Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 03 ottobre 2008, n.37581

Considerata la sostanziale equivalenza tra discriminazione razziale e
ideologia fondata su superiorità o sull’odio razziale, la propaganda
della ideologia razziale incriminata dalla norma del 2006 (cfr. legge
24 febbraio 2006, n. 85, art. 13) deve ritenersi già prevista nella
norma del 1993 (cfr. legge 13 ottobre 1975, n. 654, art. 3), laddove
questa puniva non solo la diffusione di ideologie razziali, ma anche
l’incitamento alla discriminazione razziale, poichè la propaganda
altro non è che una diffusione di idee tendente a incitare al
mutamento delle idee e dei comportamenti del pubblico (nel caso di
specie, veniva ritenuto corretta l’interpetazione della Corte di
merito secondo cui i termini “diffonde” e “propaganda” debbono
ritenersi sostanzialmente equivalenti, posto che la diffusione di idee
nella rete si risolve in sostanza nella propaganda delle stesse)

Legge regionale 11 novembre 2008, n.31

L.R. Marche 11 novembre 2008, n. 31: "Interventi per la valorizzazione della funzione sociale ed educativa svolta dagli oratori e dagli enti religiosi che svolgono attività similari". (Bollettino Ufficiale della Regione Marche n. 108 del 20 novembre 2008) ARTICOLO 1 (Finalità e oggetto) 1. La Regione, sulla base dei principi di sussidiarietà, cooperazione, partecipazione e […]

Sentenza 10 ottobre 2008, n.24906

Non integra il concreto rischio di trattamenti personali degradanti la
prospettazione della situazione generale di “sudditanza” delle
donne nel paese di provenienza; una condizione che, certamente
inaccettabile per ogni coscienza civile, è però priva della
necessaria individualità postulata anche dalla Convenzione di Ginevra
28.7.1951 (oltre che dalla CEDU) perché venga integrato il fumus
persecutionis od anche solo perché sia adottata la misura di
protezione temporanea del divieto di respingimento (nel caso di
specie, la ricorrente rileva in particolare di essere stata sottoposta
ad infibulazione nel paese di origine).

Ordinanza 11 luglio 2008, n.323

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 2, legge n.
40/2004, per contrasto, quanto ai commi 1 e 2 dell’art. 14 cit., con
gli artt. 3 e 32, primo e secondo comma Cost. e dell’art. 6, comma 3,
ultima parte, legge n. 40/2004, per contrasto con l’art. 32, secondo
comma Cost., nella parte in cui impongono il divieto di
crioconservazione degli embrioni soprannumerari, la necessarieta’
della creazione di massimo tre embrioni nonche’ la necessarieta’
dell’unico e contemporaneo impianto di embrioni comunque non superiori
a tre, e laddove prevedono la irrevocabilita’ del consenso da parte
della donna all’impianto in utero degli embrioni creati.

Sentenza 20 novembre 2008

L’obbligo di indossare una divisa, senza mostrare oggetti di
gioielleria né simboli religiosi, non costituisce una discriminazione
nei confronti di una dipendente che intenda indossare un crocifisso.
La ricorrente, hostess di British Airways, lamentava in particolare di
aver subito una discriminazione indiretta, poiché il divieto di
mostrare gioielli e simboli sulla divisa, applicato indistintamente a
tutti, le causava una situazione di svantaggio, impedendole di
indossare il crocifisso, mentre agli appartenenti ad altre religioni
era permesso l’uso di indumenti religiosi. In base all'”Employment
Equality Regulations (Religion or Belief) 2003″ una discriminazione
indiretta è dimostrata quando uno svantaggio sussiste non solo per il
ricorrente, ma anche per il gruppo confessionale di appartenenza. Nel
caso di specie, il regolamento aziendale sulle divise non causa un
“disparate impact” per tutti i dipendenti cristiani della British
Airways, ma solo uno svantaggio per la ricorrente: infatti, a
differenza dei simboli religiosi che debbono essere indossati
obbligatoriamente in base ai precetti confessionali, portare un
crocifisso non rappresenta un obbligo per tutti i cristiani, ma è
solo un’espressione personale del credo della ricorrente.

Sentenza 14 novembre 2008, n.288/2008

Viola i diritti fondamentali riconosciuti dagli artt. 14 (uguaglianza)
e 16.1 (libertà religiosa) la scelta di un Consiglio scolastico di
una scuola pubblica di mantenere nelle aule e negli altri locali
l’esposizione di crocifissi. Gli stessi vanno quindi rimossi poichè,
al di là della loro valenza storico-culturale, continuano ad avere un
chiaro significato religioso. La loro presenza all’interno di istituto
scolastico pubblico destinato all’insegnamento di base gratuito per i
minori in piena fase di sviluppo della loro capacità intellettiva,
può ingenerare in essi la convizione che lo Stato sia più vicino
alla confessione religiosa di cui tali simboli siano espressione.

Decreto ministeriale 24 settembre 2008, n.182

Decreto 24 settembre 2008, n. 182: “Disciplina dei criteri e delle modalita’ per l’utilizzo e la destinazione per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attivita’ culturali della quota percentuale degli stanziamenti previsti per le infrastrutture”. (da Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 18 novembre 2008, n. 270) Art. 1. Oggetto 1. […]

Legge regionale 29 ottobre 2008, n.18

L.R. Emilia-Romagna 29 ottobre 2008, n. 18: “Memoria e responsabilità. Promozione e sostegno di iniziative per la memoria dei giusti”. ARTICOLO 1 Finalità 1. La Regione è impegnata a valorizzare la memoria degli uomini e delle donne che con coraggio civico e responsabilità individuale hanno operato contro ogni tentativo di genocidio e crimine contro l’umanità. […]

Legge regionale 23 ottobre 2008, n.27

Legge Regionale 23 ottobre 2008 n. 27: “Valorizzazione del patrimonio culturale immateriale”. Art. 1 Ambito di applicazione e finalità. 1. La Regione, in conformità a quanto previsto dal proprio Statuto e ispirandosi alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata con la legge 27 settembre 2007, n. 167 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione […]

Sentenza 06 novembre 2008, n.58911/00

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I principi professati dal movimento Bhagwan Shree Rajneesh, seguaci di
Rajneesh Chandra Mohan meglio conosciuto con il nome di Osho, sono di
“sufficiente forza, serietà, coesione e importanza” per essere
considerati una credenza religiosa, dunque da tutelare ai sensi
dell’’art. 9 della CEDU. La campagna realizzata dal governo
tedesco contro le sette a partire dal 1979 ha “potuto avere
conseguenze negative” per i ricorrenti, interferendo con i diritti
garantiti da tale norma. Tuttavia tale interferenza risponde agli
scopi legittimi di proteggere la sicurezza pubblica, l’ordine
pubblico e la protezione dei diritti altrui, infatti, “il numero in
aumento di movimenti religiosi ed ideologici nuovi genera conflitto e
sottopone a tensione la società tedesca”. Secondo la Corte, la
campagna avviata contro le sette corrispondeva dall’esigenza del
Governo, di fornire informazioni in grado di contribuire al dibattito
tipico di una società democratica in materie di interesse pubblico e
di focalizzare l’attenzione sui pericoli derivanti dall’adesione a
gruppi religiosi comunemente definiti come “sette”.
L’interferenza dello Stato tedesco nei riguardi dei diritti della
confessione religiosa appellante è da considerarsi, perciò,
legittima in virtù di quanto stabilito dall’art. 9, comma 2, che
prevede la possibilità di limitazioni all’esercizio della libertà
religiosa, che siano motivate dall’esigenza di tutelare la
sicurezza, l’ordine pubblico e la protezione dei diritti e libertà
altrui. Nel caso di specie i ricorrenti contestavano l’illegittimità
di una campagna pubblicitaria attuata dal governo tedesco, avviata nel
1979 con lo scopo di mettere in guardia i cittadini dai pericoli di
adesione alle sette religiose, accusate di avere effetti distruttivi
sui propri adepti e di attuare su di essi tecniche di manipolazione. I
ricorrenti, seguaci di Osho, avevano instaurato nel 1984 un
procedimento giudiziario contro la campagna del governo, durata fino
al 2002 quando la Corte Costituzionale di Germania ha impedito nella
campagna governativa l’uso dei termini “distruttivo” e “manipolano i
loro membri”, ma ha anche stabilito che le autorità potessero
informare il pubblico con informazioni adeguate sui gruppi religiosi;
campagna circa la quale era già intervenuta la Helsinki Foundation
for Human Rights affermando che il termine “sette” usato dalle
autorità tedesche aveva una connotazione negativa ed era da ritenersi
diffamatorio. La Corte di Strasburgo ha, inoltre, considerato che il
periodo di 18 anni in cui si è svolto il procedimento sia stato
troppo lungo in violazione dell’ Articolo 6.1. della CEDU.