Ordinanza 11 febbraio 2008, n.2380
Tribunale di Milano. Ordinanza 11 febbraio 2008, n. 2380: “Iscrizione alla scuola dell’infanzia di minore appartenente a famiglia priva di permesso di soggiorno”.
IL TRIBUNALE DI MILANO
sezione I civile
nella persona del giudice unico, dott. Claudio Marangoni;
ha emesso la seguente
ORDINANZA
in ordine al ricorso ex art. 44 D.Lgsvo 286/98 proposto da (…) in proprio e nell’interesse della figlia minore (…) nei confronti del COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore.
1. la (…) che agisce in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore (…) ha esposto di essere cittadina marocchina, da anni residente in Italia, attualmente priva di titolo per il regolare soggiorno sul territorio nazionale ancorché in attesa di decisione del ricorso da essa presentato ai sensi dell’art. 31 D.Lgsvo 286/98 dinanzi al Tribunale per i Minorenni di Milano.
Ha dedotto di avere necessità di iscrivere alla scuola materna del Comune di Milano la figlia minore , ma di essere in tal senso ostacolata dal disposto della circolare n.. 20 del Settore Servizi all’Infanzia del Comune di Milano che, ai finì di tale iscrizione, impone la presentazione del permesso di soggiorno entro la data del 29.2.2008 per consentire la formalizzazione della domanda di iscrizione.
Ma ha sostenuto che tale previsione costituisce comportamento discriminatorio ai sensi degli artt. 43 e 44 D.Lgsvo 286/98, tenuto conto che l’art. 38 TU immigrazione prevede il diritto per i minori stranieri presenti sul territorio nazionale di usufruire dei servizi educativi a parità delle condizioni previste dalla legge per i cittadini italiani, mentre – sotto altro profilo – ad essi viene assicurata la possibilità di soggiornare sul territorio nazionale a prescindere dalla condizione di eventuale irregolarità dei loro genitori, così come sancito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo.
Si è costituita nel giudizio l’amministrazione convenuta, rilevando le diverse modalità previste dalla contestata circolare per l’iscrizione alla scuola dell’infanzia, ivi comprese quelle rivolte agli stranieri non in regola con le norme relative al soggiorno, dalle quali si può evincere che la condizione di irregolarità nel soggiorno rileva nella formazione delle graduatorie ma non è ostativa all’effettiva accoglienza del bambino.
Ha dedotto che il requisito della residenza richiesto per l’iscrizione alla scuola materna — a prescindere dalla nazionalità del minore — condiziona l’accesso al servizio ed il possesso del permesso di soggiorno è presupposto per l’iscrizione anagrafica tra i cittadini residenti, mentre per gli stranieri privi di permesso di soggiorno la circolare contestata prevede la possibilità di iscrizione nei casi segnalati dai servizi sociali.
Ha fatto presente che la scuola materna si distingue dalla scuola dell’obbligo, quest’ultima obbligatoria e gratuita per tutti, risultando invece la prima organizzata come servizio a domanda individuale, non obbligatorio e non gratuito, e che tra i diritti fondamentali assicurati al cittadino straniero – ancorché non in regola con le norme in materia di soggiorno – rientrano esclusivamente il diritto alla salute e quello all’assistenza sanitaria, in quanto attinenti al nucleo dei diritti inviolabili, oltre che alla vita, al decoro, alla libertà, all’abitazione ecc.
La normativa richiamata dalla ricorrente, secondo l’amministrazione convenuta, non consentirebbe la piena equiparazione della condizione del minore straniero irregolarmente soggiornante con quella del minore in regola con il permesso di soggiorno, risultando essa destinata solo ad evitare l’espulsione per il minore ma non ad estendere il divieto di espulsione ai genitori irregolari.
Ha quindi sostenuto che in ogni caso nessuna discriminazione può individuarsi nel contenuto della circolare in questione, risultando il presupposto della residenza comune a cittadini italiani e stranieri e dovendosi individuare un effetto discriminatorio solo nella negazione assoluta del diritto e non nella mera postergazione dello stesso rispetto a cittadini residenti o a stranieri regolarmente soggiornanti. Da ultimo ha eccepito che la ricorrente è priva di interesse di agire per assenza del presupposto dell’attualità e della concretezza della prospettata lesione, non avendo presentato alcuna domanda di iscrizione e non essendovi dunque alcun provvedimento di rigetto da parte dell’amministrazione, mentre sussisterebbe anche carenza di giurisdizione del giudice adito in relazione al petitum del ricorso, rivolto ad ottenere la revoca della circolare in contestazione e dunque. di un provvedimento a carattere discrezionale cui accederebbe necessariamente la tutela del giudice amministrativo.
2. Le eccezioni relative al difetto di giurisdizione del giudice ordinario e di carenza di interesse ad agire — seppure formulate dalla resistente amministrazione solo a chiusura del suo atto di costituzione in giudizio — devono essere affrontate in via logicamente preliminare rispetto al merito della controversia.
Ritiene il giudicante che sussista la giurisdizione del giudice ordinario in merito alla presente controversia.
Non può dubitarsi, invero, che la posizione giuridica fatta valere dalla ricorrente sia qualificabile come diritto soggettivo, posto che a fondamento del ricorso è stata posta la violazione, da parte del Comune di Milano, di un diritto fondamentale della persona, quale quello al riconoscimento della pari dignità sociale e alla non discriminazione. Tale diritto trova primario fondamento sia nell’art. 2 Cost. che riconosce e garantisce anche agli stranieri i diritti inviolabili dell’uomo (v. anche l’art. 2 D.Lgsvo 286/98) che nell’art. 3 Cost., che sancisce il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Lo stesso art. 43 D.Lgsvo 286/98 peraltro esplicita e definisce ulteriormente tale prospettiva, definendo discriminatorio qualunque comportamento che — direttamente od indirettamente – abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.
La circostanza che, nella fattispecie, il comportamento che si assume lesivo del diritto in parola sia riconducibile all’applicazione di un atto amministrativo (la circolare n. 20 del Settore Servizi all’Infanzia del Comune di Milano) non vale a mutare la natura della posizione soggettiva azionata, che non può essere degradata ad interesse legittimo neppure in conseguenza dell’emanazione di un atto da parte di un’autorità amministrativa. Il diritto alla non discriminazione è infatti un diritto fondamentale, di rilievo costituzionale, primario ed assoluto dell’individuo, come tale incomprimibile dall’amministrazione e dunque di naturale competenza del giudice ordinario, pur se oggetto dell’azione amministrativa.
A tal fine deve ritenersi irrilevante la circostanza che, nel delineare i presupposti per l’esercizio dell’azione giurisdizionale contro le discriminazioni, l’art. 44 D.Lgsvo 286/98 si riferisca testualmente a “comportamenti” discriminatori di privati o di pubbliche amministrazioni, senza nominare gli “atti”.
Il carattere di assolutezza del diritto alla non discriminazione determina, infatti, proprio il superamento e l’irrilevanza della distinzione tra atto e comportamento della pubblica, amministrazione (cui corrisponde, correlativamente, la distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo in capo al privato) poiché il diritto alla non discriminazione è un diritto incomprimibile, che si sottrae al meccanismo dell’affievolimento, di fronte ad esso non vengono in rilievo atti amministrativi (intesi come manifestazione di un potere autoritativo attraverso cui la p.a. incide unilateralmente sulla posizione del privato degradandola), ma semplici comportamenti, per definizione inidonei a determinare qualsivoglia affievolimento.
Anche il rilievo secondo il quale, a mente dell’art. 33 D.Lgsvo 80/98, ogni controversia in materia di pubblici servizi risulterebbe devoluta alla cognizione del giudice amministrativo non può ritenersi fondato, posto che in materia di tutela contro i comportamenti discriminatori, gli artt. 43 e 44 D.Lgsvo 286/1998 stabiliscono espressamente che l’azione debba essere proposta al giudice ordinario, e ciò per il caso in cui il comportamento discriminatorio – posto in essere tanto da un privato quanto da una pubblica amministrazione — si sostanzi nell’imposizione di condizioni più svantaggiose o nel rifiuto di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio—assistenziali soltanto in ragione della condizione di straniero di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità del soggetto che assume in suo danno la sussistenza della fattispecie discriminatoria (v. in tal senso Tribunale Milano 21.3.2002; Corte d’appello Firenze 2.7.2002). Le citate disposizioni del D.Lgsvo 286/1998, in quanto successive ed aventi natura di lex specialis, prevalgono dunque sul disposto attinente alle controversie in materia di servizi pubblici di cui all’art. 33 D.Lgsvo 80/98. Anche l’eccezione relativa alla presunta carenza di interesse ad agire della ricorrente appare priva di effettivo fondamento.
Se si pone mente non già all’assenza di un provvedimento di rigetto dell’amministrazio a fronte di una istanza di iscrizione — non ancora presentata al momento del deposito del ricorso — bensì al reale oggetto dell’azione, e cioè alla presenza di un atto amministrativo di cui si deduce l’effetto discriminatorio, appare evidente che l’attualità e la concretezza del pregiudizio appare verificabile sul piano della sussistenza (astratta) delle condizioni soggettive della parte ricorrente (condizione di straniera extracomunitaria della figlia di minore età, mancanza di permesso di soggiorno) rispetto alle quali troverebbe applicazione la disposizione assunta come integrante il dedotto comportamento discriminatorio (termine entro il quale presentare il permesso di soggiorno del nucleo familiare a pena di mancata formalizzazione dell’ iscrizione) . – In tale prospettiva appare dunque irrilevante che nessun provvedimento sia stato adottato dall’amministrazione, risultando l’effetto restrittivo all’accesso al servizio prospettato come già attuale per effetto della disposizione presente nella circolare in questione in danno delle parti ricorrenti, rispetto alle quali è prospettabile un diretto ed imminente pregiudizio connesso all’esistenza della disposizione contestata.
3. La circolare n. 20 del 17.12.2007 nel regolare le modalità di iscrizione alle scuole dell’infanzia riservata “ai bambini nati dal 1° gennaio 2003 al 30 aprile 2006 e appartenenti a nuclei familiari residenti a Milano alla data di iscrizione” — prevede espressamente, quanto agli stranieri extracomunitari, che “le famiglie prive di regolare permesso di soggiorno avranno la possibilità di iscriversi, purché ottengano il permesso di soggiorno entro la data del 29 febbraio 2008. La mancata presentazione del permesso di soggiorno entro tale data non consentirà la formalizzazione della domanda di iscrizione.” Ritiene il giudicante che i rilievi mossi a tali disposizioni dalla difesa delle ricorrenti siano fondati e debbano essere accolti nei limiti di seguito specificati.
Deve invero ritenersi che la legittimità della scelta di condizionare l’accesso alla scuola dell’infanzia del minore straniero al possesso da parte del suo nucleo familiare del permesso di soggiorno entro la data del 29.2.2008 debba essere valutata tenendo ben presente la condizione del minore straniero quale appare delineata dallo stesso TU sull’immigrazione, peraltro in piena ed effettiva aderenza alle convenzioni internazionali che si sono occupate di tali problemi. In primo luogo deve essere richiamato l’art. 38 comma 1 D.Lgsvo 286/98, il quale per un verso assoggetta i minori stranieri ‘presenti sul territorio” all’obbligo scolastico e quindi determina l’applicazione ai medesimi di “tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica”. La scuola dell’infanzia, pur non obbligatoria e non indirizzata direttamente all’istruzione del minore in senso stretto, è comunque pienamente inserita nell’ambito del più complessivo sistema scolastico nazionale tanto che essa “nella sua autonomia e unitari età didattica e pedagogica, realizza il profilo educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all‘infanzia e con la scuola primaria” (art. 1 D.Lgsvo 59/04, in attuazione del principio di cui alla lett. d) dell’art. i L. 53/03), con ciò ponendosi esplicitamente in diretta connessione funzionale alla scuola dell’obbligo e così rientrando a pieno titolo nel più complesso sistema dell’istruzione scolastica ancorchè la scelta se usufruirne o meno sia lasciata alla decisione dei genitori. Peraltro, ove si ritenesse di valorizzare lo specifico profilo che caratterizza la scuola dell’infanzia — quello cioè rivolto “all’educazione ed allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento” al fine di “assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative” (così ancora l’art. 1 D.Lgsvo 59/04) — non potrebbe in ogni caso fondatamente contestarsi l’inerenza di tale istituto all’atubito dei servizi educativi, il cui accesso risulterebbe peraltro – garantito dal menzionato art. 38 cozuma i D.Lgsvo 286/98 a tutti i minori comunque “presenti sul territorio”, e dunque anche ai minori formalmente privi di permesso di soggiorno.
Tale disposizione, invero, da un lato pone a carico dei soggetti responsabili del minore — siano essi i genitori, se ad essi accompagnati, che ad enti od associazioni, ove a questi essi siano affidati — l’obbligo scolastico previsto dalla legislazione nazionale (e quindi le conseguenti sanzioni previste in caso di elusione di tale obbligo), ma nella seconda parte del medesimo conta riconosce al minore una serie di diritti più ampi che completano il più generale aspetto educativo — di cui il diritto all’istruzione è parte, ma non in sé esaustiva — che non può non concernere tutti i minori, anche al di fuori della specifica fascia d’età dell’obbligo scolastico ed in particolare nella fascia dell’infanzia.
D’altra parte pare incontestabile che il diritto all’educazione di cui il minore è titolare rientri nel novero dei diritti fondamentali in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. — non trovando minor rilievo del diritto al decoro, all’abitazione, alla corrispondenza ecc. — nonché all’art. 28 della Convenzione dei diritti del fanciullo del 20.11.1989, ancorchè in tale ultima disposizione risultino espressi particolari disposizioni in tema di obbligo scolastico e di istruzione superiore.
4. L’aspetto tuttavia più marcatamente critico della previsione della circolare contestata consiste nella subordinazione délla possibilità di accesso alla scuola materna alla titolarità da parte del nucleo familiare del minore di permesso di soggiorno alla data stabilita.
Va rilevato sotto tale profilo che la posizione del minore nell’ambito della regolamentazione del soggiorno dello straniero sul territorio dello Stato appare del tutto peculiare ed autonoma rispetto a quella dei suoi familiari, presenti o meno anch’essi sul territorio dello Stato. In estrema sintesi, al divieto di espulsione del minore extracomunitario previsto dall’art. 19 cornma 2, lett. a) D.Lgsvo 286/98 corrisponde il diritto del minore stesso ad ottenere un permesso di soggiorno fino al raggiungimento della maggiore età (art. 28 comma i lett. a) Dpr. 394/99) e dunque, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori, non è possibile ritenere un minore straniero in stato di irregolarità quanto alla sua presenza sul territorio dello Stato. L’amministrazione resistente ha fondato la difesa della disposizione contestata della circolare sostanzialmente sul fatto che legittimamente è stato posto quale presupposto di ammissibilità dell’iscrizione il requisito della residenza nel territorio comunale, richiesto a chiunque — cittadino o straniero — che richiede l’iscrizione al servizio.
La residenza anagrafica presuppone a sua volta per lo straniero extracomunitario l’esistenza di un valido permesso di soggiorno e ciò giustificherebbe l’esclusione del minore appartenente a famiglia priva di permesso di soggiorno dalla possibilità di formalizzare l’iscrizione.
Ritiene questo giudice che tale regolamentazione non possa ritenersi coerente con la posizione giuridica che l’ordinamento attribuisce direttamente al minore, in quanto essa indebitamente condiziona e subordina l’esercizio di diritti propri del minore alle condizioni di regolarità del soggiorno dei genitori.
Il presupposto della residenza nel territorio comunale appare in sé indiscutibilmente legittimo quale condizione di fruibilità del servizio, ma il riferimento formale alla mera titolarità di iscrizione anagrafica appare di fatto escludere in maniera irragionevole la possibilità per il minore di accedere al servizio in condizioni di parità con altri soggetti. Se è vero, infatti, che il solo possesso del permesso di soggiorno rilasciato al minore ai sensi dell’art. 28 conta 2. lett. a) Dpr. 394/99 non consentirebbe di per sé l’iscrizione anagrafica del solo minore — in quanto evidentemente le disposizioni della L. 1228/54 e del Dpr. 223/89 in tema di iscrizione anagrafica attribuiscono al soggetto esercente la potestà l’obbligo di iscrizione del minore nell’ambito del nucleo familiare di appartenenza — e che la mancanza di permesso di soggiorno da parte dei genitori non consente l’iscrizione anagrafica del nucleo familiare, appare evidente che la connessione stabilita dalla circolare tra la condizione di regolarità dei genitori e la possibilità di iscrizione del minore è tale da pregiudicare nella sua sostanza il diritto proprio del minore ad usufruire di un servizio pubblico al quale esso ha indubbiamente diritto di iscriversi a parità di condizioni con gli altri cittadini.
In tale prospettiva non risulterebbe rilevante il fatto che il minore, pur avendone pieno titolo, in concreto non sia (formalmente) titolare di permesso di soggiorno — in quanto evidentemente tale omissione non potrebbe essere ad esso addebitabile al punto da compromettere l’esercizio dei diritti ad esso spettanti — mentre il requisito della residenza ben potrebbe essere valutato in fatto, richiedendosi dunque che il minore abbia in concreto la propria dimora abituale nell’ambito del territorio comunale..
In tale contesto la possibilità di esercitare il diritto all’iscrizione alla scuola materna risulta di fatto compromesso dall’apposizione di ostacoli meramente formali e privi di effettiva giustificazione, obbiettivamente in contrasto con l’obbligo — vigente sia per le istituzioni pubbliche che per le stesse autorità giurisdizionali — di tenere in primaria considerazione l’interesse superiore del minore (art. 3 comma 1 Convenzione sui diritti del fanciullo) Deve dunque concludersi che sussistono i presupposti per ritenere integrata nel caso di specie l’ipotesi discriminatoria contemplata dall’art. 43 comma. 1, lett. c) D.Lgsvo 286/98, posto che la disposizione contestata appare idonea a determinare indebitamente l’effetto di escludere i minori stranieri extracomunitari le cui famiglie risultano prive di permesso di soggiorno dalla possibilità di iscriversi alla scuola dell’infanzia del Comune di Milano.
Tale previsione appare idonea a determinare il riscontrato effetto discriminatorio in capo alla minore qui ricorrente, risultando la madre attualmente priva di permesso di soggiorno — ancorché in attesa della definizione del procedimento ex art. 31 D.Lgsvo 286/98, dall’esito non prevedibile — e la figlia minore, nata a Milano, coabitante con la madre nell’ambito del comune di Milano. Appare opportuno rilevare che la possibilità indicata dal comune di procedere ugualmente all’iscrizione della minore alla scuola materna ricorrendo alle disposizioni della stessa circolare riguardanti le iscrizioni fuori termine, seppure manifestazione di un atteggiamento non pregiudizialmente ostile nei confronti del fenomeno dell’immigrazione – così come attestato dal rilevante impegno delle strutture comunali a tal fine operanti — non può evidentemente elidere l’effetto restrittivo comunque riscontrabile nella parte di circolare contestata, posto che a fronte di un diritto esercitabile a parità. di condizioni rispetto agli altri cittadini mediante l’inserimento diretto in graduatoria, la possibilità di ottenere l’iscrizione fuori termine sarebbe invece concessa solo qualora le condizioni dei minori integrassero ‘casi sociali segnalati con relazione motivata dei servizi sociali del Comune di Milano”.
5. Sulla base dell’accertamento del comportamento discriminatorio cosi individuato deve dunque essere ordinata la cessazione degli effetti della parte di circolare ritenuta ad effetto discriminatorio, risultando tale pronuncia sufficiente — tenuto conto che il termine per inoltrare le domande di iscrizione non appare ancora decorso alla data di deposito del presente provvedimento — ad evitare il dispiegarsi di effetti definitivi pregiudizievoli per gli interessi dei minori. In considerazione della particolare struttura del procedimento previsto dall’art. 44 D.Lgsvo 286/98, che contempla secondo il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale un’ulteriore fase di merito da concludersi con sentenza definitiva, deve inoltre provvedersi per l’ulteriore corso del procedimento, rinviandosi alla decisione definitiva sia le ulteriori questioni relative al risarcimento del danno che la regolazione delle spese del giudizio.
P.q.m.
visti gli artt. 43 e 44 D.Lgsvo Z86/98:
1) in accoglimento del ricorso presentato da (…) nell’interesse della figlia minore dichiara il carattere discriminatorio posto in essere dal COMUNE DI MILANO mediante l’emanazione della circolare n. 20 del 17.12.2007 del Settore Servizi all’Infanzia nella parte in cui subordina l’iscrizione del minore extracomunitario all’ottenimento da parte della famiglia del medesimo del permesso di soggiorno entro la data del 29.2.2008, a pena di non formalizzazione della domanda di iscrizione;
2) ordina al Comune di Milano la cessazione del suddetto comportamento discriminatorio e la rimozione dei suoi effetti;
3) rinvia la causa per trattazione all’udienza del 15.5.2008 ore 9,30.
Milano, 11 febbraio 2008
Autore:
Tribunale Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Discriminazione, Diritti fondamentali, Pari opportunità, Scuola materna, Iscrizione, Stranieri, Minori, Scuola dell'infanzia, Permesso di soggiorno, Servizi educativi, Principio di uguglianza
Natura:
Ordinanza