Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 30 giugno 2014

La Corte Suprema degli Stati Uniti, con una maggioranza di 5 a
4, ha deciso che l’obbligo per il datore di lavoro, previsto
dall’Obamacare, di stipulare un’assicurazione sanitaria
per i propri dipendenti che copra anche le spese per certe forme di
contraccezione e l’aborto può violare la libertà
religiosa di società commerciali a ristretta compagine sociale
(“closely held for-profit corporations”), ai sensi del
Religious Freedom Restoration Act.

Ritenuto che tale obbligo
limiti la libertà religiosa, la Corte ha rilevato come sussiste
un convincente interesse governativo a garantire l’accesso
gratuito ai metodi contraccettivi oggetto di causa, eccependo
però che il Governo ha mancato di provare che la disciplina
dell’Obamacare sia il mezzo meno restrittivo per perseguire tale
interesse governativo.
In particolare, con specifico
riferimento alla tutela della libertà religiosa di una
società for-profit, i Giudici hanno osservato come tale
libertà sia assicurata agli imprenditori individuali, per cui
non vi sarebbe ragione di non garantirla ai medesimi soggetti qualora
decidano di esercitare l’attività d’impresa in
forma societaria, tenuto conto che la tutela dei diritti
costituzionali riconosciuta alle società ha lo scopo ultimo di
proteggere i diritti costituzionali dei soci della medesima
società.
La Corte ha, poi, ritenuto che la
libertà religiosa vada riconosciuta alle società
for-profit, al pari degli enti non profit, dato che esse, oltre a
finalità lucrative, ne possono perseguire altre, anche di
carattere ideale ed altruistico [Si ringrazia per la segnalazione del
documento e la stesura del relativo abstract M.F. Ferrero,
Università Cattolica del Sacro Cuore]


Sul tema si
veda in OLIR.it: il Focus "Libertà
religiosa e attività imprenditoriale for profit. Alcuni recenti
casi di obiezione di coscienza negli Stati Uniti"
, di M. F.
Ferrero (Newsletter OLIR.it n. 3/2014)

Sentenza 21 maggio 2014, n.11226

La dichiarazione di nullità del matrimonio per esclusione da
parte di uno solo dei coniugi del bonum prolis non preclude la
delibazione della sentenza ecclesiastica, quando di quella esclusione
fosse a conoscenza l'altro coniuge o quando vi siano stati chiari
elementi rivelatori di tale atteggiamento psichico conoscibili con
l'uso della normale diligenza.

Sentenza 19 maggio 2014, n.10956

Nel procedimento di delibazione la domanda che una delle parti
introduce con citazione (come richiesto dall'art. 4, lett. b), del
protocollo addizionale all'accordo tra Repubblica italiana e Santa
Sede del 18 febbraio 1984, esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121)
dinanzi alla Corte di appello è soggetta alle regole del
procedimento ordinario, ivi comprese quelle relative al termine di
comparizione di cui all'art. 163 bis c.p.c.
Tale norma,
allo scopo di assicurare il diritto di difesa della controparte,
impone infatti che fra la data della notificazione della citazione e
la data della prima udienza di comparizione trascorra un congruo
termine (dilatorio) minimo, pari a 90 giorni, tenendo conto per
consolidato orientamento giurisprudenziale anche della sospensione
feriale dei termini processuali (Nel caso specie, non essendo stato
osservato il termine di novanta giorni liberi, poichè nel
relativo computo veniva calcolato anche il periodo di sospensione
feriale dei termini processuali, la Suprema Corte ha accolto il
ricorso e rinviato alla Corte d'Appello).

Sentenza 18 marzo 2014

La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5
luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari
opportunità e della parità di trattamento fra uomini e
donne in materia di occupazione e impiego, in particolare agli
articoli 4 e 14, deve essere interpretata nel senso che non
costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare
la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di
maternità a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante
un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre
committente. Analogamente, la direttiva
2000/78/CE
del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un
quadro generale per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel
senso che non costituisce una discriminazione fondata
sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo
retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo
di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una
gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità
surrogata.

Sentenza 12 giugno 2014, n.33203/08

The Court reiterates that the right of believers to freedom of
religion, which includes the right to manifest one’s religion in
community with others, encompasses the expectation that believers will
be allowed to associate freely, without arbitrary State intervention.
A decision to dissolve a religious community amounts to an
interference with the right to freedom of religion under Article 9 of
the Convention interpreted in the light of the right to freedom of
association enshrined in Article 11.

Ordinanza 14 aprile 2014

I cartelli, apposti da una amministrazione comunale, che recano la
scritta ‘‘NO AL VOLTO COPERTO, (salvo giustificati motivi)
’’ non appaiono discriminatori, secondo il giudice adito,
né con riferimento all’origine etnica né per
quanto riguarda la fede religiosa dei destinatari. Secondo la Corte
tale divieto appare infatti un’espressione generale e rivolta
indifferenziatamente alla totalità dei cittadini che leggono il
suddetto cartello. Ne consegue che né la dimensione ridotta
dell’espressione ‘‘(salvo giustificati motivi)
’’ né la mancanza, di seguito ad essa, della frase
‘‘ivi compresi i motivi di carattere
religioso’’ assumono a propria volta un significato
discriminatorio.