Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 18 Marzo 2006

Ordinanza 02 marzo 2006, n.331

TAR Lazio. Sezione Terza bis. Ordinanza 2 marzo 2006, n. 331: “Istituti scolastici paritari ed esami di Stato”.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (sezione Terza – bis), composto dai signori:

Saverio Corasaniti
presidente
Massimo Luciano Calveri
consigliere rel.
Francesco Arzillo
consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti n. 7737/2005 e 107/2006, proposti

da

Istituto Internazionale di Istruzione “G.P. II” e Istituto Tecnico per geometri e aeronautico paritario “S. D.A.”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dal prof. avv. Angelo Clarizia ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, alla Via Principessa Clotilde n. 2;

contro

– Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio del M.I.U.R., in persona del legale rappresentante pro tempore;
entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede – in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12 – domiciliano per legge;

per l’annullamento, previa misura cautelare,

a.- quanto al primo ricorso:

della circolare n. 9026 del 12 luglio 2005 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio – Direzione Generale – Ufficio II, avente per oggetto “A.S. 2005/06 – inizio anno scolastico – Adempimenti”, nella parte in cui, nel capo “Esami di Stato”, si afferma che “le istanze dei candidati esterni in eccesso rispetto al 50% degli interni, per ogni classe terminale, devono essere consegnate al competente CSA” e che “non possono essere costituite commissioni di soli candidati esterni né commissioni miste nella quale (recte: nelle quali) la componente esterna superi il 50% di quella interna”;

b.- quanto al secondo ricorso:

della circolare n. 122 (prot. 52695) del 14 dicembre 2005 dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio – Centro Servizi Amministrativi di Roma (CSA) nella parte in cui intende applicare all’anno scolastico 2005/2006 il d.lgs. n. 226 del 17 ottobre 2005 e segnatamente la norma (art. 14, modificativo dell’art. 4, comma 4, della l. 10 dicembre 1997, n. 425) che impone il trasferimento di candidati esterni agli esami (c.d. privatisti) che superino per il cinquanta per cento quelli interni esclusivamente presso istituzioni scolastiche statali (con esclusione delle paritarie); nonché nella parte in cui individua il criterio della residenza ai fini dell’iscrizione agli esami dei candidati esterni.

Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni scolastiche intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 16 gennaio 2006 il consigliere Massimo L. Calveri e udito l’avv. Clarizia per il ricorrente e l’avv. dello Stato Sica per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

A.- L’Istituto “G.P. II”, corrente in Roma e attivo da anni nel campo della formazione nella scuola media superiore, è paritario ai sensi della l. 10 marzo 2000, n. 62 (“Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione “) e gode della parità scolastica relativamente ai seguenti indirizzi: istituto tecnico industriale, istituto tecnico commerciale, classico, linguistico e scientifico.

Anche l’Istituto “S. D.A.”, corrente in Bracciano, è paritario ai sensi della predetta legge n. 62/2000 e gode della parità scolastica relativamente agli indirizzi “geometri” e “tecnico-aeronautico”.

Con circolare n. 9026 del 12 luglio 2005, avente per oggetto “A.S. 2005/06 – Inizio anno scolastico – Adempimenti”, indirizzata “ai gestori e ai coordinatori didattici delle Istituzioni scolastiche paritarie di I e II grado del Lazio”, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio (d’ora in avanti: USRL), nel capo “Esami di Stato”, ha statuito, in riferimento ai candidati esterni agli istituti scolastici, che le istanze di questi “in eccesso rispetto al 50% degli interni, per ogni classe terminale, devono essere consegnate al competente CSA (Centro Servizi Amministrativi), precisando poi che “non possono essere costituite commissioni di soli candidati esterni né commissioni miste nella quale (recte: nelle quali) la componente esterna superi il 50% di quella interna”.

Avverso tale provvedimento sono insorti gli Istituti scolastici paritari di cui sopra, con ricorso notificato in data 10 agosto 2005, chiedendone, in via cautelare, la sospensione degli effetti e deducendone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione della legge n. 62/2000, dell’art. 4 della legge n. 425/1997, dell’art. 9, comma 3, del d.p.r. n. 323/1998, della c.m. n. 16/2004, dell’o.m. n. 21/2004, della c.m. n. 77/2004; per carenza di potere; per violazione degli artt. 3, 33, 97 e 41 della Costituzione; nonché per eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche.

Premessa la propria legittimazione a proporre la presente impugnativa, nonché l’incidenza direttamente lesiva della circolare n. 9026/2005, gli Istituti ricorrenti hanno evidenziato come l’intento operativo con essa perseguito – consentire un trasferimento coatto dei candidati esterni in eccedenza dall’Istituto prescelto, con loro ridistribuzione tra i soli Istituti statali – risulterebbe pregiudizievole non soltanto per gli Istituti paritari, ma anche per gli stessi candidati esterni: i primi infatti, in quanto privati di introiti patrimoniali, verrebbero ingiustificatamente colpiti nella propria autonomia imprenditoriale costituzionalmente garantita (art. 41 Cost.); i secondi rimarrebbero depauperati della libertà di scelta della sede di esami, garantita dalla l. 10 marzo 2000, n. 62 sulla parità scolastica e sulla equiparazione tra Istituti statali e Istituti paritari.

In realtà, si afferma in ricorso, l’indirizzo operativo qui censurato non è nuovo ed è coerente con precedenti, analoghe iniziative avviate dall’USRL nel 2004 e nel 2005, e fatte oggetto di impugnazione cui è conseguita l’adozione di provvedimenti cautelari sia di questo Tribunale (ord.za n. 1034/05 del 25 febbraio 2005), che del Consiglio di Stato (ordd.ze nn. 2559 e 2660 del 7 giugno 2005).

Si soggiunge poi che la circolare impugnata è in evidente contrasto con il quadro normativo che disciplina la subiecta materia, atteso che la piana lettura dell’art. 4, coma 4, della legge n. 425/1997 (contenente “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”) e dell’art. 9, comma 3, del d.p.r. n. 323/1998 (con il quale, in attuazione dell’art. 1 dell’ora menzionata legge n. 425, è stato emanato il Regolamento di detti esami di Stato) sia nel senso di assegnare i candidati in eccedenza rispetto alla precitata soglia del cinquanta per cento proprio a commissioni interne allo stesso Istituto scolastico; contemplandosi l’eccezionale potere di distrazione di tali candidati (trasferimento coatto) solo i presenza di carenze ricettive dell’Istituto interessato, ipotesi peraltro tassativamente prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo d.p.r. n. 323/1998.

Evidenziano ulteriormente i ricorrenti profili di contraddittorietà e di perplessità nel comportamento qui contestato in quanto, prima dell’insediamento dei nuovi vertici dell’URSL, quest’ultimo aveva accolto l’interpretazione patrocinata in ricorso.

Peraltro, affatto illusoria sarebbe la finalità sottesa alla circolare de qua, e cioè l’intento di prevenire la formazione di commissioni di soli candidati esterni per non andare incontro a un aggravio della spesa pubblica. Infatti, ogni qualvolta si è effettuata una distrazione di studenti in favore di Istituti statali, questi ultimi, per fronteggiare la domanda in ingresso, avrebbero sempre dovuto costituire commissioni con prevalenti candidati esterni, o addirittura commissioni ad hoc di soli candidati esterni, con evidenti e conseguenti maggiori oneri finanziari per l’amministrazione scolastica.

Resistendo al ricorso, l’amministrazione intimata ha depositato relazione con la quale ha controdedotto sui profili di censura dedotti nel gravame, eccependone l’infondatezza.

B.- Con motivi aggiunti notificati il 6 ottobre 2005, gli Istituti ricorrenti hanno impugnato la medesima circolare n. 9026 del 12 luglio 2005 nella parte in cui si stabilisce che “Per la formazione delle classi non facenti parte di un corso completo le SS.LL terranno conto della nota MIUR del 20.2.2002 e della C.M. n. 31 del 18.3.2003 ed invieranno la comunicazione di tali eventuali classi, attivate a seguito di nuove iscrizioni o ripetente, a quest’Ufficio Regionale e al C.S.A. competente territorialmente. Si ricorda che non è prevista la costituzione di nuove classi composte interamente da alunni provenienti da esami di idoneità”.

Sul presupposto che la circolare, in parte qua, precluderebbe agli Istituti paritari di formare classi nuove a seguito di eventi che possono determinare un incremento del numero degli iscritti (come, ad es., le ripetenze o le iscrizioni impreviste) o composte da alunni provenienti da esami di idoneità, i ricorrenti ne deducono l’illegittimità perché comprimerebbe la libertà di iniziativa economica privata degli istituti interessati – libertà tutelata ex art. 41 Cost. – oltre che vanificare la libertà di scelta dello studente che trova tutela nella legge n. 62 del 2000. La circolare peraltro contrasterebbe con gli stessi pregressi atti ministeriali del 2002 e del 2003 richiamati da essa medesima.

Anche in relazione a tale impugnativa, con la quale è stata richiesta l’adozione della preliminare misura cautelare, l’amministrazione scolastica ha depositato relazione confutandone gli assunti.

Alla camera di consiglio del 24 novembre 2005, in relazione alla misura cautelare richiesta con il ricorso principale, la Sezione, con ordinanza n. 6879/2005, ha fatto presente che era da ultimo intervenuto l’art. 14 del d.lgs. 17 ottobre 2005 che, sostituendo l’art. 4, comma 4, della l. 10 dicembre 1997, n. 425, ha statuito che nel caso non vi sia la possibilità di assegnare i candidati esterni agli esami di maturità alle commissioni esaminatrici funzionanti presso gli istituti statali e paritari, possano essere costituite apposite commissioni “soltanto presso gli istituti statali”.

Nella considerazione che all’ora menzionato jus superveniens, in ragione della sua portata organizzatoria, “va riconosciuta operatività immediata con conseguente sua applicazione alle procedure amministrative concernenti lo svolgimento degli esami di Stato relative al corrente anno scolastico” e che, su tale circostanza, “è stata adottata la c. m. n. 86 del 18 novembre 2005 …che fissa gli adempimenti propedeutici agli esami di Stato per il corrente anno scolastico”, la Sezione, con la predetta ordinanza n. 6879, ha respinto l’istanza cautelare; e ciò nel rilievo che la novella del 2005, in applicazione della quale è stata adottata l’ora menzionata circolare n. 86 (allo stato non impugnata), ha fatto venir meno l’interesse a coltivare quel ricorso.

C.- Con ulteriori motivi aggiunti, notificati a mezzo fax il 28 novembre 2005, gli stessi ricorrenti principali hanno quindi impugnato, previa misura cautelare, la circolare n. 86 del 18 novembre 2005 avente per oggetto: “Esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore nelle scuole statali e non statali. Anno scolastico 2005/2006. Termine di presentazione delle domande”, con la quale il MIUR, Dipartimento per l’istruzione, Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici Uff. VII, ha inciso sulla possibilità per gli Istituti paritari di costituire commissioni per far sostenere gli esami agli studenti esterni (c.d. privatisti) che eccedano il cinquanta per cento degli interni; i ricorrenti hanno altresì impugnato la circolare prot. n. 12695 del 21 novembre 2005 emanata dall’USRL, reiterativa del contenuto dell’anzidetta circolare ministeriale n. 86/2005.

In particolare, tale circolare n. 86, nel paragrafo intitolato “Costituzione delle commissioni d’esame”, richiama l’attenzione “sulla circostanza che per l’eventuale configurazione di Commissioni formate di soli candidati privatisti dovrà trovare applicazione l’art. 14, comma 5, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 266 con la conseguenza che tali commissioni debbono essere costituite esclusivamente presso istituzioni scolastiche statali”. Con la successiva circolare prot. n. 12695/2005, emanata dall’USRL, vengono pedissequamente replicati i contenuti della circolare ministeriale in ordine al trasferimento coatto dei candidati esterni eccedentari.

I ricorrenti hanno dedotto, in diritto: violazione e falsa applicazione della legge n. 62/200, della legge n. 425/1997 e degli artt. 2, 3, 33 e 34, 97 e 41 della Costituzione; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, nonché carenza di potere, omessa ponderazione di interessi rilevanti e violazione del principio dell’affidamento.

Premettono, con riferimento al contenuto dispositivo dell’ordinanza cautelare n. 6879/2005, che oggetto di censura nell’impugnativa qui proposta è l’art. 4, comma 4, della legge n. 425/199 7, come novellato dall’art. 14 del d.lgs. n. 226/2005, che fa da fondamento positivo alle circolari n. 86 e prot. n. 12695 del 2005; sicché “un’auspicabile declaratoria di incostituzionalità della norma ora citata priverebbe di base legale i provvedimenti impugnati”.

I ricorrenti censurano anzitutto l’erroneità di tali provvedimenti nel ritenere di poter dare attuazione, già con il presente anno scolastico 2005-2006, al decreto legislativo n. 226/2005 sulla riforma del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, che dovrà invece interessare gli anni scolastici successivi dal 2007-2008 in poi; con la conseguenza che le novità introdotte dal testo normativo, ivi comprese quelle riguardanti la disciplina degli esami di maturità, non potrebbe che riguardare il futuro.

Opinare diversamente significherebbe, a parere dei ricorrenti, conferire alle disposizioni del decreto un’illegittima portata retroattiva con ricadute pregiudizievoli sia per le scelte degli studenti, già operate sin dal 1 settembre, sia per le scuole paritarie che hanno dovuto pianificare per tempo la relativa programmazione aziendale.

Ove peraltro dovesse ritenersi che le circolari impugnate correttamente diano immediata operatività all’art. 14 del decreto legislativo n. 226/2005, in punto di divieto di costituire commissioni per gli esterni eccedentari presso le scuole paritarie, la norma legislativa delegata sarebbe suscettiva di censura sul piano della legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 2, 3, 33, 34, 97 e 41 della Costituzione, censura che investirebbe in modo diretto le circolari stesse sub specie di violazione di legge.

In relazione a tale impugnativa la difesa erariale non ha depositato memoria difensiva.

D.- Con successivo ricorso, notificato il 29 dicembre 2005, i medesimi Istituti scolastici hanno da ultimo impugnato, chiedendo l’adozione di misure cautelari, la circolare n. 122 (prot. 52695) del 14 dicembre 2005 dell’Ufficio Scolastico regionale per il Lazio – Centro Servizi Amministrativi di Roma – nella parte relativa all’applicazione all’anno scolastico 2005-2006 del decreto legislativo n. 226/2205 e segnatamente della norma (art. 14, comma 5, modificativo dell’art. 4, comma 4, della legge n. 425/1997) che impone il trasferimento di candidati esterni agli esami (c.d. privatisti) che superino per il cinquanta per cento quelli interni esclusivamente presso istituzioni scolastiche statali (con esclusione delle paritarie); nonché nella parte in cui individua il criterio della residenza ai fini dell’iscrizione agli esami di candidati esterni.

I ricorrenti premettono, in fatto, che con la circolare impugnata, dandosi applicazione ad atti già gravati dinanzi a questo Tar (circolare ministeriale n. 86/2005 e circolare dell’U.S.R. per il Lazio prot. 1269572005), è stato previsto che i dirigenti scolastici degli istituti statali e i coordinatori didattici degli istituti paritari devono, immediatamente dopo la scadenza del 30 novembre 2005 (termine ultimo per presentare la domanda di partecipazione agli esami), trasmettere le istanze eccedenti al C.S.A.

Premettono altresì che con le predette circolari già impugnate è stato imposto ai candidati esterni (c.d. privatisti) di presentare l’istanza di partecipazione agli esami “ad un’istituzione scolastica della tipologia prescelta ubicata nel Comune ove essi hanno la residenza anagrafica alla data di scadenza del termine di presentazione. Qualora la tipologia di scuola prescelta non sia presente nel Comune si farà riferimento all’ambito territoriale provinciale e, in caso di ulteriore impossibilità, a quello regionale (…)” e che, in sostanziale applicazione di tali disposizione, nella circolare qui gravata n. 122/2005 si prevede che “qualora tra la scadenza del termine di presentazione delle domande e l’effettivo svolgimento degli esami si dovesse verificare o venir meno la divaricazione tra la residenza ed il luogo di temporanea dimora del soggetto interessato, le istanze dovranno essere inviate a questo CSA” per le valutazioni nel merito delle circostanze eccezionali che possono dar luogo alla deroga al criterio della residenza ivi fissato.

I ricorrenti deducono, in diritto: violazione e falsa applicazione della legge n. 62/2000 e della legge n. 425 del 1997; carenza di potere, violazione degli artt. 2, 3, 33, 34, 97 e 41 Cost.; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, nonché omessa ponderazione di interessi rilevanti e violazione del principio dell’affidamento.

Poiché le disposizioni della circolare n. 122/2005 sono applicative delle predette circolari già impugnate con distinti ricorsi (rispettivamente con il ric. n. 7737/2005, secondi motivi aggiunti, e con il ric. n. 10737/2005), i ricorrenti ripropongono, in buona sostanze le censure già diffusamente dedotte nelle due distinte impugnative.

Anche in relazione a tale ricorso l’amministrazione intimata non ha controdedotto.

Nelle camere di consiglio del 16 e del 19 gennaio 2006, la Sezione, con ordinanza. 401/2006, ha statuito di sollevare eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 226/2005; nella ricorrenza dei presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora ha nel contempo accolto provvisoriamente, nell’attesa della pronuncia della Corte costituzionale, l’istanza cautelare e per l’effetto ha sospeso, nella sola parte in cui è stata fatta applicazione dell’art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 226/2005, la circolare ministeriale n. 86/2005 e la circolare dell’USRL prot. 12695/2005.

Alla pubblica udienza del 16 gennaio 2006, sulle conclusioni delle parti, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1.- La connessione dei due ricorsi ne consiglia la riunione, ai sensi dell’art. 52 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, ai fini di un’unica decisione.

Deve però premettersi che i due ricorsi risultano connessi solo sotto il profilo soggettivo e non anche sotto quello oggettivo, componendosi i medesimi di capi di domanda distinti e nient’affatto omogenei.

Di conseguenza, la presente decisione non involgerà tutti i vari profili impugnatori, ma soltanto quelli afferenti ai provvedimenti dell’amministrazione scolastica (id est: circolari) con i quali viene esclusa la possibilità per gli Istituti paritari di costituire commissioni per l’esame di Stato comprensive di un numero di candidati esterni superiore al cinquanta per cento di quelli interni ovvero commissioni che si occupino di soli candidati esterni, e nel contempo sono fissate le misure organizzative per il trasferimento di detti candidati dalle scuole paritarie a quelle statali.

2.- In particolare, l’oggetto del presente giudizio è costituito dall’impugnativa rispettivamente proposta con il ricorso principale n. 7737/2005, con il secondo dei motivi aggiunti che accedono a detto gravame e con il ricorso n. 107/2006 nella sola parte in cui si appunta contro le misure organizzative per il trasferimento dei candidati eccedentari oltre la predetta soglia percentuale.

3.- Con autonoma decisione sarà invece definita l’impugnativa, azionata con il primo dei motivi aggiunti proposti nell’ambito del ricorso n. 7737/2005, che involge le modalità di costituzione, presso le scuole paritarie, di “classi non facenti parte di un corso completo” (circolare dell’USRL n. 9026 del 12 luglio 2005).

Analogamente, e cioè con sentenza a parte, si provvederà con riferimento al secondo capo di domanda contenuto nel ricorso n. 107/2006 che contesta il criterio della residenza, prefissato dall’amministrazione scolastica, ai fini dell’iscrizione agli esami di Stato dei candidati esterni. Tale specifica impugnativa è peraltro strettamente connessa ad altra (ricorso n. 10737) proposta dai medesimi ricorrenti, sicché essa troverà definizione nell’ambito di un distinto e unico contesto decisorio.

4.- Così delimitato il thema decidendum, nell’ordine logico delle distinte impugnative, oggettivamente connesse, va prioritariamente esaminata quella proposta, in via principale, con il ricorso n. 7737/2005.

L’impugnativa è volta a contestare la legittimità della circolare n. 9026 del 12 luglio 2006, diretta ai gestori e ai coordinatori didattici delle Istituzioni scolastiche paritarie di I e II grado del Lazio, con la quale l’USRL, nel fissare gli adempimenti concernenti l’inizio dell’a.s. 2005-2006, ha richiamato l’attenzione, con riferimento ai candidati esterni agli esami di Stato, sul fatto che le istanze di detti candidati “in eccesso rispetto al 50% degli interni, per ogni classe terminale, devono essere consegnate al competente CSA, ovvero non possono essere costituite commissioni di soli candidati esterni né commissioni miste nella quale la componente esterna superi il 50% di quella interna”.

5.- Successivamente all’impugnativa, è stato emanato il d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, recante “Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell’articolo 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53”.

In particolare, l’art. 14 di detto decreto, intitolato “Esame di Stato”, dispone al quinto comma: “All’articolo 4, comma 4, della legge 10 dicembre 1997, n. 425, il terzo periodo è sostituito dal seguente: “I candidati esterni sono ripartiti tra le diverse commissioni degli istituti statali e paritari ed il loro numero massimo non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni; nel caso non vi sia la possibilità di assegnare i candidati esterni alle predette commissioni possono essere costituite, soltanto preso gli istituti statali, commissioni apposite”.

Ribadendo il contenuto di tale disposizione legislativa la circolare ministeriale n. 86 del 18 novembre 2005, impartita dalla Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici, nella parte intitolata “Limiti di accoglibilità delle domande da parte delle scuole”, così recita e dispone: “L’art. 4, comma 4, della legge 10 dicembre 1997, n. 425 [1], ripreso con il medesimo contenuto dall’articolo 9, comma 3, del D.P.R 23 luglio 1998, n. 323, è stato novellato, con integrazioni, dall’articolo 14, comma 1 del Decreto legislativo 17.10.2005, n. 226 il quale stabilisce che “i candidati esterni sono ripartiti tra le diverse Commissioni degli istituti statali e paritari e il loro numero massimo non può superare il 50% dei candidati interni”. La formulazione di tale ultima previsione normativa non è suscettibile di interpretazioni diverse da quella letterale e, pertanto, non si presta ad alcun tipo di deroga. Pertanto, ove le istanze dei candidati esterni pervenute ad ogni singola scuola, statale o paritaria, dovessero eccedere il prescritto limite del 50%, l’istituto interessato, immediatamente dopo la scadenza del termine per la loro presentazione, dovrà trasmettere le istanze eccedenti, individuate secondo l’osservanza di uno stretto ordine cronologico di presentazione, al Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale competente per territorio. Ciò al fine di consentire al medesimo l’assegnazione degli interessati ad altre istituzioni scolastiche per una tempestiva prefigurazione del numero e della dislocazione delle Commissioni e, nel contempo, fornire ai candidati esterni certezza sulla sede nella quale dovranno sostenere gli esami”.

La medesima circolare n. 86/2005, nella parte relativa alla “Costituzione delle Commissioni di esame”, richiama poi “l’attenzione sulla circostanza che per l’eventuale configurazione di Commissioni formate da soli candidati privatisti dovrà trovare applicazione l’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 con la conseguenza che tali commissioni debbono essere costituite esclusivamente presso istituzioni scolastiche statali”.

I contenuti della circolare n. 86, nei termini ora riportati, sono stati integralmente reiterati dalla successiva circolare prot. n. 12695 del 21 novembre 2005 emanata dall’USRL.

6.- In ragione della sopravvenienza dell’art. 14, comma 5, del decretolegislativo n. 226/2005 [2], e delle circolari applicative delle quali si è fatto menzione, la Sezione, in sede di esame dell’istanza cautelare proposta nel ricorso principale avente ad oggetto la circolare dell’URSL n. 9026/2005, ha respinto la domanda incidentale di sospensione nella considerazione che la novella introdotta con l’anzidetto art. 14 ha fatto venir meno l’interesse alla coltivazione del ricorso.

Tanto per il fatto che allo “jus superveniens, in ragione della sua portata organizzatoria, va riconosciuta operatività immediata con conseguente sua applicazione alle procedure amministrative concernenti lo svolgimento degli esami di Stato relativi al corrente anno scolastico”.

7.- Gli Istituti paritari ricorrenti, proponendo motivi aggiunti, hanno impugnato le precitate circolari applicative dell’art. 14, comma 5, del decreto legislativo n. 226/2005, prospettando in via eventuale questione di legittimità costituzionale di detta norma.

Va soggiunto che, con memoria conclusiva recante la data del 4 gennaio 2006, i ricorrenti, in sede di illustrazione di tali motivi, hanno ulteriormente dedotto che l’art. 14 del decreto legislativo n. 25/2005, in ragione della sua portata asseritamene discriminatoria tra scuola statale e scuola privata, contrasterebbe con la normativa comunitaria sotto più profili (artt. 2, 3, 43, 136 e 149 del TCE); la norma contrasterebbe poi con il diritto di stabilimento (art. 43 TCE) perché implicherebbe un “grave ostacolo al diritto di ogni cittadino europeo di impiantare in Italia un’impresa scolastica o una sua filiale, con la stessa dignità giuridica riconosciuta alla sua impresa scolastica nel paese d’origine”.

7.1.- I profili di censura che prospettano violazione del diritto comunitario non sono suscettibili di favorevole apprezzamento.

Occorre procedere dal dato che la norma dell’ordinamento nazionale oggetto di contestazione è volta a disciplinare un ambito piuttosto contenuto delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato, individuando le commissioni esaminatrici di soli candidati privatisti in quelle funzionanti presso le scuole statali e non anche presso le scuole paritarie.

Orbene, ancorché l’ambito operativo prefigurato dalla norma (peraltro in via eventuale, considerato che esso viene in rilievo al superamento della soglia percentuale in essa stabilita) non sia privo di rilevanza sul piano della sua conformità ad alcuni principi costituzionali (di cui si dirà oltre), non sembra predicabile che la disciplina introdotta dalla norma sia di ampiezza distorsiva tale da confliggere con gli artt. 136 e 149 del Trattato della Comunità Europea in tema di promozione dei diritti sociali fondamentali (nella specie: l’istruzione); né sembra che alla norma possa ascriversi un’intenzione controriformista, rispetto alla legge n. 62 del 2000 sulla parità scolastica, favorendo un “ritorno all’indietro”.

Sotto altro verso non è predicabile, nei modi sopra prospettati, la portata lesiva della norma con riguardo al diritto di stabilimento ex art. 41 del Trattato, perché avrebbe dovuto non solo asserirsi, ma compiutamente dimostrarsi, che la regolamentazione giuridica dello Stato membro del soggetto intenzionato a impiantare in Italia un’impresa scolastica non soffra della limitazione imposta dalla qui contestata norma dell’ordinamento nazionale.

8.- Quanto ai motivi aggiunti, notificati a mezzo fax il 28 novembre 2005, i ricorrenti sostengono in primis l’erroneità della circolare ministeriale n. 86/20054 e di quella successiva dell’USRL prot. 12695/2005, in quanto intese a dare attuazione per il presente anno scolastico 2005-2006 al decreto legislativo n. 226/2005 sulla riforma dei cicli, che dovrà interessare invece gli anni scolastici successivi al 2007-2008.

Soggiungono che tutto il decreto legislativo n. 226 prevede le varie fasi della riforma nei tempi futuri prevedendo quindi anche le novità che ne deriveranno con riferimento agli esami di maturità. Ritengono quindi che solo in futuro si potrà prospettare il trasferimento di candidati esterni delle scuole paritarie a quelle statali.

9.- La censura va disattesa.

9.1.- La l. 28 marzo 2003, n. 53 (c.d. “riforma Moratti”) ha delegato il Governo all’emanazione degli occorrenti decreti legislativi “per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”.

Nell’attribuire alla decretazione delegata la definizione del nuovo sistema educativo, di istruzione e di formazione, la legge delega, in sede di delineazione dei “principi e criteri direttivi”, ha prefissato l’articolazione di detto nuovo sistema “nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale” (art. 2, lett. d. , cit. legge n. 53).

In attuazione della delega, è stato quindi emanato il d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, con il quale sono state poste le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione. Tale secondo ciclo “è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell’istruzione e formazione professionale” e individua “il secondo grado in cui si realizza in modo unitario, il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione di cui al decreto legislativo 5 aprile 2005, n. 76”.

I Capi II e III del decreto legislativo n. 226/2005 disciplinano “I percorsi liceali” e “I percorsi di istruzione e formazione professionale”, delineandone rispettivamente le tipologie e i livelli essenziali delle prestazioni, mentre il successivo Capo V, che contiene le “Norme transitorie e finali”, fissa le sequenze temporali per il passaggio graduale dall’attuale al nuovo ordinamento e fissa l’avvio di quest’ultimo “a decorrere dall’anno scolastico e formativo 2007-2008” (art. 27, comma 4).

Nel precitato Capo II, l’art. 14 si occupa dell’esame di Stato conclusivo dei percorsi liceali, così disponendo al suo quinto comma: “All’articolo 4, comma 4, della legge 10 dicembre 1997, n. 425, il terzo periodo è sostituito dal seguente: “I candidati esterni sono ripartiti tra le diverse commissioni degli istituti statali e paritari ed il loro numero massimo non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni; nel caso non vi sia la possibilità di assegnare i candidati esterni alle predette commissioni possono essere costituite, soltanto preso gli istituti statali, commissioni apposite”.

9.2.- Tanto premesso, e alla luce di una piana interpretazione, anche in via sistematica, di tale norma delegata, non può trovare spazio l’argomento difensivo secondo cui quest’ultima, innestandosi con carattere di necessità sulla riforma del secondo ciclo di istruzione prefigurata dal decreto legislativo n. 226, differisca la sua operatività al momento di messa a regime del nuovo sistema dei licei.

Per vero, nessun elemento logico e/o testuale consente di far ritenere che la norma de qua, per profili peculiarmente innovativi organicamente connessi alla riforma del predetto ciclo d’istruzione, non possa entrare in vigore se non contestualmente alla concreta attuazione del nuovo ordinamento.

In realtà, e diversamente da quanto asserito, non appare dubbio che il legislatore delegato abbia ritenuto di dovere con immediatezza intervenire in una delicata materia – quella della disciplina, limitatamente ai candidati esterni, della formazione delle commissioni d’esame di Stato e dell’individuazione della sede dell’esame – non sempre oggetto di una lineare regolamentazione di dettaglio da parte dell’amministrazione scolastica, cui ha specularmene corrisposto una non univoca elaborazione giurisprudenziale, come testimoniato anche dai riferimenti in proposito menzionati nel ricorso principale.

9.3.- In particolare, la norma in questione, sostituendo la pregressa disciplina dettata con l’art. 4, comma 4, della legge n. 425/1997, ha ribadito, quanto all’assegnazione dei candidati esterni alle commissioni d’esame di Stato funzionanti presso gli Istituti statali e quelli paritari, che il numero di detti candidati non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni, statuendo però che il superamento dell’anzidetta percentuale consente di procedere ad apposite commissioni di candidati esterni solo preso gli Istituti statali.

In relazione a tale ultimo profilo normativo, nel quale si condensa il novum della disciplina introdotta in subiecta materia, occorre opportunamente ricordare che la pregressa regolamentazione (dettata dal precitato art. 4, comma 4, della legge n. 425/1997) era nel senso di prevedere, al superamento della summenzionata percentuale numerica, la costituzione di “commissioni apposite” tout court di candidati esterni, così prefigurando la possibilità di insediare tali commissioni non solo presso gli Istituti statali, ma anche (dopo l’emanazione della legge 10 marzo 2000, n. 62 sulla parità scolastica) presso gli Istituti paritari.

Orbene, sospendendo per il momento ogni giudizio sulla intentio legis della norma e sulla coerenza di quest’ultima con il quadro costituzionale, non può qui che ribadirsi quanto anticipato dalla Sezione con la propria ordinanza n. 6879 del 24 novembre 2005, emessa nella sede cautelare, e cioè che all’art. 14, comma 4, del decreto legislativo n. 226/2005, “in ragione della sua portata organizzatoria”, è immediatamente operativo, con la conseguente sua applicabilità agli esami di Stato del corrente anno scolastico 2005-2006.

9.4.- Alla luce di tali considerazioni non hanno pregio le argomentazioni (pagg. 10 dei motivi aggiunti all’esame) che, censurando le circolari impugnate, fanno leva sull’impossibilità “di attuare nel giro di un mese una intera riforma”.

Infatti, per le considerazioni sopra esposte, l’art. 14 non si presta ad essere letto in necessaria correlazione con la riforma attuata dal decreto legislativo n. 226; certamente ne prescinde, essendo chiaramente mirato a introdurre da subito una misura organizzatoria in tema di partecipazione dei candidati esterni all’esame di Stato.

Non conferenti sono poi le perplessità sollevate con riferimento “all’abrogazione di tutte le norme relative agli esami integrativi e di idoneità disposta dal decreto 226 all’art. 31”.

A prescindere infatti dalla circostanza che qui è in questione l’organizzazione dell’esame di Stato e non quella degli esami di idoneità e integrativi, deve comunque osservarsi che il menzionato art. 31, comma 2, detta una disciplina transitoria per tali esami stabilendo che la regolamentazione per essi prevista dall’art. 193 del Testo unico sull’istruzione approvato con d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297) continua “ad applicarsi limitatamente alle classi di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore ancora funzionanti secondo il precedente ordinamento” ed è abrogata “a decorrere dall’anno scolastico successivo al completo esaurimento delle predette classi”.

10.- Per le considerazioni svolte risulta quindi acclarato che le circolari impugnate correttamente danno immediata operatività all’art. 14, comma 5, del decreto legislativo n. 226/2005 nella parte in cui introduce il divieto di costituire commissioni d’esame di Stato per i candidati esterni eccedentari presso le scuole paritarie.

11.- Nella ricorrenza di tale premessa, i ricorrenti sollevano la questione di legittimità costituzionale della norma legislativa, sulla cui base sono state emanate le circolari impugnate, evidenziando come le censure di legittimità costituzionale si riflettono in modo diretto su dette circolari sub specie di violazione di legge, immediatamente sindacabile ad opera di questo Tribunale amministrativo.

Premettono i ricorrenti che il divieto di costituire commissioni di soli candidati esterni nelle scuole paritarie, ove sia superata la soglia del cinquanta per cento dei candidati interni, porterebbe famiglie e studenti a preferire inevitabilmente la più rassicurante e completa offerta di servizio scolastico degli istituti statali. Inoltre, per le scuole paritarie, “la programmazione delle spese da affrontare in termini di contratti di lavoro da stipulare e di strutture da mantenere sarebbe appesa all’incognita delle iscrizioni degli studenti sempre più dubbia davanti a una disciplina legislativa così sfavorevole e iniqua”.

Sostengono, in particolare, che dall’art. 14 del precitato decreto legislativo, ossia dal novellato art. 4, comma 4 della legge n. 425/1997, risulterebbe vulnerata in modo grave la posizione:

– degli Istituti privati paritari,”che verrebbero depauperati di introiti e immotivatamente colpiti (ancorché dotati di strutture ampliamente ricettive e capienti) nella propria autonomia imprenditoriale pure costituzionalmente garantita dall’art. 41 della Costituzione”;

– degli stessi candidati esterni, “che rimarrebbero orbati della libertà di scelta di esami (in virtù del prelievo coattivo degli eccedentari), pur presidiata dalla copertura costituzionale del diritto allo studio (artt. 33 e 34 Cost.) e , a livello di fonti di rango ordinario, dalla legge n. 62 del 2000 sulla parità scolastica e sull’equiparazione tra Istituti statali e paritari”.

Quanto al primo dei vulnera sopra prospettati, si afferma come l’impostazione accolta dal decreto delegato contrasterebbe con la direttrice fondamentale dell’art. 1, comma 1, della l. 28 marzo 2003, n. 53 (legge delega sulla cui base è stato poi emanato il decreto legislativo n. 226/2005) che tra gli obiettivi della normazione delegata enuncia quello di “favorire la crescita e la valorizzazione …dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia” e quindi la libertà di scelta dello studente quale espressione qualificante della libertà di autodeterminazione del giovane cittadino, nonché la libertà di scelta della sua famiglia, correlata alla valutazione della sede (Istituto) più idonea a frequentare i corsi scolastici e a sostenere gli esami. Quanto al secondo profilo lesivo, riveniente dalla norma legislativa censurata, esso rileverebbe con riferimento al principio di autonomia delle Istituzioni scolastiche – nella specie rafforzato per gli Istituti paritari in ragione della loro natura privata e della garanzia della libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.- e al principio ormai indeclinabile, dopo la legge n. 62 del 2000, della parità tra Istituzioni statali e Istituzioni paritari.

Si soggiunge, sotto altro verso, che la disciplina della parità delle scuole non statali, proclamato dall’art. 33, comma 4, della Costituzione, impone l’obbligo di assicurare un trattamento scolastico equipollente rispetto alle istituzioni statali, che non si esaurisce nella possibilità per le scuole paritarie di rilasciare titoli di studio aventi valore legale, ma include tutta una serie di profili tra i quali la piena condizione di competitività con le scuole statali.

In tale quadro va opportunamente considerato che con la legge n. 62/2000 sulla parità scolastica:

– è stato istituito un sistema nazionale integrato di istruzione che colloca, accanto alle scuole statali, quelle private paritarie con una sostanziale identità di funzione e di ruolo nel perseguimento di fondamentali obiettivi di rilevanza costituzionale;

– è stato disegnato un sistema di prestazione dei servizi articolato, pluralistico e concorrenziale, individuando le famiglie come soggetti operativi nella scelta;

– è stata apprestata una varietà di strutture scolastiche che consentono, in armonia con i principi del pluralismo e della sussidiarietà (art. 118, u.c., Cost.), diversi modi per godere un diritto sociale quale quello all’istruzione

– in adeguamento dei principi di libera concorrenza, di libero mercato e di mobilità nelle prestazioni dei servizi stabiliti nei Trattati dell’Unione Europea, è stata assicurata l’istituzione di un sistema nazionale di istruzione che permetta l’espansione dell’offerta formativa, aprendosi alla partecipazione di tutti i soggetti operativi qualificati che, non solo italiani, ma anche di provenienza europea, intendano concorrere alla realizzazione delle finalità che la legge stabilisce.

12.- La questione di legittimità, come prospettata, appare rilevante e non manifestamente infondata.

13.- In punto di rilevanza è agevole osservare come le circolari impugnate (rispettivamente con il secondo dei motivi aggiunti dei ric. n. 773/2005 e con il ric. n. 107/2006) costituiscano applicazione della norma del decreto legislativo sospettata di incostituzionalità. Di conseguenza, la declaratoria di non conformità della norma ai parametri costituzionali priverebbe di fondamento legale dette circolari, determinandone la caducazione.

14.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che giustifica il vaglio di costituzionalità della norma legislativa, valgano le seguenti considerazioni.

15.- Come si è premesso, in attuazione della delega conferita con la l. 28 marzo 2003, n. 53, è stato emanato il d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, con il quale sono state poste le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione.

L’art. 14 di detto decreto legislativo, intitolato “Esame di Stato”, dispone al suo quinto comma: “All’articolo 4, comma 4, della legge 10 dicembre 1997, n. 425, il terzo periodo è sostituito dal seguente: “I candidati esterni sono ripartiti tra le diverse commissioni degli istituti statali e paritari ed il loro numero massimo non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni; nel caso non vi sia la possibilità di assegnare i candidati esterni alle predette commissioni possono essere costituite, soltanto preso gli istituti statali, commissioni apposite”.

La norma in questione ha, in parte, ribadito la pregressa disciplina dettata con l’art. 4, comma 4, della legge n. 425/1997 (contenente la riforma dell’esame di Stato dei corsi di studi di istruzione secondaria superiore), e cioè che il numero dei candidati esterni (c.d. privatisti) alle commissioni d’esame di Stato funzionanti presso gli Istituti statali e quelli paritari, non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni; ha anche disposto che il superamento dell’anzidetta percentuale consente la costituzione di apposite commissioni di candidati esterni, ma – e in ciò consta il profilo innovativo della norma- “soltanto presso gli istituti statali”.

Come si evidenzia in ricorso, la previsione del decreto legislativo (nella parte relativa alla configurazione di commissioni esaminatrici solo presso gli istituti statali) non solo non è autorizzata dal legislatore delegante (ma di questo si dirà più diffusamente oltre), ma sembra porsi in contrasto con la direttrice fondamentale dell’art. 1 della legge delega, che individua l’obiettivo della normazione delegata in quello di “favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei limiti dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione”.

Invero, si soggiunge e condivisibilmente, se tra i valori-obiettivo prefissati dalla legge delega viene indicata la libertà di scelta dello studente, “quale espressione qualificante della libertà di autodeterminazione del giovane cittadino” (identità di ciascuno), nonché la libertà di scelta delle famiglie (scelte educative della famiglia), implicante la valutazione “della sede (Istituto) più idonea per frequentare i corsi scolastici e sostenere gli esami”, deve convenirsi sul fatto che la norma risulti dissonante rispetto a tali principi ispiratori, configurandosi, alla stregua della metaforica ma efficace espressione difensiva, “un plateale e ingiustificato fuor d’opera”.

In tale situazione, si giustifica l’affermazione che il vincolo posto dalla norma, al verificarsi del superamento nella commissione d’esame di Stato della prevista percentuale numerica dei candidati interni, di far svolgere al candidato esterno l’esame presso un istituto statale, comprime la libertà di scelta dello studente, negandone “quell’autonomia decisionale che pure, in special modo nell’età della formazione della personalità, assurge a condizione imprescindibile per la realizzazione del valore del pieno sviluppo della persona umana sancito nell’art. 3, cpv., Cost.”.

16.- Oltre che per eccesso di delega, nel senso ora prospettato, la norma censurata non appare aderente al sistema costituzionale sotto i profili di seguito enunciati.

16.1.- Essa sembra anzitutto confliggere con l’art. 41 della Costituzione che afferma e tutela la libertà dell’iniziativa economica privata.

Occorre procedere dal dato che le scuole paritarie hanno un’indubbia connotazione imprenditoriale. Per effetto del riconoscimento della parità, queste scuole sono legittimate all’erogazione del servizio pubblico di istruzione. Ciò non toglie che, a differenze delle scuole statali, che sono enti pubblici non economici, le scuole paritarie sono gestite da soggetti e da enti privati che svolgono un’attività tipicamente d’impresa, come tale volta a ricavare vantaggi, economici o di altro tipo.

Orbene, una norma, quale quella oggetto del vaglio costituzionale, che discrimina le scuole paritarie, sia pure al superamento delle soglie numeriche fissate per la composizione della commissione dell’esame di Stato, escludendole dalla possibilità di costituire commissioni di soli candidati esterni, è certamente idonea ad offuscarne la considerazione presso la pubblica opinione, in termini di efficienza e di qualità del servizio pubblico erogabile da queste istituzioni scolastiche, con possibili e significative ricadute sul piano della loro sfera imprenditoriale.

Non è tanto, per come affermato in ricorso, che l’art. 14 del decreto legislativo n. 226/2005, ossia del novellato art. 4, coma 4, della legge n. 425/1997, vulnererebbe la posizione degli istituti privati in quanto “depauperati di introiti ed immotivatamente colpiti (ancorché dotati di strutture ampiamente ricettive e capienti) nella propria autonomia imprenditoriale”.

Invero, non è qui in questione (tale da ledere l’attività imprenditoriale di tali scuole) la perdita di profitti direttamente legata al divieto di costituire le commissioni de quibus, essendo noto che la partecipazione agli esami di Stato, da parte dei candidati privatisti, implica il solo pagamento di un tassa governativa, peraltro di modesta entità, che affluisce nelle casse dell’erario.

E’ invece in questione, in ciò più decisivamente incidendo sulla qualità imprenditoriale delle scuole paritarie, il fatto che le iscrizioni degli studenti alle scuole paritarie o statali, sia pure nel limitato ambito della partecipazione all’esame di Stato da parte di candidati esterni, non dipenda da variabili tipicamente correlate al “servizio istruzione” (piano dell’offerta formativa, programmi scolastici seguiti, modalità esplicative dell’autonomia scolastica, ect.), ma sia esclusivamente correlato a un mero dato numerico (il superamento della soglia percentuale ipotizzata dalla norma) senza peraltro alcuna considerazione della ricettività delle strutture scolastiche.

16.2.- La norma non sembra poi rispettosa dell’art. 33, comma 4, della Costituzione che ha introdotto l’istituto della parità scolastica, imponendo al legislatore, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, di assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

Come è noto, il sistema scolastico nazionale è storicamente transitato da un originario regime di separazione tra scuola pubblica e privata (rinvenibile fino ai primi due decenni del secolo scorso) a un regime di integrazione tra i due tipi di scuola (che ha riguardato specificamente la scuola privata paritaria), in linea peraltro con il disegno costituzionale prefigurato dall’art. 33,comma 4, della Costituzione [3].

E’ peraltro noto che solo con la l. 10 marzo 2000, n. 62 (legge di assoluto rilievo storico, che ha introdotte le “Norme per la parità scolastica”) sono state concretamente attuate le condizioni per il superamento del c.d. “regime di giustapposizione” (così definito dalla dottrina) tra l’istruzione fornita dalle scuole pubbliche e quella fornita dalla scuole private, e per il definitivo approdo all’integrazione tra scuola pubblica e paritaria privata, come prefigurato dalla norma costituzionale.

La creazione di un sistema nazionale integrato di istruzione comporta, come ben evidenziato in ricorso, che le scuole private paritarie si pongono accanto alle scuole pubbliche con una sostanziale identità di funzione e di ruolo nel perseguimento del fondamentale obiettivo dell’istruzione, obiettivo che è anche valore di assoluta rilevanza costituzionale.

Un sistema scolastico fondato sulla necessaria compresenza di scuola pubblica e privata, anzi come si è detto sulla loro integrazione, è un sistema coerente a un modello pluralistico che è autenticamente tale ove possa predicarsi una posizione di sostanziale parità (nel precitato significato di parità di identità di funzione e di ruolo) tra le distinte istituzioni scolastiche deputate all’erogazione del servizio pubblico dell’istruzione.

In tale quadro si iscrive e acquista significato il precetto costituzionale dell’art. 33 Cost. che, ponendo al legislatore ordinario il vincolo di assicurare agli alunni delle scuole paritarie “un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali”, sancisce una funzionale equivalenza tra le scuole statali e quelle paritarie. Sicché è affatto pertinente la considerazione difensiva che, per vincolo costituzionale, “la disciplina statale non può collocarsi al di sotto di un livello minimo di garanzia dell’equipollenza tra le scuole statali e quelle non statali”.

Va poi significativamente soggiunto, quanto all’ambito concettuale della riferita locuzione costituzionale “trattamento scolastico equipollente”, che di essa non va patrocinata un’interpretazione riduttivamente letterale nel senso che l’equipollenza consista nella sola legittimazione delle scuole non statali a rilasciare titolo di studio aventi valore legale.

Come condivisibilmente si sottolinea in ricorso, il livello di rilevanza delle scuole paritarie attiene a tutta una serie di profili, tra i quali la condizione di piena competitività con le scuole non statali.

Il trattamento scolastico equipollente non si arresta pertanto al mero riconoscimento del titolo di studio, ma implica anche un riconoscimento della qualità del servizio di istruzione erogato dall’istituzione scolastica paritaria da considerarsi alla stregua, e quindi né deteriore né inferiore, a quello proveniente dalla scuola statale.

A conferma dell’assunto che precede, è significativa la circostanza che, nel contesto dell’art. 1, comma 4, della legge n. 62/2000 [4], la parità scolastica viene in rilievo, al di là di situazione di status che abilita al rilascio di titoli di studio aventi valori legali, per i contenuti dell’attività prestata e la soggezione della scuola non statale che ne chiede il riconoscimento ai requisiti di qualità e di efficacia previsti dalla legge medesima.

Nella delineata situazione, dalla quale è possibile desumere che l’inserimento delle scuole paritarie private nel sistema nazionale di istruzione determina l’equivalenza di trattamento nel servizio di istruzione degli studenti tra le scuole private e quelle statali, una norma legislativa, quale quella all’esame, che impone, al verificarsi della condizione in essa prevista, la costituzione di “commissioni apposite” per i candidati esterni all’esame di Stato “soltanto presso gli istituti statali” è idonea a infrangere la disciplina costituzionale posta dal precitato quarto comma dell’art. 33 della Costituzione e a stridere con la legge n. 62 del 2000 che ha dato attuazione al precetto costituzionale sulla parità scolastica; è altresì idonea a violare il principio di uguaglianza posto dall’art. 3 della Costituzione, non ravvisandosi profili di razionalità atti a giustificare, nella sussistenza del sistema di integrazione tra scuola pubblica e paritaria privata, la limitazione del servizio di istruzione nei riguardi di quest’ultima.

In realtà, la perentoria statuizione della norma – che prescinde da ogni considerazione circa le capacità ricettive dell’istituzione paritaria e affida comunque, nel caso di candidati privatisti eccedentari la soglia percentuale indicata dalla norma stessa, lo svolgimento dell’esame di Stato alle commissioni funzionanti presso le scuole statali – è espressiva di un atteggiamento di sfiducia, o quanto meno di perplessità, da parte del legislatore statale nei riguardi delle istituzioni paritarie private, nel senso di reputare che solo presso le scuole statali l’esame di Stato, da parte di commissioni che abbiano a occuparsi di soli candidati esterni, possa svolgersi in rispondenza a canoni di efficienza e di qualità.

Una siffatta intentio legis svela però un evidente eccesso di potere del legislatore atteso che questi ometterebbe di considerare che il riconoscimento della parità scolastica implica, per necessità giuridica riveniente dal quadro costituzionale che ipotizza un sistema nazionale integrato di istruzione, che il servizio pubblico reso dalle scuole paritarie sia, sotto il profilo qualitativo, comparabilmente adeguato a quello prestato dalle scuole pubbliche.

Su tale premessa, non ha fondamento logico prima che giuridico inclinare a posizioni di valutazione pregiudiziale sul servizio ascrivibile alle scuole paritarie, sia pure nel ridotto ambito operativo qui esaminato.

La Sezione ritiene di dovere in proposito evidenziare – a ulteriore conferma di un debordante intervento del legislatore nazionale – che l’anzidetta valutazione vada adeguatamente operata ex ante, e cioè in sede di riconoscimento della parità scolastica, accertando, in capo alle istituzioni private richiedenti, il possesso dei requisiti appositamente prescritti dall’art. 1, comma 2, della legge n. 62/2000 (tra i quali, in particolare, i requisiti di “qualità ed efficacia” del servizio erogabile) e, all’esito dell’intervenuto riconoscimento, sottoponendo a verifica la permanenza di detti requisiti a mezzo di una costante e capillare attività di vigilanza, pure prevista dal comma sesto del medesimo art. 1.

17.- Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono – riuniti i ricorsi in epigrafe per come specificamente disposto in parte motiva e riservata la decisione del ricorso principale n.7737/2005 all’esito della definizione del presente incidente di costituzionalità – si solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, coma 5, del d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226 nella parte in cui, sostituendo il terzo periodo dell’art. 4, coma 4, della legge 10 dicembre 1997, n. 425, dispone che per l’eventuale configurazione di commissioni di esame di Stato formate di soli candidati privatisti, tali commissioni “possono essere costituite soltanto presso gli istituti statali”, per contrasto con i principi costituzionali desumibili dagli artt. 76, 41, 3 e 33, comma 4, della Costituzione.

Si dispone, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del presente giudizio ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimità costituzionale della predetta norma.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione terza- bis, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5, del d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, nella parte enunciata in motivazione, per contrasto con i principi costituzionali desumibili dagli artt. 76, 41, 3 e 33, comma 4, della Costituzione.

Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio.

Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 e 19 gennaio 2006.

Il presidente
dr. Saverio Corasaniti
Il consigliere est.
dr. Massimo L. Calveri

Depositata in Segreteria il 2 marzo 2006