Sentenza 01 febbraio 2008, n.2467
Corte di Cassazione. Sezione I Civile. Sentenza 1° febbraio 2008, n. 2467: “Matrimonio concordatario e simulazione unilaterale del consenso”.
(omissis)
Il Tribunale ecclesiastico regionale calabro, con sentenza del 13 dicembre 1997, poi ratificata e resa esecutiva nell’ordinamento canonico con decreti collegiali del Tribunale ecclesiastico regionale campano di appello (24 giugno 1998) e del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (16 novembre 1998), dichiarò la nullità, per l’esclusione dell’indissolubilità del vincolo ex parte viri, del matrimonio concordatario celebrato in (OMISSIS) il (OMISSIS) tra B.G. e R.B..
Alla richiesta, rivolta dal B. alla Corte d’appello di Reggio Calabria, di declaratoria di efficacia in Italia della suddetta sentenza ecclesiastica, la R. si oppose, deducendo la decadenza dall’azione ai sensi dell’art. 123 c.c., e, nel merito, la sua infondatezza, contrastando la pronuncia con i principi dell’ordine pubblico dell’ordinamento italiano. Domandò, in subordine, l’attribuzione di congrua indennità, ai sensi dell’art. 129 bis c.c..
La corte adita accolse la domanda attorea. Dopo aver premesso che l’accordo stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, ratificato con L. 25 marzo 1985, n. 121, non aveva eliminato la riserva di giurisdizione ecclesiastica nelle cause di nullità dei matrimoni canonici trascritti, sicchè era esclusa la possibilità di un riesame del merito e necessario invece valutare la ricorrenza di un eventuale contrasto con l’ordine pubblico unicamente in base ad aspetti intrinseci del provvedimento di cui era stato richiesto il riconoscimento, la corte calabra, nel negare l’applicabilità dell’istituto della simulazione all’istituto canonistico del matrimonio-sacramento e la presenza di situazioni ostative alla delibazione, osservò, fra l’altro, che la statuizione delibanda e le risultanze del procedimento canonico evidenziavano con assoluta certezza che la riserva mentale del nubendo, sull’esclusione del bonum sacramenti, ossia del requisito dell’indissolubilità, era conosciuta da parte dell’altro contraente al momento della celebrazione del matrimonio. Rigettò la domanda avanzata ai sensi dell’art. 129 bis c.c., in quanto la sua natura anticipatoria era resa inutile dall’avvenuto riconoscimento dell’assegno alimentare a favore della R. da parte del giudice civile e perchè costei non rivestiva la qualità di coniuge di buona fede, cui la norma condiziona la fondatezza della pretesa.
La R. ha chiesto la cassazione di detta sentenza, con ricorso sostenuto da tre motivi.
Il B. ha replicato con controricorso.
All’udienza del 21 febbraio 2007 la Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria e del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, litisconsorti necessari.
Avendo la ricorrente provveduto per tempo al predetto incombente, la causa è stata nuovamente trattata all’udienza odierna.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunziando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13 dell’accordo di revisione del concordato lateranense, reso esecutivo, unitamente al protocollo addizionale, con la L. 25 marzo 1985, n. 121, anche in relazione a quanto previsto dall’art. 123 c.c., la ricorrente critica l’affermazione della corte reggina sul carattere esclusivo della giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, nulla prevedendosi al riguardo nel precitato accordo, e il rigetto della pregiudiziale eccezione di decadenza dall’azione prevista da norma (art. 123 c.c., comma 2), da ritenersi imperativa ed espressione di un principio essenziale dell’ordinamento interno.
Con il secondo motivo, la R. denunzia vizi motivazionali su punto decisivo della controversia e deplora che la Corte Territoriale non ha accertato con piena autonomia rispetto al giudice canonico se essa ricorrente conosceva o avrebbe potuto conoscere la riserva mentale del soggetto con cui aveva contratto matrimonio. Al contrario, il giudice a quo ha passivamente recepito le conclusioni adottate dal giudice ecclesiastico su tali aspetti della vicenda estranei al diritto canonico, che legittima i tribunali ecclesiastici ad accertare l’eventuale esistenza della sola voluntas simulandi.
Con il terzo motivo, la R. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 129 bis c.c., e vizi di motivazione.
L’esclusione della buona fede di essa ricorrente, frutto dei vizi di violazione di legge e motivazionali denunziati in precedenza, oltre che di evidenti aporie, ha anche travolto la domanda riconvenzionale, condizionata all’accoglimento della richiesta avanzata dall’attore.
La seconda parte del primo motivo è destituita di fondamento.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, per esclusione da parte di uno soltanto dei coniugi di uno dei bona matrimonii, trova ostacolo nell’ordine pubblico, nel caso in cui detta esclusione sia rimasta nella sfera psichica del suo autore, perchè non manifestata, nè comunque conosciuta o conoscibile dall’altro coniuge, alla stregua dell’inderogabile principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole. Non acquista, invece, rilievo, ai fini della delibazione, la circostanza che i coniugi abbiano convissuto successivamente alla celebrazione del matrimonio – circostanza che, a norma dell’art. 123 c.c., comma 2, rende improponibile l’azione di impugnazione del matrimonio per simulazione – in quanto la citata disposizione codicistica, pur avendo carattere imperativo, non si configura come espressione di principi e regole fondamentali con i quali la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio sia pure con il limite derivante dalla peculiarità dei rapporti fra Stato e Chiesa, sicchè la indicata difformità non pone la pronuncia ecclesiastica in contrasto con l’ordine pubblico italiano. In altri termini, rispetto alla rilevanza che la legge italiana, con l’art. 123 c.c., comma 2, conferisce al matrimonio- rapporto, assegnandogli attitudine a superare l’invalidità del matrimonio-contratto dipendente da simulazione, le difformi previsioni della legge canonica, disconoscitive di ogni possibilità di emendare a posteriori i vizi che infirmino l’originario atto- sacramento, rimangono nell’ambito di quelle specificità dell’ordinamento della Chiesa, la cui applicazione da parte del Giudice ecclesiastico non tocca regole essenziali e irrinunciabili dell’ordinamento interno e, quindi, non comporta impedimento alla delibazione della relativa pronuncia (cfr. 4916/1986, 241/1987, 4700/1988, rea a Sezioni Unite a dirimere un contrasto insorto in materia, 1018/1990, 5026/1990, 3314/1995, 6551/1990, 10143/2002, 8205/2004).
Per il resto il ricorso, che investe preminentemente l’ambito dei poteri del giudice della delibazione in vista dell’accertamento della conformità della decisione ecclesiastica all’ordine pubblico italiano, è fondato nei sensi appresso precisati.
E’ noto che la declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico il quale abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona maatrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che sia stata da questo effettivamente conosciuta, o ancora che non gli sia stata nota soltanto a causa della sua negligenza, atteso che, ove le suindicate situazioni non ricorrano, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (Cass. nn. 6308/2000, 198/2001, 4457/2001, 10143/2002, 3339/2003, 8205/2004, 27078/2005).
E’ altrettanto noto che, in presenza della dichiarata esclusione di uno o più dei bona, matrimonii, quale causa di nullità del matrimonio concordatario, l’accertamento rimesso al giudice italiano della conoscenza o della conoscibilità di tale esclusione da parte del coniuge non partecipe della relativa riserva deve essere condotto sul fondamento degli elementi obbiettivi di prova acquisiti nel processo ecclesiastico. Il contenuto della sentenza ecclesiastica vincola il giudice della delibazione quanto ai fatti che in essa risultano accertati, ma non gli pone alcun obbligo di applicare i principi enunciati in tema di prova della simulazione; ciò in considerazione non soltanto della totale autonomia di valutazione del giudice italiano rispetto a quello ecclesiastico, ma anche del fatto che il tema rispettivo dei due giudizi non coincide, giacchè il primo è diretto ad accertare la sussistenza della voluntas simulane di un coniuge, mentre il secondo deve verificare il profilo, affatto irrilevante nella disciplina canonica del matrimonio, della conoscenza o conoscibilità della riserva unilaterale. Il divieto del riesame del merito, riaffermato con (non necessaria) perentorietà dal punto 3, sub b), dell’art. 4 del protocollo addizionale (rispetto alla generale esclusione in tema di delibazione della sentenza straniera, risultante dall’art. 798 c.p.c., che, prevedendo i casi in cui è ammesso il riesame del merito, non richiama il punto 7 del precedente art. 797 c.p.c.), non consente dunque al giudice italiano di integrare con una rinnovata istruzione i materiali probatori acquisiti nel processo ecclesiastico (documentati negli atti relativi, non necessariamente limitati al testo delle decisioni). Ma tale divieto, mentre osta al controllo sulla sussistenza della riserva mentale, non preclude al giudice italiano – chiamato ad esprimere quella valutazione, estranea al tema del giudizio canonico, di compatibilità con il principio di salvaguardia dell’affidamento negoziale incolpevole, essenziale nell’ordine pubblico interno – di provvedere alla autonoma valutazione delle prove secondo le regole del processo civile (art. 116 c.p.c.), pure con riferimento alla efficacia probatoria delle dichiarazioni personali delle parti, e di eventualmente disattendere gli obbiettivi elementi di conoscenza documentati negli atti di quel giudizio (vedi Cass. nn. 2330/1994, 2138/1996, 4802/1998, 4047/2006, 2330/1994, 8386/1997, 6551/1998, 6308/2000, 198/2001 3339/2003). In definitiva, l’accertamento sulla conoscenza o conoscibilità, da parte del coniuge deceptus, della riserva mentale non deve essere svolto unicamente in base ad aspetti intrinseci della pronuncia di cui si chiede il riconoscimento, incombendo al giudice della delibazione un’autonoma valutazione degli elementi atti a supportare quella condizione psicologica (anche se, ovviamente, il relativo risultato potrà coincidere con la valutazione che sul punto specifico abbia operato in eventum lo stesso giudice ecclesiastico).
Nella specie, la Corte di appello si è sottratta a tale necessario accertamento, affermando il contrario, errato principio secondo cui “la riserva di giurisdizione esistente a favore della giurisdizione canonica, non consente al giudice della delibazione di effettuare una nuova e eventualmente diversa valutazione dei dati probatori acquisiti nel processo ecclesiastico, avendo solo il potere di accertare quale sia realmente la causa di nullità individuata dai giudici ecclesiastici e valutare se essa sia stata accertata in contraddittorio fra le parti e violi o no principi di ordine pubblico”.
In ossequio a tale erronea premessa, la corte del merito non ha svolto un’autonoma valutazione degli atti, fondando in pratica il proprio convincimento solo sugli elementi indicati dalla pronuncia delibanda come significativi della conoscenza effettiva, da parte della R., dell’intimo atteggiamento del B. inteso a escludere il bonus della indissolubilità del vincolo matrimoniale.
Palesemente insufficiente e incongrua ai fini che qui rilevano appare, infatti, la circostanza indicata dal giudice a quo quale prova che l’esclusione, da parte del B., del bonum sacramenti, ossia del requisito dell’indissolubilità, pur rimasta confinata nella sfera psichica dell’autore, e non esteriorizzata, sia stata con ragionevole sicurezza percepita dalla R. in epoca precedente la celebrazione del matrimonio; vale a dire il fatto, di per sè insignificante, che, dietro permesso delle stesse autorità ecclesiastiche locali, il matrimonio venne officiato non da un sacerdote, ma un diacono, titolare di un ordine notoriamente distinto e non confondibile con il maggiore ordine sacerdotale.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa nella stessa corte distrettuale, diversamente composta, cui si demanda anche la regolazione delle spese di questo giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2008
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Consenso, Matrimonio concordatario, Riserva mentale, Indissolubilità del vincolo, Buona fede, Affidamento incolpevole, Simulazione, Prova della simulazione
Natura:
Sentenza