Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Maggio 2005

Parere 28 settembre 2000, n.289

Consiglio di Stato. Parere 28 settembre 2000, n. 289: “Fabbricerie ed attribuzione della qualifica di O.N.L.U.S.”.

(Omissis)

IN DIRITTO

Il D. Lgs. 4 dicembre 1997 n. 460 (recante Riordino della disciplina tributaria degli Enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale) ha introdotto, per quanto qui rileva, una disciplina agevolativa in favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (O.N.L.US.), in ragione del rilievo sociale delle attività svolte da tali organizzazioni.
Nel contesto della sezione seconda del decreto, l’art. 10 definisce organizzazioni non lucrative di utilità sociale (O.N.L.U.S.) le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri Enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedono espressamente lo svolgimento di attività – tra l’altro – nel settore della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla L. 1 giugno 1939 n. 1089 (art. 10 co. 1 lett. a) n. 7).
Per quanto qui interessa, la normativa in rassegna fa divieto alle O.N.L.U.S. di svolgere attività non connesse con quella di utilità sociale (art. 10 co. 1 lett. c) ed impone ad esse di disciplinare in modo uniforme il rapporto associativo nonché di utilizzare nella denominazione l’acronimo O.N.L.U.S. (art. 10 co. 1 lett. h ed i).
Tuttavia, ai sensi del co. 7 dello stesso articolo, le disposizioni (sul rapporto associativo e sull’uso dell’acronimo) «di cui alle lett. h) ed i) del medesimo co. 1 non si applicano agli Enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese».
Inoltre, ai sensi del co. 9 dello stesso articolo «gli Enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese […] sono considerati O.N.L.U.S. limitatamente all’esercizio delle attività elencate alla lett. a) del co. 1» il che consente a tali Enti di fruire delle disposizioni agevolative senza dover sottostare al divieto di svolgimento di altre attività.
Infine, ai sensi del co. 10 dell’art. 10 «Non si considerano in ogni caso O.N.L.US. gli Enti pubblici [..]».
Sintetizzando un disegno normativo assai complesso, può dunque dirsi che la normativa primaria non consente di riconoscere ad Enti pubblici la qualifica di O.N.L.U.S., che spetta invece, ricorrendone gli ulteriori presupposti, agli Enti privati con o senza personalità; per converso la legge permette di attribuire tale qualifica agli Enti riconosciuti dalle Confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti o intese, se questi svolgono — anche in parte — attività di utilità sociale.
In tale contesto, appare evidente che per sciogliere il quesito posto dall’Amministrazione occorre preliminarmente chiarire la natura giuridica delle Fabbricerie.
Al riguardo il Ministero dell’interno esclude che le Fabbricerie, ancorché disciplinate nell’ambito della legislazione pattizia, possano essere considerate quali Enti ecclesiastici.
Per parte sua la Presidenza del Consiglio osserva che le Fabbricerie, siccome caratterizzate dalla dipendenza dallo Stato, si configurano quali Enti pubblici, di natura sostanzialmente analoga al Fondo edifici di culto, organo statale responsabile della gestione di beni destinati — direttamente o indirettamente — a finalità di culto.
2. Il primo punto da chiarire riguarda dunque la natura delle Fabbricerie, organismi di antichissima origine fondazionale o associativa, allo stato disciplinati dall’art. 72 della L. 20 maggio 1985 n. 222, dagli artt. 35-41 del D.PR. 13 febbraio 1987 n. 33, nonché dagli artt. 15 e 16 della L. 27 maggio 1929 n. 848.
L’art. 72 co. 1 della L. n. 222 (Disposizioni sugli Enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi) così recita infatti: «Le Fabbricerie esistenti continuano ad essere disciplinate dagli artt. 15 e 16 della L. 27 maggio 1929 n. 848, e dalle altre disposizioni che le riguardano. Gli artt. da 33 a 51 e l’art. 55 del regolamento approvato con R.D. 2 dicembre 1929 n. 2262, nonché il R.D. 26 settembre 1935 n. 2032 e successive modificazioni, restano applicabili fino all’entrata in vigore delle disposizioni per l’attuazione delle presenti norme».
Come è noto, le disposizioni di attuazione della legge sono state approvate con il D.P.R. 13 febbraio 1987 n. 33 che negli artt. da 35 a 41 e all’art. 45 disciplina appunto le Fabbricerie, distinguendo tra quelle maggiori (delle cattedrali e chiese di rilevante interesse storico ed artistico) e quelle minori: le prime sono governate da sette membri, di cui cinque sono nominati dal Ministro dell’interno sentito il Vescovo diocesano e due dal Prefetto di intesa col Vescovo.
Dal punto di vista sostanziale, particolare rilievo hanno poi le disposizioni di cui all’art. 41 del regolamento (dalle quali si evince che le Fabbricerie possono avere o non avere personalità giuridica) e quelle di cui all’art. 37 ai sensi delle quali spetta alla Fabbriceria, senza alcuna ingerenza nei servizi di culto, provvedere alle spese di manutenzione e di restauro della chiesa e degli stabili annessi e all’amministrazione dei beni patrimoniali e delle offerte a ciò destinati.
Alla luce della normativa vigente, come sopra ricostruita, deve convenirsi con l’Amministrazione riferente sull’impossibilità di considerare le Fabbricerie quali Enti ecclesiastici in senso proprio.
In tal senso depone — al di là di ogni indagine storica sulle ragioni che portarono in epoca napoleonica alla istituzione delle Fabbricerie e di possibili considerazioni attinenti alla struttura e funzione ditali organismi il dirimente rilievo che nel diritto interno vigente per l’Ente ecclesiastico cattolico deve intendersi l’Ente che è tale secondo il diritto canonico, tanto che quando tali Enti ottengono la personalità giuridica civile la legge li con-nota come «Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti» (art. 4 L. n. 222 del 1985).
Significativamente anche il D. Lgs. n. 460 del 1977 si riferisce agli Enti ecclesiastici in quanto riconosciuti (cioè costituiti o approvati) dalle Confessioni che abbiano stipulato con lo Stato patti e intese.
Ora, che le Fabbricerie non siano Enti costituiti o approvati dall’Autorità ecclesiastica sembra indubbio ed è oltretutto dimostrato dal fatto che mentre gli statuti degli Enti ecclesiastici non necessitano di approvazione statale (salvi eventuali problemi in sede di riconoscimento: artt. 1 e segg. L. n. 222 del 1985) gli statuti delle Fabbricerie, invece, abbisognano di specifica approvazione ministeriale o prefettizia.
Le conclusioni ora raggiunte non sembrano suscettibili di essere smentite da quella giurisprudenza della Corte suprema che — in epoca antecedente all’entrata in vigore delle norme attuative del Nuovo concordato ebbe a qualificare una Fabbriceria come «Ente ecclesiastico» (SS. UU. 26 ottobre 1984 n. 5485, in Cons. Stato, 1985, II, 66).
Al riguardo deve intanto considerarsi che nell’occasione la controversia portata all’attenzione della Corte sotto il profilo della giurisdizione aveva per parte la V.A.S.A. da Padova, la quale nell’ambito delle Fabbricerie ha una qualificazione del tutto speciale (cfr. Cons. Stato, I sez., 22 marzo 1974 n. 462/74) trattasi infatti di una Fabbrica Ecclesiae alla quale eccezionalmente fu attribuita la personalità di diritto canonico, cui seguì la concessione della personalità giuridica di diritto civile con R.D. 23 giugno 1932 n. 868.
In secondo luogo -— ma sul punto si ritornerà -— nella sentenza citata il carattere ecclesiastico delle Fabbricerie viene evidenziato in senso lato, per contrapposizione cioè al risalente indirizzo, secondo il quale tali Enti dovevano considerarsi «Pubbliche amministrazioni».
3. Escluso dunque che le Fabbricerie siano Enti ecclesiastici, deve valutarsi se le stesse possano effettivamente inquadrarsi fra gli Enti pubblici, come ritiene la Presidenza del Consiglio.
La questione in tanto si pone in quanto la legge non predica espressamente la qualità pubblica di tali organismi: ciò non costituisce una prova del contrario (attesa l’inapplicabilità del criterio formale prescritto dall’art. 4 L. 18 marzo 1975 n. 70 agli Enti preesistenti) ma depone comunque in tale senso.
Tanto premesso, va dato atto che fino ad epoca recente la giurisprudenza ordinaria ed amministrativa hanno concordemente ritenuto devolute alla giurisdizione del G.A. le controversie di lavoro dei dipendenti delle Fabbricerie: il che discendeva, secondo tale indirizzo, proprio dalla ritenuta natura pubblica ditali Enti, i quali costituiscono «Pubbliche amministrazioni di carattere misto, civile ed ecclesiastico» (SS. UU. 22 giugno 1948 n. 969).
Nel prosieguo, tale indirizzo veniva però sottoposto a radicale rimeditazione dalla stessa Corte suprema la quale, con la citata sentenza SS. UU. 26 ottobre 1984 n. 5485 cit., escludeva che potesse ritenersi caratterizzante in senso pubblicistico l’attribuzione alle Fabbricerie del fine di conservazione e manutenzione dei sacri edifici.
E’ certo infatti -— osserva la Corte -— che lo scopo di utilità pubblica, perseguito da una persona giuridica, non le attribuisce di per sé carattere pubblicistico, quando l’attività da essa esercitata non è considerata dallo Stato come integratrice della propria attività, ben potendo agire in veste di ausiliari dello Stato anche Enti privati o semplici individui.
Nè a diversa conclusione — proseguiva la Corte — può condurre il sistema di penetrantì controlli amministrativi stabilito per le Fabbricerie, in quanto tale sistema – se rappresenta sopravvivenza dello ius supremae inspctionis degli antichi regimi giurisdizionalisti – — non costituisce decisivo indice di riconoscimento del carattere pubblico degli Enti medesimi, posto che esso, nelle sue forme repressive e sostitutive, non si differenzia granchè rispetto a quello esercitato dall’autorità governativa sulle fondazioni, a norma dell’art. 25 Cod. civ.
L’indirizzo aperto dalla sentenza ora citata si e successivamente consolidato tanto che ormai la Cassazione inquadra le Fabbricerie prive di personalità giuridica (un tempo ritenute «organismi autonomi di carattere pubblicistico») fra le associazioni non riconosciute, ammettendo che esse possono «ai sensi dell’art. 37 Cod. civ. gestire gli immobili di proprietà della chiesa, dare attuazione a rapporti di locazione che li riguardano, disporre la cessazione di quelli esistenti, e possono stare in giudizio a mezzo di coloro che, secondo l’ordinamento interno dell’Ente, ne hanno la rappresentanza» (Cass. Civ., III sez., 29 gennaio 1997 n. 90, in Cons. Stato, 1987, II, 926).
Da quanto sopra discende intanto l’importante conseguenza che alle Fabbricerie senza personalità giuridica non può attribuirsi natura pubblicistica, risultando appunto impossibile sul piano formale che una associazione non riconosciuta si qualifichi quale Ente pubblico.
E già sul piano logico quanto ora rilevato depotenzia la tesi secondo la quale il carattere pubblico delle Fabbricerie potrebbe dedursi dal regime di controlli cui le stesse sono sottoposte: visto che tutte le Fabbricerie (con o senza personalità) sono sottoposte allo stesso regime tutorio e visto che le Fabbricerie senza personalità non sono Enti pubblici, ne discende che anche per le Fabbricerie con personalità il regime dei controlli, in sé considerato, non può costituire indice esaustivo del loro preteso carattere pubblicistico.
Ed in realtà, passando a considerazioni di carattere sostanziale, deve osservarsi che — tra gli indici rilevanti del carattere pubblicistico di un Ente —quello relativo al regime tutorio è sempre stato considerato il più debole, conoscendo l’ordinamento numerosi casi di Enti sicuramente privati (basti pensare alle cooperative o certe tipologie di consorzi) sottoposti a controlli pubblici estremamente penetranti.
E, sempre in tema di controlli, estremo rilievo ha la circostanza che l’Autorità amministrativa non ha alcun potere (costitutivo) di disporre la soppressione della Fabbriceria, potendone solo accertare (in via ricognitiva) l’estinzione (art. 41 D.P.R. n. 33 del 1987) allo stesso modo in cui l’Autorità medesima dichiara l’estinzione delle persone giuridiche private (art. 27 c.c.).
Ulteriore argomento che supporta la tesi della Presidenza è quello, tradizionale, che fa leva sugli scopi di pubblico interesse istituzionalmente perseguiti dalle Fabbricerie.
La teoria del fine pubblico, quella cioè secondo la quale è pubblico l’Ente la cui attività obbligatoria è integratrice dell’attività statale, poggia però su un postulato non condivisibile alla stregua dell’ordinamento vigente: quello per cui determinati fini, di rilevante interesse pubblico, non possono essere perseguiti da Enti od Organismi di natura privata.
Come ha da tempo chiarito la Corte costituzionale (nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 1 della legge Crispi 17 luglio 1890 n. 6972 nella misura in cui disponeva la pubblicizzazione delle Istituzioni di assistenza e beneficenza sorte su base privatistica) il vigente sistema costituzionale è improntato invece al criterio del pluralismo delle istituzioni e nelle istituzioni, criterio che consente ai privati di svolgere in forma privata funzioni un tempo ritenute di pertinenza esclusivamente pubblica (Corte cost. 7 aprile 1988 n. 396, in Cons. Stato, 1988, II. 673).
Dai principi enunciati dalla (Sorte discende la necessità di privilegiare quell’interpretazione della normativa di riferimento che risulti nel sistema vigente meno compressiva della libertà dei privati di contribuire alla tutela del patrimonio storico artistico.
Se a ciò si aggiunge che, in generale, l’ingerenza statale nell’Amministrazione dei beni ecclesiastici è comunque espressione di assetti tendenzialmente non consoni alla attuale concezione pluralistica dello Stato, può dunque concludersi, ai tini in esame, nel senso della natura essenzialmente privatistica delle Fabbricerie.
Vale a dire che le Fabbricerie più precisamente quelle tra di esse preposte alla tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla L. 1 giugno 1939 n. 1089, possono rientrare nella tipologia degli Enti (associazioni, fondazioni) aventi titolo ad acquisire la qualifica di O.N.L.U.S., titolo che certamente non potrebbe essere non riconosciuto alle opere pie laicali che curino la conservazione di monumenti ed edifici sacri di interesse storico, il che evidenzia ulteriormente la coerenza con il sistema della conclusione suesposta.
In concreto, il conseguimento ditale qualifica presuppone tuttavia che lo statuto ditali Enti sia previamente modificato, onde corrispondere alle previsioni di cui all’art. 10 co. 1 L. n. 460 del 1997.
Diversamente da come ritiene l’Amministrazione dell’interno, infatti, la presunzione di utilità sociale (che inerisce ex art. 10 co. 4 all’attività di tutela artistica) non esime dal rispetto delle condizioni fissate all’art. 10 co. 1 lett. da c) ad i).
Quanto in fine agli adempimenti contabili, appare evidente che le Fabbricerie, ove conseguita la qualifica di O,N.L.U.S., saranno soggette anche ai relativi obblighi ex art. 25 D.L. n. 460, comunque in generale più stringenti di quelli per esse altrimenti previsti.