Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 settembre 2002, n.39727

La distruzione di un affresco appartenente ad una Parrocchia integra
il reato di cui all’art. 733 c.p., in base al quale il soggetto attivo
può essere soltanto il proprietario della cosa danneggiata o
distrutta. Tale reato risulta, quindi, confifurabile in capo al
parroco, rappresentante dell’ente, mentre non possono essere accettate
interpretazioni estensive o applicazioni analogiche della norma
suddetta, tali da ricomprendere tra i destinatari del precetto
soggetti privi della titolarità di diritti reali o di possesso sui
beni protetti.

Sentenza 26 marzo 2002, n.15178

Non è considerato necessario, per la sussistenza del reato di
ingiuria e diffamazione, il c.d. “animus iniuriandi vel diffamandi”,
essendo invece sufficiente, come notato dal ricorrente, il dolo
generico (che, è stato affermato, può assumere la forma anche del
dolo eventuale). È dunque bastevole che vengano usate consapevolmente
espressioni il cui valore, socialmente diffuso, sia obiettivamente
offensivo, espressioni, insomma, adoperate in base al significato che
esse vengono ad assumere presso la stragrande maggioranza dei
consociati. Va da sè che, quando si accusi taluno di comportamenti
penalmente sanzionati, la offesa è innegabile, in quanto il disvalore
della azione cui si riferisce l’espressione è, non solo socialmente
condiviso, ma giuridicamente stabilito. Nè la qualità o lo status
colui che adopera la espressione ingiuriosa può assumere rilievo
discriminante, a meno che tale potere “pedagogico” (che comunque deve
essere esercitato entro i limiti della continenza) gli sia
riconosciuto dal destinatario o dal l’ordinamento.

Sentenza 13 marzo 2003, n.20739

Il reato di “turbatio sacrorum”, di cui all’art. 405 c.p., può essere
perfezionato da due condotte antigiuridiche: l’impedimento della
funzione, consistente nell’ostacolare l’inizio o l’esercizio della
stessa fino a determinarne la cessazione, oppure la turbativa della
funzione, che si verifica quando il suo svolgimento non avviene in
modo regolare. Nel caso di specie la Corte ha ravvisato il suddetto
reato nella turbativa causata dal comportamento dell’imputato, che
aveva, nel corso della celebrazione della Messa, coinvolto e
disturbato molti fedeli dal loro raccoglimento.

Sentenza 16 ottobre 2003, n.5877

Risulta manifestamente infondata, in riferimento agli art. 2, 3 e 32
cost., la questione di legittimità costituzionale delle leggi 27
maggio 1991 n. 165, 4 febbraio 1966 n. 51, 6 giugno 1939 n. 891, 20
marzo 1968 n. 419, nella parte in cui, prevedendo come obbligatorie le
vaccinazioni, non terrebbero in considerazione i diritti inviolabili
dell’uomo come singolo ed imporrebbero ai singoli trattamenti sanitari
che potrebbero essere non sempre adatti allo stato di salute dei
medesimi, senza lasciare alcuna possibilità di scelta, perchè,
essendo tali leggi finalizzate alla tutela della salute collettiva e
di quella dei singoli, deve ritenersi non irragionevole il
bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti nella materia delle
vaccinazioni obbligatorie effettuato dal legislatore, ben potendo la
posizione dei singoli essere tutelata attraverso il ricorso alle
esimenti di cui all’art. 4 legge 24 novembre 1981 n. 689, la cui
applicazione richiede però un rigoroso accertamento di fatto, rimesso
al giudice di merito.

Sentenza 28 marzo 2003, n.11226

Il dovere di tutelare la salute del minore, che la funzione
genitoriale comporta non può risolversi nella negazione – per propria
diversa convinzione o per ignoranza (da intendersi nel senso di
omissione di ogni diligenza volta ad acquisire le necessarie
informazioni) – dell’obbligo di effettuare la vaccinazione
obbligatoria, ma deve concretarsi nella indicazione delle specifiche
ragioni che, nel caso singolo, rendono la vaccinazione sconsigliata o
pericolosa.

Sentenza 07 maggio 2003, n.8828

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Nel vigente assetto
dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la
Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale deve essere inteso
come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un
valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale
soggettivo.
Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un
interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è
soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla
riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone,
pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché
il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno
non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore
della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale,
ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei
diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica
implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo
configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di
riparazione del danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto non coincide con
la lesione dell’interesse protetto, bensì, in quanto danno –
conseguenza, consiste in una perdita, ossia nella privazione di un
valore (non economico, ma) personale, costituito dall’irreversibile
venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione
delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità
con le quali essi normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo
familiare; perdita, privazione e preclusione che, in relazione alle
diverse situazioni, possono avere diversa ampiezza e consistenza in
termini di intensità e protrazione nel tempo. Da tanto discende che,
non essendo configurabile nella specie un danno “in re ipsa”, esso
deve essere allegato e provato da chi vi abbia interesse, senza che,
peraltro, sia precluso il ricorso a valutazioni prognostiche ed a
presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti
dall’interessato), venendo in considerazione un pregiudizio che,
diversamente dal danno morale soggettivo, si proietta nel futuro, e
dovendosi inoltre avere riguardo al periodo di tempo nel quale si
sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che
l’illecito ha invece reso impossibile.
Deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale
soggiaccia al limite di cui agli art. 2059 c.c. e 185 c.p. allorché
vengano lesi valori della persona costituzionalmente garantiti;
pertanto è risarcibile con liquidazione equitativa il danno non
patrimoniale da uccisione di congiunto consistente nella perdita
definitiva del rapporto parentale.

Sentenza 07 maggio 2003, n.8827

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Unica possibile forma di
liquidazione di ogni danno privo, come il danno biologico ed il danno
morale, delle caratteristiche della patrimonialità è quella
equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita
nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento
realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è
reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un
pregiudizio non economico. Di conseguenza non sussiste alcun ostacolo
alla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei prossimi
congiunti del soggetto che sia sopravvissuto a lesioni seriamente
invalidanti; nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume
posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale
deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi
in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso
nel danno morale soggettivo.
La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. va
tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento
generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di
duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto
come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della
persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale
e di quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno
biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una
lesione dell’integrità psico – fisica secondo i canoni fissati dalla
scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente
inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera
sofferenza psichica e del patema d’animo) nonché dei pregiudizi,
diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di
un interesse costituzionalmente protetto. Ne deriva che, nella
liquidazione equitativa dei pregiudizi ulteriori, il giudice, in
relazione alla menzionata funzione unitaria del risarcimento del danno
alla persona, non può non tenere conto di quanto già eventualmente
riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, pure esso
risarcibile, quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse,
ancorché il fatto non sia configurabile come reato. Infine il
riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, comma 1, cost.)
va inteso non già, restrittivamente, come tutela delle
estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quel nucleo,
con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio
senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell’individuo
alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale
ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a
gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché il
fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto,
provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed
una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che
dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente
nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione
all’esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari)
bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti,
deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore
apprestata dall’art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse
della persona costituzionalmente protetto.

Sentenza 18 dicembre 2003, n.1

È costituzionalmente illegittimo l’art. 52 comma 17 della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), secondo
il quale a decorrere dall’1 gennaio 2002, le disposizioni di cui alla
legge 426/71 (Disciplina del commercio), e successive modificazioni,
“non si applicano alle sagre, fiere e manifestazioni di carattere
religioso, benefico o politico”. Essa, infatti, afferma la Corte, non
può essere ricondotta ad alcun ambito di competenza dello Stato,
perchè la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 ha mutato
l’ordine dei rapporti tra legislazione statale e legislazione
regionale, nel senso che la potestà legislativa dello Stato sussiste
solo ove dalla Costituzione sia ricavabile un preciso titolo di
legittimazione. Inoltre l’art. 27 lett. e) del d.lg. 31 marzo 1998 n.
114, nel disciplinare il commercio su aree pubbliche, qualifica come
fiera la manifestazione caratterizzata dall’afflusso, nei giorni
stabiliti, sulle aree pubbliche o private, di operatori autorizzati ad
esercitare il commercio su aree pubbliche, in occasione di particolari
ricorrenze, eventi o festività, e stabilisce che la finalità
religiosa, benefica o politica da cui sia connotata una fiera o una
sagra non può valere, di per sè, a modificarne la natura e dunque a
mutare l’ambito materiale cui la disciplina di tali manifestazioni
inerisce, che non può non essere la disciplina del commercio.

Sentenza 22 gennaio 2003, n.3892

La controversia in merito alla validità o all’efficacia dell’atto
costitutivo di una fondazione (nella specie impugnato per simulazione
e per frode alla legge) rientra, anche dopo che sia intervenuto il
provvedimento di riconoscimento della personalità giuridica, nella
giurisdizione del giudice ordinario, poichè il negozio di fondazione
costituisce un atto di autonomia privata, che non partecipa della
natura del provvedimento amministrativo di riconoscimento, ma è
regolato in relazione alla sua validità ed efficacia dalle norme
privatistiche. Inoltre, ove si tratti di una fondazione ecclesiastica,
non è di ostacolo la disposizione dell’art. 20, comma 1, legge 20
maggio 1985, n. 222, perchè tale norma si limita a disciplinare le
modalità con le quali viene recepito nell’ordinamento statuale il
provvedimento dell’autorità ecclesiastica competente che sopprime
l’ente o ne dichiara l’avvenuta estinzione, senza incidere sulla
distinzione tra atto negoziale di costituzione dell’ente e
provvedimento ecclesiastico che crea o sopprime la persona giuridica
nell’ambito di quell’ordinamento, dovendosi d’altra parte escludere
che il sindacato sulla validità o sull’efficacia del primo, da
svolgere secondo le norme civilistiche, menomi il potere riservato
all’autorità ecclesiastica di pronunciare sulla soppressione
dell’ente.

Ordinanza 02 ottobre 2003, n.17087

La controversia instaurata da un dipendente dell’Associazione dei
Cavalieri italiani del Sovrano militare Ordine di Malta
(A.C.I.S.M.O.M.) per ottenere l’annullamento della revoca, disposta
dall’Associazione, della quattordicesima mensilità e dell’accollo dei
contributi previdenziali, appartiene alla giurisdizione del giudice
italiano, poichè si tratta di una domanda che non coinvolge in alcun
modo aspetti relativi all’organizzazione dell’ente pubblico attraverso
cui opera lo Stato estero per il perseguimento dei suoi fini
istituzionali.