Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 27 Agosto 2003

Ordinanza 12 marzo 1998, n.67

Corte Costituzionale. Ordinanza 12 marzo 1998, n. 67.

(Granata; Ruperto)

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano la Corte Costituzionale, composta dai signori:

– Dott. Renato Granata Presidente

– Prof. Giuliano Vassalli Giudice

– Prof. Francesco Guizzi ”

– Prof. Cesare Mirabelli ”

– Prof. Fernando Santosuosso ”

– Avv. Massimo Vari ”

– Dott. Cesare Ruperto ”

– Dott. Riccardo Chieppa ”

– Prof. Gustavo Zagreblesky ”

– Prof. Valerio Onida ”

– Prof. Carlo Mezzanotte ”

– Avv. Fernanda Contri ”

– Prof. Guido Neppi Modona ”

– Prof. Piero Alberto Capotosti ”

– Prof. Annibale Marini ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Emilia Romagna 24 aprile 1995, n. 52 (Integrazioni alla legge regionale 25 gennaio 1983, n. 6 “Diritto allo studio”), promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna sul ricorso proposto dal Comitato bolognese “Scuola e Costituzione” ed altre contro la Regione Emilia Romagna, iscritta al n. 574 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 38, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visti gli atti di costituzione del Comitato bolognese “Scuola e Costituzione” ed altre nonché‚ gli atti di intervento della FISM-Federazione italiana scuole materne ed altra e della Regione Emilia Romagna;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 1998 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi gli avv.ti Giuseppe F. Ferrari, Massimo Luciani, Sergio Panunzio, Federico Sorrentino, Corrado Mauceri e Maria Virgilio per il Comitato bolognese “Scuola e Costituzione” ed altre, Giovanni Giacobbe, Nicola Picardi, Mauro Giovannelli e Giuseppe Totaro per la FISM-Federazione italiana scuole materne ed altra e gli avv.ti Giandomenico Falcon e Giulio Correale per la Regione Emilia Romagna.

Ritenuto che il TAR per l’Emilia Romagna – adito dal Comitato bolognese “Scuola e Costituzione”, dalla Chiesa Evangelica Metodista, dalla Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno e dalla Comunità Ebraica di Bologna, per l’annullamento della delibera con cui il Consiglio regionale aveva dettato i criteri di assegnazione dei contributi ai Comuni per l’attivazione di un sistema pubblico integrato della scuola dell’infanzia – ha, con ordinanza emessa il 17 ottobre 1996 (pervenuta alla Corte il 28 luglio 1997), sollevato, in relazione agli artt. 33, commi secondo e terzo, e 117, comma primo, Cost., questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Emilia Romagna 24 aprile 1995, n. 52, nel suo complesso “a causa dello stretto legame intercorrente tra le norme della stessa, ciascuna in autonoma senza l’altra”;

che il giudice a quo, richiamata la sentenza parziale pronunciata in pari data (17 ottobre 1996) – con cui, dopo aver dichiarato inammissibili tutte le doglianze dei ricorrenti, ad esclusione di tre, aveva accolto quella relativa all’avvenuta ripartizione di fondi anche in favore di Comuni che non avevano stipulato le relative convenzioni -, motiva la rilevanza della questione solo affermando che le denunciate norme “costituiscono elemento dirimente della controversia, favorevolmente decisa in data odierna soltanto in relazione ad un limitato aspetto”;

che, secondo il TAR, la scuola materna costituirebbe il grado preparatorio dell’istruzione elementare e svolgerebbe un ruolo formativo della personalità infantile ed educativo, proponendosi la diffusione della scuola stessa senza squilibri e diseguaglianze sul territorio nazionale: per cui, proprio in ragione di tale diffusione, il Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, nel riordinare l’intero sistema scolastico di istruzione e formazione, avrebbe individuato tale settore come primo campo di sperimentazione di iniziative ed azioni specifiche da assumersi da parte della Giunta, così ricomprendendolo “a pieno titolo” nel settore scolastico;

che, infatti, la denunciata legge, in armonia con la risoluzione della Giunta, prevederebbe: a) all’art. 2, la realizzazione di un sistema integrato di scuola dell’infanzia secondo una logica di coordinamento fra le diverse offerte educative; b) all’art. 3, il sostegno finanziario ai Comuni che attivino convenzioni finalizzate alla qualificazione e al sostegno delle scuole dell’infanzia gestite da enti, associazioni, fondazioni e cooperative senza fini di lucro: c) all’art. 4, un fondo per la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole dell’infanzia private; d) all’art. 5, la ripartizione del fondo stesso fra i Comuni che abbiano stipulato le convenzioni con scuole dell’infanzia private nelle quali siano previsti oneri a carico dei Comuni per contributi di spesa corrente e di investimento;

che dunque l’obiettivo della legge – stante anche la modificazione del titolo in “Diritto allo studio e qualificazione del sistema integrato pubblico-privato delle scuole dell’infanzia” – si rivolgerebbe alla parte formativa ed educativa del bambino, riguardando quindi la materia dell’istruzione; materia che, ex art. 33, comma primo, Cost., è affidata allo Stato, mentre alle Regioni l’art. 117, comma primo, Cost., sulla base dei criteri enunciati dall’art. 34, commi terzo e quarto, Cost., attribuisce il diverso compito di legiferare nella materia dell’assistenza scolastica, salva la competenza legislativa nelle materie dell’istruzione artigiana e professionale;

che, oltre ai succitati articoli, risulterebbe violato anche l’art. 33, comma terzo, Cost., secondo il quale gli enti privati possono istituire scuole senza oneri a carico del bilancio pubblico; e al riguardo il TAR sottolinea (senza peraltro indicare l’art. 33, comma primo, Cost. in dispositivo) che ogni contribuzione pubblica, ove rivolta direttamente al funzionamento ed alla gestione della scuola, contiene il rischio di un’ingerenza sull’organizzazione della scuola, con pregiudizio della libertà di insegnamento;

che davanti a questa Corte si è costituito il Presidente della Giunta regionale, chiedendo la declaratoria d’inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza della questione;

che ha depositato memoria d’intervento, concludendo allo stesso modo, anche la FISM (Federazione italiana scuole materne), sia nella sua dimensione nazionale sia nell’articolazione regionale costituita dalla Federazione dell’Emilia Romagna, in qualità di firmataria del protocollo d’intesa con la Regione, nel quale si individua lo schema-tipo di convenzione per la costituzione del sistema integrato;

che si sono altresì costituite le parti ricorrenti nel giudizio a quo, insistendo per la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale della denunciata legge;

che tutte le parti hanno depositato, nell’imminenza dell’udienza, ampie ed articolate memorie a sostegno dei rispettivi assunti e conclusioni.

Considerato che, in via preliminare, va dichiarato ammissibile l’intervento della FISM (Federazione italiana scuole materne) nella dimensione nazionale e nell’articolazione periferica costituita dalla Federazione Emilia Romagna, in quanto le rispettive posizioni sono suscettibili di restare direttamente incise dall’esito del giudizio (cfr. sentenza n. 421 del 1995), in quanto tale giudizio ha evidenti riflessi su atti riferentisi a convenzioni specifiche tra i Comuni cui vengano assegnati i contributi e gli enti gestori delle scuole dell’infanzia rappresentati, com’è pacifico, dalla stessa FISM (anche attraverso la sottoscrizione del protocollo d’intesa che individua lo schema-tipo di convenzione);

che, sempre in via preliminare, va effettuata, come di seguito, la necessaria verifica dei requisiti d’ammissibilità della sollevata questione, segnatamente della rilevanza, il cui difetto è stato dalle parti eccepito;

che il rimettente ha denunciato la legge regionale n. 52 del 1995 nel suo complesso sottolineando, con condivisibile giudizio, lo “stretto legame intercorrente tra le norme della stessa”; e dunque la censura d’incostituzionalità presenta carattere unitario, per cui non è consentita la scissione di essa attraverso il frazionamento dei possibili diversi profili applicativi;

che con sentenza – coeva all’ordinanza di rimessione – d’accoglimento di parte del ricorso per violazione della stessa legge, il giudice a quo ha già fatto applicazione di quest’ultima ravvisando, nell’ammissione ai contributi anche di Comuni che non abbiano stipulato convenzioni, un motivo d’illegittimità dell’atto impugnato dai ricorrenti;

che, oltre a pronunciare come sopra nel merito, egli ha anche dichiarato l’inammissibilità del ricorso per la parte connessa alle determinazioni d’interesse della FISM, non essendo stata questa chiamata a partecipare a quel giudizio; inammissibilità che, senza alcuna spiegazione, non è stata dichiarata anche in relazione ai motivi di ricorso fondati sulla dedotta illegittimità derivata dall’asserita incostituzionalità della legge regionale;

che, pertanto, ai fini della motivazione sulla rilevanza, il giudice a quo avrebbe dovuto dar conto del fatto che non si fosse ormai esaurito il suo potere decisorio, rimanendo come unico oggetto del giudizio a quo le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti; e ciò tanto più in quanto questi avevano prospettato i dubbi di costituzionalità in logica subordinazione all’ipotesi che l’impugnata delibera fosse ritenuta conforme a legge;

che, viceversa, il rimettente si è limitato ad affermare in modo apodittico, senza alcun riferimento ai relativi presupposti, la rilevanza della sollevata questione, il cui accoglimento peraltro finirebbe col rendere inutiliter data la sentenza ch’egli ha già come sopra pronunciato in riconoscimento di un interesse legittimo fatto valere dai ricorrenti;

che, quindi, la proposta questione è manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Emilia Romagna 24 aprile 1995, n. 52 (Integrazioni alla legge regionale 25 gennaio 1983, n. 6 “Diritto allo studio”), sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, in riferimento agli artt. 33, commi secondo e terzo, e 117, comma primo, della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1998.