Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 28 gennaio 2002, n.10359

L’esonero dall’obbligo di assunzione dei lavoratori mediante l’ufficio
pubblico di collocamento, previsto dall’art. 11, comma 4, legge n. 264
del 1949 (come sostituito dall’art. 26 legge n. 56 del 1987) per le
amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici (tranne che per le
assunzioni di salariati senza espletamento di pubblico concorso), non
può essere applicato per le assunzioni, tramite procedura
concorsuale, degli insegnanti degli istituti scolastici privati
legalmente riconosciuti, posto che la “pubblicità” del concorso non
vale a trasformare la natura privata di tali datori di lavoro.

Sentenza 30 gennaio 2003, n.42

Si dichiara l’inammissibilità della richiesta di referendum popolare
volto all’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell’art. 1
l. 10 marzo 2000 n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni
sul diritto allo studio e all’istruzione), richiesta peraltro
dichiarata legittima, con ordinanza 9 dicembre 2002, dall’ufficio
centrale costituito presso la Corte di cassazione, con la
denominazione “Scuola privata: abrogazione di norme relative a
contributi statali e di norme agevolatrici in materia di personale
docente”. Il quesito referendario risulta infatti, in primo luogo,
intimamente contraddittorio, in quanto, con la richiesta di
abrogazione delle parole “e dalle scuole paritarie private”, si
propone lo scopo di espungere dal sistema nazionale di istruzione le
scuole paritarie, le quali, al contrario, continuerebbero a farne
parte integrante alla stregua della normativa più dettagliata,
contenuta nel medesimo art. 1, non toccata dal quesito: ne risulta in
tal modo investita la stessa “ratio” del quesito, giacché una volta
che il legislatore abbia istituito il sistema scolastico nazionale,
espungere da questo una categoria di scuole che, obbligate a
conformarsi ai prescritti standard qualitativi, restano invece
assoggettate al medesimo e comune regime richiesto dall’art. 33 comma
4 cost. ai fini della parità, risulta non solo contraddittorio ma
anche discriminatorio, non essendo concepibile, in un regime di
esclusione concettuale dal sistema nazionale quale è quello cui tende
la richiesta referendaria, una parità effettiva che non si riduca a
mera declamazione verbale, poiché le formulazioni di principio non
sono mai vuote e inutili proclamazioni, ma enunciati giuridici capaci
di immettere nell’ordinamento virtualità interpretative altrimenti
assenti e di ovviare alle eventuali imprecisioni o alle lacune in
questo riscontrabili. Il quesito referendario risulta altresì
disomogeneo, in quanto unifica oggetti rispetto ai quali la scelta
dell’elettore non può essere costretta in un solo quesito, quali, da
un lato, l’eliminazione dell’agevolazione che viene assicurata alle
scuole paritarie, consistente nel potersi avvalere anche delle
prestazioni volontarie di personale docente o di prestatori d’opera
professionale e, dall’altro, la preclusione del sostegno alle famiglie
degli studenti delle scuole statali e non statali, che deriva dal
rimborso della spesa sostenuta e documentata per l’istruzione
scolastica.

Ordinanza 07 ottobre 2002, n.423

È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 33 comma 4 cost.,
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 legge 10
dicembre 1997 n. 425, il quale, disciplinando lo svolgimento degli
esami di idoneità alle varie classi dei corsi di studio nelle scuole
pareggiate o legalmente riconosciute, consente al candidato esterno di
presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente
superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo di
licenza o promozione dal candidato stesso posseduto, cosi riservando
alle scuole non statali una disciplina deteriore rispetto a quella
delle scuole statali. La regola generale vigente in materia è,
infatti, quella che ammette la possibilità di abilitazione al salto
di classe per un solo anno, sia con riguardo ai candidati che sono
alunni frequentanti scuole statali o non statali pareggiate o
legalmente riconosciute, sia con riguardo ai candidati esterni che si
presentano per gli esami di idoneità presso istituti non statali,
pareggiati o riconosciuti, mentre è l’art. 193 comma 2 d.lg. 16
aprile 1994 n. 297, che deroga a tale quadro generale, consentendo ai
candidati privatisti di anticipare più di un anno scolastico, sia
pure nel rispetto della durata temporale del corso normale degli
studi, deroga che, per effetto della disposizione censurata, è non
irragionevolmente limitata dal legislatore – fino alla realizzazione
della piena parità tra scuole statali e scuole non statali,
subordinata alla idoneità di queste ultime, secondo quanto stabilito
dalla legge 10 marzo 2000 n. 62 per le scuole paritarie, ad adempiere
precise condizioni per il riconoscimento della piena parità – agli
esami di abilitazione sostenuti presso istituti o scuole statali.

Sentenza 14 novembre 2002, n.574

Il controllo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle
decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è
circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione, ossia ai vizi
concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato
rispetto dei limiti esterni della giurisdizione del giudice
amministrativo, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio
della funzione giurisdizionale, cui attengono gli errori in iudicando,
giacché detti errori esorbitano dai confini dell’astratta valutazione
di sussistenza degli indici definitori della materia ed attengono
all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla
legge al giudice amministrativo, investendo quindi l’accertamento
della fondatezza o meno della domanda. (Nella specie – chiamato a
giudicare della legittimità del diniego di conferma, da parte del
preside di istituto scolastico, di un insegnante di religione a
seguito della revoca della dichiarazione di idoneità da parte
dell’ordinario diocesano e del conferimento dell’incarico ad altro
insegnante, in un caso nel quale l’ordinario diocesano aveva,
contestualmente alla revoca, riconosciuto detta idoneità al primo
insegnante per altro istituto scolastico – il Consiglio di Stato aveva
annullato l’atto impugnato, ritenendo la dichiarazione di idoneità e
di revoca da parte del vescovo atto endoprocedimentale finalizzato al
provvedimento finale, in quanto tale suscettibile di valutazione sotto
il profilo della conformità ai criteri di ragionevolezza e di non
arbitrarietà; le S.U., investite del ricorso dell’istituto
scolastico, lo hanno dichiarato inammissibile, in quanto risolventesi
in una non consentita prospettazione di “errores in iudicando”).

Sentenza 15 gennaio 2002, n.6338

In tema di i.v.a., l’attività di bar caffè, con mescita di bevande o
somministrazione di pasti ai propri associati, effettuata verso il
pagamento di corrispettivi specifici, costituisce attività
commerciale assoggettabile a tributo, ai sensi dell’art. 4, commi 4 e
5 del d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo applicabile “ratione
temporis”), il quale esclude da tale obbligo soltanto le prestazioni
effettuate in conformità alle finalità politiche, sindacali,
religiose, assistenziali, culturali e sportive perseguite
dall’associazione. Specificamente nel vigore dell’art. 4 commi 4 e 5
d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, nella sua formulazione originaria
(applicabile nella specie “ratione temporis”), le cessioni di beni e
le prestazioni di servizi rese verso pagamento di corrispettivi
specifici in favore dei propri associati devono ritenersi escluse dal
regime i.v.a. solo se effettuate in conformità alle finalità
politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali e sportive
perseguite dall’associazione stessa.

Sentenza 18 maggio 2001, n.3931

In tema di i.r.pe.g., alla stregua del disposto dell’art. 111, comma
3, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, le prestazioni di servizi (e le
cessioni di beni) rese in favore dei propri partecipanti da una
associazione assistenziale, sia pure “verso pagamento di corrispettivi
specifici o di contributi supplementari, indipendentemente dalla loro
natura oggettiva e dalle modalità della relativa esecuzione, non si
considerano fatte nell’esercizio di attività commerciale all’unica
condizione della conformità di esse alle finalità istituzionali
dell’ente: e ciò in virtù di un dettato normativo inequivoco,
specificamente inteso ad istituire, fra l’altro in favore degli enti
del genere in argomento un trattamento agevolativo peculiare,
correlato ai fini di rilevanza sociale dagli stessi perseguiti,
ravvisati dal legislatore meritevoli di particolare tutela, e
consistente nell’escludere dalla formazione del reddito complessivo
degli enti medesimi i proventi delle cessioni di beni e delle
prestazioni di servizi considerate, ritenute, iuris ed de iure, non
effettuate nell’esercizio di attività commerciale.

Sentenza 04 giugno 2002, n.6620

I beni di arredo del cimitero, quali lampade e portafiori, ed in
definitiva tutta quella serie di arredi secondari da sempre rimessi
alla scelta (ed al soggettivo senso di pietas) dei soggetti privati,
sono beni del tutto alieni, anche strumentalmente, alla gestione del
servizio pubblico cimiteriale stricto sensu, e per i quali, fra
l’altro, non si riesce ad avvertire efficacemente la necessità di
garantire, anche per esigenze di decoro, l’assoluta uniformità
nell’ambito di un cimitero. Pertanto tali beni non sono sussumibili
nell’ambito del servizio pubblico cimiteriale e non risulta legittima
estrinsecazione delle attribuzioni dell’amministrazione comunale
provvedere con gara pubblica al relativo approvvigionamento.

Sentenza 18 ottobre 2002, n.3614

I dipendenti di enti di assistenza e beneficienza, nella specie i
dipendenti delle Opere pie israelitiche di Torino (passati, a seguito
della soppressione di queste ultime, alle dipendenze della Comunità
israelitica), assunti prima della entrata in vigore della legge n. 101
del 1989, mantengono il regime assicurativo pubblicistico che
sussisteva prima della privatizzazione del loro rapporto di lavoro.

Legge autonomica 25 luglio 2002, n.14

Ley autonómica 14/2002, de Promoción, Atención y Protección a la Infancia (BOE de 17 agosto 2002, núm. 197) (Omissis) Artículo 22. Derecho a la libertad ideológica y de creencias. 1. Los poderes públicos de la Comunidad Autónoma desarrollarán las actuaciones precisas para hacer efectivo el ejercicio de los derechos a la libertad ideológica, de conciencia […]

Sentenza 08 giugno 2005, n.12010

In tema di delibazione delle sentenze matrimoniali ecclesiastiche, la
presunta violazione dell’articolo 6, par. 1 della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo non può essere proposta per la prima
volta in sede di ricorso in Cassazione, qualora tale censura non sia
stata già compresa nel tema del decidere del giudizio d’appello
(Cassazione, 5150/03, 194/02, 10902/01). Nè detta questione risulta
rilevabile d’ufficio, in quanto attinente alle modalità di un
giudizio svoltosi davanti a tribunali diversi da quelli dello Stato, i
cui eventuali vizi debbono essere dedotti e provati ai sensi dei nn. 2
e 3, del comma 1 dell’articolo 797 Cpc, il quale risulta connotato
da ultrattività in subiecta materia (Cassazione, 8764/03), nonostante
l’avvenuta abrogazione (articolo 73, legge 218/95), perché
espressamente richiamato dall’articolo 4, lett. b) del Protocollo
addizionale all’Accordo 18 febbraio 1984 fra la Repubblica Italiana
e la Santa sede, ratificato con legge 121/85. Al giudice d’appello
è inoltre inibito, in sede di delibazione della sentenza dichiarativa
della nullità matrimoniale per simulazione del consenso, il riesame
del merito del materiale probatorio acquisito nel giudizio
ecclesiastico circa l’effettiva esistenza della riserva mentale
(Cassazione, 4311/99, 2325/99, 2330/94), dovendo altresì quest’ultimo
motivare – in ordine alla conoscenza o conoscibilità di essa da parte
dell’altro coniuge – sulla base delle risultanze emergenti dalla
sentenza delibanda.