Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Settembre 2005

Parere 06 luglio 2005

Consiglio di Stato. Adunanza della Sezione Prima e Seconda. Parere 6 luglio 2005: “Statuti comunali ed attribuzione del diritto di voto agli stranieri”.

OGGETTO:
Ministero dell’Interno. Quesito sull’ammissibilità degli stranieri non comunitari all’elettorato attivo e passivo nelle elezioni degli organi delle circoscrizioni comunali.

Vista la nota del Ministero dell’interno prot.n.1883/L. 142/1 bis/5.3 del 12 ottobre 2004, con la quale si chiede il parere del Consiglio di Stato in ordine alla questione indicata in oggetto.
Visto il parere delle Sezioni riunite Prima e Seconda n.11074/2004 del 16 marzo 2005;

ESAMINATI gli atti e udito i relatori Consiglieri Marcello Borioni e Luigi Carbone;

RITENUTO in fatto quanto esposto dall’Amministrazione riferente;

PREMESSO

Il Ministero dell’interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’ammissibilità degli stranieri non comunitari all’elettorato attivo e passivo nelle elezioni degli organi delle circoscrizioni comunali.

Preso atto che la Seconda Sezione si era espressa sullo stesso tema con riferimento ad un quesito posto dalla Regione Emilia-Romagna (parere n.8007/2004), il Presidente del Consiglio di Stato ha assegnato l’affare alla trattazione congiunta della Prima e della Seconda Sezione.

Con parere interlocutorio n.11074/04, le Sezioni riunite hanno chiesto alla Regione Emilia-Romagna di esprimersi sulle nuove argomentazioni fornite dal Ministero dell’interno.

Acquisite le osservazioni della Regione, il quesito è stato esaminato dalle due Sezioni riunite nell’adunanza del 13 luglio 2005.

CONSIDERATO:

I – E’ chiara, nella nostra società civile, la forte rilevanza assunta dal problema della migliore integrazione di persone , che, soprattutto a scopo di lavoro, giungono in Italia da Paesi esterni all’ Unione Europea. Nella consapevolezza del significativo contributo che queste persone danno allo sviluppo della collettività da più parti si levano voci e si spiegano iniziative, sicuramente commendevoli, perché ad esse siano assicurati diritti civili e politici di maggior spessore.

Si iscrivono in questo quadro, insieme alle iniziative di cui alla vicenda che ne occupa, confortata dalle analitiche considerazioni della Regione Emilia-Romagna, i disegni di legge presentati da più parti politiche, le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, gli inviti pressanti ed argomentati intesi a riconoscere ai soggetti residenti, ancora privi di cittadinanza europea, il diritto di elettorato attivo e passivo nelle circoscrizioni, intanto, comunali.

Sintomatica è anche l’interpretazione che questo Consiglio di Stato ha dato delle norme che appresso saranno esaminate, consapevole, insieme, della opportunità di rimediare ad una lacuna dell’ordinamento e della gravità ed urgenza della questione.

Pur condividendo siffatta consapevolezza le Sezioni Riunite I e II non ritengono che, allo stato, possa affermarsi il cennato diritto di elettorato di cui manca e un esplicito riconoscimento e, come ha ritenuto la stessa Sezione II nel parere del 28 luglio 2004, ogni necessaria conformazione che ne consenta la identificazione e l’esercizio.

La Costituzione, dalla quale si deve muovere, pone precetti sicuramente rilevanti in materia.

Gli art. 48 e 51 espressamente coniugano, con la cittadinanza, il diritto di elettorato e di accesso agli uffici ed alle cariche pubbliche con norme letteralmente positive di riserva di legge.

Per sua parte, l’art. 10 prescrive che ” la condizione giuridica dello straniero ” il suo status, cioè, civile e politico, ” è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali ” che, ai sensi dell’art. 80, se “sono di natura politica” o “importano…. modificazioni di leggi “sono ratificati previa autorizzazione legislativa dalle Camere.

L’art. 117, infine, pur nel quadro dell’ampia autonomia riconosciuta dal nuovo testo del Titolo V, riserva alla legislazione esclusiva dello Stato le materie, tra l’altro, della “condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea”, della “immigrazione “, della “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

Pare che le riassunte norme siano, da una parte, univocamente coordinate tra loro e, d’altra parte, di contenuto tale da far ritenere già a livello letterale, che così la condizione giuridica degli stranieri come, in particolare, una loro eventuale ammissione al voto, anche a livello comunale, costituiscono materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato che può delegare, epperò solo alle Regioni, eventuale regolamentazione subordinata.

Esclusa in fatto quest’ultima eventualità, deve convenirsi che, come per altro prevalentemente si ritiene, il discusso diritto di elettorato può configurarsi soltanto :

a- se si rinviene, nell’ordinamento statale, solo competente, il relativo riconoscimento ovvero

b – se si espunge la “circoscrizione” dal novero degli organi di governo e degli uffici pubblici comunali.

Non è sufficiente, invero, genericamente richiamarsi alla natura “autonoma” degli enti e degli statuti comunali, posto che così nel vigente Titolo V come nelle precedenti stesure l’autonomia è in ogni caso coniugata e da coniugare con gli altri principi fissati dalla Costituzione, compresi, per quanto qui rileva, quelli sopra ricordati che indubbiamente concorrono a definirne i contenuti.

II – Le norme cui si fa riferimento, per assicurare la tesi della positiva attribuzione ai comuni della potestà di disciplinare, nei propri statuti, il controverso diritto di elettorato sono, essenzialmente :

1) l’art. 8 del D.Lgs 18 agosto 2000, n.267 [1], in tema di partecipazione popolare alla vita pubblica locale;

2) l’art. 17 dello stesso T.U.O.E.L. in tema di circoscrizioni di decentramento comunale;

3) l’art. 9 D.Lgs 25 luglio 1998 n. 286 [2], in tema di carta di soggiorno e di condizione dello straniero.

La prima norma conferma che “i comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale” e che “nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi…”.

La norma si chiude, quindi con l’affermazione che “lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge 8 marzo 1994, n. 203, ed al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell’Unione Europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”.

A parte quest’ultima concreta sollecitazione di quel generico “favor” cui si riferisce la Regione Emilia-Romagna e che, come s’è detto, emerge in più circostanze a riguardo della condizione dei residenti non cittadini, non v’è traccia, nella norma, della equiparazione dello straniero ai fini in argomento e, anzi, potrebbe dedursi, dalla precisazione del comma 3 che, con espressione tecnica non equivoca, si riferisce ai soli “cittadini” e dalla considerazione separata, nel comma 5, “dei cittadini dell’Unione Europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”, una diversità di condizioni di questi ultimi già nei confronti della forme di consultazione e di partecipazione assicurate ai cittadini.

In favore degli stranieri è soltanto prevista, per altro in armonia ai principi già posti da norme vigenti in un periodo nel quale era pacificamente escluso il controverso diritto di voto dei cittadini dei Paesi esterni all’Unione, la promozione di “forme di partecipazione alla vita pubblica locale”, forme che, per quanto ampie, in nessun modo possono riferirsi al diritto di elettorato certo non configurabile nei confronti dei comuni, che sono i soggetti cui l’art. 8 in rassegna si riferisce.

Quanto alla seconda norma, l’art. 17 recita, nel comma 4, che “gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell’ambito dell’unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento”.

Può condividersi, pur con le riserve suggerite dall’art. 8, che in tale testo si intenda per popolazione l’insieme degli “abitanti” considerato nei commi precedenti le cui “esigenze” è ovvio sono “rappresentate” dagli organi delle circoscrizioni.

Non si coglie, per contro, e deve escludersi, l’asserito necessario nesso tra la rappresentanza organica della popolazione, come sopra intesa, e la forma delle elezioni posto che mentre queste ultime sono soltanto uno dei possibili mezzi di emersione degli interessi individuali e collettivi (v. art. 8) la predetta rappresentanza comprende, per legge, anche le esigenze di coloro che per qualsiasi ragione non sono ammessi al voto.

Il riferimento, per altro, alle “forme ” delle elezioni, ai modi, cioè, del procedimento elettorale, in nessun modo autorizza a ritenere che, al di là di esse, il comune possa riconoscere un diritto politico che anche nel contesto dell’art. 17 non si considera assolutamente e che, per quanto riguarda gli stranieri in discorso, è persino escluso dal possibile “rinvio alla normativa applicabile ai comuni” (v. comma 5).

Quanto, infine, all’art. 9 del D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286, il comma 4, lettera d, se abilita lo straniero soggiornante a “partecipare”, così come ha confermato il rammentato art. 8 comma 5, “alla vita pubblica locale” chiarisce che lo stesso esercita “anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del Capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992 “.

La norma ribadisce a chiare lettere la necessità che la legittimazione all’elettorato sia espressamente prevista dall’ordinamento – in conformità ai precetti costituzionali ricordati sopra – e precisa che tale previsione deve armonizzarsi con quella del Capitolo C della Convenzione di Strasburgo.

Nel dare atto che questo Capitolo C è stato espressamente escluso dall’autorizzazione di ratifica di cui alla legge 8 marzo 1994 n. 203, che limita l’autorizzazione ai Capitoli A e B, in fatto ratificati, si è tuttavia proposto di interpretare l’espressione dell’art. 9 in maniera, anche qui, “evolutiva”.

La legge, cioè, avrebbe fatto propri i contenuti del Capitolo C, non ratificato, con un procedimento di ricezione, per così dire, implicito.

La tesi è, come ognuno vede, piuttosto ardita e, mentre immediatamente prospetta una ben fondata questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 80 Cost., non trova alcun visibile fondamento nell’anodina formula dell’art. 9 e sortisce effetti la cui ammissibilità è negata dai suoi stessi sostenitori.

Ben vero, il cennato Capitolo C tratta dell’impegno dello Stato “a concedere” allo straniero a determinate condizioni “il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali…”, non solo, perciò, alle elezioni per le circoscrizioni comunali, ma alle stesse elezioni comunali e, insieme, ad ogni altra elezione che possa dirsi “locale”.

Non pare che un risultato di tale portata possa attribuirsi ad una espressione legislativa certamente consapevole della attuale mancanza (o, meglio, rifiuto) di ratifica del Capitolo C; dei contenuti necessari del procedimento di ratifica; dello stato dell’ordinamento in punto di diritto di voto; ad una espressione legislativa, in sintesi, in alcun modo positiva del riconoscimento di cui si tratta.

Questo riconoscimento, esplicitamente necessario a fronte delle visitate norme costituzionali, manca dunque del tutto nell’ordinamento statale cui spetta in maniera esclusiva, come sopra si è visto, e di effettuarlo e, insieme, di conformare il relativo diritto.

Tale conformazione, la cui necessità emerge insieme dalla varietà delle condizioni riferibili agli stranieri residenti e dalla esigenza di ponderare con riferimento ad esse le correlate situazioni dei cittadini (si veda la stessa Convenzione di Strasburgo, insieme alle leggi concessive, anche per gli stessi cittadini europei nonché per i cittadini italiani residenti all’estero, del diritto di voto), è comunque assente nelle norme degli articoli 8, 17 e 9 sopra analizzate così che se pure, come si è escluso, l’ordinamento rivelasse un qualche precetto nel senso ipotizzato dovrebbe pur sempre attendersi un intervento statale, o di delega alle Regioni (v. art. 117 Cost.), di conformazione del diritto.

Deve escludersi che i diritti politici, nei quali si inquadra agevolmente il diritto di voto nelle elezioni amministrative, possano avere un contenuto differenziato nell’ambito della Repubblica e che possano perciò, come è implicito nella tesi della legittimazione degli statuti comunali, espandersi o comprimersi via via che ci si trasferisce sul territorio.

E’ appena il caso di sottolineare che non solo manca, nell’ordinamento, la necessaria disciplina relativa alla concessione e conformazione del diritto di voto dei cittadini di Stati esterni all’Unione Europea ma sono presenti nell’ordinamento stesso, norme che consentono di escludere che, a tutt’oggi, siffatto diritto sia stato riconosciuto nei sensi e nei modi costituzionalmente dovuti.

Si è rammentato il positivo, espresso rifiuto di ratifica del Capitolo C della Convenzione di Strasburgo; si è verificato il mancato esercizio della potestà statale, non delegata né delegabile; si è sottolineata la carenza di competenza statutaria dei Comuni; si è considerato che le stesse norme invocate a contrario depongono nel senso della attuale inesistenza del diritto; si è considerato che esso è stato sempre concesso, persino ai cittadini residenti all’estero e ai cittadini europei, con provvedimento legislativo espresso e compiuto.

Si è visto, infine, che nella prassi, anche parlamentare, emerge con forza la diffusa convinzione che tale sia, ad oggi, lo stato della questione e che ad essa debba porsi urgente e conveniente rimedio nelle sedi e nei modi costituzionalmente propri.

III – Ci si deve dare carico, benché la tematica sembri a questo punto perdere rilievo, della tesi che, come sopra si è precisato, nega che la circoscrizione eserciti funzioni politiche e di governo ovvero assolva a pubbliche funzioni in materie tali da ritenersi precluse ai non cittadini e che riduce la stessa circoscrizione, in sostanza, al mero esercizio di attività soprattutto partecipative e consultive.

La tesi non può essere condivisa.

Le circoscrizioni sono, a mente del più volte citato art. 17, organi necessari nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, eventuali nei comuni con popolazione da 30.000 a 100.000 abitanti, e di rilievo pubblico tale che, nei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, possano essere disposte “accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale” e fatto rinvio “alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione”.

Le materie attribuite al Sindaco, quale ufficiale di governo, di cui all’art. 54, comma 1, lettere a) b) c) e d), nonché indicate dall’art. 14 TUOEL, tutte materie di indubbia ed essenziale natura pubblica, possono essere delegate al Presidente del Consiglio circoscrizionale.

A quest’ultimo Consiglio possono essere delegate, e nella prassi sono delegate, ulteriori funzioni pubbliche del Comune, che pur quando limitate, come nel Comune di Forlì, (“ai lavori pubblici, alle aree verdi circoscrizionali, ai servizi comunali che si svolgono nella circoscrizione, con particolare riguardo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, all’uso di istituto ed alla gestione dei beni destinati e ad attività assistenziali, scolastiche, culturali, sportive e ricreative”; v. art. 51) sono funzioni di rilevante interesse pubblico e tali da valutare e comporre interessi, privati e pubblici, di notevole spessore, così politico come amministrativo.

Le deliberazioni circoscrizionali, “a tutti gli effetti atti del comune” (art. 51 co. 5), partecipano, all’evidenza, della natura di questi ultimi e concorrono a caratterizzare un organo che, in quanto “di decentramento” non può che condividere il munus publicum che caratterizza il comune, e che consegue, peraltro, ad un procedimento elettorale, di per sé connotazione evidente dell’esercizio di funzioni e rappresentative e pubbliche.

Le stesse attribuzioni in materia di partecipazione e consultazione non sembrano, infine, estranei all’ufficio pubblico del quale è investita la circoscrizione.

Non è minimizzando la funzione delle circoscrizioni che si rende un buon servizio alle realtà locali e al contenuto dei diritti di voto cui aspirano, il più delle volte a giusto titolo, gli stranieri residenti.

P.Q.M.

Nei sensi che precedono è il parere.

Il Segretario
delle Sezioni Riunite
(Licia Grassucci)
Il Presidente delle Sezioni Riunite
(Giovanni Ruoppolo)

Depositato in Segreteria il 4 agosto 2005