Ordinanza 05 novembre 1998
Corte di Cassazione. Sezione III penale. Ordinanza 5 novembre 1998: “Vilipendio della religione dello Stato e discriminazione fra confessioni religiose”.
Pres. Ionini, Est. Fiale, P.M. De Nunzio (conf.) — G. ric.
RITENUTO IN FATTO
G. A. veniva tratto a giudizio del pretore di Perugia Sezione distaccata di Assisi per rispondere (fra l’altro) del reato di cui:
agli artt. 81 cpv. e 402 c.p., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, pubblicamente vilipeso la religione dello Stato, esponendo in piazza, in occasione dello svolgimento della processione del o Corpus Domini », due cartelli, recanti le seguenti frasi, scritte a pennarello:
«La religione — Il giorno in cui è apparso il primo stregone è nata la religione. A. D. (ordinario di storia del Cristianesimo all’Università di Roma). Dio perfettissimo ed amorevolissimo. Per il religioso Dio ha fatto solo un capolavoro ed ha creato una terra che non poteva essere più bella. Ci ha dato pure i vulcani, i terremoti e gli uragani. Ma che volevano di più questi cristiani?»; «Chi ama la pace non erede in Dio. Credere in Dio, oltre a farci sprecare i giorni, crea religioni nei nostri dintorni. Ma le religioni scatenano lotte sulla terra, quindi è meglio fare senza Dio, se si vuole eliminare una causa di guerra. L’evangelizzazione di un’altra nazione, anche la Jugoslavia è tutta per aria perché fuori sono usciti i gladiatori. Come già l’Italia, capitalismo e Chiesa dominerà la Jugoslavia, allo scopo di ridurre il Paese a ferro e fuoco e tra dolori e distruzioni farà ignoranti i creduloni. Poi, drogando la gente, dominerà tranquillamente»;
«Battezzare un bambino significa usargli violenza all’ennesima potenza. Si parla tanto di violenza ai minorenni, ma non della Chiesa che la fa da millenni. Non credete a quello che dice il prete. Non credere a quello che dice il Papa. Le storie che raccontano entrambi nessuno le ha mai provate, durante la processione in occasione della festa del Corpus Domini » – in Assisi, il 21 giugno 1992,
Il pretore, con sentenza 16 novembre 1993 assolveva l’imputato dal contestato delitto;
«perché il fatto non costituisce reato » e rilevava, in proposito, che — a seguito del radicale mutamento di disciplina conseguente all’approvazione della legge 25 marzo 1985, n. 121, esecutiva dell’accordo di modifiche al Concordato lateranense del 18 febbraio 1984 — non essendo più in vigore il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, si pone il problema dell’attuale vigenza, nel nostro ordinamento, della norma incriminatrice di cui all’art, 402 c.p.
Non si soffermava, però, ad analizzare tale questione ed affermava l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Sul gravame del pm., la Corte di Appello di Perugia, con sentenza 6 febbraio 1998, affermava la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 402 c.p. e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia.
A giudizio della Corte territoriale:
l’art. 1 del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121, nel rimuovere la qualificazione della religione cattolica come religione dello Stato, non ha avuto alcuna incidenza sulla validità della norma incriminatrice di cui all’art, 402 c.p. ed in questa l’espressione «religione dello Stato» va intesa in senso meramente descrittivo, come equivalente a quella di religione o di culto cattolico;
deve essere rimeditato il problema della diversità di trattamento riservata alla religione cattolica nell’ordinamento penale, e la Corte Costituzionale ha già avvertito il legislatore della necessità di addivenire ad una revisione normativa che elimini la disparirà di disciplina tra le varie religioni, ma tale prospettazione de iure condendo non può legittimare la tesi dell’abolito criminis;
nella fattispecie concreta il contenuto dei due cartelli collocati sul suolo pubblico supera ampiamente il limite della “critica consentita”, correlato alla libertà di manifestazione del pensiero, ed appare consapevolmente e volontariamente rivolto ad evidenziare il disprezzo dell’imputato verso la religione cartolina, attraverso la formulazione di giudizi irriguardosi ed immotivati con i quali egli ha inteso dimostrare «di tenere a vile la religione cattolica ed i suoi massimi rappresentanti».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il G., il quale, sotto il profilo della violazione di legge, ha eccepito tra l’altro:
a)l’abolltio criminis della fattispecie prevista dall’arr. 402 cp., in seguito all’entrata in vigore dell’an. I del Protocollo addizionale alla legge n. 121/1985;
b)l’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice applicata, per violazione del principio secondo il quale “siamo tutti uguali davanti alla legge, senza distinzione di religione”.
CONSIDERATO
1.— L’anzidetta eccezione di incostituzionalità dell’art, 402 cp. —sollevata, con riferimento agli artt. 3, I comma, ed 8, I comma, Cost,. sotto i profili della violazione del principio di uguaglianza senza distinzione di religione e del principio di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose — è senz’altro rilevante, ai fini del decidete nel presente processo, ove viene contestata all’imputato proprio tale norma incriminatrice.
2.— L’eccezione medesima appare altresì non manifestamente infondata per le seguenti essenziali considerazioni:
a) La Corte costituzionale, con la sentenza n. 39 del 1965 si è pronunciata nel senso della non fondatezza della questione dì costituzionalità dell’art, 402 c.p. — con riferimento agli artt. 3, 8, 19 e 20 Cost, — affermando, tra l’altro, che la tutela penale rafforzata della religione cattolica trova giustificazione in relazione alla maggiore ampiezza ed intensità delle reazioni sociali alle offese della religione medesima, in quanto professata dalla maggioranza dei cittadini;
b) La disposizione incriminatrice in oggetto fa testuale riferimento al vilipendio della “religione dello Stato”.
Tale nozione — enunciata nell’art. I dello Statuto Albertino, ribadita nell’an, 1 del Trattato del 1929 tra la Santa Sede e l’Italia e largamente utilizzata dal codice penale vigente — è incompatibile con il principio costituzionale fondamentale di laicità dello Stato (come ritenuto dalla stessa Corte costituzionale con le decisioni no. 203 del 1989 e 149 del 1995) ed è stata definitivamente superata con la formulazione del punto 1 del Protocollo addizionale all’Accordo di modifica del Concordato lateranense, recepito nell’ordinamento italiano con la legge 25 marzo 1985, n. 121, a norma del quale “Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”,
c) La Cotte costituzionale— con le sentenze n. 925 del 1988 e n. 440 del 1995 —ha affermato che l’espressione “religione dello Stato”, generale nelle fattispecie dei reati attinenti alla religione previsti dal codice penale, costituisce e semplicemente il tramite linguistico per mezzo del quale ora come allora, viene indicata la religione cattolica
d) La stessa Consulta — con le sentenze n. 440 del 1995 e n. 329 del 1997 — ha posto in rilievo che:
“Secondo la visione nella quale si mosse il legislatore del 1930, alla Chiesa ed alla religione cattoliche era riconosciuto un valore politico, quale fattore di unità morale della nazione. Tale visione, oltre a trovate riscontro nell’espressione “religione dello Stato”, stava alla base delle numerose norme che, anche al di là dei contenuti e degli obblighi concordatati, dettavano discipline di favore a tutela della religione cattolica, rispetto alla disciplina delle altre confessioni religiose, ammesse nello Stato. Questa ratio differenziatrice certamente non vale più oggi, quando la Costituzione esclude che la religione possa considerarsi strumentale rispetto alle finalità dello Stato e viceversa (sentenze nn. 334 del 1996 e 85 del 1963, nonché n. 203 del 1989)”;
La giurisprudenza del giudice delle leggi ha abbandonato da tempo il criterio (cd. quantitativo) secondo il quale una tutela privilegiata della religione cattolica avrebbe tro¬vato fondamento sulla speciale preminenza della stessa rispetto alle altre religioni in quanto essa «è, per antica ed ininterrotta tradizione, quella professata dalla quasi totalità dei cittadini» (sentenze nn. 125 del 1957, 79 del 1958 e 14 del 1973) e, nella sentenza n. 925 del 1988, è stato affermato che deve considerarsi «ormai inaccettabile ogni tipo di discriminazione (che si basi) soltanto sul maggiore o minore numero degli appartenenti alle varie confessioni religiose» mentre, nella sentenza n. 440 del 1995, è stato specificato che «l’abbandono del criterio quantitativo significa che, in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza»;
Con la sentenza n. 329 del 1997, infine, ancora la Corte costituzionale ha precisato che «la protezione del sentimento religioso è venuta ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di libertà di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono, nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede, delle diverse confessioni. Il superamento di questa soglia attraverso valutazioni e apprezzamenti legislativi differenziati e differenziatori, con conseguenze circa la diversa intensità di tutela, infatti, inciderebbe sulla pari dignità della persona e si porrebbe in contrasto col principio costituzionale della laicità o non-confessionalità dello Stato…: principio che, come si ricava dalle disposizioni che la Costituzione dedica alla materia, non significa indifferenza di fronte all’esperienza religiosa ma comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose».
3. — Alla luce delle anzidette considerazioni, ritenuto che:
la privazione, per la confessione cattolica, del carattere di religione di Stato, operata dal punto 1 del Protocollo addizionale dell’Accordo del 1984, ha riportato la stessa nell’alveo, definito dall’art. 3 Cost., di una pari dignità nei confronti di ogni altra istanza religiosa;
la Corte costituzionale in più occasioni ha rivolto al legislatore l’invito a rimuovere la ingiustificata differenza di tutela penale della religione cattolica e degli altri culti;
il reato di vilipendio alla religione dello Stato implica una effettiva discriminazione fra confessioni religiose e, quindi, tra le diverse espressioni del sentimento religioso, si impone un giudizio di legittimità dell’art. 402 c.p., da parte della Corte costituzionale, alla quale vanno immediatamente rimessi gli atti, previa sospensione del giudizio in corso, secondo quanto dispone l’art. 23 della legge il marzo 1953, n. 87, con le ulteriori incombenze di legge.
P.Q.M.
Visti gli artt. 134 Cost., e 23 e seguenti della legge n. 87/1953;
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art, 402 c.p., per contrasto con gli artt. 3, I comma, e 8, I comma, Cost.;
Dispone la sospensione del giudizio ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento della Repubblica.
(Omissis).
Autore:
Corte di Cassazione - Penale
Dossier:
Italia, Tutela penale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Vilipendio della religione dello Stato, Questione di legittimità costituzionale, Disparità di trattamento penale
Natura:
Ordinanza