, ma perché il legislatore ha presupposto che non vi sia nel caso dei lavoratori coperti dall'Inadel il rischio di mancato pagamento delle indennità connesse alla cessazione del rapporto, per coprire il quale ha istituito il fondo di garanzia per i lavoratori dipendenti da datore di lavoro privato, e quindi non vi sia necessità di contributi aggiuntivi contro tale rischio.
Il ricorso della Comunità ebraica sul punto va quindi accolto. 3. contributi GESCAL.
La Legge 14 febbraio 1963, n. 60, che ha istituito un programma di costruzione di alloggi per i lavoratori, ne ha disciplinato all'art. 10 il finanziamento, prevedendo due regimi nettamente differenziati per i contributi a carico dei lavoratori (lett. B) e per i datori di lavoro (lett. C). I primi gravano su tutti i dipendenti "comunque qualificati, da aziende, amministrazioni, enti pubblici e privati, qualunque sia la natura o configurazione giuridica dell'azienda, dell'amministrazione o dell'ente", nella misura dello 0,35 della retribuzione mensile.
Una dizione così onnicomprensiva non può che essere interpretata nel senso che il contributo a carico dei lavoratori prescinde dalla natura del datore di lavoro, ed è dovuta comunque; trattasi del contributo che la Comunità ebraica assume di avere già pagato all'Inadel, ed infatti l'Inps pretende solo la misura differenziale.
La lett. C) prevede poi un contributo pari allo 0,70 per cento delle retribuzioni mensili a carico delle aziende, enti e amministrazioni di cui alla lett. B), escluse però le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
Come già rilevato dal primo giudice, ed implicitamente confermato dal giudice d'appello, tale formulazione riproduce sostanzialmente l'art. 38 R.D.L. 1827-1935, e pertanto anche tale problema va ricondotto alla natura giuridica della Comunità ebraica ed a quella del regime previdenziale applicabile ai suoi dipendenti.
Si deve quindi concludere che la Comunità ebraica è soggetta ad anticipare all'Inps per conto dei propri dipendenti i contributi GESCAL di cui alla lett. b), e non a pagare quelli a carico del datore di lavoro previsti dalla lett. a). 4. contributi TBC.
La tutela previdenziale per la tubercolosi è stata associata fin dalle origini a quella per la invalidità e vecchiaia (art. 37 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827; art. 3 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, convertito in Legge 6 luglio 1939, n. 1272), sia per quanto riguarda l'obbligo, sia per quanto riguarda le esclusioni (art. 38 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827).
Pertanto la Comunità ebraica rientra nella nozione di soggetto pubblico, ai limitati fini dell'art. 38, il quale deve essere interpretato in senso estensivo (Cass. 30.12.1993 n. 12959; Cass. 26.8.1993 n. 9056; Cass. 26.2.1993 n. 2404).
Conferma delle conclusioni raggiunte è data dall'art. 3, comma 28, Legge 8 agosto 1995, n. 335, il quale sottopone ad obbligo contributivo per la tubercolosi, a partire dal 1.1.1996, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o loro reparti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale.
È ben vero che l'art. 24 Legge 9 marzo 1989, n. 88 prevede che siano accorpate in un'unica gestione Inps, denominata Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, numerose gestioni, tra cui, per quel che interessa in questa sede, il fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, per 11 assicurazione contro la tubercolosi, la gestione per i trattamenti economici di malattia di cui all'art. 74 Legge 23 dicembre 1978, n. 833, ma la disposizione ha una portata, appunto, gestionale, e non incide sui diritti ed obblighi preesistenti.
Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, e gli atti trasmessi alla Corte d'appello di Trieste, la quale deciderà la causa attenendosi ai seguenti principi di diritto: 1. la natura privatistica delle Comunità ebraiche non preclude la conservazione del regime previdenziale pubblicistico, per i dipendenti assunti prima dell'entrata in vigore della Legge 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane); 2. secondo tale regime pubblicistico, le Comunità ebraiche sono debitrici verso l'Inps dei contributi per il Servizio sanitario nazionale, e (in via di anticipazione) per i contributi GESCAL previsti dall'art. 10 lett. b) Legge 14 febbraio 1963, n. 60 a carico dei lavoratori. Non sono viceversa debitrici per i contributi per tubercolosi, per il fondo di garanzia per trattamento di fine rapporto e per la parte dei contributi previsti dall'art. 10 lett. c) Legge 14 febbraio 1963, n. 60 a carico dei datori di lavoro.
Il giudice del rinvio provvederà altresì alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, e, per quanto di ragione, il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Trieste.