Fatto e diritto
Rilevato che:
Ug. Ek. Ch. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 324 del 2017, depositata il 2 marzo 2017, con la quale è stato rigettato l'appello proposto dal medesimo nei confronti della decisione del Tribunale di Brescia in data 16 febbraio 2016, che aveva disatteso la domanda di protezione internazionale nelle sue diverse forme;
il Ministero dell'Interno ha replicato con controricorso;
Considerato che:
con l'unico motivo di ricorso – denunciando genericamente la violazione dell'art. 360 cod. proc. civ. – Ug. Ek. Ch. si duole del fatto che la Corte d'appello abbia negato la protezione internazionale al richiedente, con particolare riferimento alla protezione sussidiaria, sebbene il medesimo corresse seri pericoli in caso di ritorno in patria, per la sua condizione di omosessuale, ed ancorché la situazione sociale e politica in Nigeria fosse connotata da episodi di violenza e di intolleranza nei confronti degli omosessuali;
Ritenuto che:
ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l'omosessualità venga considerata un reato dall'ordinamento giuridico del Paese di provenienza sia rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta;
debbano, peraltro, essere acquisite – a tal fine – le prove, necessarie allo scopo di conclamare la circostanza della omosessualità del richiedente, e di accertare la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale (Cass., 20/09/2012, n. 15981);
Rilevato che:
nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato che la condizione di omosessuale del ricorrente si fonda esclusivamente sul racconto da lui reso, peraltro confuso e poco credibile, circa un unico episodio nel quale il medesimo sarebbe stato oggetto di un tentativo di violenza, non riuscito per l'intervento di altre persone che avrebbero addirittura ucciso l'aggressore, senza alcun altro riferimento di sorta (ad indagini della polizia, o altro), talché siffatta condizione di omosessuale sarebbe – a parere della Corte – senz'altro da escludere;
il giudice di appello ha altresì accertato che non risulta che in Nigeria l'omosessualità costituisca reato, desumendosi – dal rapporto Uman Rights Watch del 2017 – esclusivamente l'introduzione del divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, senza peraltro alcuna legittimazione degli abusi contro gli omosessuali, e che gli episodi di discriminazione sono risultati «estremamente limitati e in nessun caso sono stati rilevati linciaggi come quelli temuti dal ricorrente»;
di più, la situazione socio-politica del Sud della Nigeria – ove si trovano le città di Awa Omamma e di Ibadan, nelle quali è vissuto l'istante – non sono connotati da particolari pericoli di violenze e di attentati;
le deduzioni operate, al riguardo dal ricorrente sono del tutto generiche e prive di concreti riferimenti e, quindi, inidonee a consentire di ritenere erronee le statuizioni dell'impugnata sentenza;
Ritenuto che:
per tutte le ragioni esposte, il ricorso debba essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.