Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Maggio 2008

Ordinanza 27 marzo 2008

Tribunale di Foggia. Prima sezione civile. Ordinanza 27 marzo 2008: “Riesumazione ed esposizione del corpo di San Padre Pio da Pietralcina”.

TRIBUNALE DI FOGGIA. – PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Giudice Delegato, dott. Gianfranco Piacentino,
pronunciando sul ricorso ex art. 700 c.p.c. ante causam, depositato in data 2.2.08, iscritto al n. 464/08 R.G., proposto dalla

ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO – L’UOMO DELLA SOFFERENZA, ONLUS,
in persona del Presidente e legale rappresentante Avvocato Francesco TRAVERSI (quale figlio spirituale di Padre Pio), con sede in Torino – Corso Vittorio Emanuele II, n. 169, iscritta al registro delle Associazioni del Comune di Torino al n. 2007 – 08749/001, in proprio, ai sensi dell’art. 86 C.p.c., elettivamente domiciliata in Foggia – Corso del Mezzogiorno snc pal. La Notes, do Avvocato Giovanni MARSEGLIA,
RICORRENTE

CONTRO

Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO,
nella sua qualità di delegato per la Santa Sede per il Santuario e le opere di San Pio da Pietralcina, come da bolla papale del 8 Marzo 2003, rappresentato e difeso dall’avv. F. Lo Zupone presso il cui studio 6 domiciliato per mandato a margine della comparsa di costituzione
CONVENUTO

CONTRO

Frate Carlo Maria LABORDE, nella sua qualità di guardiano del Convento dei Frati Minori Cappuccini di Santa Maria delle Grazie, Frate Francesco Colacelli , nella sua qualità di Presidente della “Commissione per la riesumazione di S. Pio da Pietralcina c 40° anniversario della sua morte elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. T. Dimartino dal quale sono rappresentati e difesi giusta procura a margine della comparsa di costituzione
CONVENUTI

Letti gli atti di causa e sciogliendo la riserva la riserva assunta all’udienza del 6.3.08

RILEVA

Con il ricorso in epigrafe indicato l’Associazione Pro Padre Pio ha adito il Tribunale di Foggia esponendo:
che S.E. Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO, nella Sua qualità di delegato della Santa Sede per il Santuario e le Opere di San Pio di Pietralcina, nel mese di Aprile 2007, aveva manifestato l’opportunità di procedere alla riesumazione di Padre Pio e alla sua traslazione nella nuova Chiesa di San Pio, adiacente al Convento di Santa Maria delle Grazie, per l’occasione del quarantesimo anno dalla sua morte;
che i Frati Cappuccini della Provincia di Foggia, nel mese di Luglio 2007, si erano riuniti in un Capitolo e avevano deliberato la costituzione della “Commissione per la riesumazione di San Pio da Pietralcina e 40° anniversario della sua morte”, designandone il presidente nella persona di Frate Francesco COLACELLI;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO a mezzo raccomandata del 28 agosto 2007 aveva diffidato Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO e i componenti la Commissione di astenersi dal porre in essere il progetto di riesumazione e traslazione delle spoglie di San Pio nella nuova Chiesa;
che il progetto era in violazione a quanto San Pio aveva manifestato al Sindaco di San Giovanni Rotondo MORCALDI Francesco, con il testamento del 12 agosto 1923, con il quale era stato disposto: “Esprimo il mio desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, 1e mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra”;
che il Padre Guardiano Clemente da Santa Maria Superiore, quale superiore dei Convento dei Frati Cappuccini, a seguito del decesso di Padre Pio, in data 23 settembre 1968, aveva chiesto ed ottenuto l’autorizzazione alla tumulazione di Padre Pio nella cripta di Santa Maria delle Grazie, che era avvenuta in data 26 settembre 1968;
che il Vaticano, due giorni dopo la morte di Padre Pio, aveva inviato tre medici presso il Comune di San Giovanni Rotondo, i quali avevano chiesto al Sindaco Prof. Dott. Giuseppe SALA, esibendo decreto dell’allora Sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano, Monsignor Giovanni BENELLI, di eseguire l’autopsia del corpo di Padre Pio;
che il Prof. Dott. Giuseppe SALA, quale delegato prefettizio, nella sua qualità di Sindaco, aveva opposto netto rifiuto alla succitata richiesta, cosicché l’autopsia non aveva avuto luogo;
che il Vaticano, nel mese di Novembre 1968, dopo circa due mesi dal decesso e dalla sepoltura di Padre Pio, aveva inviato dei tecnici, guidati dal Dort. ALECCE, al fine di eseguire l’imbalsamazione del corpo di Padre Pio;
che il Sindaco Giuseppe SALA aveva opposto netto rifiuto;
che Monsignor Giovanni BENELLI, nella sua qualità di Sostituto Segretario di Stato della Città del Vaticano, nel Maggio 1973, aveva firmato due decreti, con i quali aveva disposto il trasferimento della tomba di Padre Pio dalla cripta del Santuario di Santa Maria delle Grazie alla Casa Sollievo della Sofferenza, con gestione diretta del Vaticano;
che, a seguito dell’opposizione del Sindaco, il Vatlcano aveva desistito dal su;
che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, in data 2 maggio 1999. aveva beatificato Padre Pio e, in data 16 giugno 2002, lo aveva canonizzato , proclamandolo Santo;
che i Frati Cappuccini, nel 1995, avevano conferito incarico all’Architetto ABRUZZINI di progettare una nuova Chiesa adiacente il convento di Santa Maria delle Grazie;
che il progetto commissionato non contemplava la traslazione della salma di Padre Pio nella nuova Chiesa;
che successivamente, con il sub ingesso del nuovo Architetto Renzo PIANO, era stato ideato il basamento per sostenere la teca con le spoglie di Padre Pio;
che nel corso dell’esecuzione delle opere della nuova Chiesa San Pio aveva manifestato la Sua volontà, in più occasioni, di non essere riesumato ne tantomeno traslato dalla Cripta, ove si trovava da quando era stato sepolto il 26 settembre 1968, con alcune manifestazioni, quali allagamenti , la presenza di una falda acquifera al di sotto della pavimentazione della nuova chiesa (con conseguente destinazione al crollo della nuova Chiesa), il crollo di un muro durante l’esecuzione dei lavori di costruzione della Chiesa, un’invasione di cavallette il giorno dell’inaugurazione della nuova chiesa, e , infine , la caduta delta portante il nome di Padre Pio;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO, in data 26 ottobre 2007, aveva formulato richiesta al Segretario dello Stato Vaticano, S.E. Monsignor Tarcisio BEATONE, dell’opportunità dell’intervento della Santa Sede, senza averne riscontro;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO aveva proposto istanza al Comune di Torino di iscrizione al Registro delle Associazioni, come da delibera del 11 dicembre 2007, esecutiva dal 21 dicembre 2007 ;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO, in data 4 dicembre 2007, aveva trasmesso richiesta al Sommo Pontefice BENEDETTO XVI, dell’opportuno intervento sul progetto di Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO di riesumare e traslare le spoglie del Padre nella nuova Chiesa senza avere alcun riscontro;
che Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO; in data 29 dicembre 2007, aveva rilasciato intervista al giornale “IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO”, nella quale aveva affermato che San Pio sarebbe stato trasferito nella nuova Chiesa;
che Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO, in data 6 gennaio 2008, a seguito della celebrazione della Messa nel Santuario di Santa Maria delle Grazie, aveva comunicato ai fedeli che, nel mese di Aprile 2008, sarebbe stata eseguita la riesumazione di San Pio, al fine di accertare lo stato di conservazione delle sue ossa, e per l’esposizione delle sue spoglie ;
che un gruppo di fedeli di Cannobio (VB), in data 14 gennaio 2008, aveva trasmesso una missiva al Pontefice per impedire la riesumazione e la traslazione delle spoglie del corpo di San Pia;
che MARIANI Filippo, Presidente del Consiglio Comunale di San Cesareo e Presidente del comitato dei devoti di Padre Pio di San Cesareo, in data 18 gennaio 2008, unitamente ad altri fedeli, aveva distribuito volantinaggio, con il quale esprimeva il proprio dissenso avverso la riesumazione;
che il 65% dei telespettatori (oltre 5 milioni) nel corso della trasmissione DOMENICA IN de 13 gennaio 2008}aveva manifestato il dissenso alla riesumazione e alla traslazione della salma di Padre Pio ;
che la Commissione dei Frati Cappuccini aveva conferito incarico ad una azienda di procedere, a decorare dalla metà del mese di Febbraio 2008, agli atti preparatori per la
riesumazione e l’esposizione della salma di San Pio;
che l’Accademia Universale Guglielmo Marconi aveva espresso il proprio dissenso avverso la riesumazione;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO era portatrice di un interesse di carattere religioso diffuso, oggettivamente individuabile ed appartenente ad una pluralità di individui pit o meno vasta e pit o meno determinata e determinabile, e pertanto aveva la legittimazione attiva ad agire in giudizio;
che la legittimazione derivava da quanto statuito dall’art. 648 Cod. Civ., che prevede che chiunque ha interesse può chiedere al Giudice l’esatto adempimento delle disposizioni testamentarie;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO ha come ragione dell’atto costitutivo, la tutela del luogo ove 6 sepolto Padre Pio ed ha l’adesione e il sostegno di milioni di fedeli, così come emergeva dal risultato del sondaggio, nel corso della trasmissione DOMENICA IN, del 13 gennaio 2008, e da numerose attestazioni che quotidianamente vengono trasmesse all’Associazione;
che la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 maggio 1998, contrassegnata con il numero 98/27/CE, relativamente alla tutela degli interessi dei diritti diffusi, statuisce che le associazioni sono autorizzate ad agire in giudizio per conto di un gruppo di persone danneggiate dalla condotta di parti convenute;
che, poiché non sussiste una disciplina giuridica, la dottrina prevalente ritiene di consentire l’esercizio dell’azione giurisdizionale per la tutela di interessi collettivi e diffusi; che mancava il presupposto canonico per la riesumazione e la traslazione della salma di Padre Pio, in quanto il Padre era già stato canonizzato dal Sommo Pontefice in data 16 maggio 2002 ;
che San Pio era stato già canonizzato. per cui non sussisteva alcun presupposto che
giustificasse la riesumazione e la ricognizione canonica;
che vi era l’esigenza di impedire che corpo dì San Pio divenisse oggetto di commercio,
che il Padre Guardiano, Clemente da Santa Maria Superiore, Superiore del Convento di Santa Maria delle Grazie, a seguito del decesso di Padre Pio, in data 23.9.68 aveva chiesto ed ottenuto autorizzazione alla tumulazione del Padre nella cripta di Santa Maria delle Grazie, che era avvenuta in data 26 settembre 1968;
che la Suprema Corte di Cassazione – Prima Sezione Civile, con sentenza n. 12143/06 de) 23 maggio 2006, aveva statuito che ogni persona fisica può scegliere, in assoluta libertà, le modalità e il luogo della propria sepoltura;
che la Suprema Corte aveva posto in evidenza che l’art. 587, comma secondo Cod. Civ. consente che nelle disposizioni testamentarie possano essere inserite manifestazioni di ultima volontà di carattere non patrimoniale, tra le quali il luogo ove si intende essere sepolti;
che in particolare Padre Pio, con il testamento del 12 agosto 1923, aveva manifestato “ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa sicuro composte in un tranquillo cantuccio di questa terra”;
che sussisteva pertanto una disposizione testamentaria scritta che manifestava in maniera evidente la volontà di Padre Pio;
che Padre Guardiano Clemente da Santa Maria Superiore aveva richiesto ed ottenuto l’autorizzazione alla tumulazione nella Cripta di Santa Maria delle Grazie, dando compimento alla volontà testamentaria di Padre Pio del 12 agosto 1923;
che il progetto di riesumazione ed esposizione delle spoglie di Padre Pio, avrebbe potuto costituire sacrilegio e violazione di sepolcro, ai sensi dell’ari. 407 c.p.;
che l’ASSOCIAZIONE PRO PADRE PIO -L`UOMO DELLA SOFFERENZA, in ossequio alla disposizione di cui all’art. 648, comma primo, Cod. Civ., aveva legittimazione ad agire, al fine di ottenere l’esatto adempimento della disposizione testamentaria di Padre Pio;
che il periculum in mora consisteva nel fondato motivo, che nelle more del giudizio ordinario, fosse eseguito il progetto di riesumare ed esporre le spoglie di Padre Pio, nel mese di Aprile 2008, con violazione del sepolcro ove è sepolto;
che l’emissione del provvedimento di urgenza si rendeva opportuna e necessaria per assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione nel merito, con l’instaurando giudizio ordinario, ai sensi degli artt. 587 e ss. e 648 Cod. Civ. per l’esatto adempimento delle disposizioni testamentarie di San Pio del 12 agosto 1923;
che vi era la necessità di rispettare il testamento spirituale di Padre Pio del 12 agosto 1923, a cui i Superiori dei Frati Cappuccini, all’epoca del decesso del Padre, con la richiesta di tumulazione nella Cripta, avevano già dato completa attuazione.

Tanto premesso concludeva la parte ricorrente chiedendo che il Tribunale con provvedimento ex art. 700 c.p.c. ante causam , con decreto inaudita altera parte, o in subordine con ordinanza emessa nel contraddittorio delle parti, volesse fare divieto ed impedire l’apertura del sepolcro nonché l’apertura della cassa di acciaio contenente la salma di San Pio e l’esposizione delle sue spoglie.

Con decreto del Giudice Delegato in data 13.2.08 veniva fissata l’udienza del 13.3.08 per la comparizione delle parti.
Con successivo decreto in data 22.2.08 il Giudice delegato, ravvisati i motivi di urgenza prospettati nell’istanza di parte ricorrente pervenuta via fax in pari data, disponeva l’anticipazione della comparizione delle parti all’udienza del 06.03.08.

All’udienza fissata del 06.03.08 si costituiva Monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio
con comparsa di costituzione, esponendo:
che in via pregiudiziale andava rilevato il difetto di giurisdizione del Giudice adito;
che le questioni di natura canonica, come quelle di cui è causa, erano di competenza dell’Ordinamento Canonico;
che in virtù dell’art. 7 Cost, vigeva l’obbligo di non ingerenza da parte dello Stato Italiano nell’ambito della sfera di sovranità della Chiesa, in quanto soggetto di diritto internazionale originario e sovrano;
che il Giudice italiano, non poteva intervenire laddove si verta su temi di carattere ecclesiastico e che non esulano dai fini e religione e di culto;
che l’oggetto del ricorso proposto dall’Associazione, era relativo ad una questione di competenza dell’Ordinamento Canonico, dato che la ricognizione canonica, appartenente ad un’antica tradizione delta Chiesa, è espressamente disciplinata dall’appendice dell’istruzione “Sanctorum Mater” approvata dal Sommo Pontefice Benedetto XVI e emanata dalla Congregazione delle Cause dei Santi il 17 Maggio 2007 ;
che vi era carenza di legittimazione attiva dell’Associazione ricorrente ad agire in giudizio; che l’Associazione ricorrente presumeva di farsi portatrice di un interesse di carattere religioso diffuso, al fine di giustificare la propria legittimazione ad agire;
che a tal riguardo andava rilevato come l’interesse carattere religioso non fosse ricompreso tra quelli che sono gli interessi diffusi, individuati dalla giurisprudenza, la quale ha selezionato tra gli interessi super-individuali perseguiti dagli enti esponenziali, quelli che risultano meritevoli di ingresso alla tutela giurisdizionale, tali da conferire agli enti stessi la legittimazione ad agire in giudizio;
che sotto questo profilo il legislatore, per ridurre i margini della discrezionalità, aveva previsto espressamente quali associazioni fossero legittimate ad agire tutela di alcune tipologie di interesse diffuso;
che l’interesse vantato non perseguiva un’utilità giuridicamente apprezzabile e non integrava una posizione tutelata dall’ordinamento da cui far scaturire la legittimazione ad agire;
che non era dimostrato quale fosse il danno subito o che potesse derivare, nonché quale vantaggio l’associazione ricorrente potesse apportare alla collettività con il ricorso
proposto;
che l’associazione che si faceva portatrice di tale interesse religioso non era un’associazione riconosciuta all’interno dell’ordinamento canonico e pertanto, nemmeno in tale ambito poteva farsi portatrice un interesse di carattere religioso come quello relativo alla ricognizione canonica;
che non sussisteva inoltre la legittimazione ad agire in virtù dell’art. 648 c.c. richiamato dalla ricorrente, in quanto tale norma si riferisce all’adempimento di un onere testamentario;
che non poteva configurarsi come tale la lettera-testamento di San Pio da Pietralcina del 12.08.1923;
che vi era il difetto di legittimazione passiva di Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO, citato nella sua qualità di delegato per la Santa Sede per il Santuario e le Opere di San Pio da Pietralcina e non anche nella diversa qualità di legale rappresentante p.t dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste- San Giovanni Rotondo;
che legittimato passivo era Frate Aldo Broccato nella qualità di Ministro Provinciale e rappresentante legale della Provincia di Foggia dei Frati Minori Cappuccini di Sant’Angelo e Padre Pio;
che non ricorrevano i presupposti necessari ai fini dell’emanazione di un provvedimento ai sensi dell’art. 700 c.p.c.;
che non era sussistente il periculum in mora, dato che la riesumazione della Salma di San Pio tale notte tra il 2 e il 3 Marzo 2001;
che era venuto meno il periculum in mora, ossia il pericolo che le spoglie del Santo venissero riesumate;
che non poteva essere configurata la sussistenza del compimento di atti sacrileghi sul corpo di San Pio, come rappresentato in ricorso, poiché la ricognizione canonica, che à di esclusiva competenza dell’Istituzione ecclesiastica, aveva antica tradizione ed era regolamentata dall’Appendice dell’Istruzione Sanctorum Mater del 17.05.2007;
che era di antica tradizione la venerazione delle reliquie dei Santi, la cui preparazione ò espressamente disciplinata dalla citata Appendice all’interno della quale é disciplinata altresì la conservazione delle stesse reliquie e, per motivi di devozione religiosa, il trasferimento delle reliquie e/o delle spoglie dei Santo in luoghi più appropriati, al fine di renderle più accessibili alla devozione dei fedeli;
che non sussisteva nemmeno il presupposto del fumus necessario ai fini dell’emissione del provvedimento ex art. 700 c.p.c. ;
che la volontà testamentaria del Santo era stata pienamente rispettata;
che Padre Pio aveva espresso il desiderio di essere seppellito “In un tranquillo cantuccio di questa terra ove i miei superiori non si oppongano”, manifestando allo stesso tempo l’obbedienza alla volontà dei suoi superiori, a cui Padre Pio si rimetteva;
che l’azione proposta era temeraria per l’inesistenza di alcun supporto probatorio;
che vi era danno alle iniziative riguardanti San Pio provocato dal clamore mediatico suscitato dalla parte ricorrente;
che non era stato Mons. D’Ambrosio a promuovere il procedimento di esumazione delle spoglie del Santo, tantomeno nella qualità di Delegato per la Santa Sede per le Opere San Pio;
che il cosiddetto testamento spirituale di San Pio esprimeva la riserva in favore dei suoi superiori circa il luogo della sepoltura;
che era palese che il Santo intendesse esprimere la propria gratitudine nei confronti della popolazione di San Giovanni Rotondo che , grazie all’impegno del sindaco dell’epoca e di tanta altra gente, aveva impedito il suo trasferimento – non opposto dall’obbediente Frate-, dimostrando in tal modo l’affetto nei confronti di Padre Pio;
che Padre Pio era stato seppellito in San Giovanni Rotondo, nella Cripta della Chiesa di Santa Maria delle Grazie ;
che anche qualora i superiori, alla cui insindacabile volontà il Santo si era rimesso, avessero deciso di trasferire altrove le spoglie, sempre nel rispetto della normativa canonica e di quella civile, non si sarebbe in alcun modo violata la volontà testamentaria di San Pio;
che le nonne canoniche e l’antica consuetudine della Chiesa, prevedono la possibilità di effettuare la ricognizione delle spoglie nel rispetto delle normative sanitarie dello Stato e con l’autorizzazione delle competenti autorità civili , per verificare lo stato di conservazione del corpo, con l’intento di preservare nel modo migliore l’integrità delle spoglie mortali del Santo, effettuando altresì la bonifica e l’adeguamento del sepolcro;
che sia la normativa generate espressa nel Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983, sia le leggi particolari in materia, prevedevano tale possibilità;
che il 25.1.1983 Papa Giovanni Paolo Il aveva promulgato la Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister circa la nuova legislazione per le cause dei santi, mentre la Congregazione per le Cause dei Santi, in data 7.2.1983, a firma del Prefetto Card. Pietro Palazzini, aveva emanato un regolamento riguardante le Norma da osservarsi nelle inchieste diocesane nelle cause dei santi;
che la recente Istruzione della Congregazione delle Cause dei Santi Sanctorum Mater, del 17 maggio 2007 sulle norme che regolano l’avvio delle cause di beatificazione, aveva ulteriormente arricchito la normativa, con particolare riguardo alle procedure applicative, da cui si ricavava che i Frati Cappuccini, il Postulatore e l’Arcivescovo di Manfredonia, il quale aveva prestato il proprio nullaosta, avevano agito conformemente al diritto rispettando quanto richiamato dalla normativa canonica, nel pieno rispetto delle leggi civili;
che il can. 360 del C.J.C. prevedeva che la Curia Romana della Chiesa, mediante la quale il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa Universale, è composta anche dalle Congregazioni la cui competenza viene esercitata su materie e in ambiti specifici; che alla Congregazione delle Cause dei Santi, competeva la trattazione delle postazioni inerenti la beatificazione e la canonizzazione, ivi compresa ogni questione riguardante i beati e i santi successiva alla beatificazione e alla canonizzazione;
che la richiesta di autorizzazione all’esumazione delta salma di San Pio del 15.10.07 n. 113/07 proposta dal P. Aldo Broccato, legale rapp.te pro-tempore della Provincia Religiosa dei Frati Cappuccini di S. Angelo e decisa nel Capitolo Provinciale del 16-24 Aprile 2007 era stata inoltrata al Postulatore Generale della Cause canonizzazione padre Florio Tessari il 16.11.2007 prat. N. 132/07, il quale aveva a sua volta formalizzato la richiesta di autorizzazione all’esumazione in data 2711.2007 prat. n. 1222, essendo stato acquisito il consenso dell’Arcivescovo, giusta comunicazione dello stesso Presule datata 14.11.07 prat. n. 221P/07;
che l’esumazione corpo di San Pio era stata autorizzata dalla Congregazione delle cause dei Santi in data 27.11.07 prat. n.1222-100-07, che ne disciplinava il procedimento da svolgersi dope aver ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni amministrative e sanitarie da parte delle competenti autorità statali, affidando l’esecuzione dello stesso procedimento autorizzato all’Arcivescovo di Manfredonia – Vieste San Giovanni Rotondo ; che tanto era puntualmente avvenuto, giusta ordinanza commissariale del Comune di san Giovanni Rotondo che si allegava;
che il ricorso non era fondato su alcuna norma canonica potendosi intendere soltanto come una discutibile preferenza personale di una o più persone sull’opportunità di riesumare il corpo del Santo e sul suo eventuale trasferimento che non trovava fondamento in alcun diritto e in alcun interesse;
che per tutelar* la venerazione universale di San Pio provvedeva la Chiesa Cattolica con tutte le proprie istituzioni e competenze previste dal legislatore canonico;
che l’esumazione era cosa distinta dal processo di canonizzazione e nasceva dalla necessità di conservare meglio le spoglie, attraverso la ricognizione delle stesse, canonicamente autorizzata dalla Congregazione delle Cause dei Santi, che ne determina precipuamente le modalità, giusto quanto stabilito nel caso in questione con provvedimento del 27.11.07;
che la competenza a chiedere l’esumazione della salma spettava non al Guardiano del Convento, tantomeno al Santuario di Santa Maria delle Grazie, né all’Arcivescovo, né al delegato per le Opere di San Pio, bensì, come correttamente avvenuto, alla Provincia Monastica dei Frati Minori Cappuccini, nella persona del Padre Provinciale che ne a il legale rappresentante della stessa avente personalità giuridica civilmente riconosciuta, la quale attraverso l’operato del postulatone dell’Ordine, aveva la legittimazione a chiedere l’esumazione secondo le previsioni dell’Istruzione Sanctorum Mater negli ant. 1-15;
che al Vescovo spettava il compito di compiere ed eseguire le puntuali prescrizioni della Congregazione delle Cause dei Santi vigilando sul procedimento;
che lo stesso citato documento prevedeva la possibilità di trasferimento delle spoglie mortali in altro sito, previo ottenimento delle necessarie autorizzazioni civili, trasferimento che pur essendo possibile a norma dell’Istruzione non era stato ancora chiesto.
Concludeva il convenuto Mons. D’Ambrosio chiedendo che il Tribunale volesse così provvedere:
in via pregiudiziale, accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del Giudice adito;
in via preliminare, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dell’Associazione Pro Padre Pio-L’Uomo della Sofferenza;
in via preliminare, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva di Mons. Domenico Umberto D’AMBROSIO, quale delegato per la Santa Sede per il Santuario e le Opere di San Pio, come citato con il ricorse;
nel merito, rigettare il ricorso in quanto infondato in fatto e M diritto;
condannare la parte ricorrente al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per lite temeraria da liquidarsi in via equitativa secondo il libero apprezzamento del Giudice adito.

Si costituivano Frate Carlo Maria Laborde, nella qualità di Guardiano del Convento dei Frati Minori Cappuccini di S. Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo, e Frate Francesco Colecelli , nella qualità di presidente della Commissione per l’esumazione di San Pio da Pietralcina, con comparsa depositata all’udienza del 06.03.08, esponendo:
che vi era inammissibilità del ricorso per difetto delle condizioni dell’azione in capo all’Associazione ricorrente (interesse ad agire e legitimatio ad causam);
che ai sensi dell’art. 100 c.p.c. per proporre una domanda in via giudiziaria era necessario avervi un interesse tutelabile e cioè un’utilità ad ottenere in via giudiziaria il provvedimento domandato;
che la parte che agiva doveva avere la titolarità dell’azione (legittimazione ad agire), che consisteva nella titolarità del potere di promuovere un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, a seguito della lesione di un suo diritto;
che vi era il difetto di legitimatio ad causam poiché per il principio dettato dall’art.81 c.p.c. nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dai casi previsti dalla legge;
che nel caso di specie, in capo all’Associazione ricorrente difettava sia l’interesse ad agire che la legittimazione attiva, non avendo alcun interesse e/o diritto proprio tutelabile in via giudiziaria relativamente alla vicenda in esame;
che vi erano dubbi sulla legittimità delta costituzione di detta associazione e del relativo scopo associativo;
che l’atto costitutivo ed il relativo statuto, infatti, erano stati sottoscritti unicamente da “Traversi” e non anche dal ristretto numero di “soci fondatori”;
che altrettanto illegittimi apparivano lo “scopo” assunto dall’associazione ricorrente avente oggetto la “Tutela del luogo ove è sepolto Padre Pio” e le modalità indicate nell’atto costitutivo per il raggiungimento di tale scopo “con la vigilanza delta Cripta da parte dei soci, simpatizzanti, gruppi di preghiera e amici di Padre Pio “;
che l’indicazione nell’atto costitutivo di una tale ragione associativa non poteva far conseguirne in capo alla ricorrente la legitimatio ad causam richiesta dal codice di rito come condizione dell’azione;
che la custodia e la tutela del luogo ove è sepolto San Pio spettava unicamente alla Provincia Monastica di Sant’Angelo e San Pio dei Frati Minori Cappuccini, in quanto Ente Ecclesiastico titolare del Convento di Santa Maria delle Grazie corrente in San Giovanni Rotondo, nell’ambito del quale era tumulata la salma del Santo;
che vi era il difetto di giurisdizione;
che ai sensi dell’art. 7 della Costituzione Italiana “Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”;
che doveva essere esclusa , così, ogni aorta di interferenza da parte dello Stato italiano in materia spirituale e religiosa;
che l’art. I del Concordato prevedeva : “L’Italia, ai sensi dell’art. I del trattato, assicura alla Chiesa Cattolica il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia ecclesiastica in conformità alle nonne del
presente Concordato”;
che con detta norma l’Italia riconosceva alla Chiesa Cattolica un autonomo potere in materia spirituale e esercizio del culto;
che non vi era dubbio che la vicenda in esame attenesse alla sfera religiosa e spirituale, per cui -ferino restando il rispetto della normativa statale in materia di esumazione delle salme-, il potere di dispone e/o di autorizzare l’esumazione e la ricognizione del corpo di San Pio a fini religiosi apparteneva esclusivamente alla Chiesa;
che vi ara carenza di legittimazione passiva dei resistenti Frate Carlo Maria Laborde e di Frate Francesco Colacelli convenuti in giudizio dalla patte ricorrente, rispettivamente quale Guardiano del Convento di Santa Maria delle Grazie e quale Presidente della “Commissione per l’esumazione del corpo di San Pio da Pietralcina”, non avendo alcun potere e/o compito dispositivo per l’esumazione del corpo di San Pio;
che i predetti avevano il compito di mera assistenza e verbalizzazione delle operazioni di esumazione, senza, comunque, potervi interferire in alcun modo;
che la competenza in materia spettava in via esclusiva alla Congregazione per la Causa dei Santi con sede in Roma, la quale, oltre a concedere la prescritta autorizzazione, aveva impartito la relativa instructio al Vescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, competente per territorio;
che nel merito il ricorso era infondato;
che non era prevista la traslazione del corpo di San Pio dalla cripta del Santuario di Santa Maria delle Grazie alla nuova Chiesa di San Pio;
che la Congregazione per la Causa dei Santi aveva autorizzato unicamente le operazioni per l’esumazione e ricognizione del corpo del Santo, impartendo – come detto – la relativa instructio all’Arcivescovo;
che le operazioni per l’esumazione e la ricognizione del corpo di San Pio, peraltro, non avrebbero comportato alcuna alterazione e/o scomposizione del corpo del Santo; che esse si sarebbero svolte scrupolosamente secondo le disposizioni canoniche impartite dalla Congregazione per la Caca dei Santi, con l’assistenza della relativa Commissione e con l’osservanza delle nonne sanitarie in materia;
che tra gli obiettivi dell’iniziativa vi era quello di verificare lo stato dei resti mortali dal Santo e di effettuare tutte le procedure idonee a garantire le ottimali condizioni di conservazione, in modo da permettere alle generazioni future la possibilità di venerare e custodire nel migliore dei modi le spoglie mortali del Santo;
che la Congregazione dei Santi aveva anche deciso ed autorizzato l’esposizione e la pubblica venerazione, per alcuni mai, del corpo del Santo, previo espletamento delle procedure previste dalla normativa canonica e dalle indicazioni della scienza medica; che il trattamento per una migliore conservazione delle spoglie mortali e l’esposizione alla pubblica venerazione rientravano nella prassi consolidata della Chiesa, che aveva autorizzato la. riesumazione del corpo di San Francesco d’Assisi (effettuata tra il 24 gennaio ed il 4 marzo 1978) e quella di Sant’Antonio di Padova (effettuata in data 6.1.1981);
che la moltitudine di fedeli, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, aveva sempre accolto favorevolmente queste opportunità di crescita spirituale; che anche nel caso di specie, vi era il consenso nella moltitudine dei fedeli.
Concludevano i convenuti per il rigetto del ricorso con condanna della parte ricorrente al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..

Il procuratore di parte ricorrente, con dichiarazione resa nel verbale di udienza del 6.3.08, dando atto che la riesumazione era già stata eseguita nella notte tra il 2 e 3 marzo 2008, chiedeva che il Tribunale volesse dispone “il ripristino immediato dello status quo della cripta, in particolare si chiede che vengano ripristinate, nello stato di fatto in cui si trovavano, le spoglie di Padre Pio ed il sepolcro, e vengano restituiti alla devozione dei fedeli; e disponga altresì che le spoglie non vengano trasferite in altro luogo dal luogo iniziale, ovvero dalla cripta”.
Quindi il giudice delegato, dopo aver sentito i procuratori delle parti, si riservava per la decisione.

Preliminarmente deve darsi atto che ancor prima della comparizione delle parti è stata effettuata la riesumazione delle spoglie di San Pio; la parte ricorrente, modificando la domanda originaria in conseguenza del fatto sopravvenuto della riesumazione, ha richiesto il ripristino dello stato dei luoghi; conseguentemente non può essere emessa una pronuncia di cessazione della materia del contendere , ma deve essere adottato un provvedimento giudiziale in ordine alla controversia tutt’ora esistente tra le parti.
La controversia può essere decisa nello stato in cui si trova, non essendo necessario effettuare attività istruttoria, tenuto anche conto del fatto che la parte ricorrente all’udienza del 6.3.08 non ha effettuato richieste in relazione all’istruzione della causa.

Preliminarmente deve ritenersi infondata l’eccezione sollevata dalle parti convenute relativa al difetto di giurisdizione .
E’ sussistente la giurisdizione del giudice italiano; la parte ricorrente ha proposto domanda cautelare ante causam relativamente ad un istaurando giudizio di merito per l’attuazione di disposizione testamentaria non patrimoniale ex art. 587 co. 2 c.c.; in relazione alla domanda di merito proponenda deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice adito. E’ necessario effettuare considerazioni preliminari in relazione alla qualificazione giuridica della domanda proposta.
La parte ricorrente ha dedotto che il presente giudizio cautelare ha lo scopo di assicurare provvisoriamente gli effetti delta decisione nel merito con l’instaurando giudizio ordinario; al riguardo la pane ricorrente ha espressamente indicato di voler proporre domanda “ai sensi degli art 587 e ss. e 648 Cod. Civ. per l’esatto adempimento delle disposizioni testamentarie di Padre Pio del 12 agosto 1923′; non è stata meglio precisata quale sia effettivamente la domanda relativa al giudizio di merito proponendo.
La domanda proposta con il ricorso nel presente giudizio è quella di inibitoria all’apertura del sepolcro (trasformata nella richiesta di ripristino dello stato dei luoghi) e all’esposizione delle spoglie di San Pio.
La domanda di merito è fondata sull’assunta disposizione testamentaria di carattere non patrimoniale contenuta in una lettera sottoscritta da Padre Pio indirizzata al Sindaco di S. Giovanni Rotondo in data 12 agosto 1923.
La lettera in questione non è stata esibita, neppure in fotocopia, dalla parte ricorrente; è stato esibito documento, tratto verosimilmente da opera letteraria, riproducente il contenuto della lettera (non vi è indicazione del luogo e della data di sottoscrizione, né è riportata la sottoscrizione del documento) (doc. 2 fascicolo di parte ricorrente).
Della lettura del detto documento è dato di evincere che Padre Pio si era rivolto al Sindaco di S. Giovanni Rotondo con le seguenti parole: «Se, come ella mi ha comunicato, è stato deciso il mio trasferimento, io la prego di adoperarsi con ogni mezzo perché si compia la volontà dei superiori che è volontà di Dio ed alla quale io obbedirò ciecamente. lo ricorderò sempre codesto popolo generoso nelle mie povere preghiere, implorando per esso pace e prosperità e quale segno della mia predilezione, null’altro potendo fare, esprimo il desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra».
Secondo la prospettazione effettuata dalla parte ricorrente, la scrittura in esame conterrebbe una disposizione testamentaria ex art. 587 co. 2 c.c..
La norma indicata prevede che “Le disposizioni di carattere non patrimoniale [c.c. 254, 256, 285, 348, 355, 424, 620, 629], che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento [c.c. 601], anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale”.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione, richiamata dalla stessa parte ricorrente, “Ogni persona fisica può infatti scegliere liberamente circa le modalità ed il luogo della propria sepoltura, la legge consentendo espressamente che tra le disposizioni testamentarie rientrino anche quelle a carattere non patrimoniale (art. 587 c.c., comma 2). Quando manca la scheda testamentaria tale volontà può essere espressa senza rigore di forma attraverso il conferimento di un mandato ai prossimi congiunti. L’esistenza ed il contenuto di un simile mandato costituisce questione di fatto; e nella specie la Corte d’appello, con ampia motivazione che ha tenuto conto di una pluralità di elementi (e non so/tanto delle risultanze testimoniali), e che appare del tutto corretta sotto il profilo delle norme di legge, ho chiarito le ragioni per le quali era da ritenere da un lato che la de cuius avesse espresso il desiderio di non essere tumulata post mortem nella cappella del marito, dall’altro lato che la sepoltura nella tomba destinata ad accogliere le spoglie della famiglia G. fosse quella più rispondente allo volontà delle defunta Tale conclusione. investendo apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, si sottrae a sindacato in sede di legittimità; né può darsi alcun rilievo all’argomento fondato sulla comparazione tra “ius coniugii” e “ius sanguinis”, trattandosi di una tesi del tutto nuova che non risulta prospettata e discussa davanti al giudice del merito ” (Cass. civ., Set I, 23/05/2006, n.12143).
Orbene dalla lettura della disposizione cui la parte ricorrente ha fatto riferimento emergono dubbi sul fatto che sia stata posta in essere una dichiarazione di volontà rientrante nello schema del mandato; non vi e nessuna indicazione della persona o dei soggetti cui sarebbe stato conferito il mandato relativo alla sepoltuta del testatore; il mandato è un contratto con il quale una parte si obbliga a compiete uno o più atti giuridici per conto dell’altra cosi come prevede l’art. 1703 c.c.. Sicuramente non può ritenersi che tra i soggetti ai quali sia stato conferito eventualmente il mandato possa rientrare l’associazione ricorrente; quest’ultima si è costituita solamente nel dicemhre del 2007, con il fine, indicato nell’atto costitutivo, proprio della la tutela del luogo ove è sepolto Padre Pio, mentre l’assunta disposizione di ultima volontà è stata effettuata nel 1923.
La parte ricorrerne ha dedotto di essere legittimata attivamente in forza della previsione di cui all’art. 648 c.c.
Ritiene il giudicante che la norma indicata non possa essere applicata al caso in causa. L’art. 648 c.c. prevede che “Per l’adempimento dell’onere può agire qualsiasi interessato [c.c. 793]. Nel caso d’inadempimento dell’onere [c.c. 677], l’autorità giudiziaria può pronunziare la risoluzione [c.c. 1453] della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo determinante [c.c. 626] della disposizione”.
L’art 647 c.c. prevede che: “Tanto all’istituzione di erede quanto al legato può essere apposto un onere [c.c. 549, 629, 690, 793]. Se il testatore non ha diversamente disposto, l’autorità giudiziaria qualora ne ravvisi l’opportunità, può imporre all’erede o al legatario gravato dall’onere una cauzione [c.p.c. 119, 750]. L’onere impossibile o illecito si considera non apposto [c.c. 634] rende tuttavia nulla la disposizione, se ne ha costituito il solo motivo determinante [c.c. 626, 794]”. Ciò premesso, è evidente che nel caso in esame non possa essere configurata una disposizione modale, tenuto conto che quest’ultima è ontologicamente e causalmente ricollegata all’istituzione di erede o di legatario, che nel caso di specie è del tutto mancata, non essendo stata effettuata alcuna disposizione di carattere patrimoniale.
Pertanto, non vertendosi in ambito di adempimento dell’onere ex art. 647 c.c., ne consegue che non può ritenersi sussistente la legittimazione ad agire di qualsiasi interessato ex art. 648 c.c..
L’art. 81 c.p.c. prevede espressamente che, fuori dai casi previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui.
Del resto è pacifico per la stessa giurisprudenza citata dalla parte ricorrente che la figura cui debba astrattamente farsi riferimento è quella del mandato ai prossimi congiunti e non quella dell’onere ex art. 647 c.c..
Non può essere configurata la sussistenza della legittimazione attiva in capo alla associazione ricorrente neppure in relazione alla prospettata sussistenza di un interesse diffuso o collettivo, cosi come prospettato dalla parte ricorrente.
La costituzione di soggetti portatori di interessi diffusi (nel caso di specie religiosi) costituiti in associazioni o comitati, non comporta, di per sé, la legittimazione processuale in via automatica, occorrendo all’uopo la dimostrazione in concreto che l’associazione che agisce è titolare dell’interesse concreto dedotto in giudizio.
Il fatto incontestabile che vi sia una certa parte dei fedeli cattolici che dissente dalle operazioni di ricognizione canonica per cui è causa, non comporta di per sé che le relative associazioni, che perseguono interessi di natura religiosa, siano per ciò legittimate a proporre domande giuridiche relative all’esecuzione di una assunta disposizione testamentaria, quale quella per cui è stato proposto il presente giudizio.
Ove pure voglia essere ritenuta la configurabilità di un interesse diffuso religioso che possa rilevare ai fini della presene decisione, deve ritenersi, ricorrendo al principio del contemperamento degli interessi contrapposti, che la Chiesa Cattolica, e per essa i suoi rappresentanti istituzionali, sia l’organismo portatore degli interessi dei fedeli stessi, che costituiscono la stessa Chiesa Cattolica.
Pertanto le eccezioni sollevate dalle parti convenute relativamente alla carenza di legittimazione attiva dell’associazione ricorrente devono essere ritenute fondate. Anche le eccezioni riguardanti il vizio di costituzione del contraddittorio nei confronti dei legittimati passivi sono fondate.
Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO, citato nella sua qualità di delegato per la Santa Sede per il Santuario e le Opere di San Pio da Pietralcina , Frate Carlo Maria Laborde, nella qualità di Guardiano del Convento dei Frati minori Cappuccini di S. Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo, e Frate Francesco Colacelli , nella qualità di Presidente della Commissione per l’Esumazione di San Pio da Pietralcina hanno eccepito di essere esecutori materiali di attività imputabili da una parte alla Congregazione delle Cause dei Santi, che ha disposto l’esumazione delle spoglie di Padre Pio , e dall’altra alla Provincia Monastica dei Frati Minori Cappuccini, avente personalità giuridica civilmente riconosciuta , nella persona del Padre Provinciale. che ne è il legale rappresentante.
Se è incontrovertibile che sia il Vescovo, sia Frate Carlo Maria Lahorde, sia Frate Francesco Colacelli , hanno preso parte nella vicenda per cui è causa, rivestendo un ruolo attivo, proponendo istanze ed effettuando attività materiali, è altresì vero che la domanda in esame non è stata proposta anche nei confronti della Congregazione delle Cause del Santi, cui spetta la decisione su tutto quello che si riferisce all’autenticità e alla conservazione delle reliquie (vedi appendice dell’Istruzione “Sanctorum Mater del 17.3.07, art. 1 comma 2, esibita al doc. n. 10 del fascicolo di parte del Monsignor Domenico Umberto D’AMBROSIO) e nei confronti del Padre Provinciale Provincia Monastica dei Frati Minori Cappuccini, legale rappresentante del Convento dei Frati Minori Cappuccini di S. Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo, che hanno avuto parte attiva nel compimento delle attività per cui causa, come risulta dalla documentazione allegata nei fascicoli di parte.
Pertanto anche sotto tale profilo la domanda non può essere accolta, non essendo stato instaurato il contraddittorio nei confronti di tutti i legittimati passivi.
Nel merito non appare essere sussistente il fumus boni iuris della domanda proposta.
Nella assunta disposizione testamentaria è inequivocabile la volontà dello scrivente di sottoporsi “alla volontà dei Superiori”, alla quale ha dichiarato di obbedire ciecamente. Nella predetta missiva Padre Pio, riconoscendo la propria predilezione per il popolo di S. Giovanni Rotondo, ha manifestato il proprio “desiderio” che “ove i superiori non si oppongano” le sue spoglie fossero composte “in un tranquillo cantuccio di questa terra”.
Ritiene il giudicante che il dichiarante abbia effettuato espressione di un mero “desiderio” e non già di una vera e propria disposizione non patrimoniale di ultima volontà, con conferimento di un vero e proprio mandato ad un preciso soggetto giuridico: a sostegno di tale conclusione devono essere considerate le modalità di espressione della manifestazione di volontà dell’assunto testatore, il contesto nel quale è inserita l’espressione, il notevole lasso di tempo intercorso tra il momento dell’effettuazione della dichiarazione e il momento della morte del testatore, avvenuta nel 1968 (quarantacinque anni dopo) la mancata indicazione precisa del soggetto mandatario e la mancanza di indicazione del luogo preciso in cui doveva essere effettuata la sepoltura.
Deve essere dato rilievo al fatto che il luogo ove San Pio è rimasto sepolto sin dal momento della sua morte (e dove la parte ricorrente chiede che continui a restare) non può in alcun modo essere qualificato come un “tranquillo cantuccio” ; Padre Pio è stato sepolto nella sottostante Chiesa di S. Maria delle Grazie, che è meta di pellegrinaggio di milioni di fedeli.
In ogni caso, ove pure voglia essere ritenuta la natura di testamento della espressione riportata, deve essere dato rilievo all’espressa manifestazione di volontà di Padre Pio di sottoporsi alta volontà dei “Superiori”, ed alla dichiarazione di subordinazione del desiderio espresso alla mancanza di diversa determinazione dei “Superiori” stessi; è notorio il fatto che anche in vita San Pio abbia conformato il proprio comportamento all’obbedienza verso i propri superiori.
Le disposizioni di ultima volontà devono essere interpretate cercando di ricostruire la volontà effettiva del testatore.
Non può essere revocato in dubbio il fatto che nel caso in esame l’assunto testatore abbia
dichiarato di obbedire ciecamente alla volontà dei Superiori e che il proprio desiderio di sepoltura “in un tranquillo cantuccio” era subordinato alla mancanza di volontà diversa dei Superiori stessi:
Né può essere dato rilievo al fatto dedotto che il testatore si sarebbe riferito unicamente alla volontà dei superiori al momento della sua morte, non essendovi alcuna indicazione al riguardo.
Infine va rilevato che la patte ricorrente , sulla quale incombeva il relativo onere probatorio, non ha esibito (neppure in copia) la lettera contenente la assunta disposizione testamentaria , cosicché non è dato al giudicante di controllare la sussistenza dei requisiti di forma necessari per la configurazione di una valida scheda testamentaria.
Tutte le altre questioni e le deduzioni, attinenti ai motivi morali e religiosi, che sono state prospettate sia dalla parte ricorrente che dalle parti resistenti , pur avendo una autonoma valenza, non rilevano ai fini della decisione della presente controversia.
Non va disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, essendo notoria la notizia diffusa dalla stampa che la parte ricorrente ha già proposto denuncia penale per i fatti per cui è causa.
Per i suesposti motivi la domanda cautelare proposta dall’associazione ricorrente deve essere rigettata.
Non ricorrono i presupposti per la condanna ex art, 96 c.p.c. della parte ricorrente, tenuto conto dei motivi morali e religiosi posti a fondamento della domanda stessa;
per le stesse ragioni, sussistono giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta la domanda ex att. 700 c.p.c. proposta dalla Associazione Pro Padre Pio – L’uomo Della Sofferenza, Onlus;
rigetta le domande effettuate dalle parti convenute di condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c.;
compensa integralmente le spese di giudizio.

Foggia, lì 27/03/2008
Il Giudice Delegato, dott. Gianfranco Placentino