Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 3 Dicembre 2003

Parere 25 settembre 1998

Comitato nazionale per la bioetica:
"La circoncisione: Profili bioetici", 25 settembre 1998.

1. Premessa: i quesiti

In data 24 dicembre 1997 il CNB riceveva quattro quesiti da parte del Prof. Corrado Corghi, Presidente del Comitato Etico istituito in unità tra l'ASL Reggio Emilia e l'Arcispedale S.Maria Nuova della medesima città. I quesiti venivano formulati nel modo seguente:
a) se è etico respingere da parte di ospedali pubblici le richieste di circoncidere i minori presso strutture ospedaliere per garantire un trattamento sanitario adeguato;
b) se è etica la posizione di un pubblico ospedale – e legalmente lecita – che considera i piccoli interventi chirurgici solamente per sanare una persona e non anche per rendere meno traumatizzante una circoncisione rituale;
c) se è etico il comportamento di medici che compiono l'atto di circoncidere senza anestesia in un luogo di religione, non certamente asettico, che non garantiscono la continuità di assistenza comunque necessaria anche dopo il piccolo intervento;
d) se le mutilazioni genitali femminili sono state condannate da una dichiarazione congiunta dell'OMS, dell'UNICEF e dell' UNFPA, si pone un problema etico tra i fautori della condanna della circoncisione e i fautori della non condanna e del rispetto delle tradizioni rituali religiose.
Dopo adeguata riflessione, il CNB è pervenuto alla formulazione del presente documento, che è stato approvato all'unanimità nella seduta plenaria del 25 settembre 1998. Esso consta di due paragrafi, che esaminano separatamente la questione della circoncisione femminile e di quella maschile e di un terzo paragrafo che contiene un breve parere conclusivo.

2. La circoncisione femminile

Con questa espressione riassuntiva si fa riferimento a tre forme di mutilazione sessuale femminile, di diversa e progressiva gravità e invasività, la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione, tutte obiettivamente finalizzate a impedire l'orgasmo femminile durante l'atto sessuale e quindi ad alterare definitivamente, e in peius, l'esercizio della sessualità da parte della donna. Tali pratiche si riscontrano tuttora nell' Africa islamica, e in particolare nelle nazioni sub-sahariane, in Arabia, nelle Filippine, in Malaysia, in Pakistan e in Indonesia, sempre comunque in stretta connessione con la pratica della fede islamica; esse però non appaiono in tutti i paesi islamici, non avendo alcun fondamento coranico (si può anzi fondatamente presumere che le popolazioni che le praticano le derivino da culture precedenti alla loro islamizzazione). Per quanto molto antiche e radicate, le diverse pratiche di circoncisione femminile non sembrano rivestire alcun carattere propriamente religioso, né possono avere alcuna giustificazione dal punto di vista igienico e sanitario; esse peraltro sono giustificate, dalle popolazioni che le pongono in essere, con argomentazioni di tipo tradizionale (un esplicito tabù proibirebbe agli uomini di sposare donne non circoncise) o culturale (la circoncisione radicherebbe la sessualità femminile esclusivamente nella procreazione e favorirebbe così la difesa della castità coniugale, togliendo alla donna un istinto ritenuto in essa da reprimere, come quello del piacere sessuale). I vistosi fenomeni di immigrazione dall'Africa nel nostro paese, così come in altri paesi europei, che si sono moltiplicati in questi ultimi anni, ci hanno fatto prendere coscienza della diffusione di questa pratica, finora ben poco nota, e che crea evidentemente immensi problemi bioetici, anche perché essa è in genere non solo accettata, ma richiesta ed esigita dalle adolescenti che appartengono alle etnie nelle quali essa è comunemente posta in essere.

Il CNB è ben consapevole del rispetto che è doveroso prestare alla pluralità delle culture, anche quando queste si manifestino in forme estremamente lontane da quelle della tradizione occidentale, e del gran valore del giusto confronto con la diversità culturale, che è oggetto di continuo studio. Ritiene non di meno – e consapevolmente contro il parere di pur illustri antropologi – che nessun rispetto sia dovuto a pratiche, ancorché ancestrali, volte non solo a mutilare irreversibilmente le persone, ma soprattutto ad alterarne violentemente l'identità psico-fisica, quando ciò non trovi una inequivocabile giustificazione nello stretto interesse della salute della persona in questione. E' evidente che le pratiche di circoncisione femminile non sono poste in essere per ovviare a problemi di salute né fisica, né psichica delle donne che le subiscono, anzi esse comportano gravi conseguenze negative sulla salute delle donne che ad esse vengono sottoposte. Il CNB non può quindi che ritenerle eticamente inammissibili sotto ogni profilo ed auspicare che vengano esplicitamente combattute e proscritte, anche con l'introduzione di nuove, specifiche norme di carattere penale.

Nell'adottare questa opinione, il CNB è confortato dal dettato della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, che impone agli Stati, nell'art. 243, di adottare tutte le misure efficaci atte ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute del minore. Questa è l'indicazione che nel breve periodo il CNB ritiene che non possa non darsi in ordine a questo problema. Altro, evidentemente, il discorso, di pari rilievo bioetico, che dovrà farsi nel medio e nel lungo periodo. In questa prospettiva infatti, ben consapevole di quanto la repressione penale – anche se formalmente irrinunciabile – sia di per sé poco operante al fine di sradicare costumi e tradizioni e di quanto la pratica della circoncisione femminile sia radicata nei costumi di tante popolazioni, il CNB auspica che vengano attivate e sperimentate nuove forme di accoglienza e di integrazione di quelle famiglie, in seno alle quali si presuma che queste pratiche possano essere poste in essere, e per di più in modo clandestino. E' necessario che la nostra cultura nel momento stesso in cui dichiari esplicitamente di rigettare la circoncisione femminile sappia evitare di assumere generalizzati e improduttivi atteggiamenti di condanna, se non addirittura di disprezzo, verso individui che hanno scelto di vivere e lavorare nel nostro paese; così come è necessario che le culture che praticano la circoncisione femminile siano aiutate a sublimare questa pratica e a trasformarla simbolicamente (siano ad es. indotte a elaborare una visione positiva della sessualità femminile e a percepire come anche e soprattutto attraverso altre vie -non cruenti e non invalidanti- si possa aiutare una adolescente ad aprirsi a una futura vita coniugale e familiare). Le considerazioni sopra avanzate inducono il CNB a stigmatizzare severamente coloro che, soprattutto per motivi di lucro e in specie se medici, si prestano a mutilare sessualmente le donne.

3. La circoncisione maschile

Definizione

La circoncisione maschile è una pratica di origine antichissima, e tutt'ora ampiamente posta in essere, consistente nell'asportazione totale o parziale dell'anello prepuziale maschile finalizzata a determinare una scopertura permanente del glande. Secondo la letteratura più accreditata è possibile ricondurla a quattro diverse possibili categorie:
a) circoncisione terapeutica (ad es. in caso di fimosi o parafimosi);
b) circoncisione profilattica (ad es. nei neonati per prevenire infezioni del tratto urinario nell'infanzia);
c) circoncisione rituale (tipica nell'ebraismo e nell'islamismo);
d) circoncisione provvista di altre motivazioni (desiderio di imitazione, ragioni non esplicitate da parte del richiedente).

Di queste quattro ipotesi non merita particolare attenzione, perché ovviamente del tutto giustificata, ed altrettanto ovviamente da eseguirsi secondo i principi della buona pratica medica, la circoncisione terapeutica. Molto rapido anche il discorso che può farsi per la circoncisione non terapeutico-profilattica e non rituale: il CNB è concorde nel ritenere che l'assenza di adeguate ragioni renda molto difficile giustificare questa pratica. Il rifiuto dei medici a praticare una circoncisione priva di ragioni terapeutiche e profilattiche dovrebbe però essere sempre accompagnato da una adeguata argomentazione, che sottolinei i rischi obiettivamente inerenti alla circoncisione stessa e che aiuti il richiedente, in specie se avanza tale richiesta per un proprio figlio, a comprendere le ragioni bioetiche del rifiuto.

Un discorso più dettagliato va invece fatto per la circoncisione profilattica e soprattutto per quella rituale. La circoncisione profilattica La riflessione scientifica sulla circoncisione profilattica è relativamente recente. In epoca vittoriana si iniziò a raccomandarla come misura preventiva nei confronti della masturbazione. Ma soltanto nell'ultimo decennio del secolo scorso cominciarono ad essere pubblicati i primi studi sui pretesi benefici effetti medici della circoncisione (ritenuta perfino utile a prevenire, tra l'altro, alcolismo, epilessia e patologie renali). Nella letteratura medica specializzata è solo a partire dal 1930 che si sono moltiplicati i contributi in materia. Durante la II guerra mondiale, in particolare per quel che concerneva il fronte del Pacifico, le condizioni climatiche e la difficoltà di garantire una igiene adeguata, fecero diffondere la pratica tra i soldati americani. Dopo la guerra, negli Stati Uniti, e all'incirca fino all'inizio degli anni Settanta, la circoncisione divenne una pratica assolutamente generalizzata. Una prima contro-tendenza si manifestò in seno alla American Academy of Pediatrics nel 1971 e nel 1975, quando, con due separate pronunce, si sostenne l'inesistenza di valide motivazioni mediche per la circoncisione neonatale. Questa opinione venne, in gran parte, confutata verso la metà degli anni Ottanta dalle ricerche di Wiswell, che documentò un maggior rischio di infezioni del tratto urinario nei neonati non circoncisi. Ricerche ancor più recenti (Schoen, 1993) avanzano l'ipotesi di un incremento del rischio di contrarre malattie a trasmissione sessuale (tra cui l'AIDS) nei maschi non circoncisi. L'American Academy of Pediatrics nel 1989 ha riformulato le proprie precedenti prese di posizione, sostenendo che allo stato attuale delle conoscenze si può ritenere che i benefici che provengono dalla circoncisione neonatale siano equivalenti ai rischi indotti da tale pratica. Da queste sommarie indicazioni si evince che il dibattito sulla utilità profilattica della circoncisione maschile è tutt'ora aperto. Non esistendo indicazioni cogenti che ne sconsiglino comunque la pratica, si deve concludere che si può ritenere non ingiustificata dal punto di vista medico tale forma di circoncisione – peraltro poco diffusa nella comune prassi italiana -, purché naturalmente posta in essere nel rispetto dei criteri della buona pratica medica e avvalorata nel caso concreto da uno specifico giudizio di carattere scientifico.

La circoncisione rituale

1. La pratica rituale della circoncisione appartiene a molti popoli diversi, sia dell'antico Oriente mediterraneo, che dell'Africa nera, che dell'Australia prima della colonizzazione, ed è comunque antichissima; è rappresentata in dipinti parietali di tombe egiziane, risalenti almeno a cinquemila anni prima di Cristo. In seno all'ebraismo è stata recepita in modo originale e tradizionalmente praticata a seguito di uno specifico comando divino espressamente formulato nella Bibbia (cfr. Genesi, 17, 9-14; Levitico, 12,3). A tale precetto va sostanzialmente riferita questa pratica anche per quel che concerne la tradizione islamica, nella quale, peraltro, la circoncisione ha un carattere più tradizionale che strettamente religioso e viene di solito praticata alcuni anni dopo la nascita (ma comunque in età prepuberale). Per gli ebrei, in particolare, l'atto della circoncisione presenta sostanzialmente una duplice valenza: segno esteriore dell'alleanza stabilita fra Dio e il suo popolo eletto; segno indelebile di distinzione, di identificazione e di appartenenza al popolo e alla fede di Israele. Conformemente a consolidata tradizione vetero-testamentaria, il neonato ebreo, l'ottavo giorno dopo la nascita, viene circonciso ricorrendo all'uso di oggetti rituali (coltello dotato di lama particolare, scudo di protezione, contenitore per il prepuzio). E' in questa occasione, che suggella in modo tangibile l'ingresso nella comunità ebraica, che i genitori impongono il nome al circonciso. Analoghe le pratiche proprie di altre tradizioni etniche e religiose.

2. Il problema che ci si pone in questa sede è se la circoncisione rituale crei problemi bioetici e possa essere esigita o meno come prestazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Prima di affrontare tale specifica questione, sembra opportuno risolvere il problema di stabilire, in una prospettiva più generale, se la pratica circoncisoria a carico di minori, che non sono ovviamente in grado di prestare un valido consenso, provocando in loro modificazioni anatomiche irreversibili, sia compatibile o meno con il nostro ordinamento giuridico. In proposito, occorre segnalare che, nelle culture che praticano la circoncisione, e segnatamente in base al diritto ebraico, questo adempimento costituisce un preciso obbligo personale posto a carico dei genitori del neonato o di chi fa le veci, e viene vissuto come atto devozionale e di culto. Assumendo per i fedeli tale caratterizzazione religiosa, la prassi della circoncisione può essere oggettivamente ricondotta alle forme di esercizio del culto garantite dall'art. 19 Cost., che, nel lasciare ai consociati piena libertà di espressione e di scelta in campo religioso, si limita a vietare soltanto eventuali pratiche rituali contrarie al "buon costume". Sotto questa specifica angolazione, l'atto circoncisorio non pare, invero, contrastare con il parametro del "buon costume", ove quest'ultimo sia inteso secondo l'accezione ristretta comunemente accolta in questa materia, ossia come complesso di principi inerenti alla sola sfera dell'onore, del pudore e del decoro in campo sessuale. Più di una ragione porta, infatti, ad escludere che la procedura circoncisoria si ponga in contrasto con il "buon costume", in quanto essa non è compiuta attraverso atti idonei a pregiudicare o a violare la sfera dell'intimità e della decenza sessuale della persona, ma è praticata seguendo precise regole di prudenza e di riservatezza. Di più, la circoncisione, ove intesa quale particolare manifestazione del patrimonio fideistico-rituale, viene solitamente praticata attraverso forme e modalità tecniche che non si concretizzano sotto alcun profilo in atti osceni lesivi del sentimento medio del pudore in materia sessuale.

Alla luce di queste sue peculiari caratteristiche, la circoncisione appare in sé pienamente compatibile con il disposto dell'art. 19 della Costituzione italiana, che, salvo sempre il rispetto del limite formalmente previsto, riconosce completa libertà di espressione cultuale e rituale sia a livello individuale sia a livello collettivo. Né, d'altro canto, la prassi circoncisoria pare ledere, di per se stessa, altri beni-valori pure costituzionalmente protetti e potenzialmente coinvolti, quale, ad esempio, quello della tutela dei minori o quello della loro salute. Infatti, sotto il primo profilo, la pratica di sottoporre i figli maschi a circoncisione sembra rientrare in quei margini di "disponibilità" riconosciuti anche ai genitori dall'art. 30 Cost. in ambito educativo. Secondo l'interpretazione della norma costituzionale che appare più convincente, i genitori, nell'esercizio del loro diritto-dovere di educare i figli, hanno facoltà (anche) di seguire e conseguentemente di tramandare una linea educativa di natura religiosa, avviando i propri figli verso una determinata credenza religiosa e alle connesse pratiche. Per altro verso, sotto il secondo profilo, la circoncisione, nonostante lasci tracce indelebili e irreversibili, non produce, nondimeno, ove correttamente effettuata, menomazioni o alterazioni nella funzionalità sessuale e riproduttiva maschile. Anzi, come già si è accennato, in diversi casi essa è stata effettuata specificamente a fini profilattici e igienici. Pertanto, si deve ritenere che l'operazione circoncisoria maschile non rientri fra gli atti di disposizione del corpo umano dannosi per la persona e, dunque, giuridicamente illeciti.

La conformità della pratica circoncisoria ebraica ai principi del nostro ordinamento giuridico appare, in particolare, implicitamente confermata da alcuni enunciati contenuti nella legge 8 marzo 1989, n. 101, che ha approvato l'intesa stipulata fra lo Stato italiano e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane il 27 febbraio 1987 (si ritiene che i principi stabiliti in tale intesa possano, per analogia, essere estesi a tutte le altre confessioni religiose che pratichino la circoncisione). Un riconoscimento indiretto della liceità di tale usanza religiosa può essere ricavato sia dal disposto dell'art. 2.1 (In conformità ai principi della Costituzione, è riconosciuto il diritto di professare e praticare liberamente la religione ebraica….e di esercitarne in privato o in pubblico il culto e i riti), sia dal tenore dell'art. 21 il quale, contemplando tra gli "enti aventi finalità di culto" anche l'Ospedale israelitico di Roma, può essere interpretato come norma che riconduce implicitamente talune attività sanitarie ivi espletate nell'ambito proprio di esercizio del diritto di libertà religiosa. Ancora, l'art. 25.1 della legge citata stabilisce che l'attività religiosa e cultuale ebraica si svolge liberamente in conformità dello Statuto dell'ebraismo italiano, senza ingerenze da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali; mentre, in base all'art. 26.1, la Repubblica italiana prende atto che, secondo la tradizione ebraica, le esigenze religiose comprendono quelle di culto, assistenziali e culturali.

3. Una volta accertata la non illiceità della pratica circoncisoria, si pone il diverso problema delle modalità della sua effettuazione e successivamente quello della esigibilità da parte degli interessati del relativo intervento a carico del Servizio Sanitario Nazionale italiano.

3.1. E' evidente che quando sia motivata da ragioni profilattiche o terapeutiche la circoncisione non possa che essere realizzata da un medico. Ed è evidente che l' intervento di un medico, per eseguire la circoncisione rituale di un neonato, ove venga espressamente richiesto, è assolutamente giustificato da un punto di vista etico.

3.2. L'attuale stato delle conoscenze biomediche richiama la necessità di una attenta valutazione delle condizioni del soggetto da circoncidere, prima di eseguire un atto che comporta comunque anche una lieve effrazione dell'integrità corporea (attesa ad es. l'esistenza di coagulopatie anche di natura genetica o altre affezioni, come ad es. da virus HIV) potenzialmente foriere di conseguenze negative per la salute del soggetto successivamente all'atto. Pertanto, se è evidente che, quando sia motivata da ragioni profilattiche o terapeutiche, la circoncisione non possa essere effettuata che da un medico, le anzidette preoccupazioni relative al circoncidendo per motivi rituali inducono a pensare che anche per i neonati l'intervento del medico sia irrinunciabile. Nei soli casi però in cui la circoncisione sia posta in essere esclusivamente per ragioni rituali, alcuni membri deil CNB ritengono che non sia opportuno favorirne la medicalizzazione, riservando esclusivamente o comunque favorendo esplicitamente l'intervento di un medico per una pratica che, se da una parte ha obiettivamente la natura di atto medico, almeno nel caso dei neonati per la sua estrema semplicità può senza alcun dubbio essere praticata da appositi e riconosciuti ministri che, indipendentemente da una loro professionalità specifica in campo sanitario, possiedano adeguata competenza.
Il CNB è però unanime nel ritenere che chi proceda all'intervento abbia comunque specifiche responsabilità in ordine non solo alla sua corretta effettuazione, ma anche in ordine al rispetto più scrupoloso dell'igiene e dell'asepsi. Rientra altresì nella sua responsabilità garantire personalmente la continuità dell'assistenza eventualmente necessaria dopo la circoncisione o fornire comunque indicazioni esaurienti e non equivoche perché tale assistenza possa essere efficacemente prestata. Diversamente va impostata la riflessione nel caso in cui la circoncisione rituale venga richiesta non a carico di un neonato, ma di un adulto (nell'ipotesi ad es. di una sua conversione ad una professione di fede che la richieda), di un bambino o di un adolescente (come è frequentemente il caso degli aderenti all'Islam). In queste ipotesi, la circoncisione non appare più alla stregua di un intervento di minore entità (tranne eventualità eccezionali) dal punto di vista medico, ma va piuttosto assimilata a un vero e proprio piccolo intervento chirurgico. L'esigenza di tutela del diritto alla salute impone che in questi casi la circoncisione venga effettuata da un medico, nel pieno rispetto di tutti i principi bioetici, deontologici e di buona pratica clinica.

3.3. Più complessa la questione della esigibilità dell' intervento circoncisorio a carico del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Per impostare correttamente la questione della fondatezza di tale pretesa si deve, innanzi tutto, riflettere su di alcuni principi costituzionali fondamentali. Va in via preliminare ricordato che l'ordinamento costituzionale italiano – anche secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale – ha accolto il principio della laicità dello Stato, implicante, fra l'altro, il divieto a carico di quest'ultimo di farsi portatore di sue verità metafisiche o morali ovvero di discriminare ingiustificatamente fra i consociati in base alla loro diversa appartenenza confessionale. Per cogliere la portata effettiva di tale principio costituzionale, occorre precisare che il nostro Stato, rivestendo una "forma" solidarista e interventista diretta a promuovere positivamente tutti i fattori che stimolano l'espansione, l'affermazione e la crescita della persona umana (fra i quali presenta particolarissima rilevanza il fattore religioso), mantiene un atteggiamento di "laicità" non soltanto in negativo, di incompetenza e di imparzialità nel settore religioso (come nel caso dello Stato liberale ottocentesco), bensì anche in positivo, intervenendo attivamente a sostegno del fatto religioso al fine di rimuovere quegli ostacoli che di fatto possono impedire ai cittadini-credenti un effettivo godimento delle loro libertà in questo particolare ambito (Stato c.d. sociale). Seguendo questa impostazione, si potrebbe affermare che l'assunzione da parte dello Stato degli oneri economici relativi agli interventi di circoncisione richiesti per motivi di indole religiosa rientrerebbe fra i suoi compiti sociali, di promozione e di sostegno positivo del fattore religioso. Tuttavia, per quanto suggestiva, tale impostazione non appare del tutto condivisibile perché la "laicità" dello Stato, seppure intesa in senso positivo e "sociale" in quanto orientata ad agevolare e a sostenere in generale la soddisfazione dell'interesse e delle esigenze religiose dei consociati, deve essere necessariamente coniugata – in subiecta materia, specificamente riguardante i fedeli appartenenti ad una confessione religiosa ben determinata – con un altro principio costituzionale, parimenti fondamentale, quello di "bilateralità" (artt. 7 ed 8 Cost.). Difatti, nel caso di specie, l'intervento solidaristico dello Stato non avvantaggerebbe l'interesse religioso genericamente e complessivamente considerato (non trarrebbero benefici dalla prestazione chirurgica circoncisoria offerta dalla Sanità pubblica per ragioni religiose tutte le persone credenti indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale), ma sarebbe diretto ad agevolare e a sostenere soltanto l'interesse proprio dei fedeli di una specifica e ben determinata confessione religiosa. Trattandosi, dunque, di materia avente un particolare e tipico referente confessionale, essa rientra a pieno titolo nel quadro dei rapporti fra Stato e comunità religiose che la Costituzione riserva obbligatoriamente a disciplina bilaterale. Occorre allora verificare se esista o meno una norma di produzione pattizia esplicita che ammetta direttamente i fedeli di una specifica confessione religiosa a poter godere dell'erogazione di questo particolare beneficio. Su questa linea, va preliminarmente osservato che la legge di approvazione dell'intesa con gli ebrei sopra citata prevede in modo espresso, innanzitutto, alcune forme di garanzia dell'identità e della tipicità confessionale ebraica, come, ad esempio, nell'art. 6, dove si riconosce sia la facoltà degli ebrei di poter prestare giuramento (nei casi in cui esso è richiesto dalla legge) a capo coperto, sia la possibilità di effettuare le macellazioni animali secondo le speciali procedure all'uopo previste dal "rito ebraico". In secondo luogo, la legge citata prevede altresì delle vere e proprie forme di intervento statuale a titolo promozionale e solidaristico, come, per esempio, in materia di rilevanza civile di festività religiose (artt. 4 e 5), di assistenza spirituale nelle c.d. comunità separate (artt. 7-10), di sepolture religiose (art. 16), di patrimonio artistico e culturale, di edilizia di culto (art. 28), di rapporti finanziari (art. 30). Ma non esiste alcuna norma pattizia nella legge n. 101 del 1989 che preveda esplicitamente un onere economico-sanitario a carico dello Stato in relazione alle pratiche circoncisorie. In mancanza di una espressa previsione pattizia in materia (che si ricorda rientrare fra quelle governate dal principio di "bilateralità"), una eventuale aspettativa o pretesa da parte degli interessati nei confronti della Sanità pubblica non potrebbe essere fondata sull'esigenza di tutela o di promozione del loro sentimento religioso. Il fatto che non si possa individuare, nel nostro ordinamento giuridico, alcuna norma che determini un obbligo per lo Stato di far praticare la circoncisione a carico del SSN, induce pertanto il CNB a ritenere giustificata l'esclusione di questa specifica prestazione dal novero di quelle che, nel nome del diritto fondamentale alla salute, devono essere sempre e comunque prestate a tutti i soggetti che ne facciano richiesta.

Parere conclusivo del Comitato Nazionale per la Bioetica

L'accettazione del carattere multietnico dell'attuale società italiana implica un profondo e doveroso rispetto nei confronti di tutti gli aspetti religiosi e culturali specifici di ciascun popolo. Le singole culture religiose e i singoli gruppi etnici, peraltro, debbono accettare i valori e le norme che regolano la vita della società di cui fanno parte, che li ospita o che li ha integrati, e in particolare quelli espressamente indicati nel testo della nostra Costituzione. Su questo punto il CNB rimanda al proprio documento Problemi bioetici in una società multietnica, approvato in data 16.1.1998.

– Gli atti di disposizione del proprio corpo che non abbiano finalità terapeutiche e profilattiche e che comunque producano una invalidità permanente non hanno in generale alcuna legittimazione bioetica, oltre ad essere proscritti dall'art. 5 del vigente Codice civile italiano. E' quindi da ritenere che la circoncisione femminile non possa essere ritenuta lecita sotto alcun profilo, né etico, né giuridico. Invece, per le sue specifiche caratteristiche di carattere terapeutico o profilattico, non può non essere considerata lecita la circoncisione maschile.

– I popoli o le comunità che, per la loro specifica cultura, praticano la circoncisione rituale, e quella in particolare dei neonati di sesso maschile, meritano quindi pieno riconoscimento della legittimità di tale pratica e di conseguenza un'altrettanto piena tutela.

– Il CNB ritiene che, in quanto atto di natura medica, perché produttivo di modificazione anatomo-funzionale dell'organismo, quello della circoncisione debba venir praticato nel pieno rispetto di tutte le usuali norme di igiene e asepsi e che esso debba comunque essere posto in essere da un medico. Solo nel caso di circoncisione rituale praticata su neonati, considerando anche l'elementarietà dell'intervento, alcuni membri del CNB ritengono che possa essere posta in essere anche da ministri a ciò preposti, purché dotati di adeguata e riconosciuta competenza. Altri membri del CNB ritengono che anche per i neonati l'intervento del medico sia imprescindibile, per una piena tutela della loro salute. Rientra comunque nella responsabilità di chi pratica la circoncisione garantire personalmente la continuità dell'assistenza eventualmente necessaria dopo l'intervento o fornire comunque indicazioni esaurienti e non equivoche perché tale assistenza possa essere efficacemente prestata.

– Gli ospedali pubblici sono tenuti a praticare tutti gli interventi diagnostici e terapeutici utili a fini di tutela della salute e particolarmente in condizioni di necessità ed urgenza, quale che ne sia la causa: sono quindi obbligati a intervenire anche per ovviare a esiti di interventi circoncisorii comunque e dovunque praticati.

– Resta infine il problema se il SSN sia tenuto, in linea di principio, a farsi carico di prestazioni che non abbiano una prioritaria e/o motivata indicazione terapeutica, ma solo una indicazione prevalentemente o esclusivamente religiosa, come è appunto il caso della circoncisione dei neonati di sesso maschile. Il CNB ritiene a grande maggioranza che sotto il profilo etico sarebbe senza dubbio auspicabile che i mem-bri dei popoli o delle comunità che praticano la circoncisione dei neonati per ragioni rituali (nei limiti in cui essa è ammissibile in base al nostro ordinamento) ricorressero a medici privati, ovvero ad ospedali pubblici, ma in regime di attività libero-professionale (questo è quanto, peraltro, avviene comunemente per i cittadini di fede israelita). Il CNB non ritiene infatti che esistano ragioni di carattere etico e sanitario che debbano indurre lo Stato a porre a carico della collettività le pratiche di circoncisione maschile di carattere rituale.