Tribunale di Padova. I Sezione civile. Ordinanza 22 gennaio 2010: "Matrimonio tra persone dello stesso sesso: diniego delle pubblicazioni".
TRIBUNALE DI PADOVA
I SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, composto dai magistrati
Dr.ssa Manuela Farini Presidente
dr.Roberto Beghini Giudice
dr.ssa G. Sanfratello Giudice relatore
nel procedimento iscritto a ruolo n. ***, promosso con ricorso da …. *** e *** con l’avv. ***
contro
Comune di ***, con l’Avvocatura dello Stato;
Avente ad oggetto il ricorso avverso il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di effettuare le pubblicazioni matrimoniali (ex art. 98 c.c., 95 dpr 396/2000)
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Premesso che:
– le odierne ricorrenti, entrambe di sesso femminile, hanno proposto ricorso avverso il diniego, opposto dall’ufficiale dello Stato Civile, di procedere alle pubblicazioni del matrimonio, motivando il rifiuto per il fatto che il nostro ordinamento non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso perché contrario all’ordine pubblico;
– le ricorrenti, a sostegno del ricorso, hanno evidenziato che nel nostro ordinamento non vi è una nozione positiva di matrimonio, che l’identità di sesso non è annoverata tra le cause ostative a contrarre matrimonio, che il matrimonio omosessuale non è contrario né all’ordine pubblico interno e neppure all’ordine pubblico internazionale;
– sulla base di tali argomentazioni le ricorrenti hanno sostenuto che il divieto di contrarre matrimonio per le persone omosessuali si porrebbe in contrasto con la libertà di autodeterminazione dell’individuo e con il diritto fondamentale a creare una famiglia, entrambi garantiti dalla Carta Costituzionale;
– il divieto suddetto sarebbe altresì in contrasto con la Carta di Nizza, che stabilisce il diritto delle persone di sposarsi o di non sposarsi, senza operare alcuna distinzione;
– le ricorrenti chiedevano pertanto di ordinare all’ufficiale dello stato civile di procedere alle pubblicazioni o, in subordine, di sollevare la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli art. 107,108, 143, 143 bis, 156 bis, c.c., nella parte in cui non prevedono che i coniugi possano essere anche dello stesso sesso;
– l’Avvocatura dello Stato, nel costituirsi per il Comune di ***, chiedeva il rigetto del ricorso;
Osserva.
Va esclusa in primo luogo la sussistenza, nell’ordinamento comunitario, di una disciplina di applicazione diretta negli Stati Nazionali, che imponga ai medesimi di consentire il matrimonio alle coppie omosessuali.
Da un lato, infatti, il Trattato di Lisbona recepisce la Carta di Nizza, la quale a propria volta sancisce il diritto dell’individuo a sposarsi o non sposarsi, senza fare distinzioni, ma senza neppure affrontare, nello specifico, l’argomento dell’identità sessuale dei nubendi; d’altro canto come evidenziato dalle ricorrenti, il Parlamento Europeo è intervenuto con plurime risoluzioni, invitando gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli normativi, che, all’interno degli ordinamenti nazionali, impediscono alle coppie omosessuali il matrimonio o altre forme di unione ad esso equivalenti, con il che si deve concludere che l’ordinamento comunitario, pur esercitando una funzione di indirizzo, nel senso di promuovere legislazioni nazionali che tendano ad uniformare il regime giuridico della coppia omosessuale rispetto alla coppia eterosessuale, non abbia introdotto alcuna norma che consenta, nel nostro paese, di ritenere possibile il matrimonio omosessuale, prescindendo dall’ordinamento interno.
Ciò posto, reputa il Tribunale che, nell’attuale quadro normativo, pur in assenza di un’espressa definizione di matrimonio, tale debba essere considerato solo quello eterosessuale, poiché, né il legislatore del 1942 e neppure quello del 1975, avevano ancora dovuto confrontarsi con la problematica che oggi ci occupa, espressamente statuendo in merito al sesso dei nubendi: il dato normativo conduce poi ad analoghe conclusioni, poiché diverse disposizioni (art. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis c.c.) espressamente fanno riferimento al marito e alla moglie, il che contribuisce a sorreggere il convincimento che la mancata previsione dell’identità di sesso, tra le cause ostative a contrarre matrimonio, lungi dal significare che il legislatore abbia inteso ammettere il matrimonio omosessuale, è indice del fatto che, in tale ipotesi, il medesimo sarebbe non già nullo, ma addirittura inesistente. In tale prospettiva non può essere accolto il ricorso proposto in via principale, poiché il rifiuto di procedere alle pubblicazioni appare conforme al dettato normativo.
Quanto alla censura di illegittimità costituzionale delle disposizioni sopra citate, reputa il Collegio che essa non sia fondata. L’art. 29 Cost., nello stabilire che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, rimanda al legislatore ordinario quanto alla definizione di matrimonio stesso, sia pure con la precisazione di cui al secondo comma, che il matrimonio debba essere ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge, e non impone pertanto al legislatore ordinario di ricomprendere nella nozione di matrimonio qualsivoglia tipo di unione, anche omosessuale.
Né il Collegio ritiene che le disposizioni dalle quali è dato evincere che il matrimonio possa essere celebrato solo tra persone di sesso diverso si pongano in contrasto con l’art. 2 o con l’art. 3 Cost., da un lato perché il diritto a contrarre matrimonio non può essere considerato in diritto inviolabile dell’uomo, ben essendo ipotizzabile che il legislatore ponga dei limiti all’accesso a tale istituto, come del resto avviene tutt’ora, d’altro canto perché non vi è violazione del principio di uguaglianza laddove una disciplina positiva riservi un trattamento diverso a situazioni che effettivamente uguali non sono.
Da ultimo, l’art. 117 Cost., il quale stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato anche nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, se da un lato indica un criterio al quale il legislatore nazionale deve ispirarsi, d’altro canto non può condurre ad una declaratoria di illegittimità costituzionale tout court delle norme che si pongono in contrasto con detto criterio, tanto più laddove si consideri che, nella specie, non esiste una normativa comunitaria di immediata applicazione negli stati membri; alla circostanza che il legislatore italiano ancora non abbia inteso intervenire per adottare una disciplina che consenta il matrimonio o preveda un analogo istituto per le coppie omosessuali, non può sopperire il giudice ordinario, la cui valutazione è limitata alla conformità della normativa vigente alla Carta Costituzionale e non anche all’ottemperanza del legislatore nazionale rispetto agli obblighi imposti in sede comunitaria.
Attesa la peculiarità della questione ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto da *** e ***.
Spese compensate.
Così deciso in Padova, il 22.1.2010
Il Presidente
Dr.ssa Manuela Farini
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