Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 17 luglio 2014, n.16380

Ai fini specifici che rilevano in questa sede, ovvero la
composizione del contrasto giurisprudenziale in merito alla fatto se
la convivenza prolungata possa rappresentare una condizione di
violazione dell’ordine pubblico interno (ostativa dunque della
dichiarazione d’efficacia nell’ordinamento civile della
sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice
ecclesiastico), il Collegio ritiene di potere prendere a riferimento
– in ragione delle strette analogie tra le due fattispecie
– i commi 1 e 4 dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983
(Diritto del minore ad una famiglia) nel testo sostituito
dall’art. 6, comma 1 della legge n. 149 del 2001, secondo i
quali “L’adozione è consentita a coniugi uniti in
matrimonio da almeno tra anni". Al riguardo, la Corte
costituzionale, chiamata a pronunciarsi tra l’altro sulla
legittimità di tale disposizione originaria, nella parte in cui
disponeva che ai fini della adottabilità che i coniugi
potessero vantare anche una convivenza prematrimoniale di almeno 10
anni, ha sul punto precisato di appoggiare la “scelta adottata
dal legislatore italiano che, al pari di numerosi legislatori europei,
intende il matrimonio … non solo come ‘atto
costitutivo’ ma anche come ‘rapporto giuridico’,
vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza
matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere
insieme”; ed ha dichiarato infine che “il criterio dei tre
anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo
presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto
matrimoniale” (n. 2 delle considerazioni in diritto, della
sentenza n. 281 del 1994): dalla lettura di tali disposizioni pare
evidente la loro possibile riferibilità alle fattispecie in
esame (in particolare, gli argomenti fondati sulla distinzione
matrimonio-atto e matrimonio rapporto, sulla valorizzazione della
convivenza coniugale con le caratteristiche di stabilità ed
omogeneità, e soprattutto sul criterio dei tre anni successivi
alle nozze). Ciò porta ad affermare che la convivenza dei
coniugi, protrattasi per almeno tra anni dalla celebrazione del
matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica
disciplinata da norme di “ordine pubblico interno
italiano”, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1 della
Costituzione e del principio supremo di laicità dello Stato,
osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle
sentenze di nullità del matrimonio concordatario.


[così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle
Sezioni Unite Civili, il 3 dicembre 2013. Depositata in cancelleria il
17 luglio 2014]


cfr. in OLIR.it.
Corte
di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza n. 1780 del 2012

Corte
di Cassazione. Sezione I Civile, sentenza n. 9844 del 2012

Corte
di Cassazione. Sezione I Civile, sentenza n. 8926 del 2012

Corte
di Cassazione, Sezione, I Civile, sentenza n, 1343 del 2011

Corte
di Cassazione. Sezioni Unite Civili. Sentenza 24 giugno – 18 luglio
2008, n. 19809

Sentenza 17 luglio 2014, n.16379

Ai fini specifici che rilevano in questa sede, ovvero la
composizione del contrasto giurisprudenziale in merito alla fatto se
la convivenza prolungata possa rappresentare una condizione di
violazione dell’ordine pubblico interno (ostativa dunque della
dichiarazione d’efficacia nell’ordinamento civile della
sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice
ecclesiastico), il Collegio ritiene di potere prendere a riferimento
– in ragione delle strette analogie tra le due fattispecie
– i commi 1 e 4 dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983
(Diritto del minore ad una famiglia) nel testo sostituito
dall’art. 6, comma 1 della legge n. 149 del 2001, secondo i
quali “L’adozione è consentita a coniugi uniti in
matrimonio da almeno tra anni". Al riguardo, la Corte
costituzionale, chiamata a pronunciarsi tra l’altro sulla
legittimità di tale disposizione originaria, nella parte in cui
disponeva che ai fini della adottabilità che i coniugi
potessero vantare anche una convivenza prematrimoniale di almeno 10
anni, ha sul punto precisato di appoggiare la “scelta adottata
dal legislatore italiano che, al pari di numerosi legislatori europei,
intende il matrimonio … non solo come ‘atto
costitutivo’ ma anche come ‘rapporto giuridico’,
vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza
matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere
insieme”; ed ha dichiarato infine che “il criterio dei tre
anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo
presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto
matrimoniale” (n. 2 delle considerazioni in diritto, della
sentenza n. 281 del 1994): dalla lettura di tali disposizioni pare
evidente la loro possibile riferibilità alle fattispecie in
esame (in particolare, gli argomenti fondati sulla distinzione
matrimonio-atto e matrimonio rapporto, sulla valorizzazione della
convivenza coniugale con le caratteristiche di stabilità ed
omogeneità, e soprattutto sul criterio dei tre anni successivi
alle nozze). Ciò porta ad affermare che la convivenza dei
coniugi, protrattasi per almeno tra anni dalla celebrazione del
matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica
disciplinata da norme di “ordine pubblico interno
italiano”, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1 della
Costituzione e del principio supremo di laicità dello Stato,
osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle
sentenze di nullità del matrimonio concordatario.

[Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni
Unite Civili, il 3 dicembre 2013. Depositata in cancelleria il 17
luglio 2014]


Si veda:
Ordinanza interlocutoria 14 gennaio 2013, n. 712


cfr. in OLIR.it.

Ordinanza 03 luglio 2014

The Supreme Court ruled that Wheaton College doesn’t have to
abide by the Obamacare contraceptive coverage as long as the Christian
school tells the Obama administration that it has a religious
objection to providing birth control to its employees and students.

Sentenza 03 luglio 2014, n.7068

Osserva il Collegio che la valutazione compiuta dal Governo in ordine
al carattere non confessionale dell’Associazione ricorrente (nel
caso di specie, UAAR), in quanto richiama una concezione di
confessione religiosa avente un contenuto positivo e, quale
presupposto, “un fatto di fede rivolto al divino” –
escludendo per converso da tale nozione un contenuto negativo rivolto
ad escludere l’esistenza del trascendente e del divino – non
sembra manifestamente inattendibile o implausibile, risultando
viceversa coerente con il significato che, nell’accezione
comune, ha la religione, quale insieme delle credenze e degli atti di
culto che legano la vita di un individuo o di una comunità con
ciò che ritiene un ordine superiore e divino; tenuto poi conto
del fatto che la stessa UAAR si autodefinisce (nello
"Statuto") "organizzazione filosofica non
confessionale", che "si propone di rappresentare le
concezioni del mondo razionaliste, atee o agnostiche, come le
organizzazioni filosofiche confessionali rappresentano le concezioni
del mondo di carattere religioso", con ciò
autoqualificandosi essa stessa al di fuori dell'ambito delle
confessioni religiose, deve ritenersi infondato il ricorso presentato
contro il provvedimento di diniego dell'avvio delle trattatative
per stipulare una intesa con lo Stato ex art. 8, comma 3 della
Costituzione.


In OLIR.it:
Corte di
Cassazione. Sezioni Unite
Civili. Sentenza
28 giugno 2013, n. 16305

Consiglio
di Stato. Sentenza 18 novembre 2011, n. 6083