Pronuncia 02 maggio 1995, n.27
Giurì di autodisciplina pubblicitaria. Pronuncia 2 maggio 1995, n. 27.
(Falabrino; Ubertazzi)
Pubblicità – Oggetto della tutela offerta dall’art. 10 C.A.P. – Volgarizzazione della simbologia religiosa – Offesa della convinzioni religiose dei cittadini – Violazione art. 10 C.A.P. – Insussistenza.
(omissis)
Il Comitato di Controllo ha richiamato la pronuncia 1/87 in cui il Giurì ha sottolineato la portata regolatrice dell’art. 10 CAP, posto a tutela della sensibilità di consumatori “i quali hanno il diritto di non essere urtati nelle proprie più profonde convinzioni e nella propria dignità umana da campagne commerciali, da iniziative propagandistiche che […] essendo strumentali a interessi economici non devono confliggere con valori tendenzialmente assoluti e di rango superiore”.
Il Giurì, nella pronuncia 73/88, definisce “limpida” questa posizione e precisa che “tra questi valori un posto di primissimo rango compete tuttora alle convinzioni religiose”, che il Codice di Autodisciplina protegge non già come un bene della collettività italiana o della sua maggioranza, bensì, in armonia con la Costituzione, e sulla scia della concezione “liberale” della tutela del sentimento religioso, come un bene individuale che viene riconosciuto, in modo assolutamente prioritario, a tutti i “cittadini”, senza distinzione di sorta fra le possibili opzioni religiose”.
In quella stessa pronuncia il Giurì affermava che non può ritenersi innocuo, in relazione agli interessi protetti dall’art. 10 CAP, un telecomunicato la cui ambientazione e il cui testo ingenerino un’impressione globale di “inammissibile volgarizzazione di formule e luoghi, che sono considerati, dalla generalità, avvolti da “sacralità”, e il cui collegamento con dei prodotti commerciali può provocare, nella generalità, un’esperienza sgradevole di profanazione di un sentimento, come quello religioso, che si vorrebbe immune da attacchi immotivati, come quelli portati a meri fini di strumentalizzazione commerciale”.
In altra sua pronuncia (5/89) il Giurì ha considerato contrastante con l’art. 10 CAP un testo sottoposto a giudizio, da cui emerge “l’impressione globale […] di una volgarizzazione [di formule] che, nel modo generale di sentire, sono considerate “sacre” e quindi delimitate all’ambito spaziale del culto e dell’atteggiamento psicologico della devozione religiosa. Il loro collegamento con un prodotto commerciale […] non può dunque non comportare un vissuto di profanazione del senso religioso, di strumentalizzazione della religione a fini commerciali, di deificazione dei beni di consumo”.
Ritiene il Giurì che l’art. 10 CAP non escluda l’uso in pubblicità di ambientazioni o richiami alle pratiche religiose che sono entrate a far parte della comune esperienza di vita. “[…] offensivo della sensibilità religiosa non è certo l’uso “profano” dei preti, bensì la scenografia complessiva del telecomunicato […]” (73/88).
Il limite posto dall’art. 10 CAP è, invece, l’offesa alle “convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini”. Per quanto riguarda le convinzioni religiose, tale offesa può concretizzarsi quando:
– si ingenera un’impressione globale di volgarizzazione di formule, luoghi, persone o immagini che, nella considerazione della generalità, sono connotate di sacralità;
– si provoca, nella generalità, uno sgradevole sentimento di profanazione;
– il luogo di culto, le pratiche di devozione, le persone fisiche, e le immagini “sacre” sono chiaramente strumentalizzate alla promozione di un prodotto commerciale;
– il prodotto è “deificato” sostituendosi o affiancandosi all’oggetto proprio del culto;
– la devozione, i luoghi, le persone, le immagini e le convinzioni sono soggetti a irrisione, parodia, attacchi gratuiti, confliggendo con la tutela del sentimento religioso inteso come bene individuale, riconosciuto come bene assolutamente prioritario a tutti.
I termini e le locuzioni quali “generalità”, “modo generale di sentire” e simili, usati nelle pronunce del Giurì meritano qualche considerazione, non fosse altro che per valutare se le attestazioni favorevoli o sfavorevoli allo spot prodotte dalle parti possono dirsi espressione del comune modo di sentire.
Come è stato ricordato in precedenza a proposito della pronuncia 73/88, l’art. 10 CAP protegge le convinzioni religiose non già come un bene della collettività o della sua maggioranza, ma come bene individuale riconosciuto come prioritario a tutti i cittadini. Si tratta di valutare se quel bene prioritario che va comunque riconosciuto a tutti, indipendentemente dalle opzioni personali, è in questo specifico caso esposto ad offesa.
“Tutti” è dunque da riferirsi non solo a chi nutre sentimenti religiosi o semplice rispetto per i sentimenti altrui ma anche a chi è indifferente o irrispettoso della sensibilità religiosa altrui. A tutti costoro va assicurata la tutela di questo bene considerato tra quelli prioritari, ai quali cioè è stata attribuita una “precedenza ideale per motivi di maggiore validità, importanza o urgenza” [Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 1994, 1415, voce “priorità”].
Da questo punto di vista, le attestazioni di approvazione o disapprovazione dello spot presentate da Damiani, Publitalia e dal Comitato di Controllo, pur utili per le argomentazioni in esse contenute, non dimostrano che le convinzioni religiose siano state offese o tutelate, ma solo che la sensibilità di alcuni è stata ferita o rispettata. I pareri favorevoli o contrari vanno dunque presi nella dovuta considerazione come indizi di conformità o contrasto della comunicazione commerciale litigiosa con l’art. 10 CAP ma non come rappresentativi della generalità dei cittadini, cioè di quei “tutti” che hanno diritto a veder tutelato il bene prioritario della propria convinzione religiosa. L’esistenza di un parziale consenso o dissenso è un fenomeno “fisiologico” che non dimostra di per sé rispetto o contrasto con l’art. 10 CAP.
Ciò premesso, a parere di questo Giurì, l’esame della comunicazione pubblicitaria Damiani
– non ingenera un’impressione globale di volgarizzazione di formule, luoghi, persone o immagini “sacre”. L’impresssione globale è semmai di rispetto per il luogo, di discrezione nell’impiego dei riferimenti all’ambiente e alle immagini. Il Crocefisso non è imposto all’attenzione dello spettatore mentre è il gesto della donazione che appare centrale;
– non provoca un sentimento sgradevole di profanazione. La bella donna che percorre la navata centrale non si esibisce (né esibisce il suo collier), ma, con tutta evidenza, entra in chiesa con l’unico scopo di ringraziare o implorare una grazia. Privarsi di un prezioso ornamento, in una chiesa deserta, con gesti misurati, con un’espressione che denota una fede intensa, non ha nulla di profanante. é semmai l’espressione di un sentimento personale, di una ricerca di dialogo con la divinità che non ha bisogno di testimoni, di una profonda religiosità. Non occorre per questo scomodare il Vangelo, come ha fatto uno degli esperti che si sono dichiarati favorevoli allo spot, affermando che “il messaggio pubblicitario di Damiani è esattamente la ripresa del gesto della Maddalena”, visto che qui non è in discussione l’antica tradizione di preziose offerte votive, che non è scontato che la protagonista del filmato sia una peccatrice (omnia munda mundis) e che, soprattutto, l’ignoto produttore del prezioso unguento di nardo non risulta aver tratto alcun vantaggio commerciale dall’episodio evangelico;
– non strumentalizza in modo evidente il luogo di culto, le pratiche di devozione, le persone fisiche e le immagini, alla promozione di un prodotto commerciale. Si tratta di un’ambientazione, realizzata con il dovuto rispetto, che mostra un aspetto della vita reale di un Paese con antiche tradizioni religiose. Volendo sottolineare la preziosità di un prodotto, lo si è immaginato offerto al simbolo di “valori assoluti e di rango superiore” (1/87), ribadendo quindi tali valori. Il riconoscimento della subordinazione dei beni materiali a quelli spirituali è evidente;
– in nessun modo la devozione, i luoghi, le persone e le immagini del culto sono apparse oggetto di irrisione, parodie, o di accostamenti irriguardosi. Né irriguardoso è parso a questo Giurì l’ingresso in chiesa di una donna piacente ma composta e rispettosa del luogo sacro.
Nell’insieme e nei suoi singoli elementi, in conclusione, il comunicato commerciale appare rispettoso degli interessi tutelati dall’art. 10 CAP.
Per quanto riguarda l’infrazione dell’art. 1 CAP, segnalata dal Comitato di Controllo, il Giurì, trattandosi di pubblicità inoffensiva delle convinzioni religiose e non suscettibile di gettare discredito sull’immagine stessa della pubblicità, ritiene la comunicazione commerciale Damiani non in contrasto con detto articolo.
P.Q.M.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità denunciata non è in contrasto con il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.
Autore:
Giurì di autodisciplina pubblicitaria
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Pubblicità, Convinzioni religiose, Pratiche religiose, Offesa, Violazione, Cittadini, Ambientazione, Richiamo
Natura:
Pronuncia