Ordinanza 11 luglio 2008, n.323
Tribunale di Firenze. Ordinanza 11-12 luglio 2008, n. 323: “Sollevata questione di legittimità costituzionale in ordine agli artt. 14, primo e secondo comma ed all’art. 6, comma 3, ultima parte, della legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita)”
(Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 44 del 22 ottobre 2008, I serie speciale)
IL TRIBUNALE
Premesso quanto segue: che C.S.A. e P.G., hanno presentato ricorso di urgenza prendendo le seguenti conclusioni:
che il Tribunale di Firenze, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., voglia in via urgente dichiarare nel merito e in via principale, il diritto dei ricorrenti di: a) ricorrere alla diagnosi genetica pre impianto (PDG) al fine di trasferire e impiantare nell’utero della signora C. gli embrioni creati che non presentino in forma conclamata, la specifica patologia di cui sono portatori i genitori; b) sottoporsi ad un protocollo di PMA per il quale il centro medico, in forza di una interpretazione costituzionalmente (artt. 2, 3, 32 Cost.) e teleologicamente (art. 1, legge n. 40/2004) orientata dell’art. 14, comma 2 e 3, legge n. 40/2004, sia autorizzato a produrre un numero di embrioni adeguato a scontare il «rischio genetico» e «diagnostico» del caso concreto, comunque idoneo a mantenere le medesime probabilita’ di successo dell’intervento rispetto ad una ipotesi ordinaria, quindi non inferiore a 6 unita’; c) sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalita’ compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto (con tutte le implicazioni consequenziali in ordine alla decisione circa la contemporaneita’ del trasferimento di tutti gli embrioni prodotti); d) disporre, in attesa della definizione del giudizio di merito e in via incidentale dell’eventuale giudizio di legittimita’ costituzionale, la crioconservazione dei residui embrioni risultati affetti dalla patologia della esostosi, ordinando infine alla parte resistente la prosecuzione del protocollo di procreazione medicalmente assistita finalizzato all’impianto degli embrioni risultati non affetti ovvero portatori sani.
In via subordinata, renda in via d’urgenza ogni provvedimento ritenuto opportuno in relazione al caso di specie, indicando le modalita’ di esecuzione;
Renda ogni provvedimento relativo e conseguente, in via subordinata, sollevi la questione di legittimita’ costituzionale:
A) degli artt. 13 e 14, legge n. 40/2004 (divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull’embrione che non risulti finalizzata alla tutela dello stesso) per contrasto con gli artt. 9, 32, 33 primo comma Cost.;
B) dell’art. 6, comma 3, legge n. 40/2004 (divieto assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo) per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost.;
C) dell’art. 14, commi 2 e 3, legge n. 40/2004 (numero di embrioni producibili e condotte terapeutiche predeterminate e inderogabili del medico) per contrasto con gli artt. 2, 9, 31, 32 Cost.; art. 1, legge n. 40/2004;
D) dell’art. 13, commi 1 e 2 e 14, commi 1 e 4, legge n. 40/2004 in quanto affetti da illogicita’ ed irragionevolezza, per contrasto con gli artt. 4 e 6, legge n. 194/1978 (norma a contenuto costituzionalmente vincolato: Corte cost. sent. n. 27/1975; 26/1981;
35/1997; 514/2002) e artt. 2, 3, 31, 32, Cost.;
E) dell’art. 14, commi 1 e 4, legge n. 40/2004 in quanto affetti da illogicita’ ed irragionevolezza ove interpretati restrittivamente, per contrasto con gli artt. 2, 32 Cost.;
Con vittoria di spese, competenze e onorari.
A sostegno della domanda le parti ricorrenti hanno esposto in fatto di essere conviventi, di essere affetti da sterilita/infertilita’ sine causa come accertato medicalmente; di essere la signora C. affetta da malattia genetica irreversibile denominata esostosi multipla ereditaria (anch’esso dato certificato medicalmente); di avere fatto richiesta del ricorso alla procreazione medicalmente assistita presso il centro convenuto e di avere altresi’ richiesto di procedere alla diagnosi pre-impianto attesa 1’alta percentuale di trasmissibilita’ della malattia all’embrione (pari al 50%); di avere ricevuto il rifiuto della struttura sanitaria alla diagnosi pre-impianto a motivo della entrata in vigore della legge n. 40/2004 e delle Linee guida sulla procreazione medicalmente assistita di cui ai d.m. Ministro della salute 21 luglio 2004, che nel combinato disposto degli artt. 13 e 14 della legge e 7 delle Linee guida vietano la diagnosi pre-impianto consentendo solo una diagnosi osservazionale assolutamente inutile nel caso di specie.
A seguito di cio’ e sulla base della recente giurisprudenza di merito essi avevano fatto ricorso al tribunale il quale in sede cautelare li aveva autorizzati alla diagnosi genetica pre-impianto;
che quindi essi avevano acquisito relazioni mediche dalle quali si evidenziava che la previsione delle modalita’ predeterminate di esecuzione della PMA di cui all’art. 14, comma 2, legge n. 40/2004 erano irragionevoli ed inique nel caso concreto in relazione alla salute della ricorrente e alla possibilita’ di creazione di embrioni malati pari a 50%; per le ragioni esposte il numero di embrioni necessari ad assicurare una adeguata percentuale di successo era pari a 6.
Le responsabili del Centro convenuto cui essi si erano rivolti, pur concordando sul merito della vicenda, non avevano aderito alla domanda di creazione di 6 embrioni perche’, a loro dire, proibito dall’art. 14, legge cit.
Hanno rilevato che la attesa di un giudizio di merito provoca un danno alla salute psichica della coppia ed in particolare della donna anche attesa la incapacita’ economica di affrontare viaggi terapeutici all’estero come viceversa scelto da altre coppie italiane. Hanno sostenuto in diritto che la situazione sostanziale dedotta e’ il diritto alla salute, alla autodeterminazione informata alla procreazione cosciente ed assistita; che vi sia una relazione necessitata tra concreta possibilita’ di successo della diagnosi genetica ed il numero di embrioni producibili; che la richiesta della coppia di adeguare il protocollo della fecondazione assistita alle esigenze del caso concreto e’ legittima e fondata e in contrasto colla ratio dell’art. 14, legge cit.: infatti la stessa legge prevede un giusto bilanciamento delle posizioni coinvolte, bilanciamento che la applicazione dell’art. 14 in concreto nega: che la mancata esecuzione della diagnosi pre-impianto e il mancato adeguamento del trattamento medico alle esigenze del caso concreto sottopongono i medici a profili di responsabilita’. Chiedono inoltre che venga sollevata questione di costituzionalita’ degli artt. 13 e 14, 1egge cit. in relazione agli artt. 9, 32 e 33 Cost.; dell’art. 6, comma 3 in relazione agli artt. 2, 13 e 32 Cost.; dell’art. 14, commi 2 e 3 in relazione agli artt. 2, 9, 31, e 32, Cost.; degli artt. 13, commi 1, 2, e art. 14, comma 1 e 4 in relazione agli artt. 4 e 6 della 1egge n. 194/1978; dell’art. 14, commi 1 e 4 in relazione agli artt. 2 e 32 Cost.
Si costituiva il Centro Demetra S.r.l. il quale concludeva per l’accertamento che il Centro medesimo non era tenuto a adempiere spontaneamente alle prestazioni sanitarie richieste dai ricorrenti e in ipotesi che venisse sollevata questione di costituzionalita’ dell’art. 13, commi 2 e 3 e dell’art. 14, comma 2 per contrasto cogli artt. 2, 9, 31 e 32 Cost. Rilevava quanto segue a sostegno delle proprie ragioni. A seguito di controlli e pareri medici acquisiti, la parte attrice aveva richiesto al Centro di adeguare il protocollo alle particolari esigenze della coppia derivanti dalla patologia genetica che limitava il successo del trattamento dall’ordinario 18% al 5-10% e cio’ con due interventi: 1) creazione di un numero di embrioni pari a 6; 2) impianto del numero di embrioni secondo la concreta esigenza della paziente; pur aderendo da un punto di vista medico scientifico alla richiesta, il centro non aveva potuto addivenire alla stessa essendo dall’art. 14, commi 2 e 3 prevista la creazione di massimo 3 embrioni da impiantare contemporaneamente.
Sottolineava come da un punto di vista scientifico, tenuto conto dei rischi collegati al generale stato di salute della madre, la incertezza relativa al tipo di sterilita’ sofferto, il rischio genetico di creare oltre il 50% di embrioni malati, la previsione di impiantare 3 embrioni in utero si configurava come irragionevole sia per la madre che per l’embrione stesso. L’unico contemporaneo impianto comportava la diminuzione della possibilita’ di successo con conseguente necessita’ di plurime stimolazioni ovariche suscettibili di nocumento alla donna. La particolarita’ della situazione della ricorrente imponeva la creazione di un numero di embrioni sufficiente a scontare oltre il rischio genetico anche quello diagnostico e che veniva individuato nel caso concreto nel numero di 6.
Chiamata la causa avanti al giudice della cautela si costituiva in udienza il prof. M.G.P., in proprio e nella sua qualita’ di Presidente del comitato Verita’ e Vita il quale dichiarava di avere interesse a intervenire nel procedimento di urgenza sia ai sensi dell’art. 105, secondo comma c.p.c. in adesione alle ragioni del Centro Demetra sia ai sensi dell’art. 105, primo comma c.p.c. per fare valere le ragioni degli embrioni che i ricorrenti intendevano produrre. Quanto all’intervento a sostegno delle ragioni del Centro Demetra rilevava di avere un proprio interesse a intervenire: il Comitato era una associazione la quale nel proprio Statuto richiamava come fine il riconoscimento e la difesa della vita e della dignita’ di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale… e in tale qualita’ essa aveva presentato una proposta di modifica delle Linee guida; quanto all’intervento volontario autonomo rappresentava di avere richiesto la nomina di un curatore speciale degli embrioni richiesta ancora sub iudice. Nel merito rilevava la assenza del periculum in mora; la inefficacia e la inopponibilita’ della ordinanza agli embrioni di cui si preannunciava la creazione, ritenuti dalla legge 40 soggetti di diritti verso i soggetti adulti obbligati.
Riteneva la necessita’ della partecipazione del p.m. Concludeva perche’ in via preliminare venisse autorizzata la visione del fascicolo; perche’ venisse dichiarata la inammissibilita’ del ricorso; perche’ nel merito venisse respinta la domanda dei ricorrenti; perche’ venisse sospesa la decisione in attesa della nomina del curatore degli embrioni e infine perche’ venisse disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti del p.m.
Ritenuto in diritto
In ordine all’intervento di prof. M.G.P., in proprio e n.n. Egli dichiara di agire personalmente e nella qualita’ di Presidente del Comitato Vita e Verita’ sia ai sensi dell’art. 105, primo comma che ai sensi dell’art. 105, secondo comma c.p.c.
L’art. 105, primo comma c.p.c. recita: «Ciascuno puo’ intervenire in un processo tra altre persone per valere in confronto di tutte le parti o di alcune di esse un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo».
Quanto all’intervento del P. in proprio egli non deduce di essere titolare di alcun diritto e l’intervento e’ pertanto del tutto inammissibile («L’art. 105 c.p.c., primo comma, descrive l’intervento principale come l’istituto processuale con cui il terzo fa il proprio ingresso nel giudizio per far valere il proprio diritto, relativo all’oggetto o dipendente dal titolo gia’ dedotto nel processo, nei confronti di tutte le parti (C. 10530/2004). E di diritto nel senso giuridico del termine deve trattarsi, non essendo sufficiente un mero interesse di fatto a giustificare l’intervento principale (C. 2453/1983)»); quanto all’intervento del P. quale presidente della associazione Vita e Verita’, esso sembra essere svolto deducendo due diverse qualita’. Da una parte quale curatore in pectore degli embrioni avendo lo stesso Comitato richiesto la nomina di un curatore al presidente del tribunale: si invoca a tale fine anche l’art. 2028 c.c. (gestione di affari altrui).
A tale proposito deve rilevarsi da una parte che nessuna nomina vi e’ stata in capo al soggetto che agisce e quindi nessun interesse appartenente ad altro eventuale soggetto di diritto rappresentato puo’ essere invocato; dall’altra che l’art. 2028 c.c. presuppone lo svolgimento di negozi a contenuto patrimoniale, ipotesi che certamente non ricorre nel caso di specie (si parla infatti di affare altrui richiamando pertanto una valutazione di ordine economico: «Il concetto di “affare altrui” enunciato dall’art. 2028 e’ sicuramente molto piu’ ampio di quello di “atti giuridici” che compare in materia di mandato (art. 1703). Per comune ammissione l’affare puo’ riferirsi sia ad atti giuridici che materiali. L’affare, oltre ad essere lecito deve avere contenuto patrimoniale; dovendosi escludere atti di gestione in materia di diritto di famiglia ed ogniqualvolta entrino in gioco interessi e ragioni di carattere personale»). Dall’altra parte si invoca il fine che persegue il Comitato volto alla tutela della vita dal concepimento alla morte… e tuttavia tale generico interesse, non configura la specifica situazione giuridica soggettiva indicata come titolarita’ del diritto richiesta dal primo comma, dell’art. 105 c.p.c.
Quanto alla ricorrenza dell’intervento come descritto dall’art. 105, secondo comma c.p.c. («puo’ altresi’ intervenire per sostenere le ragioni di una delle parti quando vi ha un proprio interesse»), ribadito quanto sopra detto sull’intervento del P. in proprio, anche per il Comitato di cui e’ Presidente, attesa la rilevanza giuridica e soggettiva che l’interesse di cui all’art. 105, secondo comma deve avere, ne difetta la ricorrenza («Il terzo interveniente adesivo ha, invero, interesse alla vittoria della parte adiuvata in quanto titolare di una situazione dipendente dal rapporto principale gia’ oggetto della lite, suscettibile di subire un pregiudizio in caso di soccombenza della prima (Liebman, Manuale, 97-98; Proto Pisani, Lezioni, 401; Montesano, Arieta, 306). In particolare, il nesso di pregiudizialita-dipendenza sussiste ogni volta che nell’ambito del rapporto pregiudicato si possa riscontrare, come elemento costitutivo, un altro rapporto intersoggettivo, ossia il rapporto principale o condizionante (Monteleone, Diritto, 218). Questa peculiare situazione vale ad attribuire al terzo interveniente una legittimazione secondaria o, appunto, dipendente (Liebman, Manuale, 98-99)»). L’intervento e’ pertanto inammissibile.
Infine non ricorrono le ipotesi di intervento obbligatorio del p.m. (questione che nonostante la inammissibilita’ dell’intervento deve essere esaminata di ufficio) come tassativamente indicate dall’art. 70, secondo comma c.p.c. e pertanto non si e’ incorsi in nessuna nullita’ per difetto di contraddittorio, che quindi non deve essere integrato.
Rilevanza della questione di costituzionalita’.
C. e P. chiedono che il giudice della cautela accerti in via di urgenza: 1) il diritto di essi ricorrenti a ricorrere alla diagnosi genetica pre-impianto (PDG) al fine di trasferire e impiantare nell’utero della signora C. gli embrioni creati che non presentino in forma conclamata, la specifica patologia di cui sono portatori i genitori; 2) a sottoporsi ad un protocollo di procreazione medicalmente assistita per la quale il centro medico, in forza di una interpretazione costituzionalmente (artt. 2, 3, 32 Cost.) e teleologicamente (art. 1, legge n. 40/2004) orientata dell’art. 14, comma 2 e 3, legge n. 40/2004, sia autorizzato a produrre un numero di embrioni adeguato a scontare il «rischio genetico» e «diagnostico» del caso concreto, comunque idoneo a mantenere le medesime probabilita’ di successo dell’intervento rispetto ad una ipotesi ordinaria, quindi non inferiore a 6 unita’; 3) a sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalita’ compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto (con tutte le implicazioni consequenziali in ordine alla decisione circa la contemporaneita’ del trasferimento di tutti gli embrioni prodotti); 4) a disporre, in attesa della definizione del giudizio di merito e in via incidentale dell’eventuale giudizio di legittimita’ costituzionale, la crioconservazione dei residui embrioni risultati affetti dalla patologia della esostosi, ordinando infine alla parte resistente la prosecuzione del protocollo di procreazione medicalmente assistita finalizzato all’impianto degli embrioni risultati non affetti ovvero portatori sani.
Essi pertanto in sintesi chiedono l’accesso alla diagnosi pre-impianto, e la applicazione di un trattamento medico (quale sicuramente e’ la PMA come infra) che sia perimetrato sul caso concreto della coppia richiedente, tenendo in conto da una parte la malattia genetica di cui (oltre la sterilita’ sine causa medicalmente accertata e provata in atti) soffre la donna e dall’altra le necessita’ di tutela della salute della donna (e della coppia), sottoponendola quindi all’impianto che secondo la scienza medica offre piu’ possibilita’ di successo, con crioconservazione degli embrioni malati in attesa della definizione del procedimento di merito. Motivano la loro richiesta di urgenza quanto al fumus boni iuris sulla esistenza di un diritto alla salute della donna e della coppia da bilanciare col diritto degli altri soggetti coinvolti nel trattamento di procreazione medicalmente assistita; quanto al periculum colla lesione al diritto alla salute che deriva dal protrarsi del tempo necessario per ottenere una pronuncia di merito.
Tuttavia la applicazione della normativa richiamata dagli attori ed opposta dalla parte convenuta, non autorizza se non in parte, il giudice alla pronuncia richiesta. Quanto alla diagnosi pre-impianto, deve rilevarsi che a seguito dell’intervento della pronuncia del Tribunale amministrativo regionaleLazio del gennaio 2008 e alla conseguente emanazione delle linee guida del 18 aprile 2008, che non contengono piu’ la previsione della legittimita’ della sola diagnosi osservazionale, non sussiste perche’ non ricavabile dal dettato legislativo (lettura costituzionalmente orientata della legge n. 40) il divieto di accesso alla diagnosi pre-impianto ove volto alla individuazione di malattia genetica (si cfrt. sul punto il proprio precedente 17 dicembre 2007 nonche’ sent. Trib. Cagliari 24 settembre 2007); in ogni caso risulta che la coppia anche nella vigenza delle precedenti Linee guida era stata autorizzata all’accesso alla diagnosi pre-impianto cosicche’ per l’una e l’altra ragione non vi e’ interesse alla decisione.
Quanto alle residue richieste formulate, l’art. 14, commi 1 e 2 della legge n. 40, dispongono testualmente «I) E’ vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni fermo quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194. II) Le tecniche di produzione degli embrioni… non devono creare un numero di embrioni superiore a quello necessario ad un unico e contemporaneo impianto comunque non superiore a tre.».
E’ evidente quindi che la richiesta della parte ricorrente, volta alla creazione di un numero di embrioni idoneo al caso concreto e comunque diverso e superiore a tre, alla effettuazione di un impianto idoneo nel caso concreto e quindi anche diverso da un unico e contemporaneo impianto di tre embrioni, e all’accertamento che la parte convenuta effettui il trattamento secondo le necessita’ del caso concreto, cio’ implicando necessariamente anche la crioconservazione non solo degli eventuali embrioni malati ma anche degli embrioni sani da eventualmente impiantare dopo l’insuccesso del primo impianto, onde non procedere a nuova stimolazione ovarica, non e’ accoglibile atteso l’assetto normativo che configura in termini di assoluta vincolativita’ (sanzionando il diverso comportamento come reato) la necessita’ della creazione di soli tre embrioni da impiantarsi contestualmente e contemporaneamente in utero con divieto di crioconservazione sia di embrioni malati che genericamente sovrannumerari. Non vi e’ pertanto spazio per interpretazione costituzionalmente orientate e la applicazione della legge comporterebbe salva la diversa questione di legittimita’ costituzionale che si pone, il rigetto della domanda. Da cio’ consegue la rilevanza della questione di costituzionalita’ che si intende porre.
Quanto alla ammissibilita’ della posizione della questione in sede cautelare, nessun dubbio puo’ aversi (e la questione appare condivisa dalla stessa Corte cost. come si ricava per inciso dalle seguenti massime: «Nel giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale sono inammissibili le questioni sollevate in sede di giudizio cautelare dopo l’accoglimento della relativa istanza da parte del giudice, e cio’ per l’avvenuto esaurimento di ogni sua potesta’ in quella sede, con conseguente irrilevanza della questione ai fini di quel procedimento. Invece, la sospensione, in via provvisoria e temporanea, degli atti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo 1’incidente di costituzionalita’ disposta contemporaneamente all’ordinanza di rimessione alla Corte, non determinando l’esaurimento del potere cautelare del giudice, non fa venir meno la rilevanza della questione sollevata. (Nella specie, nel giudizio vertente sull’art. 55 del d.lgs. n. 277 del 1991, promosso dal Consiglio di Stato su appello contro un’ordinanza del Tribunale amministrativo regionaleVeneto con cui si era negata la sospensiva di un provvedimento emesso in base alla norma impugnata, la Corte ha respinto l’eccezione di inammissibilita’ avanzata dall’Avvocatura di Stato, in quanto la sospensiva dello stesso provvedimento disposta a sua volta dal giudice a quo nel sollevare la questione, aveva carattere provvisorio). Corte cost., 27 gennaio 1995, n. 30).
Il procedimento cautelare e’ infatti istaurato davanti ad A.G. (secondo quanto richiede l’art. 23, legge n. 87/1953) dotata di potere decisorio sul caso di specie, tanto maggiormente rafforzato dopo la riforma del procedimento cautelare che ha determinato l’affievolimento del vincolo di strumentalita’ tra la cautela ed il merito, presupponendo pertanto il permanere della efficacia del provvedimento anticipatorio (come l’attuale) pur senza la instaurazione del giudizio di merito.
Valutazioni in ordine alle esigenze di celerita’ in relazione alla necessita’ di sospensione conseguente alla questione di costituzionalita’, da una parte riposano su dati di fatto attinenti alla lunghezza dei processi che non hanno rilevanza giuridica dall’altro non sono in grado di risolvere la questione della applicabilita’ da parte del giudice di merito di norme che si
presentano difformi dal dettato costituzionale.
Ammissibilita’ della questione.
Si intende qui sollevare questione di costituzionalita’ dell’art. 14, commi 1 e 2, legge n. 40/2004, per contrasto cogli artt. 3, e 32 Cost. e dell’art. 6, comma 3 ultima parte per contrasto coll’art. 32, secondo comma Cost.
Come detto l’art. 14 ai commi citati stabilisce l’obbligo della creazione di un numero massimo di tre embrioni da impiantarsi con unico contemporaneo impianto ed il conseguente divieto di crioconservazione degli embrioni (c.d. embrioni sovrannumerari).
L’assetto voluto dalla legge sulla fecondazione assistita crea grave nocumento alla salute della donna e nello stesso tempo non garantisce il fine che essa stessa si propone come programmatico (favorire la soluzione dei problemi riproduttivi legati derivanti dalla sterilita’ o dalla infertilita’ umana…: art. 1, 1egge n. 40) fornendo soluzioni contraddittorie e non ottimali.
Deve in primo luogo evidenziarsi che la legge impone, in caso di insuccesso, la necessita’ di procedere a plurime stimolazioni ovariche in quanto prevede la esaustivita’ di ciascun ciclo di produzione ed impianto, non consentendo la crioconservazione degli embrioni per successivi impianti; cio’ comporta seri problemi per la salute della donna che si deve sottoporre a trattamenti ormonali plurimi, con conseguenze mediche accertate. Ed in particolare:
1) Uso di farmaci induttori della ovulazione: disturbi transitori (flushing, ritenzione idrica, senso di pesantezza all’addome, sbalzi del tono dell’umore); questi ultimi, in caso di trattamenti reiterati, possono provocare gravi conseguenze sulla stabilita’ psicologica della donna e minare il rapporto con il compagno determinando quindi anche un danno alla salute della coppia;
2) Rischi chirurgici collegati al prelievo ovocitario quali infezioni, sanguinamenti, e rischi connessi all’anestesia;
3) L’incidenza della sindrome da iperstimolazione ovarica severa e’ stimata complicare 1’1% di tutti i cicli di PMA e la mortalita’ e’ di 1:45.000/1:50.000 di donne trattate con gonadotropine;
4) Il cancro ovarico e’ la sesta neoplasia piu’ frequente nelle donne, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 40%. L’incidenza varia moltissimo nei vari paesi e sono stati identificati un gran numero di fattori di rischio, fra cui l’infertilita’ e la cosiddetta «ovulazione incessante».
E’ stato quindi ipotizzato che tra gli effetti dei farmaci induttori della ovulazione potesse esserci quello di un legame con 1’insorgenza di qualche caso di cancro. L’incapacita’ di concepire e’ di per se’ stessa un fattore di rischio.
Quanto in relazione ai rischi alla salute cui la donna e’ sottoposta inutilmente per la necessita’ indicata dall’art. 14 cit.
di doversi sottoporre a piu’ impianti nel caso di impianto non riuscito.
Non vanno poi taciuti i problemi per la salute psichica della donna e della coppia essendo dato comunemente noto che i trattamenti terapeutici non hanno rilevanza psicologica neutra ma inducono stress tale da arrivare fino a determinare la desistenza dal trattamento o a rivolgersi a centri posti all’estero (pratica che anch’essa comporta disagio psicologico oltre a selezionare le coppie sulla base del censo).
Deve quindi evidenziarsi la lesione al diritto della salute della donna pur nel bilanciamento della tutela della salute dell’embrione richiesto dall’art. 1, 1egge cit. atteso che aldila’ della definizione giuridica del concetto di concepito (sulla quale non vi e’ neppure nella scienza comunita’ di interpretazione) deve ritenersi la prevalenza del diritto alla salute dell’essere persona rispetto a cio’ che ancora persona non e’ (non puo’ essere ignorato il richiamo della Corte costituzionale alla tutela prioritaria del gia’ nato rispetto al feto: v per tutte Corte cost., 18 febbraio 1975, n. 27 «Il danno o pericolo conseguente al protrarsi di una gravidanza puo’ essere previsto, ma non e’ sempre immediato e non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute della madre che e’ gia’ persona, e quello dell’embrione che persona deve ancora diventare.»): lesione pertanto del dettato costituzionale di cui all’art. 32, primo comma Cost.
Altresi’ viene leso il principio di ragionevolezza, estrinsecazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., in contrasto colla finalita’ esplicitata dalla legge stessa di porre soluzioni a problemi di sterilita’ o infertilita’ (art. 1, legge cit.).
Ridurre la fecondazione assistita ad un modello unico valido per tutte le situazioni concrete che si presentano alla attenzione dei medici, comporta obliterare completamente quelle che sono le acquisizioni scientifiche le quali indicano come i plurimi fattori che afferiscono alla coppia genitoriale incidono sulla scelta del trattamento da attuare che quindi deve essere lasciato (come d’altra parte tutti i trattamenti medici salvo sempre il consenso informato) alla discrezionalita’ del medico che e’ il depositario del sapere tecnico del caso concreto. Emerge dalla stessa relazione del Comitato sanitario del Ministero che i fattori di sterilita’ sono legati alla eta’ della donna, alla eventuale malattia genetica di cui uno o entrambi i genitori sono portatori (come nel caso di specie); e’ dato scientificamente acquisito che l’impianto ottimale non e’ l’impianto di tre embrioni che diminuisce anzi la possibilita’ che l’embrione attecchisca; e’ altresi’ dato notorio che l’impianto di tre embrioni comporta gravidanze plurigemellari con scarsa possibilita’ che esse vengano portate a termine e comunque con tutti i rischi per la salute della donna e del feto che le gravidanze plurigemellari comportano.
Ed infatti si ha riscontro oggettivo di quanto sino ad ora motivato nei seguenti dati riportati dalla Relazione del ministro della salute al parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita (legge 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 15) – anno 2007 – Roma, 30 aprile 2008. «… La percentuale di gravidanze, calcolata sul totale dei cicli iniziati, e’ pari al 18,9% e rappresenta un indicatore di efficacia delle tecniche applicate … … Percentuali di gravidanze in rapporto all’eta’ della paziente.
Una delle variabili che maggiormente influisce sul buon esito dell’applicazione delle tecniche di fecondazione assistita, e quindi sulla probabilita’ di ottenere una gravidanza, e’ l’eta’ della paziente. Le percentuali di gravidanze rappresentate in figura 18, secondo la classe di eta’ delle pazienti, sono calcolate sul numero di cicli iniziati.
Risulta evidente l’esistenza di una relazione inversamente proporzionale tra l’eta’ e le percentuali di gravidanze ottenute.
All’aumentare dell’eta’, infatti, il rapporto tra gravidanze ottenute e cicli iniziati, subisce una progressiva flessione. E se, dai dati raccolti, si evince che su cento cicli iniziati in pazienti con meno di 29 anni, sono state ottenute circa 29 gravidanze, e’ anche vero che su cento cicli iniziati in pazienti con 45 anni o piu’, sono state ottenute circa una o due gravidanze, a seconda della tecnica utilizzata.».
Si segnala il rischio di gravidanza gemellare o trigemellare: «Genere di gravidanze: percentuale di gravidanze gemellari e di gravidanze multiple ottenute da tecniche di secondo e terzo livello. … Per gravidanze multiple vengono intese le gravidanze trigemine e quadruple. In generale, la percentuale di gravidanze gemellari e’ pari al 18,4%, mentre le gravidanze multiple rappresentano il 3,3% delle gravidanze ottenute.
Nell’applicazione delle tecniche che prevedono scongelamento di embrioni o di ovociti, le percentuali di gravidanze gemellari e multiple, appare leggermente piu’ contenuta.».
Quanto al successo della legge 40 rispetto alle percentuali antecedenti alla entrata in vigore, cosi’ si esprime la relazione ministeriale:
«Andamento nel tempo: variazione delle percentuali di gravidanze ottenute negli anni 2003-2006. Sia per la tecnica FIVET che per la ICSI si registra un andamento decrescente. Osservando le percentuali di gravidanza sul totale delle tecniche a fresco eseguite, si registra una flessione, statisticamente significativa, che va dal 24,8% del 2003 al 21,2% del 2005. Nel 2006 le percentuali di gravidanza mostrano invece, valori perfettamente sovrapponibili a quelli dell’anno precedente. La figura 21 mostra le percentuali di gravidanza ottenute con tecniche a fresco nei tre periodi precedentemente menzionati, ma questa volta rapportate ai trasferimenti di embrioni eseguiti.
Anche in questa analisi e’ possibile osservare un andamento negativo nelle percentuali di gravidanza ottenute. Mentre nell’anno 2003 il valore si attestava al 27,6%, nell’anno 2005 questo appare ridotto al 24,5% e anche in questo caso, tali differenze risultano statisticamente significative. Nel 2006 si registrano percentuali di gravidanze simili a quelle del 2005, salvo per la tecnica FIVET che tende ad assumere un valore piu’ simile a quello della ICSI.».
La relazione cosi’ conclude: «Gia’ nel 2005 si era osservato che l’eta’ delle pazienti che accedono alle terapie di procreazione assistita, era piuttosto elevata. Nell’osservazione dei dati del 2006 si e’ rilevato addirittura un incremento, anche se ridotto, dell’eta’ delle pazienti. Come e’ logico dedurre questo e’ assolutamente penalizzante rispetto ai risultati che e’ possibile ottenere grazie all’applicazione dei trattamenti di fecondazione assistita.
E’ stata confermata, l’osservazione gia’ riportata nel precedente rapporto, che la normativa vigente, ha portato a modifiche nell’applicazione delle pratiche cliniche. Una delle conseguenze
indirette di tale applicazione e’ stato l’aumento della quota di cicli in cui e’ stata utilizzata la tecnica ICSI, a scapito dell’applicazione della tecnica FIVET, che rispetto al 2005 e’ ancor piu’ marcata.
L’analisi dei dati rileva come in piu’ della meta’ dei trasferimenti effettuati vengano utilizzati tre embrioni, questo aumenta il rischio di gravidanze gemellari, soprattutto su pazienti in giovane eta’. Questo fenomeno che avevamo soltanto ipotizzato nella precedente relazione, ha trovato conferma grazie all’introduzione di nuove variabili nelle schede di raccolta dati.
Le percentuali di gravidanze ottenute nel 2006 sono perfettamente sovrapponibili a quelle dell’anno precedente, denotando un mancato incremento nelle percentuali di gravidanze che invece si registra in tutti gli altri paesi europei.».
Come dimostrano i dati che si sono riportati, la applicazione della tecnica imposta dalla legge lungi quindi dal favorire le coppie portatrici di sterilita’ e consentire la nascita di piu’ bambini ha determinato un abbassamento della percentuale di bambini nati colla tecnica in provetta, anche in relazione coi dati degli altri paesi e un aumento dei parti bi o pluri gemellari. Cio’ comporta che la tecnica prescelta sia assolutamente irragionevole, e la irragionevolezza risiede nella imposizione di una sola possibilita’ di impianto con massimo tre embrioni, non valutando i vari fattori che accedono al singolo caso concreto e che si ripete, ne condizionano l’esito (eta’, malattie, tipo di sterilita’ etc.) e comporta un pericolo aggiunto alla salute della donna e del feto per l’intervenuto aumento dei parti bi o plurigemellari: e’ noto infatti che la mortalita’ perinatale nelle gemellari e’ circa 5 volte piu’ alta delle singole mentre nelle triple, 7 volte piu’ alta senza contare i costi sia ordinari (ricovero, accertamenti e parti operativi che straordinari (terapia neonatale) che sono assolutamente maggiori dei costi da sostenersi per il parto singolo).
Con cio’ lungi dal perseguire 1’intento dichiarato di cura della malattia (sterilita), la legge impone con valutazione ex ante un trattamento sanitario non necessariamente utile a persone/coppie che presentano peculiarita’ di salute che andrebbero curate con un trattamento personalizzato. Il caso di specie ne rappresenta un esempio concreto, essendo stato evidenziato dai sanitari che hanno in cura la C., che la possibilita’ di trasmissione della malattia incide al 50% percentuale da ulteriormente calcolarsi sulla percentuale di successo della PMA in genere. Non lasciare ai ricorrenti in accordo col medico curante, la scelta sul numero di embrioni da creare e successivamente impiantare, provvedendo alla crioconservazione degli embrioni residui, comporta in pratica la negazione all’accesso alla tecnica di fecondazione assistita. Si ha pertanto lesione del principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 della Costituzione in quanto si trattano in unico modo posizioni soggettive del tutto dissimili e che necessiterebbero di un approccio di cura diverso.
Per altro verso ancora si ha lesione di principi propri della Carta costituzionale. Non puo’ infatti tacersi che 1’art . 32, secondo comma Cost. vieta i trattamenti sanitari obbligatori se non imposti per legge nel rispetto della dignita’ della persona umana. Deve ulteriormente valutarsi che il trattamento sanitario puo’ essere imposto alla persona per la tutela della sua salute o per la tutela della salute pubblica (TSO o vaccinazioni p.e.). Che la PMA sia trattamento sanitario non e’ revocabile in dubbio e si evince dalla stessa legge che precisa trattarsi di cura alla sterilita’ (art. 1 cit.). La predeterminazione di un protocollo sanitario unico, non configurato sulle necessita’ di cura della singola persona e la necessita’ di adesione allo stesso comporta la sottoposizione della persona a trattamento sanitario non voluto e non volto alla tutela della sua salute o della collettivita’: e’ infatti limite alla applicazione della legge sul trattamento sanitario obbligatorio la limitazione di soli casi in cui la malattia individuale minacci la salute collettiva (cosi’ nota dottrina). L’unica eccezione alla obbligatorieta’ dell’impianto che la legge 40 contempla e’ posta dall’art. 14, comma 2 cit., laddove si sospende il trasferimento nell’utero per causa di malattia della madre, non prevedibile al tempo della fecondazione e per il solo periodo necessario al superamento di tale stato di malattia.
Ne emerge una necessarieta’ dell’impianto cosi’ come configurato dalla legge, anche in presenza di un diniego all’impianto da parte della madre cio’ comportando una inammissibile coazione alla cura. Cio’ comporta anche la valutazione di contrasto coll’ordinamento costituzionale e segnatamente coll’art. 32, secondo comma Cost. della norma dettata dall’art. 6, legge cit. nella parte in cui sancisce la irrevocabilita’ del consenso ad accedere alle tecniche di fecondazione assistita dal momento della fecondazione dell’ovulo, con riferimento alla posizione della donna cui deve essere praticato l’impianto. Si ripete infatti che dal principio discende la coercibilita’ di un trattamento sanitario che non e’ ammesso dalla Costituzione se non con riserva di legge nella sussistenza dei requisiti che ne legittimano la imposizione.
Deve pertanto sollevarsi questione di costituzionalita’ degli artt. 14, primo e secondo comma e dell’art. 6, comma 3, u. parte,della legge n. 40/2004 nella parte in cui impongono il divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari, la necessarieta’ della creazione di massimo tre embrioni nonche’ la necessarieta’ dell’unico e contemporaneo impianto di embrioni comunque non superiori a tre, e laddove prevedono la irrevocabilita’ del consenso da parte della donna all’impianto in utero degli embrioni creati, per contrasto col disposto dell’art. 3 Cost. e 32, primo e secondo comma Cost.
P. Q. M.
Dichiara la inammissibilita’ dell’intervento di prof. M.G.P. in proprio e nella qualita’ di Presidente del Comitato Verita’ e Vita;
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 2, legge n. 40/2004, per contrasto, quanto ai commi 1 e 2 dell’art. 14 cit., cogli artt. 3 e 32, primo e secondo comma Cost. e dell’art. 6, comma 3, ultima parte, legge n. 40/2004, per contrasto coll’art. 32, secondo comma Cost., nella parte in cui impongono il divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari, la necessarieta’ della creazione di massimo tre embrioni nonche’ la necessarieta’ dell’unico e contemporaneo impianto di embrioni comunque non superiori a tre, e laddove prevedono la irrevocabilita’ del consenso da parte della donna all’impianto in utero degli embrioni creati.
Sospende il giudizio e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria alle parti, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.
Cosi’ deciso in Firenze, l’11 luglio 2008.
Il giudice estensore: Mariani
Autore:
Tribunale Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Diritto alla salute, Bioetica, Trattamenti sanitari, Embrioni, Crioconservazione, Procreazione medicalmente assistita, Diagnosi genetica pre-impianto
Natura:
Ordinanza