Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 3 Novembre 2008

Parere 17 gennaio 2007, n.10379

Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Parere 17 gennaio 2007, n. 10379: “Alienazione di immobile vincolato di proprietà parrocchiale”.

OGGETTO:
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla Parrocchia di San Michele Arcangelo a Pontassieve, in persona del Parroco p.t. Don L. S., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Neri Baldi, Marta Paolini e Fazio Baldi, con studio in Firenze, P.zza S. Spirito n. 10, per l’annullamento della nota della Soprintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Firenze, Pistoia e Prato, prot. n. 4261 del 13.3.2003, che ha dichiarato nullo l’atto di compravendita di immobile vincolato (porzione del Palazzo Sansoni Trombetta) e della nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, D.G. per i Beni Architettonici ed il Paesaggio, Ser. III, prot. n. GP 18721 del 27.5.2003, che ha ritenuto corretto il cit. provvedimento della Soprintendenza.
Vista la relazione del 29.7.2004 senza n. prot. (trasmessa con nota prot. n. SBA 26605 in data 5.8.2004) con la quale il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per i beni architettonici ed il paesaggio, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario indicato in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore – estensore consigliere Giancarlo Tavarnelli;
Letto e valutato il contenuto del ricorso;

PREMESSO:

Con la relazione indicata in epigrafe l’Amministrazione riferisce che la Parrocchia di San Michele Arcangelo a Pontassieve, in persona del Parroco p.t., con il ricorso indicato in oggetto ha chiesto l’annullamento della nota della Soprintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Firenze, Pistoia e Prato, prot. n. 4261 del 13.3.2003, che ha dichiarato nullo l’atto di compravendita di immobile vincolato (porzione del Palazzo Sansoni Trombetta) e della nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, D.G. per i Beni Architettonici ed il Paesaggio, Ser. III, prot. n. GP 18721 del 27.5.2003, che ha ritenuto corretto il cit. provvedimento della Soprintendenza.
Questi i motivi di impugnativa:
1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 55 D.Lgs 29.10.1999, n. 490 e 21 D.P.R. 7.9.2000, n. 283. Eccesso di potere in particolare sotto il profilo del difetto di istruttoria;
2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 dell’accordo del 18.2.1984 tra l’Italia e la Santa Sede (Modifiche al Concordato Lateranense), ratificato con L. 25.3.1985, n. 121, e dell’art. 7 della Costituzione. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della L. 25.3.1985, n. 121. Carenza di potere.
L’Amministrazione ritiene che il ricorso sia infondato in quanto la cessione di beni culturali appartenenti ad enti ecclesiastici, ricadrebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 55 del D.Lgs 490/999, norma non attuante una forma di controllo sulla gli enti predetti, i quali non sarebbero svincolati dall’osservanza delle leggi dello Stato, in particolare dovendo sottostare alle limitazioni e agli obblighi imposti dalla normativa di tutela ogni qualvolta vogliano disporre di beni culturali di loro proprietà.

CONSIDERATO:

Con il ricorso indicato in oggetto la Parrocchia di San Michele Arcangelo a Pontassieve ha chiesto l’annullamento della nota della Soprintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Firenze, Pistoia e Prato, prot. n. 4261 del 13.3.2003, che ha dichiarato nullo l’atto di compravendita di immobile vincolato (porzione del Palazzo Sansoni Trombetta) e della nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, D.G. per i Beni Architettonici ed il Paesaggio, Ser. III, prot. n. GP 18721 del 27.5.2003, che ha ritenuto corretto il cit. provvedimento della Soprintendenza.
Si ritiene che il ricorso sia fondato.
Vanno al riguardo tenute presenti le seguenti circostanze:
– la Parrocchia di San Michele Arcangelo di Pontassieve ha alienato all’Amministrazione Comunale di Pontassieve una porzione del Palazzo Sansoni Trombetta, immobile vincolato in parte già occupato dagli uffici comunali;
– dopo la stipulazione del contratto la Parrocchia ha comunicato l’atto di trasferimento alla competente Soprintendenza di Firenze, Pistoia e Prato (asseritamente ai sensi e per gli effetti dell’art. 58 del D.Lgs n. 490/1999, affinché l’Amministrazione potesse eventualmente esercitare la prelazione prevista dal successivo art. 59);
– la Soprintendenza con nota. prot. n. 4261 del 13.3.2003 (primo atto impugnato) ha fatto presente che le disposizioni relative alle tutela dei beni di interesse storico-artistico (D.Lgs. n. 490/1999 e D.P.R. n. 283/2000) non prevedono in alcun modo la convalida di un atto di alienazione già perfezionato, ma prevedono, invece, che prima del rogito notarile, debba essere richiesta la preventiva autorizzazione alla vendita; la mancanza di tale autorizzazione “rende nullo l’atto di compravendita”; alla luce di quanto sopra la Soprintendenza ha affermato l’impossibilità di convalidare l’atto di alienazione della Parrocchia, ricordando, infine, che l’inottemperanza alla prescritta autorizzazione è sanzionata ai sensi dell’art. 122 del D.Lgs n. 490/1999;
– il legale della Parrocchia, avv. Neri Baldi, con nota in data 18.3.2003 diretta, fra l’altro alla Soprintendenza, ha fatto presente che la predetta Parrocchia, ai sensi dell’art. 29 della L. n. 222/1985, ha la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto; gli enti appartenenti a tale categoria, secondo la giurisprudenza, non sono né privati né pubblici, in quanto si tratta di Enti di un’autonoma organizzazione confessionale, ai quali lo Stato si è limitato a riconoscere la personalità giuridica; per tali enti trova applicazione la disciplina del concordato tra la Santa Sede e l’Italia. Le modifiche apportate al concordato mediante l’accordo del 18.2.1984, ratificato con L. n. 121/1985, hanno soppresso ogni ingerenza dello Stato nell’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici; sulla base di tali premesse il legali hanno affermato che la volontà e la possibilità di vendere l’immobile in questione non possa essere in alcun modo sindacata dalla Soprintendenza ovvero dallo Stato Italiano, salvo il diritto di prelazione qualora l’Amministrazione ritenga di esercitare tale diritto;
– la Soprintendenza ha ritenuto di interessare sulla questione il competente Ministero con nota in data 8.4.2003; in via preliminare ha osservato che “Da una attenta analisi questa Soprintendenza concorderebbe da quanto riportato dall’Avvocato” ma prima di prendere una qualsiasi decisione definitiva ha chiesto al Ministero di far conoscere il proprio parere circa la collocazione degli Enti ecclesiastici tra privato e pubblico;
– Il Ministero, con nota prot. n. 18721 del 27.5.2003 (secondo atto impugnato) ha trasmesso copia del parere reso in data 28.3.2001 dal proprio Ufficio Legislativo, nel quale si conferma che la cessione di beni culturali appartenenti ad enti ecclesiastici ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 55 del D.lgs. n. 490/1999 e, quindi, dell’art. 21 del D.P.R. 283/2000; ha aggiunto che la normativa speciale di tutela delle cose di interesse storico artistico ha da sempre previsto una particolare disciplina per tutti gli enti ecclesiastici e per ogni ente morale riconosciuto (v. art. 26 R.D. n. 363/1913), in seguito indicati come enti legalmente riconosciuti (v. art. 4 e 26 L. 1089/39). Tale disciplina non è mutata a seguito dell’entrata in vigore del T.U. 490/99, nel cui sistema gli enti ecclesiastici sono da considerare quali persone giuridiche senza fine di lucro; per quanto sopra il Ministero ha ritenuto giuridicamente corretta la prima comunicazione effettuata dalla Soprintendenza con nota n. 4261 del 13.3.2003; ha invitato la stessa Soprintendenza a valutare l’opportunità della costituzione in giudizio dinanzi all’A.G.O. per ottenere la declaratoria di nullità dell’atto di compravendita nel caso che l’ente alienante non provveda alla risoluzione o sospensione del contratto oppure alla conversione del medesimo in un atto valido (es. preliminare) in attesa di richiedere ed ottenere l’autorizzazione da parte della Soprintendenza.
Premesso quanto sopra, va condiviso il primo motivo di impugnativa con il quale la Parrocchia ricorrente contesta l’assunto dell’Amministrazione che l’alienazione di un bene culturale appartenente ad un ente ecclesisatico civilmente riconosciuto ricadrebbe nell’ambito di applicazione degli artt. 55 del D.L.gs. n. 490/1999 e 21 del D.P.R. n. 283/2000.
Il cit. art. 55, c. 3, prevedeva che è soggetta ad autorizzazione l’alienazione di alcune categorie di beni culturali (tra cui le cose immobili, che presentano interesse artistico, storico archeologico, o demo-etno-antropologico o le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante) “appartenenti a persone giuridiche private senza fine di lucro. L’autorizzazione è concessa qualora non ne derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento dei beni”.
Il D.P.R. n. 283/2000 (Regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico), all’art. 21, c.2, contemplava fra l’altro la concessione dell’autorizzazione “nelle ipotesi di alienazione di beni appartenenti a soggetti pubblici non titolari di demanio e alle persone giuridiche private senza fini di lucro”.
Si pone dunque la questione se gli enti ecclesiastici, come le parrocchie, che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato (Cfr. art. 4 e 29 della L. n. 222/1985), rientrino nella categoria delle persone giuridiche private senza fini di lucro.
Sulla questione della qualificazione nell’ordinamento statale degli enti ecclesiastici ha avuto modo di pronunciarsi la I Sezione del Consiglio di Stato (parere n. 1338/2000 del 14.2.2001) la quale ha rilevato che “nel sistema introdotto dalla legge n. 222 del 1985 – laddove stabilisce, all’art. 4, che “gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – contribuisce a risolvere il problema dell’inquadramento di detti Enti, che si era posto in passato, dividendo la dottrina tra coloro che ritenevano che gli Enti ecclesiastici fossero un quid medium tra Enti pubblici e Enti privati e coloro che, invece, ritenevano che taluni Enti fossero pubblici ed altri privati; mentre altri ancora ritenevano che non potessero mai assumere una veste pubblicistica nel nostro ordinamento, essendo la Chiesa un ordinamento primario che, presiedendo ai propri Enti, impedisce in ogni caso che essi possano perseguire i fini propri dello Stato”.
“Sicché la qualificazione suddetta, espressamente operata dal Legislatore, intende chiarire definitivamente che gli Enti della Chiesa Cattolica, una volta ottenuta dallo Stato il riconoscimento della personalità giuridica, altro non sono, per l’appunto, che “Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”. Essi non sono né privati né pubblici, ma Enti di un’autonoma organizzazione confessionale, ai quali lo Stato si è limitato a riconoscere la personalità giuridica”.
Quindi, formalmente, gli Enti ecclesiastici non possono qualificarsi come “persone giuridiche private senza fini di lucro”, alle quali si riferiscono i cit. artt. 55 del D.L.gs. n. 490/1999 e 21 del D.P.R. n. 283/2000.
I difensori della parrocchia ricorrente giustamente fanno osservare che la legge 1089/19339, aveva contemplato, accanto allo Stato o agli enti o istituti pubblici, gli “enti o istituti legalmente riconosciuti”, prevedendo, all’art. 26, che questi ultimi erano tenuti a richiedere l’autorizzazione preventiva alla vendita di beni culturali. Sulla base del previgente testo normativo non vi era, quindi, alcun dubbio in ordine al fatto che l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto rientrasse tra i destinatari dell’onere di richiedere l’autorizzazione preventiva alla vendita dei predetti beni, ma nel nuovo ordinamento non possono considerarsi senz’altro soggetti a tale onere in quanto non qualificabili in via generale come “persone giuridiche private senza fini di lucro”.
A non diversa conclusione inducono le disposizioni richiamate dal parere dell’Ufficio Legislativo del Ministero (parere, al quale fa riferimento il secondo dei provvedimenti impugnati).
L’art. 7, c.3, della L. 121/1985 prevede che “Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività” ma si tratta di disposizione di carattere generale da cui non si può dedurre la specifica equiparazione degli enti ecclesiastici alle “persone giuridiche private senza fini di lucro”.
Il successivo art. 12, c.2, stabilisce che “Al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti [Santa Sede e Repubblica Italiana] concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche”.
L’art. 6 dell’intesa relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso (cui è stata data esecuzione con il D.P.R. n. 571/1966) prevede che a norma dell’art. 8 della legge n. 1089/1939 (poi art. 19 del D.Lgs. n. 490/1999) “i provvedimenti amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche sono assunti dal competente organo del Ministero per i beni culturali e ambientali, previa intesa, per quel che concerne le esigenze di culto, con l’ordinario diocesano…”.
Le citate disposizioni, secondo l’Ufficio Legislativo del Ministero, renderebbero evidente, sul piano generale, come gli enti ecclesiastici non siano svincolati dall’osservanza delle leggi dello Stato ed, in particolare, come essi debbano sottostare alle limitazioni e agli obblighi imposti dalla speciale normativa di tutela ogni qualvolta vogliano disporre di beni di loro proprietà che siano riconosciuti di interesse artistico e storico; e, qualora siano coinvolte esigenze di culto, si richieda un accordo tra le parti in ordine al modo più efficace per contemperare tali esigenze con quelle di tutela.
Le conclusioni del predetto Ufficio Legislativo, anche se condivisibili in ordine al fatto che in via generale gli enti ecclesiastici siano soggetti ai vincoli imposti dalla normativa di tutela dei beni culturali, non sono utili a dimostrare che tali enti siano destinatari delle specifiche disposizioni contenute nei predetti artt. 55 del D.L.gs. n. 490/1999 e 21 del D.P.R. n. 283/2000, applicabili espressamente alla categoria delle “persone giuridiche private senza fini di lucro”. Va al riguardo sottolineato che gli enti ecclesiastici non risultano equiparati a tutti gli effetti alla predetta categoria mentre sono stati equiparati agli “effetti tributari” agli enti “aventi fini di beneficenza o di istruzione” (cfr. art.7, c.3, L. n. 121/1985).
Le considerazioni che precedono sono sufficienti per l’accoglimento del ricorso, restando assorbito ogni altro motivo di impugnativa.
Va tuttavia tenuto presente che l’art. 12, c. 1, della L. n. 121/1985 ha affermato il principio che “La Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico e artistico” ed è indubbio che l’art. 55, c.3, del D.Lgs. n. 490/1990, nel prevedere che “L’autorizzazione è concessa qualora non ne derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento dei beni, evidenzia le particolari finalità di tutela per le quali l’alienazione dei beni culturali è soggetta ad autorizzazione. Ciò significa che le due Parti potrebbero concordare con l’interpretazione seguita dall’Amministrazione, eliminando ogni perplessità derivante dalla formulazione letterale della disposizione nella parte in cui individua i suoi destinatari.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere accolto.

IL PRESIDENTE DELLA SEZIONE (Livia Barberio Corsetti)
L’ESTENSORE (Giancarlo Tavarnelli)
LA SEGRETARIA D’ADUNANZA (Anna Vitale)