Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Marzo 2004

Ordinanza 26 luglio 1995, n.186

Tribunale Penale di Messina. Giudice delle indagini perliminari. Ordinanza 26 luglio 1995, n. 186.

(omissis)

Fatto e diritto

Alle ore 8,20 del 23 gennaio 1994, Lentini Stellario veniva accompagnato da alcuni parenti, in stato di shock presso il pronto soccorso dell’Ospedale di Taormina in quanto affetto da ipotensione e fibrillazione. La moglie del Lentini, Saglimbene Catena, informava immediatamente i sanitari dell’emofilia della quale era affetto il marito e raccomandava, nel contempo, la necessità di evitare le trasfusioni di sangue. Effettuati i primi accertamenti e disposte le opportune terapie, intorno alle ore 11,30, le condizioni del paziente, fino ad allora stazionarie, iniziavano a peggiorare. In breve, al pallore cutaneo ed alla sudorazione fredda con graduale discesa dei livelli pressori, si accompagnava un “dolore persistente a livello epigastrico”. A questo punto il medico reperibile, dopo aver visitato il paziente, contattava dapprima il centro di Ematologia, quindi il reparto di Chirurgia d’urgenza dell’Ospedale Regina Margherita. Ottenuta la dichiarazione di disponibilità, il Lentini veniva avviato in ambulanza verso tale Ospedale. Nel corso del tragitto, insorgeva un improvviso arresto respiratorio. Si decideva allora di condurre il Lentini nel vicino Policlinico universitario dove, intorno alle ore 15,00, veniva ricoverato nel reparto di rianimazione con diagnosi di “gravissimo stato di shock da emoperitoneo, coma ed insufficienza respiratoria in paziente emofilico”. In esito ad ulteriori accertamenti, intorno alle ore 17,00, si ravvisava la necessità di un intervento chirurgico d’urgenza. Prospettata tale necessità ai familiari del Lentini, costoro, e in particolare la Saglimbene, si opponevano alla terapia chirurgica rappresentando che il Lentini, in quanto appartenente alla Congregazione dei testimoni di Geova, non poteva essere sottoposto a trasfusioni di sangue, inevitabili nel corso dell’intervento anche in considerazione dell’emofilia dalla quale era affetto il paziente. L’opera di convincimento posta in essere dai sanitari del reparto si rivelava vana tanto che, alle 17,30, la dottore sa Caterina Morabito faceva sottoscrivere alla Saglimbene ed ad un altro familiare non identificato una dichiarazione inserita nel diario clinico con la quale essi assumevano ogni responsabilità per il rifiuto del trattamento chirurgico e della terapia emotrasfusionale. Alle ore 00,10, presente la dottoressa Casella la quale aveva iniziato il proprio turno di servizio intorno alle ore 20,30, il Lentini decedeva in seguito ad arresto cardiaco, risultando vane tutte le manovre rianimatorie.

II P.M. ipotizza un concorso delle tre imputate nel reato di omicidio doloso ai danni di Lentini Stellario assumendo che la Morabito e la Casella avrebbero dovuto procedere all’intervento chirurgico, individuato come unica terapia idonea a salvare la vita al paziente, indipendentemente dal dissenso dei familiari. Questi ultimi e in particolare la Saglimbene, sola ad essere oggi chiamata a rispondere del fatto nonostante la dichiarazione sopra richiamata sia stata sottoscritta anche da un’altra persona, avrebbero cagionato la morte del Lentini impedendo con il loro rifiuto l’intervento o comunque inducendo i sanitari a desistere dalla terapia chirurgica.

Tale impostazione è smentita in fatto dalla complessiva ricostruzione della vicenda che porta ad escludere il nesso di causalità tra la presunta omissione e l’evento mortale, mentre, a parere di questo giudice, risulta anche viziata in diritto nella parte in cui pretende di far gravare sugli esercenti la professione sanitaria un dovere di attivarsi a tutela della salute altrui indipendentemente dalla volontà del soggetto titolare del diritto.

Riguardo al primo punto, la situazione clinica nel momento in cui, stando al diario clinico, era stata prospettata così qualche concretezza la necessità, o l’opportunità, dell’intervento chirurgico, emerge con chiarezza dalla perizia disposta da questo giudice in sede di incidente probatorio. I professori Dell’Osso e Castellani, infatti, hanno accennato con chiarezza nella relazione in atti che le condizioni generali del Lentini al momento del ricovero nel reparto Rianimazione del Policlinico universitario erano tali da rendere impraticabile l’intervento chirurgico i cui esiti letali sarebbero stati praticamente certi. Assumono al riguardo i periti che “risulta chiaramente alla documentazione esaminata come… le condizioni generali, e segnatamente neurologiche, cardiocircolatorie e respiratorie del paziente, apparissero gravissime ed oltremodo compromesse, certamente tali da non consentire un trauma chirurgico in paziente emofilico”. In effetti, che le condizioni del Lentini, al momento del ricovero nel Policlinico universitario, e ancor di più al momento della consulenza chirurgica espressasi a favore dell’intervento, fossero disperate, anche al di là della compiuta valutazione tecnica espressa nella perizia, emerge, anche per un profano, da una semplice lettura del diario clinico.

(omissis)

é dunque certamente condivisibile la sopra riportata valutazione dei periti che si sono espressi in termini di assoluta inutilità dell’intervento chirurgico.

(omissis)

Escluso, dunque, che l’omissione dell’intervento chirurgico possa eziologicamente collegarsi al decesso del Lentini che, verosimilmente, secondo quanto sopra detto, sarebbe stato accelerato e non certamente evitato dall’operazione, si impone, in conformità della richiesta formulata dallo stesso P.M. in esito all’udienza preliminare, il proscioglimento di tutte e tre le imputate perché il fatto non sussiste.

Anche al di là di quanto fin qui esposto, va rilevato, pur senza addentarsi nel compiuto esame della complessa tematica, che, pur seguendo l’impostazione accusatoria, appare in ogni caso difficilmente condivisibile l’assunto circa l’esistenza di un obbligo dei sanitari di attivarsi per impedire l’evento pur in presenza di un dissenso espresso del paziente o delle persone che lo rappresentano. Va, infatti, tenuto presente che l’art. 39 del codice di deontologia medica prevede la necessità di acquisire un consenso informato dell’interessato prima di ogni intervento, che, per costante orientamento giurisprudenziale, solo il consenso del paziente può escludere l’antigiuridicità delle lesioni procurate attraverso il trattamento chirurgico (v. Cass. 21 aprile 1992, Massimo), che nel nostro ordinamento la salute viene in rilievo come diritto individuale che, pur interferente con l’interesse sociale, non legittima trattamenti sanitari obbligatori fuori dalle ipotesi espressamente previste dalla legge (v. art. 32 Cost.). In ogni caso, l’assunto dell’organo d’accusa, supportato dalla digressione più legale che medica dei suoi consulenti tecnici, se è discutibile in ipotesi di intervento chirurgico con buone probabilità di esito favorevole e in caso di obiettiva necessità ed utilità dello stesso secondo la migliore scienza medica, è certamente infondato in presenza di un intervento ad alto rischio quale, a tutto concedere, non poteva non essere considerato quello cui doveva essere sottoposto il Lentini. In tale situazione, infatti, l’apprezzamento del rischio operatorio e dell’opportunità dell’avventura chirurgica non può non essere rimessa al paziente ed ai suoi familiari i quali, opportunamente informati e consigliati dai sanitari, sono i soli sui quali grava la responsabilità delle relative scelte, senza che il rifiuto di consentire un accanimento terapeutico sulla persona del malato possa qualificarsi illecito sotto alcun profilo. Ne discende che legittimamente e doverosamente i sanitari, ricevuto il rifiuto all’intervento da parte dei familiari, si sono astenuti dall’imporre un trattamento chirurgico dal verosimile esito infausto. Altrettanto legittimamente la Saglimbene ha, indipendentemente dalle ragioni che hanno determinato tale scelta, impedito che a tale intervento il marito venisse sottoposto.

(omissis)

P.Q.M.

Visto l’art. 425 c.p.p.

Dichiara non doversi procedere nei confronti di Morabito Caterina, Casella Patrizia e Saglimbene Catena per il reato loro ascritto in rubrica perché il fatto non sussiste.

(omissis)