Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 3 Ottobre 2003

Provvedimento 01 aprile 1996, n.194

Commissione Tributaria Secondo Grado Roma – Prima Sezione. Provvedimento 1 aprile 1996, n. 194.

(Minniti; Picozza)

Diritto

Il Collegio ritiene di doversi prioritariamente pronunziare sulla questione prospettata dall’appellante incidentale, atteso il carattere pregiudiziale della stessa.

Nell’appello incidentale l’Ente Patrimoniale ha dedotto la nullità e/o illegittimità dell’ingiunzione determinatasi a seguito dell’entrata in vigore della legge 22 novembre 1988, n. 516 di recepimento dell’accordo dello Stato italiano con l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7º giorno. L’esponente affermava la nullità dell’ingiunzione per effetto del combinato disposto dell’art. 20 in base al quale "i trasferimenti di beni immobili scorporati dal patrimonio dell’Ente Patrimoniale… ed assegnati agli Enti di cui all’art. 19 (Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7º giorno) sono esenti da ogni tributo ed onere" e dell’art. 38, riferentesi espressamente al caso di specie, oggetto di esame da parte di questa Commissione, giusta il quale, "L’esenzione da ogni tributo od onere di cui all’art. 20, si applica al trasferimento effettuato dalla Nuova Aurora e dalla Société Philantropique all’Ente Patrimoniale della Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7º giorno, mediante donazione autorizzata con d.P.R. del 13 aprile 1979, n. 128, fatte salve le somme già percette dall’amministrazione finanziaria".

Il motivo è fondato. Ad avviso del Collegio, l’intervento dello jus superveniens applicabile anche ex officio in ogni stato e grado del giudizio, ha determinato l’illegittimità dell’ingiunzione per carenza assoluta del potere impositivo.

Con legge 22 novembre 1988, n. 516 lo Stato italiano ha approvato, dandovi esecuzione, l’intesa con l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7º giorno stipulata il 29 dicembre 1986.

La legge di recepimento costituisce espressione coerente ad un sistema costituzionale che, in riferimento all’affermato pluralismo confessionale (art. 8 Cost.), non solo ha sancito il principio della cd. "riserva di statuto" secondo il quale "le confessioni religiose diverse dalla cattolica possono organizzarsi secondo propri statuti, purché non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano", ma altresì sancito il principio cd. della "bilateralità" secondo il quale i rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse da quella cattolica "sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze" (secondo e terzo comma dell’art. 8 Cost.).

Il sistema costituzionale ha quindi operato il generale riconoscimento delle confessioni religiose differenti da quella cattolica ed ha riconosciuto per quelle organizzate secondo il comma 2 dell’art. 8 Cost. la natura di veri e propri ordinamenti giuridici indipendenti e non subordinati allo Stato.

Di tale riconoscimento costituisce corollario la rinuncia da parte dello Stato non solo a qualsiasi ingerenza nella determinazione dei singoli ordinamenti interni, ma anche alla regolazione con atti sostanzialmente ed anche formalmente unilaterali della disciplina dei propri rapporti con le confessioni stesse.

Il nuovo assetto costituzionale ha dato quindi ingresso, nell’ambito della disciplina dei rapporti tra lo Stato e confessioni religiose, al principio della riserva di legge di derivazione pattizia, dovendo gli stessi essere appunto "regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze" (art. 8, comma 3. Cost.).

Il sistema costituzionale non solo impone il recepimento di quanto bilateralmente stabilito mediante legge, ma esige che la stessa deve dare piena esecuzione all’intesa recepita. Nell’iter di formazione della legge è quindi vietato qualsiasi intervento unilaterale volto a disporre emendamenti a quanto convenuto, così come è vietato, una volta che la legge sia stata emanata, ogni successivo intervento normativo che ne sospenda l’efficacia, la modifichi, la deroghi o ne disponga l’abrogazione.

Ciò è consentito se non per mezzo di altri legge che sia a sua volta esecutiva di una nuova intesa. Particolare, questo, che sottrae le leggi de quibus ad un inquadramento secondo il consueto sistema gerarchico delle fonti, giacché pur essendo esse leggi ordinarie, non possono subire alcun effetto da atti legislativi muniti di pari forza (leggi dello Stato e decreti legge), se non per mezzo di altre leggi ordinarie che siano a loro volta esecutive di altre intese, e ciò le porta ad essere ricomprese nella categoria delle cosiddette leggi a tutela rinforzata.

Ritornando alle intese, esse sono accordi creati extra ordinem collocate cioè in un ordinamento esterno a quello statuale, posto di volta in volta in essere dall’incontro del consenso dello Stato e dalla Confessione religiosa costituzionalmente legittimata alla negoziazione. Tale legittimazione sorge in base alla sua "effettiva" natura di ordinamento ed è preesistente alle intese stesse: effettività, è stato detto, da intendersi come predisposizione di norme che tendono ad assicurare il potere di regolare i comportamenti dei fedeli rilevanti "in civitate" anche in difformità dalla valutazione degli stessi operata dalle norme statuali.

Sul profilo contenutistico l’oggetto delle intese deve essere individuato in tutte le materia che possono costituire oggetto di "rapporti" tra l’uno e l’altro ordinamento, ad esclusione quindi di quelle riservate afferenti al proprium dell’ordinamento confessionale e al proprium di quello statuale, come si evince nella disposizione di cui all’art. 8, comma 2 Cost. che fonda sì la "riserva di statuto", ma anche il principio della "separazione degli ordini", in forza del quale il limite all’ingerenza dell’intervento dello Stato nell’ordinamento confessionale è a sua volta condizionato all’assenza del contrasto di quest’ultimo con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.

L’esame dell’aspetto piú propriamente precettivo delle norme contenute nelle intese rende contezza della necessità o meno della predisposizione di ulteriore normazione di attuazione, oltre all’emanazione di legge di esecuzione. Le disposizioni possono avere un contenuto programmatico fissando, in ordine a determinate materie, i principi-quadro e operando un rinvio a successive fonti normative; alcune dispongono l’ulteriore inapplicabilità alla confessione stipulante della pregressa legislazione statuale unilateralmente predisposta (cfr. art, 1 comma 2 legge 22 novembre 1988, n. 516 che statuisce che "dalla data di entrata in vigore della presente legge cessano pertanto di avere efficacia ed applicabilità nei confronti delle Chiese cristiane avventiste, degli istituti ed opere che ne fanno parte e degli organi e persone che le costituiscono, le disposizioni della legge 24 giungo 1929, n. 1159 e del R.D. 28 febbraio 1990 n. 289" e successivo articolo 36 che dispone che "ogni norma contrastante con la presente legge cessa di avere efficacia nei confronti delle chiese dell’Unione della Chiesa Cristiana avventista… dalla data di entrata in vigore della presente legge"); altre si atteggiano come norme astrattamente precettive, ma richiedenti comunque l’adozione di successiva normazione applicativa; altre sono immediatamente autoapplicative e vincolano le parti con l’entrata in vigore della legge di esecuzione.

Riguardo a ciò che qui piú interessa, la norma invocata dall’appellante incidentale, contenuta nella legge suddetta, è espressione della disciplina agevolativa prevista dallo Stato nei confronti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, secondo le linee tracciate nell’art. 7, n. 3 della legge 25 marzo 1985, n. 121 (di ratifica dell’accordo di Villa Madama tra lo Stato e la Santa Sede), agevolazioni disposte in loro favore con riguardo alle loro finalità istituzionali di culti e di religione. Una simile norma si rinviene, da ultimo, anche nell’articolo 21 della legge 12 marzo 1995, n. 116 che ha regolato l’intesa stipulata con l’Unione Cristiana Evangelica Battista, che dispone che "i trasferimenti di beni immobili in favore dell’Ente patrimoniale dell’U.C.E.B.I. della Philadelphia s.r.l., di cui all’atto a rogito… etc. …, sono esenti da ogni tributo ed onere, fatte salve le somme già percette dall’amministrazione finanziaria".

Semmai si potrebbe porre il problema della legittimità costituzionale di tali norme agevolative. Il problema peraltro è stato risolto dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza del 12 aprile 1989, n. 203, che ha espressamente riconosciuto il c.d. principio di laicità dello Stato laddove ha affermato: "I valori richiamati concorrono, con altri (artt. 7, 8 e 20 Cost.), a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato che è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della repubblica. Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 10 e 20 Cost., implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale".

Tale regime normativo ben si adatta al sopra riferito principio di derivazione costituzionale in cui si inserisce il rapporto dello Stato con le varie realtà confessionali. Di fronte ad una compagine sociale pluralistica, il rinnovato quadro costituzionale, impone allo Stato una nuova forma di laicità cd. "positiva", laicità che, se da un lato lo vede neutrale garante e promotore delle libertà civili e confessionali, dall’altro non potrebbe concepirlo come indifferente od ostile alle istanze dei gruppi dei propri cittadini, enti esponenziali a loro volta di coscienze e valori civili e religiose.

Si aggiunga che la stessa Corte costituzionale (sentt. 28 aprile 1983, n. 108 e 28 marzo 1985, n. 86) ha avuto modo di affermare come "le disposizioni legislative le quali contengono agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie… hanno palese carattere derogatorio e costituiscono frutto delle scelte del legislatore" insindacabili se non quando si appalesino irrazionali ed ingiustificate.

Pertanto la loro ratio, è stato detto, non deve ritrovarsi semplicemente nella tutela preferenziale della religione, ma del fattore religioso – al pari delle altre formazioni sociali con tali finalità – che costituisce una componente della cultura del paese, Anzi è stato affermato come il sistema agevolativo che abbia a riferimento determinate attività – da individuare però con estremo rigore – ritenute particolarmente meritevoli di essere promosse, con riguardo agli "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", sarebbe coerente con la volontà manifestata chiaramente dal legislatore pattizio di condizionare il riconoscimento dell’eccelsiasticità dell’ente (per gli effetti civili, ergo tributari) proprio al tipo di attività esercitata (religione o culto).

Ritornando alla disposizione pattizia qui invocata, dalla sua formulazione si evince chiaramente la presenza di una norma che introduce uno jus singulare di immediata applicazione tale da assorbire e superare l’esame, pur possibile, di qualsiasi previa eccezione. Tale norma, infatti, ha disposto "l’esenzione da ogni tributo ed onere del trasferimento dei beni effettuato dalla Società Nuova Aurora e dalla Société Philantropique all’Ente Patrimoniale dell’Unione italiana delle Chiese avventiste del 7º giorno mediante donazione autorizzata con decreto del Presidente della Repubblica 13 aprile 1979, n. 128". L’esenzione ha quindi privato espressamente di rilievo tributario tutta la fattispecie impositiva de qua, facendo conseguentemente venir meno – in capo all’Amministrazione finanziaria – sia il potere d’accertamento impositivo sia il potere di riscossione.

Ora è noto che il rapporto di imposta è scandito da una sequenza procedimentale amministrativa articolata in differenti provvedimenti, ognuno dei quali viene emanato in base a presupposti materiali e giuridici assunti a proprio fondamento. é noto altresì che la riforma operata in attuazione della direttiva di semplificazione delle procedure di accertamento, relative anche ai tributi indiretti, ha spogliato l’ingiunzione del carattere di atto di accertamento ed introdotto una netta separazione tra la fase della determinazione dell’an e del quantum dell’obbligazione tributaria e la fase piú propriamente della riscossione.

Relativamente a questa fase, pur nella varietà degli schemi impositivi che caratterizza la disciplina delle imposte indirette, è dato comunque rintracciare un elemento costante individuabile nel fatto che la formazione del titolo esecutivo può aver luogo legittimamente, solo se a monte vi è un atto del contribuente da cui risulti l’esistenza di una obbligazione tributaria, ovvero un provvedimento d’imposizione che venga a constatare l’esistenza dell’obbligazione stessa non denunziata, o ne ridetermini l’ammontare in misura superiore a quella denunziata o in precedenza liquidata. Ciò fa sorgere in capo all’amministrazione finanziaria il potere ed il dovere di emettere l’ingiunzione fiscale è dato quindi dall’inadempimento del contribuente, inadempimento relativo all’obbligo di pagare l’imposta determinata in base all’atto del medesimo ovvero al provvedimento di imposizione dell’amministrazione stessa.

Nel caso in parola l’Ufficio nel 1985 ha provveduto a notificare l’avviso di ingiunzione per omessa liquidazione delle imposte dovute per il trasferimento, dopo aver notificato preventivamente il relativo avviso di accertamento.

Al riguardo occorre ribadire, come in precedenza osservato, che, nel caso di specie, l’intervento della lege del 1988 ha automaticamente privato di presupposto giuridico, costituito dall’esistenza di un’obbligazione tributaria, ogni atto della sequenza procedimentale impositiva posta in essere dall’amministrazione finanziaria e quindi anche ed immediatamente l’atto di ingiunzione.

Il recepimento dell’intesa ha munito di valore e forza di legge ("rinforzata") quanto bilateralmente stabilito tra il Governo e l’Ente confessionale e, quindi, della disposizione che ha previsto l’esenzione da ogni tributo ed onere proprio il trasferimento dei beni de quibus, privando in tal modo l’amministrazione sia del potere di accertamento in ordine a tale precipuo fatto impositivo, che di tutti gli atti successivi.

L’applicabilità dell’esenzione deriva da una disposizione contenuta nella normativa successivamente emanata all’avviso di accertamento ed a quello di ingiunzione; ma il principio di jus superveniens, è noto, consente l’applicazione nei rapporti non esauriti, quindi anche al caso di specie. Infatti nel corso del giudizio è emerso che è pendente ricorso presso la Commissione Centrale per l’annullamento dell’avviso di liquidazione, perciò né l’accertamento (atto in questa fattispecie presupposto) né l’ingiunzione (atto presupponente) hanno acquisito definitività, non essendo in tal modo esaurito il rapporto di cui essi costituiscono espressione. Ma anche ove l’accertamento fosse divenuto definitivo, non per questo l’atto di ingiunzione potrebbe ritenersi efficace stante il chiaro e tassativo disposto dell’art. 38 della legge 22 novembre 1988 n. 516 che fa salve, per l’Amministrazione finanziaria, solo "le somme già precette", e non quindi quelle precipiende. Il che supera, in radice, nel caso di specie, ogni problema di pregiudizialità dell’atto di accertamento rispetto all’atto di ingiunzione, in quanto in nessun caso il citato art. 38 della legge 22 novembre 1988 n. 516 consentirebbe alla Amministrazione finanziaria di percepire alcunché in relazione all’originario atto di donazione, salvo quanto già precetto in precedenza, prima dell’entrata in vigore della legge sopra richiamata.

é noto che, per consolidato orientamento del giudice amministrativo, la carenza del potere in capo all’amministrazione agente da luogo alla comminatoria dell’inesistenza (o nullità) degli atti amministrativi dalla stessa emanati. Tale nullità si verifica qualora l’autorità stessa abbia invaso con la sua azione la sfera di altra autorità, ipotesi qualificata come carenza di potere in astratto (da ultimo, Cons. Stato sez. IV, 29 gennaio 1993, n. 118) ovvero quando si è in presenza di provvedimenti adottati in violazione di una norma che nel frattempo abbia escluso expressis verbis il potere per la loro emanazione in capo agli organi che ne erano originariamente titolari, definita come carenza di potere concreto (TAR Sicilia, 26 ottobre 1985, n. 1675). Ipotesi questa alla quale è riconducibile la fattispecie in esame.

Ne consegue, quindi, non solo la sopravvenuta illegittimità dell’avviso d’accertamento e l’inidoneità dello stesso alla produzione di qualsiasi effetto giuridico, giacché l’effetto riferito ad un obbligazione tributaria estinta ex lege, ma anche l’illegittimità o rectius nullità ex art. 16 d.P.R. 636/1972 della relativa ingiunzione, proprio per la carenza di potere in tal modo sopravvenuta (Cfr. in tal senso, in riferimento alla carenza di potere, Comm. Trib. di IIº grado di Avellino, dec. nn. 68 e 69 del 13 marzo 1993).

Atteso che anche nel caso in cui si controverta della carenza di potere (in astratto o in concreto) è ormai pacifica la sussistenza della giurisdizione ractione materiae di questo Collegio (Cass. SS.UU. cif. Sent. n. 10999 del 20 maggio 1993, dep. il 15 novembre 1993; Cass. SS.UU. civ. Sent. 5949 del 1 aprile 1993, dep. il 27 maggio 1993; Cass. SS.UU. civ. Sent. n. 7319 del 7 giugno 1990, dep. 3 luglio 1991), e ritenendo per quanto suesposto avvenuto l’assorbimento degli altri motivi

P.Q.M.

Rigetta l’appello dell’Ufficio; in accoglimento dell’appello incidentale del contribuente dichiara illegittima l’ingiunzione.