Con la presente sentenza la seconda sezione della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che l’Ungheria abbia
violato gli artt. 9 e 11 CEDU nell’adottare una legislazione sul
riconoscimento delle confessioni religiose che ha privato le
confessioni ricorrenti dello
status di cui godevano nella
vigenza della precedente legislazione e dei correlativi diritti.
In particolare, la Corte di Strasburgo ha statuito per la prima volta
che sussiste, in capo agli Stati, un obbligo positivo (positive
obligation) di adottare un sistema di riconoscimento giuridico
delle comunità religiose che faciliti l’acquisizione
della personalità giuridica da parte di queste, precisando che
gli artt. 9 e 11 CEDU non garantiscono tuttavia il diritto ad ottenere
un determinato status.
È stato, inoltre,
statuito che l’art. 9 CEDU non attribuisce alle comunità
religiose il diritto ad ottenere sovvenzioni dallo Stato ma, allo
stesso tempo, pone un obbligo in capo a quest’ultimo di adottare
una legislazione non discriminatoria ove intenda accordare a
confessioni religiose contributi o altri vantaggi.
Nel
caso di specie i Giudici hanno ritenuto non compatibile con gli artt.
9 e 11 CEDU la legge ungherese n. CCVI del 2011 nella misura in cui ha
previsto due livelli di riconoscimento delle comunità religiose
(chiese giuridicamente riconosciute e organizzazioni svolgenti
attività religiose), attribuendo certi vantaggi solo alle
prime, ed ha degradato le confessioni religiose ricorrenti dallo
status di chiese, goduto nella vigenza della legislazione
previgente, a quello di organizzazioni svolgenti attività
religiose, disponendo altresì che lo status di chiesa
giuridicamente riconosciuta possa essere ottenuto solo previa
approvazione del Parlamento nazionale, col voto favorevole di due
terzi dei suoi componenti.
[La Redazione di OLIR.it ringrazia
per la segnalazione del documento e la stesura del relativo Abstract
Mattia F. Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore]