Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 30 Settembre 2003

Ordinanza 17 maggio 1996

Tribunale civile di Foggia. Ordinanza 17 maggio 1996.

(omissis)

Il collegio, letti gli atti del procedimento possessorio promosso dall’Associazione delle “Assemblee di Dio in Italia” (ADI) nei confronti di Giuseppe Rosaria e in particolare il reclamo proposto dall’ADI ai sensi dell’art. 669 c.c. avverso l’ordinanza in data 1º aprile 1996 con la quale il Pretore di Foggia ha rigettato l’istanza di reintegra in possesso dell’ADI nel locale sito in Foggia alla via Tito Serra n. 10/A adibito a Chiesa Evangelica, sciogliendo la riserva di cui al verbale che precede, osserva:

“Dalle norme statutarie e regolamentari che disciplinano l’organizzazione delle Chiese Evangeliche riunite nell'”Assemblea di Dio in Italia” (Ente morale di culto) e ancor più dal rapporto di fatto venutosi a determinare fra la ADI e la Chiesa Evangelica locale di Foggia in ordine all’edificio adibito da quest’ultima al culto è dato desumere che, benché l’edificio risulti acquistato e intestato all’ADI, che ne appare formalmente proprietaria, nel possesso di tale bene, sin dall’inizio e tuttora, risulta essere la Comunità Evangelica di Foggia.

Premesso che il possesso è una situazione di fatto, che si estrinseca sulla cosa mediante il potere che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà (o di altro diritto reale) (art. 1140 c.c.) e che prescinde dalla stessa titolarità del diritto di proprietà, con conseguente possibilità che il possessore può essere persona diversa dal proprietario della cosa, va rilevato anzitutto che l’edificio in questione, come è documentalmente provato (v. riepilogo di cassa allegato) e appare pacifico tra le parti, è stato acquistato esclusivamente con i contributi dei fedeli costituenti la Chiesa locale e al più con il ricavato di offerte di esterni sostenitori, mentre l’intestazione formale della proprietà all’ADI è stata evidentemente determinata dalla concorde intenzione di godere di esenzione fiscale di cui solo l’ADI, quale ente morale, poteva godere. Né risulta che l’ADI sia mai intervenuta con controlli e penetranti verifiche non solo all’acquisto del suolo e dell’edificio successivamente costruito (in quanto a tal fine ha sempre agito liberamente il Pastore Rosania sia pure formalmente munito di procura conferita dall’ADI), ma anche nella successiva gestione e amministrazione dell’immobile e degli arredi, mai sostenendone le spese.

Rileva inoltre evidenziare che, anche alla stregua dell’accennata disciplina e per lo stesso spirito che permea alla base le relazioni tra le Chiese Evangeliche aggregate all’ADI, non vi è, strutturalmente o sotto altro profilo, subordinazione gerarchica tra l’ADI e la Chiesa Evangelica locale, la quale gode di completa autonomia non solo spirituale ma anche patrimoniale, risultando riservata all’ADI una semplice direzione di guida non vincolante e un certo potere disciplinare e organizzativo. Tanto risulta chiaramente dallo Statuto e dal Regolamento interno delle Chiese riunite, secondo cui l’ADI rispetta la completa autonomia interna disciplinare delle Chiese del Movimento “tenendo presente, in modo del tutto speciale, la loro indipendenza finanziaria” (art. 4 lett. b dello Statuto); “ogni Chiesa è libera nella sua attività interna secondo i principi e i costumi del paese nel quale svolge la sua attività e i principi dottrinali della parola di Dio” (art. 28 dello Statuto); “la Chiesa finanziariamente autonoma, provvede a scegliere il proprio conduttore direttamente informandone il Comitato di Zona di giurisdizione e il Consiglio Generale delle Chiese” (art. 45 lett. d) del Regolamento interno). Tale forma di autonomia, anche patrimoniale delle singole Chiese si desume ancor più chiaramente dagli stessi organi di stampa e informazione dell’ADI, dove è ribadita la completa autonomia patrimoniale e finanziaria delle Chiese locali, ritenute unite in “un’associazione di Chiese” (e non in “federazione di Chiese”) aventi lo stesso vincolo di fede, associazione costituente un unico Ente morale giuridicamente riconosciuto dallo Stato italiano essenzialmente per motivi pratici giuridici di riflesso esterno. Si legge in particolare nella rivista quindicinale “Cristiani Oggi” del 15-31 gennaio 1966 (anno XV, n. 2, p. 3, “Il VII Convegno Pastorale” a firma dello stesso Presidente dell’ADI) letteralmente: “Non rimaneva altro che l’alternativa di intestare i locali di culto delle Assemblee di Dio in Italia per disporre della tutela degli immobili e poter godere dei benefici fiscali, stabiliti per legge, mentre il possesso e la gestione ordinaria rimangono alla Chiesa locale”.

Ma ciò che più conta ai fini giuridici rilevanti in questa sede è, in conformità ai principi poc’anzi rilevati, la reale situazione di fatto creatasi fra la Comunità locale e l’edificio, estrinsecatasi nel fatto che detta Comunità ha posseduto sin dall’inizio, tramite il Pastore Rosania, la chiave dei locali e ha gestito di fatto l’immobile esercitando concretamente su di esso quella signoria stessa (o dominio) che di norma spetta al proprietario, non solo non pagando canoni, ma escludendo ogni ingerenza altrui, di guisa da non lasciar neppure supporre che l’edificio veniva detenuto per mere ragioni di ospitalità o di servizio, il tutto accompagnato dalla sua consapevolezza di usare l’immobile come proprio. Come è consolidato nella giurisprudenza del S.C., quest’ultimo elemento soggettivo, l’animus possidendi, richiesto, unitamente all’altro elemento oggettivo (o corpus) costituito dalla relazione materiale del soggetto con la cosa, quale estremo necessario del possesso in senso tecnico giuridico, deve ritenersi “implicito” all’esercizio dell’attività che si estrinsechi in comportamenti i quali, in modo univoco, manifestino l’intenzione del possessore di tenere e usare la cosa come fosse propria (Cass., 14 dicembre 1988, n. 6818) e non è necessariamente collegato all’affermazione del possessore di esercitare un potere di fatto in corrispondenza dell’esistenza di un proprio diritto reale (es. proprietà), essendo unicamente espressione del potere di fatto esercitato come se riavesse il corrispondente diritto (Cass., 30 giugno 1982, n. 3939). Ne deriva che l’animus possidendi non viene meno per effetto della conoscenza che il possessore abbia dell’esistenza o meno della corrispondente porzione del diritto soggettivo (Cass. n. 6818/1988 cit.), per cui, con riferimento al caso di specie, sotto il profilo della sussistenza del possesso in capo alla Chiesa locale, del tutto irrilevante appare la circostanza che questa abbia o meno consapevolezza che il titolo formale di proprietà dell’edificio appartenga all’ADI, quale unico Ente morale. Si è ancora precisato che, ad escludere l’esistenza dell’animus possidendi, non è sufficiente la mera indicazione di una fonte documentale più o meno remota, ma occorre la prova di fatti e circostanze che dimostrino il persistere della situazione di dipendenza del possessore del titolare di un diritto reale (stessa Cass. n. 282/1980), prova che nel caso concreto l’ADI non ha fornito, pur sussistendo elementi di prova …, per “tabulas” e per pacifiche circostanze di fatto, che la Chiesa locale di Foggia ha goduto e gode di una signoria di fatto sulla “res” conforme al contenuto del diritto di proprietà.

Può affermarsi, quindi, che possessore dell’edificio in questione è stato sin dall’acquisto del bene e rimane tuttora la Comunità locale dei fedeli (Chiesa Evangelica di Foggia) rappresentata sotto tale profilo, dal Pastore Rosania, detentore delle chiavi.

Ciò non significa che il Rosania non possa rendersi responsabile, in ipotesi, di spoglio per uso a propri fini personali del locale, non condividendo questo Collegio la tesi che possessore esclusivo dell’immobile sia il Rosania. Ma ritiene, comunque, che in siffatta ipotesi soggetto passivo dello spoglio è la Chiesa locale, quale insieme dei fedeli membri partecipanti, e non l’ADI, nella quale, quindi, manca la legittimazione attiva alla reintegra.

La domanda, in altri termini, andava proposta al più dalla Comunità locale o dall’organo rappresentante di essa all’uopo designato, per norme statutarie di regolamento interno, dall’ADI. Sicché, proprio per difetto di legittimazione attiva e quindi per motivazione diversa da quella prospettata dal primo giudice, la domanda dell’ADI appare comunque non accoglibile e non idonea a giustificare neppure il richiesto provvedimento cautelare in via interinale. Il reclamo pertanto, va rigettato.

Naturalmente, dalla questione trattata in questa sede va scissa quella disciplinare relativa alla sospensione della funzione di Pastore del Rosania, che è regolata da tutt’altre norme da ricercare nell’ambito strutturale interno dell’ADI”.

P.Q.M.

Visto l’art. 669 c.p.c. rigetta il reclamo, così confermando l’ordinanza reclamata.

(omissis)