Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 6 Luglio 2005

Sentenza 01 luglio 2003, n.16435

Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 1 luglio 2003, n. 16435: “Nozione di imprenditore in tema di inquadramento delle imprese ai fini previdenziali”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giovanni PRESTIPINO – Presidente –
Dott. Natale CAPITANI – Consigliere –
Dott. Aldo DE MATTEIS – Rel. Consigliere –
Dott. Filippo CURCURUTO – Consigliere –
Dott. Bruno BALLETTI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, FABIO FONZO, giusta delega in atti; – ricorrente –

contro

COMUNITÀ EBRAICA VENEZIA; – intimata –

e sul 2 ricorso n 20868-01 proposto da:
COMUNITÀ EBRAICA VENEZIA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANGELO SECCHI 4, presso lo studio dell’avvocato UGO LIMENTANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato AURELIO BALICH, giusta delega in atti;- controricorrente e ricorrente incidentale –

nonché contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, FABIO FONZO, giusta delega in calce alla copia notificata del controricorso al ricorso incidentale; – controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 73-00 del Tribunale di VENEZIA, depositata il 03-07-00 – R.G.N. 183-99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01-07-03 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;
udito l’Avvocato FONZO;
udito l’Avvocato BALICH;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, ed accoglimento incidentale.

Fatto

L’Inps ha ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti della Comunità Ebraica di Venezia per contributi TBC ed ENAOLI evasi da cooperative, i cui soci o dipendenti erano attivi in una casa di riposo per anziani gestita dalla comunità, rispetto alle quali l’Inps assumeva che la Comunità fosse soggetto interponente ai sensi della Legge 23 ottobre 1960, n. 1369.
Il Pretore ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo opposto, fatta eccezione per la posizione di una lavoratrice. Pur disattendendo la tesi della Comunità, di non essere tenuta al pagamento dei contributi a causa della sua natura pubblica, ai limitati fini previdenziali, il Pretore ha ritenuto che la Comunità Ebraica di Venezia fosse un soggetto privo di natura imprenditoriale, e pertanto non era invocabile nei suoi confronti la Legge 23 ottobre 1960, n. 1369.
Avverso tale sentenza hanno proposto appello principale l’Inps, instando per il rigetto della opposizione, ed appello incidentale la Comunità Ebraica di Venezia, per l’accoglimento della sua tesi sulla natura pubblica.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza 23 marzo-3 luglio 2000 n. 73, ha rigettato entrambi gli appelli, confermando la motivazione della sentenza impugnata basata sull’assenza di carattere imprenditoriale.
Ha ritenuto, con il Pretore, che la comunità svolge, in relazione alla casa di riposo per anziani membri della comunità, funzioni socio assistenziali e non persegue scopi lucrativi, sicché non ha la qualifica di imprenditore rilevante ai sensi dell’art. 1 Legge 23 ottobre 1960, n. 1369; che tale qualifica è stata esclusa anche in sede penale; che, in fatto, deve ritenersi che la comunità ha appaltato alle varie cooperative di lavoro e ai di loro soci i servizi di gestione della casa di riposo, con appalto legittimo. Ha aggiunto: anche ad ammettere, con l’Istituto appellante, che la gestione della casa di riposo configuri una ulteriore attività, estranea a quella istituzionale, con criteri di economicità, di natura economica e lucrativa, si tratterebbe, in ogni caso, di attività non prevalente e non svolta con connotazione di professionalità, ed in definitiva non imprenditoriale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Inps, con unico motivo.
La intimata si è costituita con controricorso, resistendo; ha proposto ricorso incidentale per l’accoglimento della nota questione di diritto già proposta con l’appello incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

Vanno preliminarmente riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con unico motivo l’Istituto ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, nonché vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata, per avere confuso i due piani: quello dell’attività cultuale della comunità tutelata dell’ordinamento statuale come tipica delle Confessioni Religiose e l’attività non cultuale, quale è quella di causa, della quale il Tribunale ha affermato aprioristicamente e senza alcuna verifica del materiale probatorio la natura non imprenditoriale dell’attività svolta.
Rimprovera alla sentenza impugnata di non avere motivato su varie circostanze di fatto accertate nei verbali ispettivi, delle quali, in relazione al motivo di ricorso, appaiono rilevanti le seguenti: a) la menzionata comunità gestiva una casa di riposo per la quale riscuoteva dagli ospiti delle rette mensili; b) presso la casa di riposo prestavano la propria opera subordinati per i quali la comunità provvedeva a versare regolarmente i contributi e accanto a costoro si trovavano altri lavoratori, chiamati a sostituire i lavoratori della casa di riposo, dipendenti da società cooperative che provvedevano a inviare su richiesta della casa di riposo.
Il motivo è fondato.
Si deve premettere che anche l’attività di cura può essere svolta in forma d’impresa (Sezioni Unite sent. 3353-1994; Cass. 23.2.1988 n. 1932; Cass. 15.1.1987 n. 281).
Analogo principio va affermato per l’attività di assistenza svolta attraverso case di riposo per anziani, congiunta, oppure no, ad attività di cura.
Infatti, secondo la elaborazione evolutiva della dottrina e della giurisprudenza, connesse anche all’imponente fenomeno storico delle aziende pubbliche e di quelle con fine pubblico ma forma privatistica (ad. es. a partecipazione statale), nelle quali spesso il profitto manca, la nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 cod. civ.
(e dell’art. 1 L. 1369-1960), va intesa in senso oggettivo: l’attività imprenditoriale sussiste ogniqualvolta l’attività economica organizzata sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente alla attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, atteso che lo scopo di lucro riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la suddetta attività; deve viceversa essere esclusa la natura imprenditoriale nel caso che l’attività sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti (amplius Cass. sent. 14 giugno 1994 n. 5766, alla cui motivazione si rinvia).
Quando poi un soggetto non imprenditore, come la comunità ebraica controricorrente, svolga un’attività suscettibile di essere qualificata come imprenditoriale, a tale ultimo fine occorre verificare non tanto se l’attività economica sia prevalente od esclusiva nell’ambito dell’attività generale del soggetto, quanto se essa si ponga con caratteri di autonomia nell’ordinamento giuridico (argomento ex Cass. 5766-1994 cit., relativa al carattere imprenditoriale dell’Ospedale del Bambino Gesù di Roma, appartenente al patrimonio ben più ampio della Santa Sede).
La sentenza impugnata risulta carente laddove esclude, senza adeguata motivazione, la natura imprenditoriale dell’attività svolta.
Detta sentenza riporta in parte narrativa la motivazione pretorile, secondo cui la qualifica imprenditoriale è incompatibile con la funzione socio – assistenziale svolta dalla Comunità ebraica, che non persegue scopi lucrativi.
Nella parte motiva afferma: “l’appello è infondato. Quand’anche si assumesse come svolta dalla Comunità ebraica, seppure estranea alla attività istituzionale del soggetto… ulteriore attività con criteri di economicità, come connotata dalla natura economica e lucrativa nella predisposizione di servizi per i consociati… ebbene è evidente che si tratterebbe, in ogni caso, di attività affatto prevalente e non svolta con connotazione di professionalità”.
Nella motivazione riportata, attraverso la concessiva “quand’anche”, si può ravvisare un’adesione del Tribunale alla motivazione pretorile, e quindi una motivazione per relationem. In ogni caso essa è errata sotto un duplice profilo: perchè è apodittica la esclusione del carattere imprenditoriale, in relazione al quale non indica i criteri di identificazione della nozione; perchè è erroneo il criterio, in caso di attività promiscue, del carattere esclusivo o prevalente.
L’accoglimento del ricorso principale comporta l’assorbimento di quello incidentale, con il quale la Comunità Ebraica di Venezia ripropone la tesi sulla natura pubblica, ai limitati fini previdenziali, delle Comunità Ebraica e dell’Unione delle Comunità ebraiche.
Peraltro, questa Corte, nella causa RG 6299-2001 chiamata alla stessa udienza, ha enunciato i seguenti principi di diritto: 1. la natura privatistica delle Comunità ebraiche non preclude la conservazione del regime previdenziale pubblicistico, per i dipendenti assunti prima dell’entrata in vigore della Legge 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane); 2. secondo tale regime pubblicistico, le Comunità ebraiche sono debitrici verso l’Inps dei contributi per il Servizio sanitario nazionale, e (in via di anticipazione) per i contributi GESCAL previsti dall’art. 10 lett. b) Legge 14 febbraio 1563, n. 60 a carico dei lavoratori. Non sono viceversa debitrici per i contributi per tubercolosi, per il fondo di garanzia per trattamento di fine rapporto e per la parte dei contributi previsti dall’art. 10 lett. c) Legge 14 febbraio 1963, n. 60 a carico dei datori di lavoro.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Trieste.