Ordinanza 24 gennaio 2005
Giudice per le Indagini Preliminari di Milano.
Ordinanza del 24 gennaio 2005: “Reato di associazione con finalità di terrorismo: scarcerazione disposta per sopravvenuta carenza di gravi indizi di reato”.
N. 28491/04 R.G. N.R.
N.5774/04 R.G. G.I.P.
Tribunale di Milano
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Giudice dr. Clementina Forleo,
all’esito del giudizio abbreviato celebrato nel procedimento penale a margine indicato, nei confronti di:
– D.N., nato in Marocco il 29.3.1965
presente all’udienza, detenuto presso la Casa Circondariale “San Vittore” di Milano difeso di fiducia dall’Avv. Giuseppe DE CARLO, viale Brianza, 32 Milano
– H.K.B.M, nato a Beja (Tunisia) il 21.10.1977
presente all’udienza, detenuto presso la Casa Circondariale “San Vittore” di Milano difeso di fiducia dall’Avv. Ilaria CREMA, via Bulloni, 12 del foro di Brescia
IMPUTATI
1) del delitto p. e p. dall’art. 270 bis c.p., in quanto si associavano tra loro e con altre persone, tra cui M.T.H. (già oggetto di sentenza definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), T.M. (imputato in separato procedimento pendente davanti all’A.G. di Brescia), E.A.R.A., E.S.A., E.Y., C.M.C., M.A.M., A.M., M.M. alias M.F., H.J alias J.A.M. (per i quali si procede separatamente davanti alla Corte d’Assise di Milano) D.M., T.A.B.S. e B.M.B.A. (per i quali si procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna con il rito abbreviato) allo scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale, in Italia ed all’estero, all’interno di un’organizzazione sovra-nazionale, localmente denominata con varie sigle (tra cui “Ansar Al Islam”), comunque operante sulla base di un complessivo programma criminoso, condiviso con similari organizzazioni attive in Europa, Nord Africa, Asia e Medio Oriente, contemplante:
– preparazione ed esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini civili ed altri obiettivi – ovunque collocati riconducibili agli Stati, occidentali e non, ritenuti “infedeli” e nemici; il tutto nel quadro di un progetto di “Jihad”, intesa, secondo l’interpretazione della religione musulmana propria dell’associazione, nel senso di strategia violenta per l’affermazione dei principi “puri” di tale religione;
– il favoreggiamento della immigrazione illegale in Italia e verso altri Stati dei militanti;
– il procacciamento di documenti falsi di identità per i componenti dell’organizzazione;
– il reclutamento di una pluralità di persone da inserire nell’associazione ed eventualmente inviare in campi di addestramento ubicati principalmente in Iraq;
– l’invio dei militanti nelle “zone di guerra” a sostegno delle attività terroristiche ivi progettate ed eseguite contro il “nemico infedele”;
– la raccolta dei finanziamenti necessari per il raggiungimento degli scopi della organizzazione;
– il proselitismo effettuato (anche nei luoghi di culto e di riunione siti in Milano, come la moschea di Via […] ed un appartamento di Via […]) attraverso videocassette, audio-cassette, documenti propagandistici e sermoni incitanti al terrorismo ed al sacrificio personale in azioni suicide destinate a colpire il nemico “infedele”;
– la predisposizione, comunque, di tutti mezzi necessari per l’attuazione del programma criminoso dell’associazione e per il sostegno ai “fratelli” ovunque operanti secondo il descritto programma.
In particolare, operando nella associazione:
– M. M. (alias M.F.), A.M., C.M.C. ed E.A.R.A. E.S.A.E.Y., con funzioni direttive ed organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.) nell’ambito della cellula operante in Milano ed in altre zone del territorio italiano (M.M. e C.M.C., in particolare, nel periodo della propria permanenza in Italia), nonché il C.M.C. anche a livello internazionale; condotta consistita per i primi tre anche nel fungere da raccordo tra i vertici dell’organizzazione transnazionale e l’attività dei membri della cellula italiana; per il quarto anche nel coordinare l’attività dei membri della cellula locale; per tutti nei coordinare l’approvvigionamento di documenti falsi;
– H.K.B.M e D.N., con funzioni organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.) consistite nel coordinare l’attività dell’associazione in varie località del Nord Italia (tra cui, oltre Milano, anche Cremona e Parma) anche allo scopo di eludere le indagini delle competenti autorità concentratesi principalmente sull’attività svolta nella città di Milano, sede principale della cellula italiana;
– M.A.M., quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta consistita nell’assicurare il necessario supporto per l’invio definitivo, in vista dei fini sopra indicati, di persone, documenti e denaro nel Kurdistan iracheno (in alcuni casi attraverso la Siria);
– D.M., quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta consistita nel dare ospitalità e nell’assicurare approvvigionamento di documenti falsi a membri dell’associazione (tra cui lo stesso C.M.C.);
– B.M.B.A., quale semplice partecipe (art 270 bis, c. II c.pp), fungendo da raccordo in territorio turco (segnatamente nella città di Instanbul) tra i capi dell’organizzazione transnazionale e l’attività dei membri della cellula italiana;
– H.J, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), svolgendo la propria attività, secondo le direttive impartitegli da E.A.R.A. E.S.A. E.Y., sia in territorio italiano che in territorio estero (recandosi, ad es., in Turchia presso il gruppo di B.M.B.A. per recapitare loro materiale vario su ordine di E.A.);
– T.A., quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), provvedendo principalmente al reperimento di documenti falsi e di altro materiale logistico (computer, telefoni, etc.) necessari allo svolgimento dell’attività associativa.
Associazione avente il suo principale centro operativo italiano in Milano, tuttora operante anche in altre località nel territorio italiano (oltre che all’estero) a partire almeno dal luglio 2001; (condotta degli imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all’atto della esecuzione del medesimo, se intervenuta).
2) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. c.p. e 12 commi 1 e 3 D.L.vo 286/1998 (ora modificato dalla L. 189/2002), in quanto, in concorso tra loro e con altre persone, tra cui M.T.H. (già oggetto di sentenza definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), T.M. (imputato in separato procedimento davanti all’A.G. di Brescia), E.A.R.A. E.S.A.E.Y., M.A.M., A.M., M.M. alias M.F., H.J alias J.A.M. (per i quali si procede separatamente davanti alla Corte d’Assise di Milano) T.A.B.S. e B.M.B.A. (per i quali si procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna con il rito abbreviato), compivano, in violazione delle disposizioni di legge regolanti la materia, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, atti diretti a procurare l’ingresso illegale di una pluralità di persone nel territorio dello Stato, ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altri Stati del quale le suddette persone non erano cittadine o non avevano titolo di residenza permanente, con le condotte già descritte nei capi precedenti. In particolare, provvedevano anche a procurare documenti falsi a persone che arrivavano in Italia anche allo scopo di transitare, successivamente, in altri Stati (prevalentemente presso campi di addestramento in Iraq).
Fatto aggravato dall’essere stato commesso da più di tre persone in concorso tra loro.
Con l’ulteriore aggravante di cui all’art. 1 L. 6.2.80 n. 15, avendo commesso i reati per finalità di terrorismo.
Reati accertati o commessi in Milano ed in altre località nel territorio italiano dal luglio 2001 al novembre 2003 (condotta degli imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all’atto della esecuzione del medesimo, se intervenuta).
conclusioni delle parti:
II P.M. ha chiesto rigettarsi l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa.
Nel merito ha chiesto la condanna degli imputati alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione e di euro 16.000,00 di multa, previa derubricazione del ruolo rivestito dai predetti nel reato di cui al capo a) in quello di partecipe.
La difesa ha preliminarmente eccepito l’incompetenza territoriale di questa A.G. essendosi il fatto commesso in Cremona, con conseguente competenza dell’A.G. di Brescia ex art.51/3 bis c.p..
Nel merito la difesa di D. ha chiesto sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato o perchè l’imputato non lo ha commesso; in subordine ha chiesto la concessione delle circostanze attenuanti generiche; la difesa dell’H. ha chiesto sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputalo non lo ha commesso.
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
art..22/3 c.p.p.
ORDINANZA
art.299/3 u.p. c.p.p.
MOTIVI della DECISIONE
In data 29.3.2004, a seguito di richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti di T.M. in ordine ai medesimi reati di cui all’attuale imputazione, questo giudice emetteva sentenza di incompetenza per territorio in favore dell’A.G. di Brescia, ritenendo la stessa competente per l’intera “cellula” di cui all’imputazione all’epoca formulata.
Di seguito, in data 3.8.2004, perveniva richiesta di rinvio a giudizio concernente le posizioni degli altri imputati di cui all’attuale incriminazione (fatta eccezione per M.T.H. per il quale era nel frattempo intervenuta sentenza ex art.444 c.p.p.), alcuni dei quali chiedevano procedersi con le forme del giudizio abbreviato. Tra quest’ultimi, gli imputati D.N. e H.K.B.M., risultati nel corso delle indagini in stretto contatto con il T..
I difensori dei due eccepivano preliminarmente l’incompetenza territoriale di questa A.G. in favore di quella bresciana, e questo giudice si riservava la decisione all’esito della discussione.
Alla luce della riformulazione dell’imputazione rispetto a quella elevata in ordine alla posizione del T., nonchè soprattutto in base alle indagini successivamente compiute – ed in particolare agli interrogatori resi da taluni coimputati ed imputati in procedimenti connessi nonchè agli atti acquisiti nel giudizio abbreviato ex art.441/5 c.p.p. – va confermata la competenza di detta A.G. in ordine al cd. gruppo cremonese, e dunque anche in ordine alle posizioni dei due attuali imputati D. e H., ma va invece affermata la competenza di questa A.G. in ordine al cd. gruppo milanese, ossia alle posizioni degli altri imputati.
Come infatti già evidenziato nel decreto di rinvio a giudizio emesso in data 29.9.2004 nei confronti degli imputati che non hanno optato per il rito speciale, dall’insieme degli atti processuali – peraltro di seguito integrati ex art.441/5 c.p.p. – emerge all’evidenza la pluralità di più “cellule” di matrice islamico-fondamentalista gravitanti in aree eversive operanti nel territorio nazionale e la sostanziale autonomia, anche nelle loro precipue finalità, delle stesse, e ciò pur in presenza di evidenti e necessari collegamenti tra le medesime ed altre, collaterali, stanziate all’estero. Sempre da detti atti emerge pure l’incentrarsi della “cellula” della quale facevano parte tutti gli altri imputati nel territorio milanese, in cui la stessa trovava appunto il suo epicentro logistico.
Tale valutazione prescinde evidentemente dallo stanziamento dei singoli membri nel territorio dello Stato e si impernia necessariamente sulla base operativa dei gruppi in questione.
Tanto si afferma in quanto sia i due curdi abitanti a Parma – M.T.H. e M.A.M. – pur nei loro appurati contatti con il gruppo cremonese ed in particolare con il T., sia D.M., domiciliato a Reggio Emilia, risulta operassero in stretto contatto con i membri dell’organizzazione stanziati in Milano, ed in particolare con l’E. A., con il N.O., oltre che con il M.F. (nel periodo in cui quest’ultimo era stanziato in Italia), loro referenti primari.
All’esito del giudizio abbreviato deve pertanto affermarsi la competenza dell’A.G. bresciana con riguardo alle posizioni degli imputati D. e H., i quali peraltro risultano dagli stessi atti indagati presso tale A.G. in parallelo procedimento avente ad oggetto i medesimi titoli di reato, assorbenti le attuali incriminazioni.
Va nondimeno evidenziato come all’esito del giudizio abbreviato, conclusosi per gli altri imputati con sentenza assolutoria dal reato di cui all’art.270 bis c.p., sulla base degli elementi di prova allo stato ed in questa sede utilizzabili, non possano al riguardo ritenersi persistenti i gravi indizi in ordine a tale reato neppure per il cd. gruppo cremonese, per la parte evidentemente concernente il presente procedimento come finora sviluppatosi.
Ciò si precisa ai soli effetti del regime cautelare in atto nei confronti dei due imputati in questione, non detenuti nell’ambito del parallelo procedimento bresciano.
Sul punto va innanzitutto rilevato come gli atti di causa debbano essere sfrondati dagli atti affetti da inutilizzabilità patologica, ed innanzitutto dalle cd. fonti d’intelligence, ossia dai numerosi dati provenienti da “acquisizioni informative” o “investigative” non meglio precisate, o da acquisizioni assunte in “contesti di collaborazione internazionale” o asseritamente provenienti da “segnalazioni da parte di organismi americani” o da “dati forniti dal BKA tedesco”, anch’esse prive di qualsivoglia supporto genetico degno di rilievo processuale e non puntalmente riscontrate da arti processualmente rilevanti.
Lo stesso è a dirsi per gli atti compiuti all’estero e non assistiti dalle garanzie difensive che l’ordinamento interno pone ad imprescindibile fondamento dell’utilizzabilità di tali atti, ed in particolare alle audizioni di soggetti assunti come testimoni anziché come indagati in procedimenti all’evidenza connessi e dunque senza le dovute garanzie difensive. Ci si riferisce soprattutto alle audizioni di ex combattenti ristretti in Iraq, assunte dall’autorità norvegese ed acquisite dai nostri inquirenti in sede di rogatoria.
Analoghi rilievi di inutilizzabilità processuale riguardano con altrettanta evidenza i dati provenienti dalle c.d. fonti aperte, ossia da informazioni giornalistiche o assunte per via telematica.
Tanto premesso, può dirsi con margini di ragionevole certezza ed al di là delle reticenti dichiarazioni di taluni imputati, che entrambe le “cellule” in questione avevano come precipuo scopo il finanziamento, e più in generale il sostegno, di strutture di addestramento paramilitare site in zone mediorientali, presumibilmente stanziale nel nord dell’Iraq.
A tal scopo, infatti, erano organizzati sia la raccolta e l’invio – attraverso canali ritenuti “sicuri” – di somme di denaro, sia l’arruolamento di volontari – tutti stranieri e tutti di matrice islamico-fondamentalista – da far giungere in dette zone evitando ogni possibile intoppo nelle loro trasferte, e dunque attraverso percorsi anch’essi ritenuti “sicuri” e con documenti: spesso contraffatti.
L’attività delle “cellule” in questione, per quanto sempre risulta da detti atti, si colloca storicamente in concomitanza dell’attacco statunitense all’Iraq, avvenuto com’è noto nel marzo del 2003 ma notoriamente previsto come altamente probabile all’indomani del conflitto in Afghanistan, nel quale pure tali gruppi risultano essere stati attivi.
Numerose conversazioni intercettate fanno peraltro riferimento a tale accanimento ed alla necessità di arginare il più possibile i prevedibili nefasti effetti, aiutando “fratelli” presenti nelle zone del conflitto, sia economicamente sia, appunto, rinforzando i contingenti armati attraverso l’invio di combattenti.
Non risulta invece provato, nonostante gli encomiabili sforzi investigativi compiuti, che tali strutture paramilitari prevedessero la concreta programmazione di obiettivi trascendenti attività di guerriglia da innescare in detti o in altri prevedibili contesti bellici e dunque incasellabili nell’ambito delle attività di tipo terroristico di cui all’art.270 bis c.p. come novellato all’indomani dei noti e tragici fatti dell’11. 9.2001.
La nozione di terrorismo, com’è noto, diverge da quella di eversione e come questa non è definita in via normativa, dovendosi dunque ricavare in via ermeneutica, sia sulla base del contenuto delle convenzioni internazionali sul punto, sia, soprattutto, riflettendo sulla “ratio” e sulla genesi della norma penale in questione.
Emblematico sotto il primo profilo appare il tenore della Convenzione Globale dell’O.N.U. sul Terrorismo, progettata nel 1999, che all’art.18/2 prevede un’esimente in ordine alle sanzioni in essa previste, in forza della quale le stesse non riguardano le forze armate ed i gruppi armati o movimenti diversi dalla forze armate di uno Stato nella misura in cui si attengano alle norme del diritto internazionale umanitario.
Proprio da tale normativa, ed in particolare da detta esimente, si ricava che le attività violente o di guerriglia poste in essere nell’ambito di contesti bellici, anche se poste in essere da parte di forze armate diverse da quelle istituzionali, non possono essere perseguite neppure sul piano del diritto internazionale, a meno che – ed ecco che in tal caso l’esimente in questione non opera – non venga violato il diritto internazionale umanitario.
Da tale ultimo limite può ricavarsi dunque che le attività di tipo terroristico rilevanti e dunque perseguibili sul piano del diritto internazionale siano quelle dirette a seminare terrore indiscriminato verso la popolazione civile in nome di un credo ideologico e/o religioso, ponendosi dunque come delitti contro l’umanità.
A confortare tale impostazione interviene la “ratio ” della norma di cui all’art.270 bis c.p., com’è noto novellata a seguito dei noti e tragici fatti dell’11.9.2001.
La modifica, che ha appunto esteso i1 rilievo penale dei fatti in tale norma già previsti anche ai casi in cui gli stessi fossero posti ai danni di uno Stato estero, voluta d’emergenza all’indomani; di tali fatti parallelamente ad analoghi interventi legislativi posti in essere in altri paesi, ha evidentemente perseguito la finalità di creare una sorta di diritto penale sovranazionale con il quale tutelare i singoli Stati da attentati terroristici di ampio spettro, speculari di strategie politiche autonome e risolutive.
L’estendere tale tutela penale anche agli atti di guerriglia, per quanto violenti, posti in essere nell’ambito di conflitti bellici in atto in altri Stati ed a prescindere dall’obiettivo preso di mira, porterebbe inevitabilmente ad un’ingiustificata presa di posizione per una delle forze in campo, essendo peraltro notorio che nel conflitto bellico in questione, come in tutti i conflitti dell’era contemporanea, strumenti di altissima potenzialità offensiva sono stati innescati da tutte le forze in campo.
Tanto premesso, va rilevato come in punto di fatto non può ritenersi provato, neppure in termini di gravità indiziaria, che le due “cellule” in questione, pur gravitando in aree notoriamente contrassegnale da propensioni al terrorismo, avessero obiettivi trascendenti quelli di guerriglia come sopra delineati.
Al riguardo non può dirsi sufficiente a fondare l’ipotizzata responsabilità penale, la comune appartenenza a realtà eversive ed a strutture, quale quella denominata “Ansar Al Islam” – peraltro bombardata e distrutta nel corso di tale conflitto – dalla composizione tutt’altro che omogenea ed anzi alquanto articolata e complessa.
Sotto tale ultimo profilo va evidenziato come la variegata gamma di posizioni tinte di matrice islamico-fondamentalista, confluenti nella menzionata struttura “Ansar Al Islam” sia stata delineata dal computato “collaboratore” M.T.H., il quale, pur nella evidente prospettiva di un trattamento sanzionatorio alquanto mite poi ottenuto ex art.444 c.p.p., ha infatti spiegato che tale formazione era alquanto eterogenea, facendo ad essa capo vari modi di intendere l’opposizione ai regimi! “nemici”, pur nella comune e dunque omogenea matrice islamico-fondamentalista dei vari sostenitori e simpatizzanti.
Le ultime dichiarazioni del predetto parlano al riguardo chiaro. Il M.T. ha infatti riferito genericamente di “aver sentito dire” che “Ansar Al Islam” era “in contatta con Al Qaeda” e che aveva in progetto anche di utilizzare “kamikaze” per azioni di guerriglia all’interno dei confini iracheni, senza fornire alcun elemento di diretta cognizione al riguardo, e anzi significativamente aggiungendo che la svolta verso dette forme di violenza era oggetto di discussione tra i componenti dell’organizzazione, affermando altresì di essere un islamista moderato e di non condividere la deriva violenta di detta formazione. Ha inoltre aggiunto che alcuni dei suoi coimputati, quali l’E.A., “si stavano avvicinando a detta organizzazione”, così confermando dunque che gli stessi non vi erano organicamente inseriti.
Sempre in ordine all’organizzazione “Ansar Al Islam “, va poi evidenziato il tenore della documentazione sequestrata al suo vertice M.K. arrestato in Olanda e poi scarcerato ed espluso in Norvegia.
In uno di tali atti concernente l’ideologia del gruppo e la sua matrice islamico-fondamentalista, si parla infatti di addestramenti militari al fine di affrontare “combattimenti sul fronte”, nonché di “tunnel e cave” costruiti per difendersi dai “raid aerei soprattutto dopo gli ultimi bombardamenti sopra Tora Bora nel caso ci fossero degli attacchi dell’alleanza americana britannica”. Il documento in questione si conclude con una chiosa per così dire “profetica”. Si legge infatti: “Scrivo queste righe prima dell’attacco americano in Iraq e probabilmente anche noi verremo colpiti anche se stiamo prendendo delle misure protettive per le nostre trecento famiglie, alcuni si nascondono in Iran, ma anche lì hanno la vita dura e difficile… perchè si presume che gli americani attaccheranno le città di Halja e Siruane che sono strategiche, e se queste città verranno liberate potremmo iniziare l’era dell’Emirato Islamico che opererebbe in associazione con l’organizzazione delle Nazioni Unte. E infine chiedo a Dio di darci la forza e la vittoria. Il vostro fratello A.B.K e F.K.”.
Sia da tali elementi, sia dalle riportate dichiarazioni di M.T. può dunque ricavarsi che “Ansar Al Islam” era strutturata come una vera e propria organizzazione combattente islamica, munita di una propria milizia addestrata appunto alla guerriglia e finanziata anche da gruppi stanziati in Europa ed evidentemente gravitanti nell’area del fondamentalismo islamico, senza perciò avere obiettivi di natura terroristica, probabilmente e verosimilmente propri solo di alcuni di suoi membri.
E’ da evidenziarsi peraltro come dal riportato manoscritto a firma del M.K. era stata dallo stesso prevista la possibilità di un’istituzionalizzazione, addirittura nell’ambito delle Nazioni Unite, dell’organizzazione in questione.
Sempre sulle appurate finalità delle due “cellule” in questione vanno anche menzionate le dichiarazioni rese dall’imputato E.A. in data 29.7.2004, laddove lo stesso ammette di aver inviato combattenti in medioriente nel 2003 “per ragioni di Jahad”, ossia “per opporsi agli invasori”, in concomitanza appunto con l’attacco americano e per combattere contro lo stesso, e ciò attraverso il canale siriano gestito dal coimputato M.F..
In questo senso, a parere della scrivente, devono peraltro essere intese le più significative conversazioni intercettate. E’ il caso del riferimento alla “grande bomba” che “sta arrivando” di cui alla conversazione telefonica intervenuta in data 11.3.2003 ore 11.40 tra l’attuale imputato D. e T.M., evidentemente i due interlocutori riferendosi all’imminente attacco americano all’Iraq, com’è noto scoppiato proprio in quei giorni. Si pensi ancora alla “maledizione” di cui alla conversazione intervenuta in data 1.4.2003 tra l’E.A. e C.M. all’interno della camera di sicurezza della locale Questura, e il chiaro riferimento alla ormai intervenuta guerra all’Iraq ed alla posizione al riguardo assunta dal governo italiano, con commenti all’evidenza tutt’altro che inequivocabilmente riferibili ad attività di tipo terroristico in concreto programmate. Altra conversazione emblematica in tal senso quella intervenuta in data 30.3.2003 ore 20.41, ossia ad attacco americano già avvenuto, tra il citato E.A. e l’attuale imputato H., nel corso della quale quest’ultimo comunica che il T., sentiti altri personaggi di spicco del gruppo, avrebbe deciso che “non hanno bisogno di uomini lì, hanno bisogno di uomini qui”, precisando lo stesso che “metà degli uomini cercano finanziamenti, metà restano qui”, all’evidenza riferendosi, quanto agli nomini che restano “qui”, ai finanziatori di quei combattimenti. Lo stesso è a dirsi per la conversazione intervenuta tra il M.F. e l’E.A. sempre in data 30.3.2003, nel corso della quale il primo richiede l’invio di combattenti adeguatamente addestrati, di “gente che colpisca il ferro”, sollecitando l’interlocutore a cercare anche “quelli che stavano in jaban”, alludendo secondo la prospettazione accusatoria (mai il riferimento appare in verità alquanto ambiguo) all’invio di uomini disposti, comunque sempre in quel contesto, al diretto sacrificio umano.
Non risulta inoltre da alcun atto degno di rilievo processuale che le due “cellule” in questione fossero legate all’organizzazione “Al Tawid” della quale sarebbe vertice il noto terrorista Al Zarqawi.
Sotto tale profilo va evidenzialo come l’utenza telefonica asseritamente in uso a quest’ultimo personaggio fosse tutt’altro che corrispondente (ed anzi differente per ben cinque cifre) a quella che nella conversazione del 9.3.2003 intercorsa tra l’E.A. e i due curdi residenti a Parma, viene indicata come in uso al M.K..
Neppure risultano legami penalmente rilevanti di tali gruppi con quelli, pur della stessa matrice ideologica, responsabili di attacchi di pacifica natura terroristica, non potendo al riguardo farsi leva sulla presunta analogia della “potenziale progettualità operativa degli spostamenti di uomini e di risorse” nè tanto meno sulla asserita “circolarità di rapporti” tra soggetti gravitanti nei medesimi ambienti eversivi, e dunque sui loro rapporti di conoscenza o di pregressa frequentazione.
Ad incidere sulle esposte considerazioni non può neppure invocarsi la circostanza in base alla quale gli imputati non erano di nazionalità irachena e dunque non avrebbero potuto legittimamente battersi in guerra contro il “nemico” americano.
E’ evidente infatti come la scriminante prevista dalla citata convenzione riguardi le forze belligeranti facenti parte delle opposte fazioni in lotta, a prescindere dalla nazionalità dei singoli individui combattenti qualora accomunati da un’unica matrice strategico-ideologica.
Rimarranno perciò da appurare, nel futuro corso del procedimento bresciano, sia i legami penalmente rilevanti tra i due attuali imputati e gli altri imputati di quel procedimento, sia d’altro canto le eventuali attività terroristiche da tale “cellula” in concreto programmate.
A tal ultimo riguardo non può non rilevarsi come gli atti del procedimento bresciano acquisiti ex art.441/5 c.p.p. e concernenti l’audizione in incidente probatorio del “collaboratore” Z.C., finiscano in ultima analisi per avallare tale valutazione. Le dichiarazioni del predetto relative a presunti attentati da commettere sul territorio italiano, appaiono infatti fondate su deduzioni dallo stesso ricavate da discorsi in linguaggio criptico asseritamente tenuti in sua presenza di soggetti assolutamente estranei al presente procedimento. D’altra parte, come affermato dal P.M. in udienza, va evidenziato come le dichiarazioni che tale “collaboratore” avrebbe reso nell’ambito di altro procedimento milanese e di cui vi è traccia in detto atto, non riguarderebbero le due “cellule” in questione.
Quanto sopra, si ripete, lungi dall’anticipare valutazioni di merito non certo spettanti alla scrivente in ordine alla posizione dei due predetti, vale solo ai fini della revoca della misura cautelare in atto nei confronti degli stessi nell’ambito del presente procedimento in ordine al reato associativo loro contestato.
Per tali motivi, il reato di cui all’art.12 d.lvo 286/1998 andrà liberato dalla circostanza aggravante di cui all’art.1 l.15/1980.
P.Q.M.
visto l’art. 22/3 c.p.p.
DICHIARA
la propria incompetenza per territorio ed
ORDINA
l’immediata trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Brescia, anche per gli adempimenti connessi alla rinnovazione della misura cautelare in atto come di seguito limitata;
visto l’art.299/3 u.p. c.p.p.
REVOCA
la misura cautelare in atto nei confronti dei due imputati, per sopravvenuta carenza di gravi indizi in ordine al reato di cui al capo 1), ed escludendo dal reato di cui al capo 2), l’aggravante di cui all’art.1 l.15/1980, sempre per sopravvenute, carenza di gravi indizi al riguardo).
ORDINA
la formale scarcerazione degli stessi limitatamente a tali ipotesi.
Milano, 24.1.2005
Il Giudice
dr. Clementina Forleo
Il Cancelliere
Irma Di Stefano
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 24 Gennaio 2005.
Autore:
Tribunale Penale
Dossier:
_Islam_, Confessioni religiose
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Intolleranza, Musulmani, Islam, Proselitismo, Sicurezza nazionale, Fondamentalismo, Terrorismo internazionale, Immigrazione illegale, Jihad
Natura:
Ordinanza