Ordinanza 30 gennaio 2003, n.14
Corte Costituzionale. Ordinanza n. 14 del 2003.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Riccardo CHIEPPA Presidente
– Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
– Valerio ONIDA ”
– Carlo MEZZANOTTE ”
– Fernanda CONTRI ”
– Guido NEPPI MODONA ”
– Piero Alberto CAPOTOSTI ”
– Annibale MARINI ”
– Franco BILE ”
– Giovanni Maria FLICK ”
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 116 del codice civile promosso dal Tribunale di Roma con ordinanza del 3 settembre 2001 sui ricorsi riuniti proposti da Bouaziz Nabiha Bent Ayech ed altri contro il Comune di Roma iscritta al n. 283 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di costituzione del Comune di Roma nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato Roberto Tomasuolo per il Comune di Roma e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale di Roma, con ordinanza del 3 settembre 2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dell’art 116 del codice civile, nella parte in cui impone allo straniero, il quale voglia contrarre matrimonio in Italia, la presentazione all’ufficiale dello stato civile di una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio secondo le leggi alle quali egli è assoggettato, ovvero, in subordine, nella parte in cui non prevede che, in mancanza della predetta dichiarazione, possa essere presentata al detto ufficiale documentazione idonea ad attestare la mancanza di impedimenti al matrimonio, secondo la legislazione cui il cittadino straniero è sottoposto;
che il giudice a quo era stato adito, con due distinti ricorsi ex art. 98, comma secondo, del codice civile, successivamente riuniti, avverso il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio – in ragione della mancanza del certificato richiesto dall’art. 116 cod. civ. – da due coppie costituite, rispettivamente, da una cittadina tunisina e da un italiano e da un cittadino siriano a da un’italiana: nel primo caso l’impedimento al matrimonio derivava dal divieto, posto dalla legge tunisina, al matrimonio con un cittadino straniero di religione non islamica, mentre nel secondo dei due giudizi, la certificazione non era stata rilasciata a causa del mancato svolgimento del servizio militare di leva da parte del cittadino siriano;
che i nubendi avevano convenuto in giudizio il Comune di Roma e, premesso di possedere i requisiti richiesti dagli artt. 84, 85, 86 cod. civ. ed altresì esclusi gli impedimenti al matrimonio ex artt. 87, 88, 89 cod. civ., avevano chiesto che il Tribunale autorizzasse l’ufficiale dello stato civile ad effettuare le pubblicazioni;
che il remittente, sulla premessa della mancata previsione di un provvedimento «autorizzativo al matrimonio», ritenuto legittimo il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile, prospetta come risolutiva la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 116 cod. civ., norma considerata ostativa ad un accoglimento delle domande, sia con riguardo alla stessa previsione della presentazione della dichiarazione, sia, in subordine, nella parte in cui non consente ai nubendi di produrre, in sostituzione della medesima, un’attestazione della mancanza di impedimenti al matrimonio;
che, a parere del Tribunale, la norma censurata affiderebbe la capacità matrimoniale dello straniero ad una mera autorizzazione dell’autorità competente, senza neppure ipotizzare una motivazione del rifiuto, così frapponendo un serio ostacolo alla realizzazione del diritto fondamentale a contrarre matrimonio: ove infatti lo straniero non possa ottenere la dichiarazione per motivi politici, razziali, religiosi, per una scelta discrezionale dell’autorità competente, a causa di disposizioni non applicabili nel nostro ordinamento perché produttive di effetti contrari all’ordine pubblico od anche soltanto per ragioni contingenti, sarebbe impossibile qualsiasi controllo delle autorità italiane sui motivi dell’omessa presentazione;
che, osserva il giudice a quo, dovendo l’ufficiale dello stato civile limitarsi, attualmente, a rifiutare le pubblicazioni in mancanza della dichiarazione, in assenza del potere di valutare eventuale documentazione prodotta dai nubendi, a seguito della declaratoria d’illegittimità costituzionale invocata in via principale, questi sarebbe abilitato a procedere alle pubblicazioni, ove rilevasse la contrarietà all’ordine pubblico di eventuali impedimenti, in quanto l’interessato potrebbe presentare, in alternativa alla dichiarazione, la documentazione attestante la mancanza d’impedimenti sulla base della legge nazionale, secondo le modalità previste dall’art. 2 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394;
che, in conseguenza della declaratoria d’illegittimità prospettata come subordinata, la norma in questione dovrebbe consentire allo straniero la diretta presentazione all’ufficiale di stato civile di una documentazione equipollente alla dichiarazione in argomento ed al giudice, adito avverso il rifiuto di procedere alle pubblicazioni, la possibilità di riesaminare la documentazione, di integrarla con i poteri previsti dall’art. 14 della legge 31 maggio 1995, n. 218 e di procedere all’accertamento delle condizioni che consentono il matrimonio;
che, nel sollevare la questione, il giudice remittente ha disposto la notifica dell’ordinanza al ministero dell’Interno (in quanto competente alla tenuta dei registri dello stato civile) e ai ministeri della Giustizia e degli Esteri, quali “controinteressati”;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria d’inammissibilità ovvero d’infondatezza della questione e rilevando preliminarmente l’opinabilità della premessa del remittente secondo la quale il giudice adito ex art. 98 cod. civ. non potrebbe autorizzare le celebrazione del matrimonio in assenza della dichiarazione prevista dalla norma impugnata;
che, nel merito, l’Autorità intervenuta distingue il caso in cui la dichiarazione di nulla-osta non sia stata rilasciata a causa di disfunzioni organizzative dell’autorità dello Stato estero (circostanza in cui il nubendo potrebbe produrre documentazione attestante l’assenza di impedimenti) dall’ipotesi del rifiuto ad emettere il nulla-osta, in cui la presentazione della documentazione predetta sarebbe esclusa, ma che consentirebbe al giudice adito ex art. 98 cod. civ. di autorizzare il matrimonio (in conformità all’art. 16 della legge n. 218 del 1995);
che nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituito il Comune di Roma, affermando anzitutto il proprio interesse ad un’applicazione della legge non affidata alla discrezionalità degli ufficiali dello stato civile, e concludendo nel merito per la declaratoria di non fondatezza della questione.
Considerato che il giudice a quo pone la questione articolandola in due quesiti collegati da un rapporto di logica subordinazione, non ostativa all’ammissibilità dell’impugnativa (sentenza n. 188 del 1995), in quanto egli invoca un’addizione normativa solo ove non venga accolta la richiesta di declaratoria d’illegittimità costituzionale prospettata come prima soluzione;
che il Tribunale di Roma in via principale dubita, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art.116 del cod. civ., in quanto la prescrizione allo straniero dell’obbligo di presentare all’ufficiale dello stato civile la dichiarazione dell’autorità competente del proprio Paese che nulla osta al matrimonio secondo la legge cui è sottoposto incide, limitandola gravemente, sulla libertà di contrarre matrimonio;
che la questione, formalmente proposta con riguardo all’intero art. 116 cod. civ., alla luce della motivazione va circoscritta al solo primo comma avente ad oggetto la suindicata prescrizione;
che la questione è manifestamente inammissibile, in quanto il remittente, per consentire allo straniero il matrimonio anche nei casi in cui la presentazione del nulla-osta sia resa impossibile o dalle circostanze di fatto esistenti nel proprio Paese oppure da una legislazione prevedente condizioni per il matrimonio contrarie all’ordine pubblico, postula che sia espunta dall’ordinamento l’intera disposizione concernente il nulla-osta, documento questo che nella maggior parte dei casi non limita ma facilita l’esercizio della libertà matrimoniale;
che non vi è quindi corrispondenza tra la questione come proposta e la motivazione che il Tribunale di Roma ha addotto;
che in subordine il giudice remittente, anche in questo caso al di là della letterale formulazione del quesito, da individuare nei suoi esatti termini alla stregua della motivazione, sospetta d’illegittimità costituzionale l’art. 116 cod. civ. (recte: l’art. 116, primo comma, cod. civ.) nella parte in cui non prevede che lo straniero possa provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni per contrarre matrimonio secondo le leggi del proprio Paese ad eccezione, eventualmente, di quelle che contrastano con l’ordine pubblico;
che tale questione è manifestamente infondata, anzitutto in quanto il remittente ha erroneamente valutato l’ambito dei provvedimenti adottabili all’esito del procedimento ex art. 98, secondo comma, cod. civ., escludendo la configurabilità di una decisione autorizzatoria ed omettendo così di verificare la differente interpretazione della norma censurata derivante dalla possibilità di autorizzare le pubblicazioni, secondo una soluzione già più volte seguita dalla giurisprudenza di merito;
che, inoltre, il giudice a quo considera isolatamente la norma impugnata, senza inquadrarla nel sistema, in particolare senza riferirsi al contesto normativo in cui l’applicazione della legge straniera è esclusa ove i suoi effetti siano contrari all’ordine pubblico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 del codice civile, sollevata dal Tribunale di Roma, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 116 del codice civile, sollevata in via subordinata dallo stesso Tribunale, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, con l’ordinanza di cui sopra.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2003.
Autore:
Corte Costituzionale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Pubblicazioni, Ordine pubblico, Contrarietà, Legittimità costituzionale, Nulla osta al matrimonio, Matrimonio di cittadino straniero
Natura:
Ordinanza