Parere 10 novembre 1993, n.1132
Consiglio di Stato. Sezione Prima. Parere 10 novembre 1993, n. 1132.
Considerato
1. – Il quesito di massima posto all’esame della Sezione trae origine da alcune pronunce interlocutorie adottate dalla medesima Sezione in relazione ai pareri chiesti dal Ministero in vista del riconoscimento della personalità giuridica ad alcune chiese non parrocchiali.
Il Collegio aveva riscontrato che in tutti i casi in parola non era previsto che l’erigendo ente ecclesiastico acquisisse la proprietà del relativo edificio sacro, appartenente, a seconda dei casi, al demanio dello Stato, alla pontificia opera per la preservazione della fede e la provvista di nuove chiese in Roma, ad una associazione di fedeli, e via dicendo.
Il Collegio, richiamando l’attenzione del Ministero su questo particolare di fatto, lo aveva invitato a chiarire il proprio punto di vista sulla questione della possibilità di conferire ad una chiesa la personalità giuridica disgiuntamente dalla proprietà dell’edificio sacro.
Il Ministero ha risposto con un’ampia relazione, nella quale si esprime avviso favorevole alla riconoscibilità giuridica degli enti che si trovino nelle situazioni descritte, e che sollecita, peraltro, la Sezione ad esprimersi in via di massima sulla questione.
Al quesito si risponde, pertanto, con le considerazioni che seguono.
2. – Il problema del rapporto fra personalità giuridica delle chiese e proprietà dei relativi edifici è stato a lungo affrontato sotto una sua particolare angolatura: quella della vicenda delle chiese già conventuali, pertinenti ad istituzioni religiose soppresse nel secolo scorso in forza delle c.d. leggi eversive. Com’è noto, mentre la generalità dei conventi soppressi e delle relative chiese venne demanializzata e adibita ad usi profani da parte dello Stato o degli enti locali, un certo numero delle chiese già conventuali fu conservato al culto pubblico. Dal punto di vista della proprietà, quelle chiese vennero conferite al Fondo per il culto, o, a seconda dei casi, al Fondo di beneficienza e di religione per la città di Roma (enti amministrati dallo Stato e fusi nel 1985 nel Fondo per gli edifici di culto) o anche agli enti locali, mentre dal punto di vista dell’uso, erano affidate all’autorità ecclesiastica in un rapporto che si potrebbe chiamare di concessione gratuita e che solo a partire da circa il 1990 è stato formalizzato con appositi atti.
Si riferisce proprio a queste chiese ex conventuali la disposizione dell’art. 29, lettera a), del Concordato del 1929, a norma della quale sarà riconosciuta la personalità giuridica “alle chiese pubbliche aperte al culto, che già non l’abbiano, comprese quelle già appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi, con assegnazione, nei riguardi di queste ultime, della rendita che attualmente il Fondo per il culto destina a ciascuna di esse”.
Questa disposizione è stata generalmente interpretata nel senso che, con il conferimento della personalità giuridica ad una chiesa ex conventuale e per effetto di esso, il nuovo ente ecclesiastico consegue di diritto la proprietà dell’edificio ecclesiastico. Ciò è stato affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 516 del 3 marzo 1950, che in particolare ha ritenuto che il passaggio di proprietà si verifichi nel momento stesso in cui viene eretto il nuovo ente, e non in un momento successivo, come ad es. quello della “consegna”; ed è stato ulteriormente confermato e chiarito, anche nei suoi vari risvolti, dai pareri del Consiglio di Stato, sezione III, 12 maggio 1959, n. 86; sezione I, 18 ottobre 1989, n. 1263; sezione I, 6 maggio 1992, n. 929.
3. – La conoscenza di questi pareri ha indotto la dottrina, di tempo in tempo, a chiedersi se la regola del trasferimento automatico della proprietà sia applicabile anche nell’ipotesi di conferimento della personalità giuridica ad una chiesa di proprietà privata o, piú precisamente, di una chiesa non assoggettata al peculiare regime delle chiese ex conventuali rimaste aperte al culto pubblico.
Posta la questione in tali termini, era inevitabile rispondere che contrasta con ogni buon principio di diritto supporre che la costituzione di una persona giuridica comporti, come suo effetto automatico, il trasferimento della proprietà di un bene, a danno di un soggetto non consenziente, senza corrispettivo o indennizzo alcuno. Pertanto la dottrina prevalente ha concluso che il trasferimento ope legis si verifica solo nella peculiare ipotesi delle chiese ex conventuali appartenenti al Fondo per il culto o in regime analogo.
A questa piú che condivisibile conclusione, la dottrina collega, quasi fosse una sua necessaria implicazione, un’ulteriore affermazione: e cioè che per il conferimento della personalità giuridica ad una chiesa non è indispensabile che il nuovo ente sia proprietario dell’edificio sacro. In pratica, si argomenta come segue: “poiché non si può ammettere (a) che il riconoscimento di un ente-chiesa comporti in suo favore l’acquisto della proprietà dell’edificio invito domino, si deve ammettere (b) che esistano enti-chiesa non dotati della proprietà del relativo edificio”.
4. – Pare a questo Collegio che questa argomentazione sia viziata nella parte in cui stabilisce un nesso d’implicazione necessaria fra la proposizione (a) e la proposizione (b).
Ed invero, ferma la proposizione (a), sulla quale, come già detto, non sembrano possibili dubbi, non è detto che debba seguirne necessariamente la (b). Quest’ultima proposizione, invero, suppone già risolto a monte, ed in senso negativo, il quesito se la proprietà dell’edificio sacro sia o meno un elemento essenziale della figura tipica della “chiesa” come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Se tale quesito si dovesse invece risolvere affermativamente (e cioè nel senso che la proprietà dell’edificio è un elemento essenziale della figura tipica dell’ente-chiesa), la conseguenza della proposizione (a) (non potersi ammettere espropriazione per effetto del riconoscimento giuridico dell’ente-chiesa) sarà che non si potrà riconoscere come ente-chiesa (ma, semmai, come rientrante in altra figura) un ente che non abbia o non consegua la proprietà dell’edificio sacro.
In altre parole: il quesito se la proprietà dell’edificio sia o meno un elemento essenziale dell’ente-chiesa, inteso come figura tipica, si pone indipendentemente dalla soluzione che si vuol dare alla diversa questione se il suo atto costitutivo sia idoneo o meno a trasferirgli la proprietà dell’edificio stesso.
5. – Ora, al quesito così precisato e definito, la Sezione ritiene di dover rispondere nel senso che la proprietà dell’edificio è un elemento essenziale dell’ente-chiesa; o, se si preferisce, che non è qualificabile come ente-chiesa quello che non è dotato della proprietà dell’edificio sacro.
Non si vuole, ovviamente, ripristinare l’arcaica concezione dell’ente-chiesa come personificazione e quasi antropomorfizzazione dell’edificio nella sua materialità. Si condivide la tesi per cui l’ente-chiesa non è altro che una fondazione avente come sua funzione precipua quella di provvedere alla manutenzione ed all’officiatura di un determinato tempio.
Ma riconoscere l’appartenenza dell’ente-chiesa al genus degli enti fondatizi non elimina la necessità di stabilire quale sia la caratteristica essenziale che distingue l’ente-chiesa dalla generalità delle fondazioni di culto. Necessità che discende dalla constatazione, ripetutamente fatta da questo Collegio, che nel sistema della legge n. 222 del 1985 vi è la regola della tipicità degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ancorché l’elencazione che ne è fatta nella legge non sia da ritenere esaustiva (pareri 13 dicembre 1989, n. 2090/89; 26 settembre 1990, n. 1032/89; 12 maggio 1993, n. 462/93).
Ed è appunto in questa luce che la Sezione ritiene che non si possa parlare di “chiesa dotata di personalità giuridica”, se non in quanto la chiesa-edificio costituisca il nucleo originario ed essenziale della chiesa-ente e del suo patrimonio.
A questo proposito si può ricordare quanto detto nel parere 12 maggio 1959, n. 86, della III Sezione del Consiglio di Stato: “Se con il riconoscimento non è già la chiesa come “cosa” che ha funzione di “soggetto”, è tuttavia essa che presta il sostrato sostanziale sul quale la persona sorge per determinazione del diritto… Ciò significa che da un lato il riconoscimento riguarda la chiesa in se stessa considerata e non l’ufficio sacro; dall’altro, necessariamente, il riconoscimento medesimo ha l’effetto che l’edificio di culto diviene parte sostanziale e nello stesso tempo patrimonio del nuovo soggetto così costituito… L’erezione della chiesa a persona giuridica ha, sì, per effetto l’attribuzione della capacità giuridica, ma contestualmente comporta che il sostrato sostanziale, che il diritto prende a base della formale costitutiva investitura di soggettività, si trasformi in elemento patrimoniale e oggetto di dominio del nuovo ente”.
6. – La necessità che la chiesa-edificio sia parte essenziale della chiesa-ente è confermata dalla considerazione degli ostacoli che, in caso contrario, l’ente stesso potrebbe incontrare nello svolgimento della sua attività istituzionale.
Se è vero, infatti, che il proprietario della chiesa-edificio non ha, ordinariamente, il potere di sottrarre quest’ultima al culto pubblico cui, in ipotesi, è destinata (art. 831, comma 2, c.c.), non è detto, però, che egli sia vincolato, altresì, a mantenerla in perpetuo e incondizionatamente a disposizione di un soggetto a lui estraneo.
A questo argomento taluno potrebbe forse obiettare che situazioni del genere sono perfettamente concepibili, e di fatto talvolta ricorrono, nei confronti della generalità degli enti ecclesiastici: e così, ad esempio, è concepibile una parrocchia che non sia proprietaria della chiesa parrocchiale, o una confraternita che non sia proprietaria del suo oratorio. Ma si deve replicare che in tutti questi casi l’ente ecclesiastico – parrocchia, confraternita, ecc. – ha sostrato e fondamento in realtà personali, pastorali, spirituali e canoniche che trascendono la chiesa-edificio. La parrocchia (intesa come comunità di fedeli, insediata su un territorio, con un proprio pastore, ecc.) si serve di un edificio di culto ma non si identifica con esso e conserva manifestamente la sua identità anche se passa a servirsi di un edificio diverso. Non sembra che altrettanto si possa dire di un ente-chiesa.
7. – Queste ultime considerazioni sono utili per suggerire una soluzione del problema nei suoi termini pratici.
Fermo restando che vi è sempre la possibilità che il soggetto proprietario dell’edificio sacro acceda a conferirne la proprietà all’erigendo ente-chiesa, quante volte ciò non avvenga, non è detto che sia precluso istituire comunque una persona giuridica appartenente ad un’altra tipologia: e cioè un ente (es.: fondazione di culto, fondazione di diritto privato, associazione, confraternita, ecc.) che pur eleggendo a centro della propria attività una determinata chiesa-edificio, non s’identifichi tuttavia con essa in quello specialissimo rapporto d’immedesimazione che è caratteristico dell’ente-chiesa.
P.Q.M.
nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione.
Autore:
Consiglio di Stato
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Personalità giuridica, Riconoscimento, Apertura, Proprietà, Culto pubblico, Applicazione, Regime, Enti confessionali, Chiese non parrocchiali, Chiese ex conventuali, Edificio sacro
Natura:
Parere