Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Febbraio 2009

Ordinanza 26 agosto 2008

Tribunale di Firenze. Ordinanza 23-26 agosto 2008: “Sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 2, 3 e 4, e dell’art. 6, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita»”.

(G.U. n. 50 del 3 dicembre 2008)

IL TRIBUNALE

Sciogliendo la riserva che precede (udienza 11 agosto 2008) nel procedimento a seguito del ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 2 luglio 2008 e di cui al n.r.g. 10503/2008;

R i l e v a

C. M. e R. G. hanno esposto:
– di essere coniugati dal 2001 e di essere coppia infertile ai sensi della legge n. 40/2004, non essendo riusciti ad avere figli nonostante ripetuti tentativi tra cui anche quelli attraverso le tecniche di procreazione medicalmente assistita;
– di avere tentato fin dal 2001 di ottenere una gravidanza in via naturale ma senza esito e di avere proceduto inutilmente poi con un tentativo di fecondazione in vitro nel 2006;
– che dagli ultimi e recenti esami diagnostici e’ emersa, inoltre, una seria oligospermia di esso ricorrente, probabilmente derivata da un evento emorragico dovuto alla patologia genetica di cui soffre esso R. (affezione dalla nascita da retinoblastoma bilaterale, malattia genetica ereditaria rara di tipo tumorale, per ora incurabile e trattabile temporaneamente solo per via laser, che colpisce la retina, con mutazione genica 2184insGGACCC in eterozigoti a livello dell’esone 1 del gene retino blastoma – RB1 -), con possibilita’ di essere trasmessa ai figli con una probabilita’ del 50% e probabilita’ di trasmissione a un proprio figlio del proprio tumore che aumenta in genere laddove anche un altro membro della famiglia risulta affetto da retinoblastoma; che nella specie nella famiglia di esso ricorrente il retinoblastoma e’ presente nel padre e nella sorella;
– di essere essa C. affetta da mutazione della fibrosi cistica (G542X) e di essere portatrice sana di beta-talassemia;
di essere esso R., oltre che affetto da retinoblastoma, portatore sano di alfatalassemia;
– di essersi in data 11 marzo 2008 essi coniugi, sussistendo tutti i requisiti di legge per accedere nuovamente alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), rivolti al Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l., con sede in Firenze; che ivi si sono svolti i colloqui preliminari secondo la legge n. 40/2004, al fine di individuare le metodiche appropriate per la propria situazione e avviare le procedure del caso; di avere il Centro Demetra accettato la richiesta di essi coniugi di avviare una procedura di fecondazione in vitro al fine dell’ottenimento di una gravidanza, nonche’ – a seguito della emanazione delle nuove Linee guida di applicazione della legge n. 40/2004 (D.M. Salute 11 aprile 2008) – di effettuare la diagnosi c.d. di preimpianto relativamente ed esclusivamente in ordine alla patologia grave e maligna (retinoblastoma) di cui e’ affetto esso R., in particolare al fine di fornire, allo stato, gli elementi informativi necessari per valutare la probabilita’ di trasmissione della patologia genetica o la presenza di una anomalia cromosomica;
– che la dott.ssa C. L., direttrice del Centro Demetra, ha riconosciuto legittima la richiesta dei coniugi sotto il profilo medico e scientifico, cosi’ come riconosciuto in giurisprudenza da Trib. Cagliari 24 settembre 2007, Trib. Firenze, ord. 17 dicembre 2007, e Tribunale amministrativo regionale Lazio, 21 gennaio 2008, n. 398, e dalle gia’ citate attuali Linee guida ministeriali, ed ha quindi dichiarato la disponibilita’ del Centro ad eseguire la PMA secondo le migliori tecniche della scienza medica atteso che il Centro si avvale della collaborazione – per la diagnosi genetica del blastomero embrionale (PGD) – di laboratori di biologia molecolare con esperienza specifica in materia; che tuttavia la stessa dott.ssa L. si e’ trovata a dover opporre la sussistenza di divieti e obblighi (derivanti dalla citata legge n.140 del 2004, secondo corrente interpretazione restrittiva) che di fatto impediscono di applicare al caso dei ricorrenti le migliori pratiche mediche diffuse e accettate dalla comunita’ scientifica internazionale;
– di essere in particolare, la miglior pratica medica da utilizzarsi per essi coniugi C. – R., inibita:
1) dal divieto di creare un numero di embrioni superiore a tre e comunque in correlazione ad un unico e contemporaneo impianto (art. 14, comma 2, legge n. 40/2004);
2) dal divieto di crioconservazione degli embrioni (art. 14, comma 1, legge n. 40/2004);
3) dalla irrevocabilita’ del consenso e la conseguente impossibilita’ di interrompere la procedura di fecondazione assistita una volta fecondato l’ovocita (art. 6, comma 3, legge n. 40/2004);
essere per essi ricorrenti necessita’ medica e scientifica che:
A) siano prodotti piu’ di tre embrioni;
B) siano crioconservati gli embrioni non utilizzati per il primo impianto;
tutto cio’ al fine di ottenere, applicando come e’ dovere professionale del medico la miglior tecnica possibile allo stato delle conoscenze scientifiche a disposizione, sia la maggiore probabilita’ di riuscita dell’intervento, sia la piu’ accurata tutela della salute di essa C.
Hanno quindi i ricorrenti chiesto:
«che il Tribunale di Firenze, ritenuta la sussistenza nel caso dedotto dei requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora, ordini al Centro di procreazione assistita «Demetra» s.r.l., con sede in Firenze via della Fortezza, 6, in persona del legale rappresentante pro tempore, di eseguire a favore dei ricorrenti, secondo l’applicazione delle metodiche della procreazione medicalmente assistita, la c.d. fecondazione in vitro, secondo le migliori e accertate pratiche mediche, previa diagnosi pre-impianto, provvedendo a trasferire nell’utero della signora C. gli embrioni creati in base alle direttive impartite dalla medesima paziente ed applicando le procedure dettate dalla scienza medica per assicurare il miglior successo della tecnica in considerazione dell’eta’ e dello stato di salute della paziente, considerato anche il rischio di gravidanze plurigemellari pericolose, provvedendo altresi’ a crioconservare per un futuro impianto gli embrioni risultati idonei e che non sia possibile trasferire immediatamente».
Ai fini dell’instaurando giudizio di merito, i ricorrenti hanno preannunciato, con riserva di ogni opportuna integrazione, le seguenti conclusioni.
«Piaccia al Tribunale di Firenze, contrariis reiectis:
accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti ad effettuare mediante l’applicazione delle metodiche della procreazione medicalmente assistita, la c.d. fecondazione in vitro, secondo le migliori e accertate pratiche mediche, previa diagnosi pre-impianto;
accertare e dichiarare il diritto della signora C. a chiedere che siano trasferiti nell’utero gli embrioni creati in base alle direttive impartite dalla medesima paziente;
accertare e dichiarare il diritto a che la procedura della fecondazione in vitro sia effettuata secondo i migliori canoni della scienza medica, per assicurare il miglior successo della tecnica in considerazione dell’eta’ e dello stato di salute della paziente, considerato anche il rischio di gravidanze plurigemellari pericolose;
accertare e dichiarare il diritto degli attori a crioconservare per un futuro impianto, gli embrioni risultati sani e che non sia possibile trasferire immediatamente;
nella denegata ipotesi in cui il Tribunale ritenesse non accoglibili la domanda cautelare e le conclusioni formulate in quanto contrastanti con la disciplina contenuta nella legge n. 40 del 2004, si chiede che il tribunale, gia’ in sede cautelare, sollevi questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, commi 2 e 3, legge n. 40 del 2004 per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.; dell’art. 14, comma 1, legge n. 40 del 2004 limitatamente alle parole «la crioconservazione e», per violazione degli artt. 3 e 32 Cost.; dell’art. 6, comma 3, legge n. 40 del 2004, per violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost.;
condannare, per l’effetto, il Centro medico convenuto alla effettuazione del protocollo di procreazione medicalmente assistita secondo i criteri di cui alle conclusioni che precedono;
con vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio solo per il non creduto caso di contestazione da parte del Centro medico convenuto».
Questo giudice designato, con suo decreto 4-7 luglio 2008, atteso che non vi e’ stata richiesta affinche’ si procedesse inaudita altera parte, ha fissato per la comparizione delle parti innanzi a se’ l’udienza dell’11 agosto 2008; ha mandato alle parti ricorrenti di notificare ricorso e pedissequo decreto al Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l. e al pubblico ministero in sede entro il termine del 25 luglio 2008; ha infine concesso al Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l. e al pubblico ministero in sede termine per eventuale memoria di risposta sino al 6 agosto 2008.
Nonostante rituale notifica del ricorso e del decreto, non si e’ costituito il pubblico ministero in sede.
Si e’ invece costituito, con memoria depositata il 30 luglio 2008, il Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l., a sua volta esponendo:
– di non essere legittimato, se non in virtu’ di un ordine del giudice, ad adottare una interpretazione meno restrittiva, rispetto a quella risultante dal dato letterale delle disposizioni della legge n. 40/2004, che consenta di esaudire le richieste avanzate dai coniugi ricorrenti, senza tuttavia incorrere nelle sanzioni anche penali previste dalla legge;
– di essere remissivo ad un eventuale ordine del giudice avente ad oggetto l’esecuzione delle richieste avanzate dai ricorrenti, avendo le strutture e il personale sanitario competente e in grado di effettuare le prestazioni richieste, atteso la possibilita’ di avvalersi della collaborazione di laboratori di biologia molecolare con esperienza specifica in materia;
– che una lettura restrittiva e drastica delle disposizioni della legge n. 40/2004 e una loro applicazione rigida possa da una parte produrre rischi per la salute della donna sottoposta alle tecniche di fecondazione assistita e dall’altro vanificare i tentativi di ottenimento di una gravidanza;
– che la condotta ex adverso richiesta non si pone in contrasto con i principi del vigente Codice deontologico medico e in particolare con gli artt. 16, 18, 44 e 46 dello stesso.
Ha quindi il Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l. cosi’ concluso:
«che il Tribunale di Firenze, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, assuma tutti i provvedimenti ritenuti piu’ opportuni rispetto alla fattispecie in esame, dichiarando sin d’ora la propria disponibilita’ a procedere con il trattamento sanitario oggetto del presente giudizio, se ritenuto legittimo e a seguito di un esplicito ordine».
All’esito dell’udienza dell’11 agosto 2008, in cui parti ricorrenti hanno formulato, senza alcuna contestazione avversaria, ulteriori deduzioni a verbale, questo Giudice si e’ riservato di decidere.

Osserva

Dalla documentazione medica prodotta dai ricorrenti e i cui dati non sono stati contestati dalla parte intimata e’ emerso, oltre a quanto gia’ sopra riportato:
– che i tentativi, senza esito, effettuati in passato all’estero dai ricorrenti hanno avuto i seguenti risultati: nel 2006 su 8 embrioni, 4 sono risultati sani; in un primo tentativo ne sono stati trasferiti due e nel successivo tentativo altri due; cio’ in considerazione degli standard di successo delle tecniche di fecondazione in vitro (dati ESHRE) e per limitare la reiterazione delle procedure di stimolazione ovarica, preparatorie alla fecondazione in vitro e comunque invasive sulla salute della donna;
– che nella specie l’obbligo previsto dalla legge n. 40/2004 di produrre al massimo tre embrioni sia nei casi di patologie genetiche con un elevato grado di trasmissibiita’ (es. il 50% come per il retinoblastoma) sia per garantire il piu’ possibile la futura gravidanza si risolve in una prassi inadeguata e si sostanzia in un comportamento inumano per le conseguenze che ne derivano sul piano psicologico e fisico per la madre e per il nascituro; che tale impatto e tali danni vengono ulteriormente amplificati dal dover trasferire tutti gli embrioni prodotti senza alcuna valutazione medica e relativa alla integrita’ psico-fisica dei soggetti coinvolti (ad es. gravidanze trigemine terminate con la morte o la nascita prematura dei nascituri e con gravi rischi di vita della madre);
– che in casi del genere, tentare di produrre un numero inferiore potrebbe condurre solo a risultati negativi con gravissimo nocumento per la donna che dovrebbe sottoporsi a ripetuti cicli di stimolazione ormonale e successivamente a vivere il tragico evento dell’aborto spontaneo con successivo intervento di raschiamento o di aspirazione, ovviamente con un rilevante impatto fisico e psicologico.
I ricorrenti hanno quindi in via principale richiesto, sul presupposto della accertata legittimita’ delle c.d. diagnosi genetica di preimpianto dell’embrione (DGP), prima cioe’ del suo trasferimento in utero e quindi prima dell’inizio della gravidanza (come ammesso, secondo una lettura costituzionalmente orientata, dalle citate Trib. Cagliari 24 settembre 2007, in Foro It., 2007, I, 3245; Trib. Firenze, ord. 17 dicembre 2007, in Foro It., 2008, I, 627, e Tribunale amministrativo regionaleLazio, sez. III, 21 gennaio 2008, n. 398, in Foro It., 2008, III, 207) e ora non vietato dalle nuove Linee guida di applicazione della legge n. 40/2004 (D.M. Salute 11 aprile 2008), di accedere, con conseguente emanazione dell’ordine di cui alle sopra articolate conclusioni in via principale, ad una lettura parimenti costituzionalmente orientata degli artt. 6, comma 3, e 14, commi 1, 2 e 3, legge n. 40/2004.
In sintesi le argomentazioni al riguardo esposte dai ricorrenti sono le seguenti:
a) la disposizione di cui all’art. 14, comma 2, legge n. 40/2004 (nella parte in cui opera il richiamo all’evoluzione tecnico-scientifica e alle c.d. Linee Guida a sua volta contemplate dall’art. 7, comma 3 secondo l’aggiornate periodico, e comunque almeno triennale, in rapporto alla stessa evoluzione tecnico-scientifica) apparirebbe ridondante e priva di reale significato ove non collegata ad una concreta possibilita’ da parte del medico di uniformarsi, nel caso concreto oggetto di cura, alle migliori tecniche mediche da applicarsi secondo scienza e coscienza e secondo quanto previsto dalla buona pratica medica; che la norma stessa, quindi, suggerirebbe la possibilita’ di liberare il medico dal vincolo della cura uguale per tutti indipendentemente dalla loro condizione che, nell’interpretazione tradizionale, costituisce il postulato dell’art. 14, comma 2; che pertanto la lettura corretta della norma sarebbe quella in base alla quale il medico, secondo le proprie conoscenze mediche, applicando le migliori e piu’ appropriate tecniche, dovra’ creare il numero di embrioni necessario per le esigenze concrete della paziente, effettuando il trasferimento in utero di un numero di embrioni (comunque non superiore a tre per unico trasferimento), con la
precisazione che il secondo comma dell’art. 14 non parla di unico e contemporaneo trasferimento in utero, ma di «impianto», che e’ un evento successivo al trasferimento e solo eventuale, del quale il medico puo’ prevedere l’incidenza statistica in base alle risultanze scientifiche; che in conclusione sarebbe corretta ed appropriata l’interpretazione che consenta al medico di tentare di fertilizzare il numero di ovociti necessario, secondo le condizioni cliniche della coppia per raggiungere il risultato definitivo dell’impianto di un numero di embrioni, comunque, non superiore a tre; che una simile interpretazione consentirebbe al medico di applicare le tecniche secondo le migliori pratiche mediche in relazione al risultato prevedibile secondo le conoscenze scientifiche, evitando gli inconvenienti che determinerebbero l’incostituzionalita’ della norma; che inoltre, in particolari situazioni, al fine di giungere ad un trasferimento con tre embrioni, vitali e trasferibili, e’ necessario tentare di fertilizzare un numero maggiore di ovociti (ad es. nel caso di donne avanti negli anni o in ipotesi di spermatozoi poco vitali e, a maggior ragione, laddove sia necessaria la diagnosi di preimpianto);
a2) qualora a seguito dell’applicazione delle tecniche dovessero risultare embrioni sovrannumerari (nell’esempio precedente, immaginando che il calcolo statistico non sia rispettato, vengano prodotti 4 embrioni idonei al trasferimento) sovverrebbe il comma 3 dello stesso articolo 14 ai sensi del quale «e’ consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento …»; che in particolare in considerazione dei rischi connessi al trasferimento di un numero di embrioni elevato e della, relativa, imprevedibilita’ del numero di ovociti che si feconderanno generando embrioni idonei al trasferimento, potrebbe considerarsi, infatti, il verificarsi di un rischio per la salute della donna imprevedibile all’atto della fecondazione degli ovociti che renda necessario il ricorso alla crioconservazione in vista di un futuro trasferimento, giusta quanto in via eccezionale consentito dall’art. 14, comma 3, legge n. 40/2004;
b) l’interpretazione rigida degli artt. 14, comma 1 («e’ vietata la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194») e comma 3, della legge (qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione e’ consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento da realizzare non appena possibile») (con la paradossale conseguenza, ad es., di poter effettuare la crioconservazione per una febbre della donna ma non per il rischio ben piu’ grave per la salute fisica e psichica della stessa di trasmissione di una gravissima malattia genetica) verrebbe evitata, vieppiu’ per il tramite del riferimento alla legge n. 194/1978, dal bilanciamento degli interessi e dei diritti dei soggetti coinvolti previsti in tale ultima legge, secondo cui non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi e’ gia’ persona, come la madre, e la salvaguardia di chi persona deve ancora diventare» (cosi’ Corte Cost., 18 febbraio 1975, n. 27, confermata nel suo impianto da Corte Cost., 10 febbraio 1997, n. 35);
b2) d’altra parte le Linee guida alla legge n. 40 del 2004 prevedono la crioconservazione qualora per qualsiasi ragione un trasferimento non risulti attuato;
c) la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 6, comma 3, della legge n. 40/2004 (in virtu’ del quale la volonta’ di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita puo’ essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dallo stesso comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo) deriverebbe sia dai principi fondamentali previsti dall’art. 32 della Costituzione (che riconoscono il diritto incondizionato di ogni cittadino di poter rifiutare le cure mediche non volute, salvo i casi previsti per i trattamenti sanitari obbligatori, e sempre che non siano contrari alla dignita’ umana), sia dalla contemporanea lettura dell’art. 6 (comma 4), laddove si prevede che il medico possa interrompere la procedura qualora insorgano ragioni di ordine medicosanitario (attinenti anche a rischi e pericoli per la futura madre e non solo a problemi di carattere organizzativo, ecc.); che siffatta interpretazione appare maggiormente corretta rispetto a quella incongrua e paradossale che vede negare la possibilita’ di revoca alla donna e la attribuisce unicamente al personale sanitario, in chiaro spregio al principio per il quale nessuno puo’ imporre un comportamento ad un altro soggetto e meno che mai cio’ puo’ essere fatto da una legge sanitaria, salvo la sussistenza di ragioni di ordine pubblico e di interesse generale (es. vaccinazioni obbligatorie); che, infine, la facolta’ di rinuncia alla maternita’ e’ consentita e tutelata dalla Legge fino alla nona settimana (art. 4, legge n. 194/1978);
d) che quanto sostenuto in ordine alla possibilita’ di crioconservazione prevista dal comma 1 dell’art. 14 della legge n. 40/2004 varrebbe, inoltre, anche in relazione all’ipotesi prevista dal quarto comma dello stesso art. 14 (che stabilisce: «ai fini della presente legge e’ vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194»); che una lettura costituzionalmente orientata consentirebbe di ridurre il numero degli embrioni da trasferire avendo riguardo i rischi per la salute fisica e psichica della madre.
Ritiene questo giudice (come gia’ si e’ espresso altro giudice di questo tribunale, con ordinanza 12 luglio 2008, resa nell’ambito del procedimento ex art. 700 c.pc. di cui al n.r.g. 5895/2008) che non si possa accedere alla lettura costituzionalmente orientata proposta in via principale dai ricorrenti.
Si e’ infatti in presenza di un impianto normativo caratterizzato, secondo le dichiarazioni di principio di cui all’art. 1 della legge n. 40/2004, dalla necessita’ di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita’ o dalla infertilita’ umana, consentendo, qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause della sterilita’ o della infertilita’, il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalita’ previste dalla legge stessa, e assicurando i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
In tale contesto la ragione di fondo del divieto di crioconservazione degli embrioni (a differenza di quanto avviene ad es. per i gameti maschile e femminile, per i quali, giusta l’art. 14, comma 8, la crioconservazione e’, previo consenso informato e scritto, espressamente consentita) e’ da rinvenirsi non solo nella necessita’ di evitare (facendone anzi espresso divieto: cfr. art. 14, commi 1 e 4) la soppressione embrionaria, ma anche di limitare quanto piu’ possibile i casi di produzione, per qualunque ragione, di embrioni in sovrannumero. Tutto cio’ nell’ottica di tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
Ha ritenuto quindi il legislatore di codificare, imponendola, quale pratica a cio’ idonea quella della creazione di un numero di embrioni non superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e comunque non superiore a tre, consentendo in via del tutto eccezionale (comma 3) la temporanea crioconservazione degli embrioni qualora il loro trasferimento nell’utero non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione.
Il dato normativo, munito di severe sanzioni penali (art. 14, commi 6 e 7), e’ da considerarsi rigido, sia in quanto contenente dati di natura quantitativa niente affatto equivoci («unico e contemporaneo», «numero … comunque non superiore a tre»), sia in quanto detti dati, come si evince dall’utilizzo e dal posizionamento dell’avverbio «comunque», non attribuiscono alcun espresso potere derogatorio (o, se si vuole, deregolamentatorio) per via del duplice richiamo, diretto e indiretto (per il tramite dell’art. 7, comma 3), all’evoluzione tecnico-scientifica.
Non ritiene inoltre questo giudice, per quanto si voglia tecnicamente operare un distinguo fra «trasferimento» ed «impianto» dell’embrione, che il legislatore abbia voluto usare le due espressioni secondo un criterio di relazione non biunivoca fra i due eventi, consentendo cioe’ piu’ impianti nell’ambito di un’unitaria operazione di trasferimento, con effetto moltiplicatorio rispetto al numero di tre.
Non potendo l’interprete, secondo una interpretazione, non solo, come sopra visto, teleologica, ma anche logica e letterale, svincolarsi dal dato numerico cardinale «tre» – che deve essere riferito al sostantivo «numero», quale oggetto dell’atto di creazione degli embrioni – e dalla menzione dell’unicita’ e contemporaneita’ dell’operazione di impianto, ogni diversa lettura deve ritenersi effettuata contra legem.
Non puo’ nemmeno ritenersi risolutivo il ragionamento per absurdum proposto dai ricorrenti (pag. 13 del loro ricorso) secondo cui il legislatore, per garantire in modo pieno e coerente il diritto alla vita del concepito avrebbe dovuto consentire la produzione e l’impianto di un solo embrione alla volta, eliminando in tal modo il rischio, anche solo potenziale, che alcuni embrioni vengano inutilmente sacrificati.
Va infatti osservato (come gia’ messo in evidenza da TAR Lazio, cit.) che, secondo l’ottica del legislatore del 2004 (che configura espressamente in capo al concepito una situazione soggettiva espressamente qualificata come diritto – diversamente da quanto avviene per la legge n. 194/1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza dove il riferimento e’, art. 1, alla tutela della vita umana dal suo inizio -), il rapporto di 1 embrione creato ed 1 embrione trasferito (e impiantato) costituirebbe la situazione ottimale, se non altro in quanto e’ l’unica idonea ad evitare la soppressione o la crioconservazione, con la conseguenza del pieno rispetto di quanto previsto dall’art. 14, comma 1, della legge. Trattasi, ovviamente, di una situazione in cui l’assoluta e piena precauzione dal pericolo di crioconservare o sopprimere gli embrioni ha forti, se non fortissime, probabilita’ di rendere del tutto utopistica la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita’ o dalla infertilita’ umana.
La situazione di compromesso (cura della sterilita’ o della infertilita’ vs. crioconservazione o soppressione degli embrioni) si e’ ritenuto di poterla realizzare attraverso il ricorso alla regola di produzione di massimo tre embrioni per un unico impianto, ritenendo la produzione di tre embrioni mezzo idoneo da un lato a dare inizio comunque ad una gravidanza, dall’altro a contenere gli effetti di gravidanze gemellari. E’ per l’appunto questo il senso scaturito da quella parte dei lavori parlamentari opportunamente citata dai ricorrenti (on. Ercole, sed. Camera n. 124 del 27 marzo 2002: «Un punto fondamentale e’ rappresentato dal divieto relativo alla crioconservazione e alla soppressione degli embrioni. Per evitare dunque di ripetere la situazione attuale – che vede l’esistenza di una riserva di oltre 24 mila embrioni conservati – questa normativa rifiuta che le tecniche di produzione degli embrioni ne creino un numero superiore a tre per un unico impianto e impone che tutti gli embrioni prodotti debbano essere poi contemporaneamente inseriti nell’utero materno. E’ una salvaguardia fondamentale della vita dell’embrione»).
In questo senso il riferimento all’evoluzione tecnico-scientifica di cui al comma 2 dell’art. 14 quale criterio ispiratore delle tecniche di produzione degli embrioni, lungi dall’avere, come sopra esposto, effetti derogatori o deregolamentatori, consente invece di operare una scelta fra la produzione e il necessario impianto di uno, due o tre embrioni, con una modulazione che sara’ attuata dall’operatore a seconda dei casi di specie, ferma restando l’unicita’ dell’operazione di impianto.
Parimenti il comma 3 dell’art. 14 non puo’ che essere letto in quello che e’ il suo significato reso palese dalle espressioni utilizzate e per le quali la causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna deve essere, oltre che grave, altresi’ non prevedibile al momento della fecondazione: per quanto possa sembrare paradossale concretizza l’eccezione, proprio come rappresentato dai ricorrenti, una sindrome febbrile della donna ma non per il precognito rischio di trasmissione di una gravissima malattia genetica.
Nel caso di specie la causa attinente allo stato di salute della donna (alto rischio di trasmissione di grave malattia genetica) e’ ampiamente prevedibile e come tale al di fuori di alcuna ipotesi eccettuata contemplata dal comma 3 cit.
A fronte, quindi, di un dato normativo inequivocabile, deve essere disattesa l’immediata valutazione del fumus boni juris invocata dai ricorrenti in ordine alla possibilita’, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 14, commi 1, 2, e 3, di procedere alla produzione ed impianto, in uno o piu’ contesti, di piu’ di tre embrioni, previa, ove necessario, loro crioconservazione.
I ricorrenti chiedono infine darsi luogo ad una lettura costituzionalmente orientata altresi’ dell’art. 6, comma 3, ult. parte, della legge n. 40 del 2004, che consente che la volonta’ di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita puo’ essere revocata da ciascuno dei componenti della coppia fino al momento della fecondazione dell’ovulo.
Anche detta lettura, per questo giudice, deve essere disattesa, in quanto e’ chiaramente da un lato indicato il termine ultimo di revoca del consenso e dall’altro in quanto uno spostamento in avanti nel tempo della facolta’ di revoca avrebbe come logica conseguenza l’integrazione delle fattispecie vietate di cui all’art. 14, comma 1, della legge.
I ricorrenti hanno chiesto in via subordinata che, gia’ in sede cautelare, questo giudice sollevi questione di legittimita’ costituzionale:
dell’art. 14, commi 2 e 3, legge n. 40 del 2004 per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.;
dell’art. 14, comma 1, legge n. 40 del 2004 limitatamente alle parole «la crioconservazione e», per violazione degli artt. 3 e 32 Cost.;
dell’art. 6, comma 3, legge n. 40 del 2004, per violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost.;
con conseguente sospensione del presente procedimento cautelare e rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
Circa la sollevabilita’ nell’ambito del procedimento cautelare di questione di legittimita’ costituzionale, questo giudice ritiene che il giudice della cautela, e segnatamente, per quello che qui rileva, della cautela ante causam, abbia tutti i requisiti per poter essere considerato giudice a quo.
Cio’ sia in quanto il giudice della cautela ante causam sovrintende ad una fase in cui deve avere pieno rispetto il principio del contraddittorio in uno scenario che, anche nel caso di specie, permane di contrapposizione di interessi (da un lato quello dei ricorrenti ad ottenere la prestazione richiesta e dall’altro quello di chi opera per conto della s.r.l. intimata a non incorrere nelle sanzioni di natura penale ed interdittiva contemplate dai commi 6 e 7 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004), sia in quanto anche per il giudice della cautela la disapplicazione di norme sospette di illegittimita’ costituzionale – e per le quali, come sopra visto, non sia affatto possibile una semplice lettura costituzionalmente orientata – richiede pur sempre, secondo il nostro assetto costituzionale, l’intervento del giudice istituzionalmente controllore della legittimita’ costituzionale.
Non puo’ peraltro il giudice della cautela ante causam accogliere in via temporanea la pretesa di quella parte che dichiara di risentire pregiudizio dalla vigenza di quella norma che assume essere costituzionalmente illegittima, al contempo sollevando questione di legittimita’ costituzionale della stessa, sia in quanto con l’emanazione del provvedimento cautelare, che sia temporaneo o invece idoneo ad assumere una sua stabilita’ secondo il dettato di cui all’art. 669-octies, commi 6 e 7, c.p.c., detto giudice verrebbe cosi’ a spogliarsi di ogni potere in ordine alla pretesa dedotta nel procedimento, sia in quanto la immediata temporanea disapplicazione di una norma ritenuta costituzionalmente illegittima verrebbe, per i suoi effetti, a creare un vero e proprio vulnus nell’ambito del principio di separazione fra i poteri dello Stato.
Il rigetto, poi, della domanda cautelare motivato dalla argomentazione che e’ il giudizio di merito quello tipicamente deputato alla sollevazione della questione di legittimita’ costituzionale rischia di risolversi – soprattutto laddove siano dedotte situazioni che per loro natura, come nel caso di specie, richiedono una rapida risposta giurisdizionale -in un vero e proprio diniego di giustizia.
Non vi e’ nemmeno modo per sollevare la questione all’interno di quella modalita’ procedimentale pur consentita dall’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. (con la sequenza 1) emanazione di decreto inaudita altera parte, 2) sollevazione di questione di legittimita’ costituzionale, 3) conferma, modifica o revoca con ordinanza del decreto a seconda dell’esito del giudizio di costituzionalita’), dal momento che questo giudice ha ritenuto di non far luogo a simile modalita’ procedimentale (per carenza di richiesta sul punto dei ricorrenti) ed altresi’ in quanto sarebbe inimmaginabile, data la peculiarita’ della situazione dedotta nel procedimento, l’eliminazione dei possibili effetti prodotti da una pronuncia anticipatoria del giudice remittente, poi dichiarata non rispettosa di quella legge di cui sia stata confermata la legittimita’ costituzionale.
Cio’ posto occorre verificare se, e in caso positivo entro quali termini, la dedotta, in via subordinata, questione di’ legittimita’ costituzionale sia rilevante e non manifestamente infondata.
La questione deve considerarsi rilevante.
Le disposizioni della legge n. 40 del 2004 – di cui viene, per le ragioni sopra esposte, negata la lettura costituzionalmente orientata – costituiscono chiaro ostacolo all’accoglimento delle richieste formulate dai ricorrenti (di procedere, cioe’, secondo l’applicazione delle metodiche della procreazione medicalmente assistita, alla cd. fecondazione in vitro, secondo le migliori e accertate pratiche mediche, previa diagnosi preimpianto, provvedendo a trasferire nell’utero della signora C. gli embrioni creati in base alle direttive impartite dalla medesima paziente ed applicando le procedure dettate dalla scienza medica per assicurare il miglior successo della tecnica in considerazione dell’eta’ e dello stato di salute della paziente, considerato anche il rischio di gravidanze plurigemellari pericolose, provvedendo altresi’ a crioconservare per un futuro impianto gli embrioni risultati idonei e che non sia possibile trasferire immediatamente).
Lo sono in primo luogo le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 14, nelle parti che saranno infra specificate.
Lo e’ pure il comma 3 dell’art. 6, nella parte in cui impedisce la revoca del consenso dei soggetti interessati alla PMA oltre il momento della fecondazione dell’ovulo.
Non e’ superfluo ricordare come la sufficienza della pretesa dei ricorrenti in ordine al bene della vita richiesto ha come suo ineludibile presupposto l’assoluta legittimita’ della c.d. diagnosi di preimpianto, oramai da considerarsi perfettamente consentita, con efficacia erga omnes, dopo la pronuncia Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. III, 21 gennaio 2008, n. 398 e dopo la emanazione delle nuove Linee guida di applicazione della legge n. 40/2004 per via del D.M. Salute 11 aprile 2008.
Ha dato atto di tutto cio’ questo stesso Tribunale, con sua ordinanza 12 luglio 2008, resa nell’ambito del procedimento ex art. 700 c.p.c. di cui n.r.g. 5895/2008, con la quale e’ stata sollevata questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 2, legge n. 40/2004, per contrasto, quanto ai commi primo e secondo dell’art. 14 cit., cogli artt. 3 e 32, primo e secondo comma Cost. e dell’art. 6, comma 3 ultima parte legge n. 40/2004, per contrasto coll’art. 32, secondo comma Cost., nella parte in cui impongono il divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari, la necessarieta’ della creazione di massimo tre embrioni nonche’ la necessarieta’ dell’unico e contemporaneo impianto di embrioni comunque non superiori a tre, e laddove prevedono la irrevocabilita’ del consenso da parte della donna all’impianto in utero degli embrioni creati. Nell’ordinanza si da’ infatti atto da un lato che gli stessi ricorrenti erano stati, con separata precedente ordinanza 17 dicembre 2007 (e’ quella gia’ menzionata ed edita in Foro it., 2008, I, 627) resa all’esito di precedente e distinto procedimento ex art. 700 c.p.c. e nella vigenza delle precedenti Linee guida, autorizzati all’accesso alla diagnosi preimpianto e all’altro che a seguito dell’intervento della pronuncia del Tribunale amministrativo regionaleLazio del gennaio 2008 e alla conseguente emanazione delle Linee guida del 18 aprile 2008, che non contengono piu’ la previsione della legittimita’ della sola diagnosi osservazionale, non vi e’ piu’ divieto di diagnosi di preimpianto.
Va peraltro osservato che la stessa Corte costituzionale, con sua ordinanza 9 novembre 2006, n. 369, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita’ costituzionale (sollevata da Trib. Cagliari, 16 luglio 2005, in Foro It., 2005, I, 2876, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost.) dell’art. 13 legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui faceva divieto di sottoporre l’embrione, prima dell’impianto, a diagnosi per l’accertamento di eventuali patologie, sul presupposto della necessita’ di sottoporre al giudizio di costituzionalita’ anche altri articoli della stessa legge (segnatamente della disciplina della «revocabilita’ del consenso solo fino alla fecondazione dell’ovulo», del «divieto di creazione di embrioni in numero superiore a quello necessario per un unico impianto, obbligatorio quindi per tutti gli embrioni», del «divieto di crioconservazione e di soppressione di embrioni», di cui agli articoli che in questa sede si chiede di sottoporre al giudizio di costituzionalita’), non impugnati, nonche’ dall’interpretazione dell’intero testo legislativo.
Appare quindi evidente l’inutilita’ del diritto dei ricorrenti a procedere a diagnosi di c.d. preimpianto laddove non svincolati dall’obbligo di unico e contemporaneo impianto di non piu’ di tre embrioni, dal divieto di crioconservazione degli stessi al di fuori della rigida ipotesi eccettuata di cui all’art. 14, comma 3, della legge, e dall’irrevocabilita’ del consenso al trattamento di PMA allorquando sia avvenuta la fecondazione dell’ovulo (art. 6, comma 3, ult. parte).
Vi e’ rilevanza delle dedotte questioni anche in ordine al periculum in mora, posto che i tempi di un giudizio ordinario (sicuramente piu’ lunghi di un procedimento cautelare ante causam) costituiscono fattore di per se’ idoneo a pregiudicare l’esigenza di tutela rappresentata dai ricorrenti, in relazione al dato notorio che la percentuale di successo del
ricorso alle tecniche di PMA e’ inversamente proporzionale all’eta’ del componente di sesso femminile della coppia coinvolta (nella specie la ricorrente Consales e’ nata nel 1978).
I ricorrenti hanno poi ad abundantiam rappresentato il loro interesse a che lo scrutinio di costituzionalita’ avvenga contestualmente a quello gia’ fissato dalla Corte in ordine al citato Tribunale amministrativo regionaleLazio, sez. III, 21 gennaio 2008, n. 398, che primo fra tutti ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, commi 2 e 3, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui limitano ad un massimo di tre il numero di embrioni che possono essere prodotti, da impiantarsi tutti contestualmente, prevedendosi altresi’ il divieto – tranne in ipotesi eccezionali – di crioconservazione degli embrioni stessi, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost. (nella specie i ricorrenti, nelle loro deduzioni a verbale dell’udienza 11 agosto 2008, hanno rappresentato essere stata fissata al riguardo dalla Corte costituzionale al 3 novembre 2008 l’udienza di discussione, che dubbi di amniissibilita’ potrebbero sorgere per via della forma -di sentenza – adottata per il provvedimento di rimessione ad opera del Tribunale amministrativo regionale- dalla cui lettura, invero, ritiene questo giudice possa agevolmente evincersi contenuto sostanziale misto, al contempo cioe’ di sentenza ed ordinanza -; che infine vi e’ un pressoche’ consolidato orientamento della Corte costituzionale – vd. da ultimo Corte cost., ord. 6 giugno 2006, s.n., allegata alla sent. 7 luglio 2006, n. 279, in Foro It., 2007, I, 1066; Corte cost., ord. 19 giugno 2007, s.n., allegata alla sentenza 3 luglio 2007, n. 25, in Foro It., 2007, I, 2648; Corte cost., ord. 3 luglio 2007, s.n., allegata alla sentenza 24 ottobre 2007, n. 349, in Foro It., 2008, I, 41; – che ritiene inammissibile l’intervento di terzi nel giudizio costituzionale sulle leggi in via incidentale allorche’ l’interveniente non sia titolare di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura).
Altrettanto ad abundantiam va rilevato come il mancato raggiungimento dei quorum costitutivi, all’esito della consultazione popolare del 12-13 giugno 2005, in ordine a referendum abrogativi (nella specie ammessi con sentenze della Corte Cost., 28 gennaio 2005, nn. 47 e 48) aventi ad oggetto le stesse norme che in questa sede si assumono viziate da illegittimita’ costituzionale, non ha efficacia ostativa del giudizio di costituzionalita’, operando i due istituti su piani diversi e sortendo efficacia reciprocamente vincolante quei soli atti di tipo caducatorio che promanano a seconda dei casi dal corpo elettorale o dalla Corte costituzionale.
In ordine al vaglio di non manifesta infondatezza osserva questo giudice quanto segue.
Nel ricorso e’ chiaramente esposto come la regola della produzione e dell’unico e contemporaneo impianto di non piu’ di tre embrioni, per quanto conseguenza di una precisa scelta del legislatore, parimenti preoccupato di non determinare (o quanto meno di contenere il piu’ possibile) pratiche di crioconservazione o soppressione di embrioni (per quest’ultimo caso, se si vuole, anche per via di estinzione a seguito di mantenimento di coltura in vitro: vd. parte finale, con riferimento all’art. 13 della legge, delle Linee guida del 2004, ora soppressa), non sia quella piu’ idonea a raggiungere gli obiettivi indicati dalla legge (di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita’ o dalla infertilita’ umana), in quanto, per la sua rigidita’:
1) ha, nelle coppie – come i ricorrenti – ad alto tasso di sterilita’ ed infertilita’, scarse possibilita’ di esito felice (intendendosi per esito felice quello di permettere la nascita di un figlio non portatore di grave malattia geneticamente trasmessa);
2) e’, soprattutto per la donna in giovane eta’, idonea a dar luogo a gravidanze gemellari;
3) non e’, in via generale, rispettosa delle condizioni anagrafiche del componente di sesso femminile della coppia, la cui fertilita’ e’ inversamente proporzionale all’eta’ (nel caso di specie si ribadisce che la ricorrente Consales e’ nata nel 1978); con la conseguenza per la donna:
di ricorrere a ripetuti cicli di stimolazione ovarica, di per se’ dotati di alto tasso di invasivita’ e pericolosita’ per la sua salute fisica e psichica (un catalogo delle situazioni di pericolo e’ contenuto nel modulo di consenso informato curato dal Centro Demetra – doc. 2 Demetra -: tumori alle ovaie e al seno, sindrome da iperstimolazione ovarica severa con alterazione dell’equilibrio elettrolitico ed emocoagulativo, fenomeni tromboembolici ed insufficienza renale acuta, rischi connessi alla sottoposizione ad anestesia, rischio di lesione di organi interni durante la manovra di aspirazione follicolare);
di dover fronteggiare gravidanze gemellari;
di dover subire comunque una forma di discriminazione indiretta, in quanto un trattamento apparentemente egualitario per ogni donna non risulta in concreto tale in relazione ai singoli casi, in cui ha rilievo il fattore eta’ (opportunamente i ricorrenti hanno richiamato la nota sentenza Corte cost., 15 aprile 1993, n. 163);
di dover ricorrere a centri di PMA posti in Paesi esteri (dove non vigono i limiti cui al comma in questione), con conseguenti notevoli esborsi che costituiscono fattore discriminatorio in base alle condizioni economico-patrimoniali.
I dati esposti non sono stati contestati nel caso di specie e risultano confermati dalla copiosa documentazione prodotta dai ricorrenti (docc. 2-9, aggravata dalla circostanza che i ricorrenti hanno gia’ effettuato senza esito all’estero piu’ di un tentativo di PMA).
La stessa relazione del Ministro della salute al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita (legge 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 15) per l’anno 2007 del 30 aprile 2008 (brani della quale sono ampiamente riportati nella citata ordinanza di questo Tribunale del 12 luglio 2008) da’ atto sotto l’aspetto statistico, a conferma di quanto gia’ riscontrato per l’anno precedente, dell’insuccesso della Legge in questione (vd. in particolare pagg. 40 e 41 circa le percentuali di gravidanza ottenute con tecniche a fresco – FIVET e ICSI sui prelievi effettuati e sui trasferimenti eseguiti negli anni 2003-2006; vd. pagg. 41 e 42 circa la percentuale di gravidanze gemellari e di gravidanze multiple ottenute da tecniche di secondo e terzo livello: la relazione del Ministro della salute puo’ leggersi in www.ministerosalute.it/imgs/C 17 pubblicazioni 817 allegato.pdf).
Ne deriva la conseguenza che la normativa rigida di cui al comma 2 dell’art. 14, laddove impone la creazione di non piu’ di tre embrioni ai fini di un loro unico e contemporaneo impianto, appare in contrasto con i precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost., in quanto:
determina la reiterata sottoposizione della donna a trattamenti che, in quanto invasivi e a basso tasso di efficacia, sono lesivi del principio di rispetto della dignita’ umana, in ispregio a quanto previsto dall’art. 2 Cost.;
ingenera disparita’ di trattamento fra situazioni che eguali fra loro non sono e richiedono trattamenti differenziati, in violazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.;
viola il diritto fondamentale alla salute solennemente proclamato dall’art. 32 della Carta costituzionale, in quanto determina il forte rischio di reiterata sottoposizione della donna a trattamenti ad alto tasso di pericolosita’ per la sua salute fisica e psichica.
Sorge a questo punto legittimo chiedersi, una volta ammessa come lecita la c.d. diagnosi di preimpianto (che non puo’ non considerarsi finalizzata ad evitare che la donna dia inizio ad una gravidanza ad esito infausto o nelle condizioni di cui all’art. 6, legge 22 maggio 1978, n. 194, con la conseguente sottoposizione al non meno traumatico evento interruttivo), quale debba essere la sorte del divieto di crioconservazione e soppressione degli embrioni, la cui ragione di esistenza era sicuramente piu’ che coerente con il preesistente divieto (che imponeva tale sequenza: creazione-trasferimento-impianto dell’embrione, in una situazione di irrevocabilita’ del consenso dalla donna fornito alla PMA, a tutto vantaggio di una situazione che lo stesso legislatore – vd. l’intitolazione del Capo VI della legge, in cui sono contenuti gli artt. 13 e 14 – definisce di «tutela dell’embrione», e che gia’ i menzionati interventi giurisdizionali di cui a Trib. Cagliari 24 settembre 2007 e Trib. Firenze, ord. 17 dicembre 2007 hanno, con lettura costituzionalmente orientata, subordinato alla prevalente esigenza di tutela della salute della donna, riconosciuta dalle citate sentenze della Corte costituzionale 18 febbraio 1975, n. 27, e 10 febbraio 1997, n. 35).
In altri termini occorre chiedersi se la crioconservazione e la soppressione degli embrioni debbano essere atti comunque consentiti, in quanto il divieto del loro compimento altra giustificazione non trova se non nel divieto di diagnosi di preimpianto e nei rigori contemplati dal comma 2 dell’art. 14 nella sua formulazione integrale.
Ritiene questo giudice come, pure in uno scenario che a seguito di Trib. Cagliari 24 settembre 2007, Trib. Firenze, ord. 17 dicembre 2007, e Tribunale amministrativo regionaleLazio, 21 gennaio 2008, n. 398, e delle nuove e vigenti Linee guida ministeriali, non puo’ non ritenersi profondamente mutato, la crioconservazione, la soppressione – o, se si vuole, la produzione sovrannumeraria di embrioni quale antefatto che genera l’una e l’altra -siano pratiche che la comunita’ medico-scientifica e’ chiamata in via generale a non compiere se non in casi che devono comunque costituire eccezione alla regola.
Non e’ questa la sede per approfondire le ragioni del generale divieto di crioconservazione e soppressione. La, se vogliamo, assoluta liberta’ di produzione sovrannumeraria di embrioni determinerebbe una situazione che, pur se inserita all’interno dei ragionevoli presupposti normativi di cui agli artt. 1, 4 e 5 della legge, rischia di essere pur sempre foriera di problematiche non scevre da implicazioni di natura etica (per un esempio vd., per tutte, la discussione sorta in sede di Comitato nazionale per la bioetica: vd. Parere del Comitato nazionale per la bioetica sul destino degli embrioni derivanti da PMA e non piu’ impiantabili, 26 ottobre 2007, che si legge in www.governo.it/bioetica/testi/parere061007.pdf), giuridica, in ultimo anche gestionale ed economica (solo se si pensa, ad es., che le stesse Linee guida, sia nella loro versione secondo il d.m. 21 luglio 2004 sia nella attuale versione secondo il d.m. 11 aprile 2008, prevedono che «gli embrioni che verranno definiti in stato di abbandono saranno crioconservati in maniera centralizzata con oneri a carico dello Stato») e a cui non deve tendere, a sommesso parere di questo giudice, una generale ed indistinta dichiarazione di incostituzionalita’.
Coerentemente quindi con gli stessi parametri di costituzionalita’ sopra evidenziati (artt. 2, 3 e 32 Cost.) il giudizio di legittimita’ costituzionale dovra’, quanto ai primi tre commi dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, limitarsi alle seguenti parole:
«ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» (comma 2);
«Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile» «di forza maggiore» «non prevedibile al momento della fecondazione» «fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile» (comma 3);
risultandone quindi un testo:
«1. E’ vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla 1. 22 maggio 1978, n. 194.
2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall’art. 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario.
3. Per grave e documentata causa relativa allo stato di salute della donna e’ consentita la crioconservazione degli embrioni stessi».
L’intervento nel corpo del comma 3, secondo gli stessi parametri di costituzionalita’ (ovviamente, quanto all’art. 32 Cost., alla luce anche della necessita’ di evitare che la donna, costretta ad accettare l’impianto di embrioni portatori di gravi patologie, debba dapprima iniziare una gravidanza per poi, volontariamente o meno, interromperla, con grave nocumento per la sua salute fisica e psichica) appare sufficiente ad evitare da un lato la creazione di situazioni paradossali come quelle evidenziate nel ricorso (nell’esempio fatto una sopravvenuta ed improvvisa sindrome febbrile potrebbe dar luogo a crioconservazione al contrario di una preesistente grave patologia geneticamente trasmissibile) e dall’altro uno degli inconvenienti al riguardo rimarcati dalla citata Corte cost., 9 novembre 2006, n. 369 (transitorieta’ e non gia’ permanenza degli ostacoli patologici all’impianto).
Il comma ult. cit., implicando un trattamento sulla persona senza il consenso di quest’ ultima e in assenza di superiori ragioni di interesse generale o di tutela della sicurezza ed incolumita’ pubbliche contemplate da espressa disposizione normativa, appare altresi’ in contrasto con gli artt. 13 e 32, secondo comma, Cost.
Parallelamente deve essere sottoposta al vaglio di costituzionalita’ la norma (art. 6, comma 3, legge n. 40 del 2004) che, a corollario di quelle di cui si e’ gia’ da ultimo prospettata la censura, prevede che la volonta’ di sottoposizione al trattamento di PMA non possa essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal medesimo comma (per rinvii trattasi dei soggetti di cui all’art. 5 della legge) dopo che sia avvenuta la fecondazione dell’ovulo.
I parametri di costituzionalita’ sono anche in tal caso gli artt. 2, 13 e 32 (quest’ultimo in tutta la sua estensione) Cost., cui deve aggiungersi anche l’art. 3 Cost., indicando quale tertium comparationis il successivo comma 4, che espressamente attribuisce in ogni tempo al medico responsabile della struttura il potere di decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita per motivi di ordine medico-sanitario, che nel loro ambito non possono non annoverare anche quelli piu’ specificamente inerenti la salute fisica e psichica della donna.
La richiesta di censura costituzionale del comma ult. cit. e’ contenuta nella menzionata ordinanza di rimessione 12 luglio 2008 di questo Tribunale con espresso (ed esclusivo) riferimento alla posizione della donna cui deve essere praticato l’impianto, con una richiesta di pronuncia («laddove prevedono la irrevocabilita’ del consenso da parte della donna all’impianto in utero degli embrioni creati») che, sotto l’aspetto formale, appare essere di (ammissibile, in quanto vincolata) natura additiva, in considerazione della superiore tutela dell’interesse della salute del soggetto della coppia (il componente di sesso femminile) in cui si chiede di effettuare l’impianto dell’embrione fecondato.
La richiesta di censura in questa sede richiesta sembra formalmente non operare alcun distinguo, anche se nelle motivazioni a supporto (pagg. 16-18 del ricorso; pag. 5 delle allegate deduzioni di udienza) e’ evidente il riferimento al diritto alla salute e all’inviolabilita’ personale della donna, persona della coppia in via immediata e diretta chiamata a sopportare le conseguenze del ricorso alla PMA e unica titolare di poteri di disposizione sul proprio corpo.
Se tuttavia appare coerente prevedere, secondo l’originario impianto della legge, l’efficacia della revoca del consenso alla PMA anche da parte del solo componente di sesso maschile (anche egli artefice del procedimento di fecondazione) fino al momento della fecondazione dell’ovulo, a diverse, e piu’ limitate, conclusioni deve giungersi una volta che la fecondazione abbia avuto compimento.
Ritiene questo giudice come l’intervento sull’art. 6, comma 3, della legge n. 40 del 2004 non possa essere richiesto se non al fine di dare coerenza ad un sistema normativo che con una censura limitata (per le ragioni sopra esposte), ai soli commi 2 e 3 dell’art. 14, permarrebbe comunque viziato da una sua disarmonia interna (evidenziata dalla Corte costituzionale, nella ordinanza n. 369 del 2006, anche con riferimento alla norma ora in questione).
Se quindi il sistema normativo che si chiede scaturisca dalla ottenuta liceita’ della diagnosi di preimpianto e dalla richiesta censura di costituzionalita’ e’ improntato sulla superiorita’ riconosciuta alla tutela della salute della donna (sancita dalla legge n. 194 del 1978 sulla interruzione volontaria della gravidanza e che non puo’ essere vanificata da una normativa come quella in esame), e’ allora conseguenza necessaria che, per ragioni di coerenza sistematica, sia la sola donna ad essere legittimata alla revoca del consenso al trattamento di PMA.
A conferma di quanto sopra vi e’ la chiara disposizione (sia pure non di rango legislativo e contraria ad un precedente ante legem quale e’ Trib. Bologna, 9 maggio 2000, in Famiglia e dir., 2000, 487) contenuta in ciascuna delle versioni delle Linee guida (sezione «Crioconservazione degli embrioni: modalita’ e termini») a mente della quale «la donna ha sempre il diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati».
Viene quindi sollevata questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 6, comma 3, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non contiene, in fine, le parole «e, dalla donna, anche successivamente».
In un breve passo del loro ricorso (pag. 11) i ricorrenti hanno posto in dubbio, sul presupposto della legittimita’ dell’accesso ad una lettura costituzionalmente orientata in via principale richiesta con riguardo ai commi immediatamente precedenti, la sopravvivenza del divieto di riduzione embrionaria di gravidanze plurime di cui all’art. 14, comma 4, della legge n. 40 del 2004.
Non hanno poi i ricorrenti chiesto di sottoporre a giudizio di legittimita’ costituzionale detto comma.
Sommessamente questo giudice ritiene, a conferma di quanto gia’ rilevato da dottrina a commento, come la norma in questione (espressione di’ quello che efficacemente e’ stato da subito definito come «doppio regime» introdotto dalla legge n. 40 del 2004 – cosi’ Trib. Cagliari, 5 giugno 2004 e 30 giugno 2004, in Foro It., 2004, I, risp. 3498 e 3497) non sia di immediata chiarezza (l’originaria versione del disegno di legge, come risultante dal testo unificato della competente Commissione della Camera dei deputati, testualmente prevedeva – art. 13, comma 5 – «ai fini della presente legge e’ vietato l’aborto selettivo di gravidanze plurigemellari»). Non e’ in particolare chiaro se essa sia una norma sulla interruzione
volontaria della gravidanza (come si evince dal ricorso al termine «gravidanze» e al richiamo alla legge n. 194 del 1978) – nel senso cioe’ di non impedire una interruzione volontaria della gravidanza riguardo a parte soltanto degli embrioni coinvolti (come rimedio ex post a non desiderate gravidanze gemellari da PMA) – o (come si evince dall’iniziale inciso «ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita») una specificazione del divieto di crioconservazione o soppressione degli embrioni, di cui al comma 1 dell’art.
Correttamente i ricorrenti hanno evidenziato come il divieto abbia una sua giustificazione laddove, adottata la scelta di produrre piu’ di un embrione (due o al massimo tre, secondo l’imposizione di cui si chiede la censura), si decida poi di impiantarne in numero minore, in violazione della regola del loro unico e contemporaneo impianto.
Laddove invece venga a cadere la regola della produzione di non piu’ di tre embrioni, del loro unico e contemporaneo impianto e del rigido divieto di crioconservazione, non avrebbe pero’ piu’ senso nemmeno il divieto di riduzione embrionaria.
Una ragion d’essere della norma potrebbe permanere per il tramite del richiamo contenuto alla disciplina sulla interruzione della gravidanza (per l’ipotesi cioe’ di impianto gia’ avvenuto e gravidanza gia’ iniziata). Ma trattasi di un richiamo a questo punto superfluo e ridondante, essendo gia’ sufficiente quello contenuto nel primo comma dell’art. 14 (possibilita’ di soppressione di embrioni nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194).
La stessa giurisprudenza di merito da ultimo citata (Trib. Cagliari, 5 giugno 2004 e 30 giugno 2004) ha infatti ritenuto (a seguito di perplessita’ insorte negli operatori nel primissimo periodo di vigenza della legge n. 40 del 2004) la sufficienza e la piena operativita’ della disciplina sull’interruzione volontaria della gravidanza, sia nell’ipotesi di gravidanza plurima iniziata per via naturale sia nell’ipotesi di gravidanza plurima iniziata a seguito di PMA.
Deve quindi, di conseguenza, sollevarsi d’ufficio questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, comma 4, della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione.
Sorge, infine, una, mai superflua, considerazione di fondo (che scaturisce anche da una precisa disposizione normativa – quale e’ il divieto di ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni, di cui all’art. 13, comma 3, lett. b), della legge n. 40 del 2004 -che, per ovvie ed intuibili ragioni non costituisce oggetto di richiesta di censura costituzionale da parte di questo giudice, ma che pur fa, per cosi’ dire, «sistema» nell’impianto complessivo della legge) se non si corra cioe’ il rischio di una deriva eugenetica, in particolare di una «eugenetica negativa», intendendosi tale quella volta a far si’ che non nascano persone portatrici di malattie ereditarie e non gia’ a perseguire scopi di «miglioramento» della specie umana.
La tematica, in giurisprudenza, non e’ ovviamente nuova. Su di essa ha apertis verbis argomentato Tribunale amministrativo regionaleLazio, 9 maggio 2005, n. 3452 (in Foro It., 2005, III, 518: trattasi della prima delle pronunce rese nell’ambito della vicenda in cui e’ stata poi pronunciata la citata Tribunale amministrativo regionaleLazio n. 398/2008, quest’ultima a sua volta resa dopo che il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello per ragioni di carattere processuale avverso la prima pronuncia, ha, con sua sentenza sez. V, 19 dicembre 2006-28 marzo 2007, n. 1437, disposto la restituzione degli atti al giudice di prima istanza).
Altro, e non meno importante, dubbio e’ se davvero coppie al cui interno non vi sia sterilita’ o infertilita’, ma che siano a forte rischio di trasmissibilita’ di malattie genetiche, non vengano a ricevere, per il fatto di non poter ricorrere a PMA e nell’ambito di essa a diagnosi di preimpianto e a selezione embrionaria, un trattamento deteriore rispetto a coppie, sempre a forte rischio di trasmissibilita’ di malattie genetiche ma al cui interno vi sia sterilita’ o infertilita’, che invece, ove accolte le prospettate questioni di legittimita’ costituzionale, a tutto quanto sopra potrebbero ricorrere.
Appare essere proprio questa una delle disparita’ di trattamento che i quesiti referendari, coinvolgenti anche gli artt. 1 e 4 della legge n. 40 del 2004 e giudicati ammissibili con le citate sentenze della Corte cost., 28 gennaio 2005, nn. 47 e 48 (che hanno peraltro escluso ogni contrarieta’ dell’assetto che si intendeva ottenere con l’abrogazione referendaria con i principi posti dalla convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 e con il protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di donazione di esseri umani, di cui e’ stata autorizzata la ratifica nel nostro ordinamento con legge 28 marzo 2001, n. 145), intendevano colmare.
Occorre tuttavia pur sempre rilevare come, data prevalenza al diritto alla salute della donna su ogni possibile situazione soggettiva dell’embrione, quello della «eugenetica negativa» finisce con l’essere un falso problema, che viene a non essere risolto, anzi viene ad essere aggravato dalla costrizione della donna, gia’ sottoposta a stimolazione ovarica e ad intervento di impianto, a ricorrere poi ad interruzione, volontaria o meno che essa sia, della gravidanza.
E seppure voglia ritenersi, per usare una espressione di Tribunale amministrativo regionaleLazio, 9 maggio 2005, n. 3452, cit., come «la salute psichica della madre possa essere compromessa anche dalla consapevolezza della malattia del figlio» (madre che in altri termini verserebbe in una tipica situazione di accettazione del rischio), v’e’ tuttavia da chiedersi (come e’ piu’ che evidente nel caso di specie) se sia in via generale proprio vero (o quanto meno se sia un principio di civilta’ umana, prima che giuridica) che la difficile esperienza della malattia debba a tutti i costi risolversi in una forma di infelicita’ o se invece l’«eugenetica negativa» altro non sia, per chi versa nella situazione come quella dei ricorrenti (oggettivamente diversa rispetto a quella delle coppie i cui componenti godono di buona salute), che uno di quei mezzi attraverso i quali, proprio secondo quanto solennemente sancito dall’art. 3, comma 2, Cost., debba essere rimosso uno fra quegli ostacoli di ordine sociale, che, limitando di fatto la liberta’ e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Quanto infine al timore di disparita’ di trattamento fra coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, a seconda cioe’ se in esse vi sia o meno sterilita’ o infertilita’, piu’ che il ricorso al brocardo adducere inconveniens non est solvere argumentum puo’ essere di utilita’ il semplice richiamo al rispetto del principio di rilevanza della questione, che, pur costituendo un oggettivo limite al controllo di costituzionalita’ delle leggi per il nostro ordinamento, non ha certamente impedito a quest’ultimo il raggiungimento, nelle occasioni, nei tempi e nei modi consentiti, di sempre piu’ alti livelli di civilta’ giuridica.

P. Q. M.

Visto l’art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87:
1) solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo
impianto, comunque non superiore a tre», per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione;
2) solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, limitatamente alle parole «Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile» «di forza maggiore» «non prevedibile al momento della fecondazione» «fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile», per contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione;
3) solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 6, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non contiene, in fine, le parole «e, dalla donna, anche successivamente», per contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione;
4) solleva d’ufficio questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, comma 4, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione;
5) dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in corso;
6) ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero in sede, nonche’ al Presidente del Consiglio dei ministri;
7) dispone che la presente ordinanza sia comunicata dalla Cancelleria al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.

Firenze, addi’ 23 agosto 2008

Il giudice designato: Delle Vergini