Sentenza 01 luglio 2002, n.327
Corte costituzionale. Sentenza 1 luglio 2002, n. 327.
(Ruperto; Mezzanotte)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Cesare RUPERTO Presidente
– Massimo VARI Giudice
– Riccardo CHIEPPA
– Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
– Valerio ONIDA Giudice
– Carlo MEZZANOTTE Giudice
– Fernanda CONTRI Giudice
– Guido NEPPI MODONA Giudice
– Piero Alberto CAPOTOSTI Giudice
– Annibale MARINI Giudice
– Franco BILE Giudice
– Giovanni Maria FLICK Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 405 del codice penale (Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico), promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 2000 dalla Corte di cassazione, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
(omissis)
Considerato in diritto
1. La Corte di cassazione solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 405 del codice penale (Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico), che punisce con la reclusione fino a due anni “chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico”.
Il giudice remittente dubita che la disposizione in esame, prevedendo per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico ivi considerati un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello stabilito dall’articolo 406 dello stesso codice (Delitti contro i culti ammessi nello Stato) per i medesimi fatti commessi contro un culto “ammesso” dallo Stato, violi gli articoli 3, primo comma, e 8, primo comma, della Costituzione, cioè l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione e l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge.
Ad avviso della Corte di cassazione, la diversità di pena nella quale si incorre a seconda che il turbamento della funzione religiosa riguardi il culto cattolico ovvero altri culti ammessi dallo Stato si configurerebbe come una discriminazione costituzionalmente inammissibile, in quanto contrasterebbe con il “principio supremo” di laicità dello Stato, che richiede l’equidistanza e l’imparzialità dello Stato nei confronti di tutte le religioni.
2. La questione è fondata.
Nel sistema del codice penale sono oggetto della tutela del sentimento religioso sia la religione cattolica, sia i culti “ammessi” nello Stato, da intendersi, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, con la piena affermazione della libertà religiosa, come culti diversi da quello cattolico. Identiche sono le condotte sanzionate penalmente, descritte negli artt. 403, 404 e 405 cod. pen., ma differente è il trattamento sanzionatorio: l’art. 406, infatti, stabilisce che la pena prevista per tali reati è diminuita se le medesime condotte vengono poste in essere contro i culti “ammessi”.
L’esigenza di una unificazione del trattamento sanzionatorio ai fini di una eguale protezione del sentimento religioso, che è imposta dai principî costituzionali evocati dal giudice remittente, è stata già affermata da questa Corte nella sentenza n. 329 del 1997. Con essa è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 8 della Costituzione, dell’articolo 404, primo comma, del codice penale (Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose), nella parte in cui prevede una pena maggiore di quella stabilita per le medesime condotte riferite a confessioni diverse dalla cattolica dall’articolo 406 dello stesso codice.
Si tratta ora di applicare i medesimi principî, già enucleati in quella sentenza, al caso sottoposto all’esame di questa Corte, giacché anche le diverse previsioni concernenti il turbamento di funzioni religiose, se riferite al culto cattolico, devono essere assoggettate al più lieve trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 406 cod. pen. per i culti “ammessi”.
Il principio fondamentale di laicità dello Stato, che implica equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni, non potrebbe tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da quello cattolico, sia ritenuto meno grave di quello di chi compia i medesimi fatti ai danni del culto cattolico.
3. Esula dai compiti di questa Corte indagare se l’art. 406 cod. pen. costituisca un’attenuante di un reato base ovvero debba essere considerato autonoma figura di reato, come pure pronunciarsi sulla qualificazione da riservare alla previsione di cui al secondo comma dell’art. 405 cod. pen. (“se concorrono fatti di violenza o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni”). E tuttavia, quale che sia l’interpretazione che la giurisprudenza vorrà accreditare, l’istanza costituzionale di equiparazione della tutela penale dei culti va soddisfatta in relazione a tutte le previsioni dell’art. 405 cod. pen.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 405 del codice penale, nella parte in cui, per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico, prevede pene più gravi, anziché le pene diminuite stabilite dall’articolo 406 del codice penale per gli stessi fatti commessi contro gli altri culti.
(omissis)
Autore:
Corte Costituzionale
Dossier:
Tutela penale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Ministro di culto, Laicità, Eguale libertà, Pratiche religiose, Culto cattolico, Equidistanza, Imparzialità, Principio supremo
Natura:
Sentenza