Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Risposta a interrogazione 21 settembre 2005

Risposta del Ministero dell’Interno Pisanu a interrogazione degli On.li Gibelli ed altri: “Chiusura della scuola di via Quaranta”, 21 settembre 2005. Signor Presidente, Onorevole Colleghi, ieri mattina è proseguita la protesta di genitori e alunni della cosiddetta scuola islamica di via Quaranta: in tutto, un centinaio di persone. Verso le 10,30, alcuni genitori hanno segnalato […]

Interrogazione a risposta 20 settembre 2005

Sentato della Repubblica. Interrogazione a risposta immediata annunziata il 20 settembre 2005. GIBELLI, CAPARINI, GUIDO GIUSEPPE ROSSI, DARIO GALLI, LUCIANO DUSSIN, BALLAMAN, BIANCHI CLERICI, DIDONÈ, GUIDO DUSSIN, ERCOLE, FONTANINI, GIANCARLO GIORGETTI, LUSSANA, FRANCESCA MARTINI, PAGLIARINI, PAROLO, POLLEDRI, RIZZI, RODEGHIERO, SERGIO ROSSI, STUCCHI e VASCON. Al Ministro dell’interno. Per sapere – premesso che: il gruppo parlamentare […]

Sentenza 10 maggio 2005, n.2234

L’art. 5, comma 1, dell’Accordo che apporta modificazioni al
Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, firmato il 18 febbraio
1984 e ratificato con la L. 25 marzo 1985 n. 121, stabilisce che
“gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati,
espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con
la competente autorità eccesiastica”. Pertanto, posto che la
qualificazione dei beni finalizzati nel senso voluto dalla norma
assume rilevanza nell’ordinamento statale poichè introduce una
disciplina derogatoria speciale, essendo la deputatio ad cultum un
atto proprio dell’Autorità ecclesiastica, la verifica della
sussistenza di tale presupposto deve essere condotta alla luce del
Codice di Diritto Canonico. In particolare, il canone 1208 stabilisce,
al riguardo, che “della compiuta dedicazione o benedizione della
Chiesa si rediga un documento e se ne conservi una copia nella Curia
diocesana ed un’altra nell’archivio della Chiesa”. Ed il canone
1215 precisa ancora che “non si costruisca alcuna Chiesa senza il
consenso scritto del Vescovo Diocesano”. In mancanza di tale
documento che non ammette equipollenti, da redigere contestualmente
alla dedicatio o benedictio e conservare nei modi indicati, come
previsto e richiesto dal canone n. 1208, non può dunque ritenersi
integrato il presupposto richiesto per l’applicazione della
particolare disciplina in esame.

Sentenza 11 aprile 2005, n.3687

Il possesso del titolo di studio di “Baccalaureato in Sacra
Teologia”, riconosciuto quale diploma universitario in “Sacra
Teologia” dall’ordinamento italiano, per effetto della L. n.
121/85 e del D.P.R. n. 175/94, giusto scambio di note tra l’Italia e
la Santa Sede del 25.1.1994, non comporta che sia stata
automaticamente sancita anche una equipollenza dello stesso con
diplomi di laurea in altre discipline, prescritti come necessari e
sufficienti per la partecipazione a concorso pubblico per titoli ed
esami. Al riguardo, occorre infatti un atto di riconoscimento
generale, che stabilisca detta equipollenza mediante legge o decreto
ministeriale. Nè quest’ultima può ritenersi sussistente solo in
forza di parere espresso dal C.U.N. in un caso analogo, posto che
detto organo elettivo di rappresentanza delle autonomie universitarie
nient’altro rappresenta che un sia pure autorevole orientamento,
indirizzato al Ministro su molte questioni relative ai settori
scientifico disciplinari ed agli atenei, ivi comprese quelle inerenti
alla equipollenza dei titoli culturali accademici.

Sentenza 25 maggio 2005, n.6634

L’art. 49, della legge n. 222 del 20 maggio 1985, recante
“Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il
sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”, prevede
l’istituzione di “una apposita commissione paritetica, nominata
dall’autorità governativa e dalla Conferenza episcopale italiana”,
finalizzata – al termine di ogni triennio successivo al 1989 – alla
“revisione dell’importo deducibile” delle erogazioni liberali in
favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero e alla
“valutazione del gettito” derivante dall’otto per mille, per la
predisposizione “eventuali modifiche”. Detta Commissione svolge dunque
un’attività essenzialmente propositiva, i cui destinatari non possono
che essere il Governo o il Parlamento, quali titolari rispettivamente
della funzione di indirizzo politico e di quella legislativa, in
ragione sia della incidenza degli apprezzamenti di detta Commissione
sulle concrete modalità di funzionamento del sistema di finanziamento
in questione, sia della mancata attribuzione a tale Commissione di una
funzione amministrativa in senso stretto (non risultando dalla legge
che ad essa sia demandata la cura di un interesse pubblico specifico
mediante un procedimento destinato a sfociare in un qualche tipo di
atto provvedimentale). Pertanto, posto che la giurisprudenza
amministrativa si è ormai pacificamente attestata nel senso della
inammissibilità di una domanda di accesso che non abbia “ad oggetto
documenti ed attività qualificabili come amministrative, quanto meno
in senso oggettivo e funzionale”, negando la proponibilità dell’actio
ad exhibendum in relazione ad atti attinenti l’esercizio della
funzione giurisdizionale “o di altro potere dello Stato diverso da
quello amministrativo” (così Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, n.
4471), deve escludersi nel caso di specie l’accesso ai documenti
relativi alla suddetta Commissione, la cui peculiare composizione –
sei membri, nominati per metà dalla Conferenza episcopale italiana e
per metà dal Presidente del Consiglio dei ministri – dimostra, anche
sotto il profilo soggettivo, l’estraneità della stessa
all’organizzazione amministrativa in senso proprio.

Sentenza 16 giugno 2005, n.9378

Gli incarichi di insegnamento della religione non comportano la
copertura, sia pure provvisoria, di posti previsti in organico o
comunque corrispondenti a quelli individuati a mezzo delle classi di
concorso. Tale interpretazione appare conforme alla normativa
contenuta nella L. 25 marzo 1985 n. 121 (di ratifica ed esecuzione
dell’accordo che apporta modificazioni al Concordato Lateranense) e
nel punto 5 lett. b) del relativo protocollo addizionale, i quali
configurano chiaramente l’insegnamento della religione come meramente
facoltativo e prevedono che per esso la provvista di personale avvenga
in base ad un procedimento del tutto peculiare, nel corso del quale
assume funzioni preminenti un soggetto del tutto estraneo alla
Pubblica amministrazione, quale l’Ordinario diocesano. Pertanto, posto
che l’art. 2, comma 4 della L. 3 maggio 1999 n. 124 prevede – ai fini
dell’ammissione alla sessione riservata di esami per l’insegnamento –
che il servizio precedentemente prestato dai docenti concerna
“insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relativi a classi di
concorso”, si deve ritenere pienamente legittimo il provvedimento
dell’Amministrazione di esclusione, da tale abilitazione riservata,
degli insegnanti di religione, in forza della diversità di condizione
di questi ultimi rispetto a quella di tutti gli altri insegnanti
precari.

Sentenza 20 aprile 2005, n.1091

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche di
primo e secondo grado può essere affidato solamente a chi risulti in
possesso dei titoli di qualificazione professionale previsti dal
D.P.R. n. 751/1985. L’elenco di tali titoli, contenuto nel punto 4.3
dell’articolo 4, si apre, alla lettera a), con l’indicazione del
titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in teologia o
nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà
approvata dalla Santa Sede. Precisa però il successivo punto 4.5 che
la Conferenza episcopale italiana comunica al Ministero della pubblica
istruzione (oggi Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca) l’elenco delle facoltà e degli istituti che
rilasciano detti titoli. Tale disposizione deve essere interpretata
nel senso che esclusivamente i titoli accademici rilasciati dalle
facoltà o dagli istituti compresi negli elenchi comunicati dalla
C.E.I. hanno valore quale titolo di qualificazione professionale ai
fini dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche. L’eventuale valorizzazione a detti fini dei titoli
rilasciati da facoltà o istituti non compresi negli elenchi
comporterebbe infatti il rischio di ingerenze nella sfera di
attribuzioni riservate alla competenza della C.E.I. e vizio tale da
inficiare il provvedimento conclusivo della procedura concorsuale.

Parere 06 luglio 2005

L’art. 10 della Costituzione stabilisce che “la condizione giuridica
dello straniero”, cioè il suo status civile e politico, “è regolata
dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali ”
che, ai sensi dell’art. 80, se “sono di natura politica” o
“importano modificazioni di leggi” sono ratificati previa
autorizzazione legislativa dalle Camere. L’art. 117, inoltre,
riserva alla legislazione esclusiva dello Stato le materie, tra le
altre, della “condizione giuridica dei cittadini di Stati non
appartenenti all’Unione Europea”, dell'”immigrazione “, della
“legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane”. Tali norme dunque sono
univocamente coordinate tra loro e di contenuto tale da far ritenere
che la condizione giuridica degli stranieri e, in particolare, una
loro eventuale ammissione al voto, anche a livello comunale,
costituiscono materia riservata alla legislazione esclusiva dello
Stato, il quale può tuttavia delegare alle Regioni l’eventuale
relativa regolamentazione subordinata. In tema di attribuzione
dell’elettorato attivo e passivo agli stranieri non è pertanto
sufficiente richiamarsi genericamente alla natura “autonoma” degli
enti comunali, posto che – così nel vigente Titolo V come nelle
precedenti stesure – l’autonomia è in ogni caso coniugata e da
coniugarsi con gli altri principi fissati dalla Costituzione sopra
ricordati, i quali concorrono a definirne i contenuti.

Sentenza 02 settembre 2005, n.17710

Costituisce violazione del dovere di assistenza morale e materiale
sancito dall’art. 143, comma 2, c.c., oltre che del dovere di
collaborazione nell’interesse della famiglia, tale da giustificare la
pronuncia di addebito della separazione, la condotta del coniuge che
si traduca in fatti di violenza nei confronti dell’altro coniuge ed in
forme di persecuzione morale. In particolare, al fine
dell’addebitabilità della separazione, il comportamento di un
coniuge, rivolto ad imporre i propri particolari principi e la propria
particolare mentalità, può assumere rilevanza solo se si traduca in
violazione dei doveri discendenti dal matrimonio, o comunque sia
inconciliabile con i doveri medesimi, atteso che, in caso contrario, e
per quanto detti principi o mentalità siano criticabili, si resta
nell’ambito delle peculiarità caratteriali, le quali valgono a
spiegare le difficoltà del rapporto, ed eventualmente l’errore
originariamente commesso nella reciproca scelta, ma non integrano
situazioni d’imputabilità della crisi, nel senso previsto dall’art.
151, secondo comma, c.c. Ciò premesso, occorre sottolineare che il
dovere che entrambi i coniugi hanno di mantenere, istruire ed educare
la prole, sancito dall’art. 147 c.c., non impone obblighi soltanto nei
confronti dei figli, ancorché costoro siano ovviamente i primi
beneficiari del dovere stabilito dal legislatore a carico dei coniugi.
L’art. 144 stabilisce, infatti, l’obbligo per i coniugi di concordare
tra di loro l’indirizzo della vita familiare, sì che le scelte
educative e gli interventi diretti a risolvere i problemi dei figli
non possono che essere adottati d’intesa tra i coniugi. Un
atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ad alle richieste
dell’altro coniuge, a tratti violento ed eccessivamente rigido, può
tradursi, oltre che in una violazione degli obblighi del genitore nei
confronti dei figli, anche nella violazione dell’obbligo nei confronti
dell’altro coniuge di concordare l’indirizzo della vita familiare e,
in quanto fonte di angoscia e dolore per l’altro coniuge, nella
violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito
dall’art. 143 c.c. Ove tale condotta si protragga e persista nel
tempo, aprendo una frattura tra un coniuge e i figli ed obbligando
l’altro coniuge a schierarsi a difesa di costoro, essa può divenire
fonte d’intollerabilità della convivenza e rappresentare, in quanto
contraria ai doveri che derivano dal matrimonio sia nei confronti del
coniuge che dei figli in quanto tali, causa di addebito della
separazione ai sensi dell’art. 151, comma 2, c.c.

Disegno di legge 11 luglio 2005, n.5986

Camera dei Deputati. Proposta di legge, di iniziativa del deputato Perrotta, n. 5986 dell’11 luglio 2005: “Modifica agli articoli 299 e 404 del codice penale, in materia di offesa alla bandiera o alla religione di uno Stato estero” RELAZIONE ONOREVOLI COLLEGHI ! — La presente proposta di legge apporta modifiche a due articoli del codice […]