Ordinanza 22 gennaio 2008, n.229
Tribunale di Catania. Sezione distaccata di Paternò. Ordinanza 22 gennaio 2008, n. 229: “Esposizione di immagini sacre in locali della pubblica amministrazione e difetto di giurisdizione del giudice ordinario”.
Il Giudice,
esaminati gli atti e sciogliendo la riserva assunta nell’udienza del 13 dicembre 2007, rileva ed osserva quanto segue.
Con ricorso depositato il 15 novembre 2007, P.G. dipendente presso l’Unità Operativa del Comando di Polizia Municipale del Comune di Paternò, esponeva che in data 7 maggio notava nella propria sede di lavoro una mensola sopra la quale era stata collocata una statua della Madonna Addolorata; che, con nota dell’8 maggio 2007, informava il Comandante del Corpo di Polizia Municipale, dolendosi del fatto che la presenza di una statua religiosa in un ufficio pubblico si traduceva in una dichiarazione collettiva circa l’appartenenza alla religione cattolica, che la nota di cui sopra non veniva riscontrata, per il ricorrente, con successiva nota del 4 luglio 2007, chiedeva la rimozione, oltre che della statua della Madonna, anche dell’altare innalzato a San Sebastiano e dia altri “altarini” collocati nei locali di ricevimento al pubblico della Polizia Municipale; che anche in tal caso non riceveva risposta alcuna dall’amministrazione.
Deduceva il ricorrente che la collocazione di tali immagini sacre doveva considerarsi, oltre che violativa del principio di laicità dello Stato, anche dei diritto soggettivi sanciti dalla Costituzione agli artt. 2, 3 19.
Chiedeva che, ai sensi dell’art. 700 cpc, venisse ordinata al Comune di Paternò la rimozione dei simboli religiosi di cui sopra.
All’udienza del 13 dicembre 2007, fissata per la comparizione delle parti, si costituiva il Comune di Paternò contestando il ricorso.
Il Ricorso va rigettato per quanto di ragione.
In via preliminare, ritiene il giudice che nella specie difetti la giurisdizione del giudice ordinario.
Ed invero, in tal senso si attestata la giurisprudenza recente (si vedano, Cass. Civ., Sez. Unite 10 luglio 2006, n. 15614; Trib. Napoli, 31 marzo 2005; Trib. L’Aquila, 29 novembre 2003; Consiglio di Stato 13 febbraio 2006, n. 556), la quale, chiamata a decidere in fattispecie analoghe a quella per cui si procede, ha ritenuto che la collocazione del crocifisso o di immagini sacre in locali dell’amministrazione destinati al pubblico o in cui si svolga un pubblico servizio attenga a scelte di carattere organizzatorio della p.a.. In tali ipotesi infatti si è di fronte a provvedimenti dell’autorità amministrativa di carattere generale, che esorbitano nel rapporto individuale di utenza o (come nel caso che ci occupa) del singolo dipendente con l’amministrazione, per cui resta devoluta al giudice amministrativo anche l’eventuale richiesta di risarcimento.
In altre parole, si esclude che la questione della legittimità della collocazione della immagini sacre nei locali della pubblica amministrazione possa ricondursi ad un a mero rapporto di carattere individuale del singolo utente o ad una questione meramente risarcitoria, con la conseguenza che l’istanza cautelare volta ad ottenere la rimozione dei smboli religiosi in oggetto si traduce nella richiesta di una misura di carattere inibitorio idonea ad interferire nella gestione e nell’organizzazione della pubblica amministrazione con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
Ciò detto in via preliminare, deve rilevarsi per completezza di motivazione che comunque il ricorso non merita accoglimento.
Ritiene il giudice che debba escludersi che l’esposizione nei locali del Comune delle immagini sacre di cui in ricorso risulti lesiva dei diritto della persona o contrastante con il principio di laicità.
Ricalcando quanto sostenuto dal Consiglio di Stato nella citata pronuncia del 13 febbraio 2006, n. 556, fermo restando che in un luogo di culto i simboli religiosi sono significativi ed indicano in modo inequivocabile l’appartenenza ad una determinata religione, in un luogo di culto non religioso la collocazione di tali simboli può essere intesa con lo stesso significato ed essa risulta giustificata in quanto richiama i principi di civiltà.
In tale senso, qualsiasi simbolo religioso (di qualunque religione si tratti, non solo di quella cattolica), qualora denoti un valore di civiltà non risulta contrastante con i principi laici dello Stato, giacchè esso, lungi dal tradursi in una “dichiarazione collettiva di appartenenza ad una determinata religione”, non fa altro che sottolineare in uno Stato democratico e pluralista, il rispetto delle norme del vivere civile, senza in alcun modo contraddire o mettere in discussione la laicità del contesto o del luogo in cui il simbolo religioso stesso è collocato.
Alla luce delle superiori considerazione, il ricorso va rigettato.
In considerazione della peculiarità della fattispecie, appare equo compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
compensa tra le parti le spese del giudizio.
20 gennaio 2008
Il Giudice
M. Celesti
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2008
Autore:
Tribunale Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Libertà religiosa, Simboli religiosi, Luoghi pubblici, Pluralismo confessionale, Pubblici servizi, Principio di laicità dello Stato, Immagini sacre, Principi di civilità, Giurisdizione del Giudice amministrativo
Natura:
Ordinanza