Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Maggio 2005

Esortazione apostolica 16 ottobre 2003

Esortazione apostolica 16 maggio 2003: “Pastores gregis”.

(dal sito ufficiale della Santa Sede)

ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE PASTORES GREGIS DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
SUL VESCOVO SERVITORE DEL VANGELO DI GESÙ CRISTO PER LA SPERANZA DEL MONDO

INTRODUZIONE

1. I Pastori del gregge, nell’adempimento del loro ministero di Vescovi, sanno di poter contare su di una speciale grazia divina. Nel Pontificale Romano, durante la solenne preghiera d’ordinazione il Vescovo ordinante principale, dopo avere invocato l’effusione dello Spirito che regge e guida, ripete le parole, già presenti nell’antico testo della Tradizione Apostolica: « O Padre, che conosci i segreti dei cuori, concedi a questo tuo servo, da te eletto all’episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio ».1 Continua così ad essere adempiuta la volontà del Signore Gesù, il Pastore eterno che ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cfr Gv 20, 21) e ha voluto che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori sino alla fine dei secoli.2

L’immagine del Buon Pastore, così amata anche dalla primitiva iconografia cristiana, è stata ben presente ai Vescovi che, provenendo da tutto il mondo, si sono radunati, dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, per la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Presso la tomba dell’apostolo Pietro, essi hanno riflettuto insieme con me sulla figura del Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Tutti si sono trovati d’accordo nel ritenere che la figura di Gesù Buon Pastore costituisce l’immagine privilegiata a cui fare costante riferimento. Nessuno, infatti, può essere considerato pastore degno di tale nome « nisi per caritatem efficiatur unum cum Christo ».3 È questa la ragione fondamentale per cui « la figura ideale del Vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del Pastore che, configurato a Cristo nella santità della vita, si spende generosamente per la Chiesa affidatagli, portando contemporaneamente nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese sparse sulla terra (cfr 2 Cor 11, 28) ».4

La decima Assemblea del Sinodo dei Vescovi

2. Rendiamo, allora, grazie al Signore, perché ci ha concesso il dono di celebrare un’altra volta ancora un’Assemblea del Sinodo dei Vescovi e di fare in essa un’esperienza davvero profonda dell’essere-Chiesa. Celebrata nel clima ancora vivo del Grande Giubileo del Duemila, all’inizio del terzo millennio cristiano, la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi è giunta dopo una lunga serie di assemblee: quelle speciali, tutte accomunate dalla prospettiva dell’evangelizzazione nei diversi continenti, dall’Africa all’America, all’Asia, all’Oceania e all’Europa; e quelle ordinarie, le ultime delle quali hanno dedicato la loro riflessione all’abbondante ricchezza costituita nella Chiesa dalle diverse vocazioni suscitate dallo Spirito nel Popolo di Dio. In questa prospettiva, l’attenzione dedicata al ministero proprio dei Vescovi ha completato il quadro di quell’ecclesiologia di comunione e missione che sempre è necessario avere presente.

A tale riguardo, i lavori sinodali hanno fatto costante riferimento alla dottrina sull’episcopato e sul ministero dei Vescovi delineata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente nel capitolo terzo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e nel Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus. Di questa luminosa dottrina, che riassume e sviluppa i tradizionali elementi teologici e giuridici, il mio predecessore di v. m. Paolo VI poteva giustamente affermare: « A noi sembra che l’autorità episcopale esca dal Concilio rivendicata nella sua divina istituzione, confermata nella sua insostituibile funzione, avvalorata nelle sue pastorali potestà di magistero, di santificazione e di governo, onorata nella sua estensione alla Chiesa universale per via della comunione collegiale, precisata nella sua collocazione gerarchica, confortata nella corresponsabilità fraterna con gli altri Vescovi verso i bisogni universali e particolari della Chiesa e maggiormente associata in spirito di subordinata unione e solidale collaborazione col capo della Chiesa, centro costitutivo del Collegio episcopale ».5

Al tempo stesso, secondo quanto stabilito dal tema assegnato, i Padri sinodali hanno riconsiderato il proprio ministero alla luce della speranza teologale. Anche questo compito è subito apparso come singolarmente pertinente alla missione del pastore il quale, nella Chiesa, è anzitutto il portatore della testimonianza pasquale ed escatologica.

Una speranza fondata su Cristo

3. Compito, infatti, d’ogni Vescovo è annunziare al mondo la speranza, a partire dalla predicazione del Vangelo di Gesù Cristo: la speranza « non soltanto per ciò che riguarda le cose penultime, ma anche e soprattutto la speranza escatologica, quella che attende il tesoro della gloria di Dio (cfr Ef 1, 18), che supera tutto ciò che è mai entrato nel cuore dell’uomo (cfr 1 Cor 2, 9) e a cui non possono essere paragonate le sofferenze del tempo presente (cfr Rm 8, 18) ».6 La prospettiva della speranza teologale, insieme con quella della fede e della carità, deve informare interamente il ministero pastorale del Vescovo.

A lui, in particolare, spetta il compito di essere profeta, testimone e servo della speranza. Egli ha il dovere di infondere fiducia e di proclamare di fronte a chiunque le ragioni della speranza cristiana (cfr 1 Pt 3, 15). Il Vescovo è profeta, testimone e servo di tale speranza soprattutto dove più forte è la pressione di una cultura immanentistica, che emargina ogni apertura verso la trascendenza. Laddove manca la speranza, la fede stessa è messa in questione. Anche l’amore è affievolito dall’esaurirsi di questa virtù. La speranza, infatti, specialmente in tempi di crescente incredulità e indifferenza, è valido sostegno per la fede ed efficace incentivo per la carità. Essa trae la sua forza dalla certezza dell’universale volontà salvifica di Dio (cfr 1 Tim 2, 3) e della costante presenza del Signore Gesù, l’Emmanuele sempre con noi sino alla fine del mondo (cfr Mt 28, 20).

Soltanto con la luce e la consolazione che provengono dal Vangelo un Vescovo riesce a tenere viva la propria speranza (cfr Rm 15, 4) e ad alimentarla in quanti sono affidati alla sua premura di pastore. Egli, dunque, sarà imitatore della Vergine Maria, la Mater spei, che ha creduto nell’adempimento delle Parole del Signore (cfr Lc 1, 45). Poggiando sulla Parola di Dio e aggrappandosi saldamente alla speranza, che è come ancora sicura e salda che penetra nel cielo (cfr Ebr 6, 18-20), il Vescovo è in mezzo alla sua Chiesa sentinella vigile, profeta coraggioso, testimone credibile e servo fedele di Cristo, « speranza della gloria » (Col 1, 27), grazie al quale « non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno » (Ap 21, 4).

La Speranza nel fallimento delle speranze

4. Ciascuno ricorderà che le sessioni del Sinodo dei Vescovi si svolsero in giorni fortemente drammatici. Nell’animo dei Padri sinodali era ancora viva l’eco dei terribili eventi dell’11 settembre 2001, con il doloroso esito d’innumerevoli vittime innocenti e l’insorgere nel mondo di nuove, gravissime situazioni d’incertezza e di paura per la stessa civiltà umana e per il pacifico convivere delle nazioni. Si profilavano, così, ulteriori orizzonti di guerra e di morte che, aggiungendosi alle già esistenti situazioni di conflitto, mostravano in tutta la sua urgenza il bisogno di rivolgere al Principe della Pace l’invocazione perché i cuori degli uomini tornassero ad essere disponibili alla riconciliazione, alla solidarietà e alla pace.7

Insieme con la preghiera, l’Assemblea sinodale alzò la propria voce per condannare ogni forma di violenza e per indicarne le ultime radici nel peccato dell’uomo. Di fronte al fallimento delle speranze umane che, fondandosi su ideologie materialiste, immanentiste ed economiciste, tutto pretendono di misurare in termini di efficienza e di rapporti di forza e di mercato, i Padri sinodali hanno riaffermato la convinzione che solo la luce del Risorto e l’impulso dello Spirito Santo aiutano l’uomo ad appoggiare le proprie attese sulla speranza che non delude. Per questo hanno proclamato: « Non possiamo lasciarci intimidire dalle diverse forme di negazione del Dio vivente che cercano, più o meno scopertamente, di minare la speranza cristiana, a farne una parodia o a deriderla. Lo confessiamo nella gioia dello Spirito: Cristo è veramente risorto! Nella sua umanità glorificata, ha aperto l’orizzonte della vita eterna a tutti gli uomini che si convertono ».8

La certezza di questa professione di fede dev’essere tale da rendere di giorno in giorno più salda la speranza di un Vescovo, inducendolo a confidare che la bontà misericordiosa di Dio non smetterà mai di costruire strade di salvezza e di aprirle alla libertà d’ogni uomo. È la speranza ad incoraggiarlo a discernere, nel contesto dove svolge il suo ministero, i segni della vita capaci di sconfiggere i germi nocivi e mortali. È ancora la speranza a sostenerlo nel trasformare perfino i conflitti in occasioni di crescita, aprendoli alla riconciliazione. Sarà ancora la speranza in Gesù, Buon Pastore, a riempire il suo cuore di compassione inducendolo a piegarsi sul dolore di ogni uomo e donna che soffre, per lenirne le piaghe, conservando sempre la fiducia che la pecora smarrita possa essere ritrovata. In tal modo il Vescovo sarà sempre più luminosamente segno di Cristo, Pastore e Sposo della Chiesa. Agendo come padre, fratello e amico di ogni uomo, egli sarà accanto a ciascuno viva immagine di Cristo, nostra speranza,9 nel quale si adempiono tutte le promesse di Dio e sono portate a compimento tutte le attese della creazione.

Servi del Vangelo per la speranza del mondo

5. Disponendomi, dunque, a consegnare questa mia Esortazione apostolica, nella quale riprendo il patrimonio di riflessione maturato in occasione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dai primi Lineamenta all’Instrumentum Laboris, dagli interventi fatti in Aula dai Padri sinodali alle due Relazioni che li hanno introdotti e riassunti, dall’arricchimento di pensiero e di esperienza pastorale emerso nei circuli minores alle Propositiones, che mi sono state presentate a conclusione dei lavori sinodali perché offrissi alla Chiesa intera un apposito documento dedicato al tema sinodale del Vescovo, servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo,10 rivolgo il mio saluto fraterno e invio il bacio di pace a tutti i Vescovi che sono in comunione con questa Cattedra, affidata per primo a Pietro perché fosse garante dell’unità e, come è da tutti riconosciuto, presiedesse nell’amore.11

A voi, venerati e carissimi Fratelli, ripeto l’invito che, all’inizio del nuovo millennio, ho rivolto a tutta la Chiesa: Duc in altum! È anzi Cristo stesso che lo ripete ai Successori di quegli Apostoli che questo invito ascoltarono dalla sua viva voce e, fidandosi di Lui, partirono per la missione sulle strade del mondo: Duc in altum (Lc 5, 4). Alla luce di questo insistente invito del Signore, « noi possiamo rileggere il triplice munus affidatoci nella Chiesa: munus docendi, sanctificandi et regendi. Duc in docendo! “Annunzia la parola – diremmo con l’Apostolo –, insisti in ogni occasione, opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4, 2). Duc in sanctificando! Le reti che siamo chiamati a gettare tra gli uomini sono anzitutto i Sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori. Essi formano una sorta di rete salvifica, che libera dal male e conduce alla pienezza della vita. Duc in regendo! Come Pastori e veri Padri, coadiuvati dai Sacerdoti e dagli altri collaboratori, abbiamo il compito di radunare la famiglia dei fedeli e fomentare in essa la carità e la comunione fraterna. Per quanto si tratti d’una missione ardua e faticosa, nessuno si perda d’animo. Con Pietro e con i primi discepoli anche noi rinnoviamo fiduciosi la nostra sincera professione di fede: Signore, “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5, 5)! Sulla tua Parola, o Cristo, vogliamo servire il tuo Vangelo per la speranza del mondo! ».12

In questo modo, vivendo come uomini di speranza e rispecchiando nel proprio ministero l’ecclesiologia di comunione e di missione, i Vescovi saranno davvero motivo di speranza per il loro gregge. Noi sappiamo che il mondo ha bisogno della « speranza che non delude » (cfr Rm 5, 5). Noi sappiamo che questa speranza è Cristo. Lo sappiamo e perciò predichiamo la speranza che scaturisce dalla Croce.

Ave Crux spes unica! Questo saluto, risuonato nell’aula sinodale nel momento centrale dei lavori della X Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, risuoni sempre sulle nostre labbra, perché la Croce è mistero di morte e di vita. La Croce è divenuta per la Chiesa « albero della vita ». Per questo noi annunciamo che la vita ha vinto la morte.

Ci ha preceduto in questo annuncio pasquale una schiera di santi Pastori, che in medio Ecclesiae sono stati segni eloquenti del Buon Pastore. Noi, per questo, lodiamo e ringraziamo sempre Iddio onnipotente ed eterno perché, come cantiamo nella Santa Liturgia, con i loro esempi ci rafforza, con i loro insegnamenti ci ammaestra e con la loro intercessione ci protegge.13 Il volto di ciascuno di questi santi Vescovi, dagli esordi della vita della Chiesa sino ai nostri giorni, come ho detto a conclusione dei lavori sinodali, è quasi una tessera che, collocata in una sorta di mistico mosaico, compone il volto di Cristo Buon Pastore. Su di Lui, dunque, facendoci anche in questo modelli per il gregge che il Pastore dei Pastori ci ha affidato, fissiamo il nostro sguardo per essere, con sempre più grande impegno, ministri del Vangelo per la speranza del mondo.

Contemplando il volto del nostro Maestro e Signore nell’ora in cui « amò i suoi sino alla fine », tutti noi, come l’apostolo Pietro, ci lasciamo lavare i piedi per avere parte con Lui (cfr Gv 13, 1-9). E con la forza che da Lui ci viene nella Santa Chiesa, di fronte ai nostri presbiteri e diaconi, dinanzi a tutte le persone di vita consacrata e a tutti i carissimi fedeli laici, ripetiamo a voce alta: « Quali che siamo, la vostra speranza non sia riposta in noi: se siamo buoni, siamo ministri; se siamo cattivi, siamo ministri. Se, però, siamo ministri buoni e fedeli, allora davvero noi siamo ministri ».14 Ministri del Vangelo per la speranza del mondo.

CAPITOLO PRIMO

MISTERO E MINISTERO DEL VESCOVO

« … e ne scelse Dodici » (Lc 6, 13)

6. Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero.15 Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché « stessero con Lui » (Mc 3, 14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr Lc 6, 12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: « ne costituì Dodici » (Mc 3, 14). Si svela, così, il mistero dell’elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo.

La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr Mt 28, 20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.16

La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cfr At 1, 5.8; 2, 4; Gv 20, 22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell’imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l’imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell’esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori.17

Il fondamento trinitario del ministero episcopale

7. La dimensione cristologica del ministero pastorale, considerata in profondità, avvia alla comprensione del fondamento trinitario del ministero stesso. La vita di Cristo è trinitaria. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre e l’unto di Spirito Santo, mandato nel mondo; è Colui che, insieme col Padre, invia lo Spirito alla Chiesa. Questa dimensione trinitaria, che si manifesta in tutto il modo d’essere e di agire di Cristo, plasma anche l’essere e l’agire del Vescovo. A ragione quindi i Padri sinodali hanno esplicitamente voluto illustrare la vita e il ministero del Vescovo alla luce dell’ecclesiologia trinitaria contenuta nella dottrina del Concilio Vaticano II.

Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesù Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev’essere da tutti riverito.18 In rapporto a questa struttura simbolica, la cattedra episcopale, che specialmente nella tradizione della Chiesa dell’Oriente richiama l’autorità paterna di Dio, può essere occupata soltanto dal Vescovo. Da questa medesima struttura deriva per ogni Vescovo il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo, insieme con i presbiteri, collaboratori del Vescovo nel suo ministero, e con i diaconi, sulla via della salvezza.19 Viceversa, come ammonisce un antico testo, i fedeli debbono amare i Vescovi che sono, dopo Dio, padri e madri.20 Per questo, secondo un uso diffuso in alcune culture, la mano del Vescovo viene baciata come quella del Padre amorevole, dispensatore di vita.

Cristo è l’icona originale del Padre e la manifestazione della sua presenza misericordiosa tra gli uomini. Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa.21 C’è qui la fonte del ministero pastorale, per cui, come suggerisce lo schema omiletico proposto dal Pontificale Romano, le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all’unico ovile.

L’unzione dello Spirito Santo, infine, configurando il Vescovo a Cristo, lo abilita ad essere una viva continuazione del suo mistero a favore della Chiesa. Per tale caratterizzazione trinitaria del suo essere, nel suo ministero ogni Vescovo è impegnato a vegliare con amore su tutto il gregge, in mezzo al quale è posto dallo Spirito a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre, di cui rende presente l’immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, da cui è costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene l’umana debolezza.22

Carattere collegiale del ministero episcopale

8. « … ne costituì Dodici » (Mc 3, 14). La Costituzione dogmatica Lumen gentium introduce con questo richiamo evangelico la dottrina sull’indole collegiale del gruppo dei Dodici, costituiti « sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro ».23 In pari modo, attraverso la successione personale del Vescovo di Roma al Beato Pietro e di tutti i Vescovi nel loro insieme agli Apostoli, il Romano Pontefice e i Vescovi sono uniti fra di loro a modo di Collegio.24

L’unione collegiale tra i Vescovi è fondata, insieme, sull’Ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica; tocca pertanto la profondità dell’essere di ogni Vescovo e appartiene alla struttura della Chiesa come è stata voluta da Gesù Cristo. Si è posti, infatti, nella pienezza del ministero episcopale in virtù della Consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con i membri, cioè con il Collegio che sempre co-intende il suo Capo. È così che si è membri del Collegio episcopale,25 per cui le tre funzioni ricevute nell’Ordinazione episcopale – di santificare, di insegnare e di governare – debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa finalità immediata, in modo distinto.26

Ciò costituisce quello che è chiamato « affetto collegiale », o collegialità affettiva, da cui deriva la sollecitudine dei Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale.27 Se, dunque, si deve dire che un Vescovo non è mai solo, in quanto è sempre unito al Padre per il Figlio nello Spirito Santo, si deve pure aggiungere che egli non è mai solo anche perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell’episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro.

Tale affetto collegiale si attua e si esprime secondo gradi diversi in vari modi, anche istituzionalizzati, quali sono, ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, i Concili particolari, le Conferenze dei Vescovi, la Curia Romana, le Visite ad limina, la collaborazione missionaria, ecc. In modo pieno, però, l’affetto collegiale si attua e si esprime solo nell’azione collegiale in senso stretto, cioè nell’azione di tutti i Vescovi insieme con il loro Capo, con il quale esercitano la potestà piena e suprema su tutta la Chiesa.28

Questa natura collegiale del ministero apostolico è voluta da Cristo stesso. L’affetto collegiale, pertanto, o collegialità affettiva (collegialitas affectiva), vige sempre tra i Vescovi come communio episcoporum, ma solo in alcuni atti si esprime come collegialità effettiva (collegialitas effectiva). I vari modi di attuazione della collegialità affettiva in collegialità effettiva sono di ordine umano, ma in gradi diversi concretizzano l’esigenza divina che l’episcopato si esprima in modo collegiale.29 Nei Concili ecumenici, poi, la suprema potestà del Collegio su tutta la Chiesa viene esercitata in modo solenne.30

La dimensione collegiale dà all’episcopato il carattere d’universalità. Può, dunque, essere stabilito un parallelismo tra la Chiesa una e universale, quindi indivisa, e l’episcopato uno e indiviso, quindi universale. Principio e fondamento di tale unità, sia della Chiesa sia del Collegio dei Vescovi, è il Romano Pontefice. Come, infatti, insegna il Concilio Vaticano II, il Collegio, « in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del Popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l’unità del gregge di Cristo ».31 Per questo la « unità dell’Episcopato è uno degli elementi costitutivi dell’unità della Chiesa ».32

La Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, né una federazione di esse e, neppure, il risultato della loro comunione in quanto, secondo le espressioni degli antichi Padri e della Liturgia, nel suo essenziale mistero essa precede la creazione stessa.33 Alla luce di questa dottrina si potrà aggiungere che il rapporto di mutua interiorità, che vige tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare, per cui le Chiese particolari sono « formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica »,34 si riproduce nel rapporto tra Collegio episcopale nella sua totalità e il singolo Vescovo. Per questo « il Collegio episcopale non è da intendersi come la somma dei Vescovi preposti alle Chiese particolari, né il risultato della loro comunione, ma, in quanto elemento essenziale della Chiesa universale, è una realtà previa all’ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare ».35

Possiamo meglio comprendere questo parallelismo tra la Chiesa universale e il Collegio dei Vescovi alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II: « Gli Apostoli furono, dunque, ad un tempo il seme del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia ».36 Negli Apostoli, non singolarmente considerati, ma nel loro essere Collegio, era contenuta la struttura della Chiesa, che in loro era costituita nella sua universalità e unità, e del Collegio dei Vescovi loro successori, segno di tale universalità e unità.37

È così che « la potestà del Collegio episcopale su tutta la Chiesa non viene costituita dalla somma delle potestà dei singoli Vescovi sulle loro Chiese particolari; essa è una realtà anteriore a cui partecipano i singoli Vescovi, i quali non possono agire su tutta la Chiesa se non collegialmente ».38 A tale potestà d’insegnare e di governare i Vescovi partecipano solidalmente in maniera immediata per il fatto stesso che sono membri del Collegio episcopale, nel quale realmente persevera il Collegio apostolico.39

Come la Chiesa universale è una e indivisibile, così pure il Collegio episcopale è un « soggetto teologico indivisibile » e quindi anche la potestà suprema, piena e universale di cui il Collegio è soggetto, come lo è il Romano Pontefice personalmente, è una e indivisibile. Proprio perché il Collegio episcopale è una realtà previa all’ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare, vi sono molti Vescovi che, pur esercitando compiti propriamente episcopali, non sono a capo di una Chiesa particolare.40 Ogni Vescovo, sempre in unione con tutti i Fratelli nell’episcopato e con il Romano Pontefice, rappresenta Cristo Capo e Pastore della Chiesa: non solo in modo proprio e specifico, quando riceve l’ufficio di pastore di una Chiesa particolare, ma anche quando collabora col Vescovo diocesano nel governo della sua Chiesa,41 oppure partecipa all’ufficio di pastore universale del Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale. Erede del fatto che lungo la sua storia la Chiesa, oltre alla forma propria della presidenza di una Chiesa particolare, ha riconosciuto anche altre forme di esercizio del ministero episcopale, come quella di Vescovo ausiliare o di rappresentante del Romano Pontefice negli Uffici della Santa Sede o nelle Legazioni pontificie, anche oggi essa, a norma del diritto, ammette tali forme, quando si rendono necessarie.42

Indole missionaria e unitarietà del ministero episcopale

9. Il Vangelo secondo Luca riferisce che Gesù diede ai Dodici il nome di Apostoli, che letteralmente significa inviati, mandati (cfr 6, 13). Nel Vangelo secondo Marco leggiamo pure che Gesù costituì i Dodici « anche per mandarli a predicare » (3, 14). Ciò significa che tanto l’elezione quanto la costituzione dei Dodici come Apostoli sono finalizzate alla missione. Il primo loro invio (cfr Mt 10, 5; Mc 6, 7; Lc 9, 1-2) trova la sua pienezza nella missione che Gesù loro affida, dopo la Risurrezione, al momento dell’Ascensione al Cielo. Sono parole che conservano tutta la loro attualità: « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo » (Mt 28, 18-20). Questa missione apostolica ha avuto la sua solenne conferma nel giorno dell’effusione pentecostale dello Spirito Santo.

Nel testo del Vangelo secondo Matteo appena citato, l’intero ministero pastorale può essere visto come articolato secondo la triplice funzione d’insegnamento, di santificazione e di guida. Vediamo qui un riflesso della triplice dimensione del servizio e della missione di Cristo. Noi, difatti, come cristiani e, in modo qualitativamente nuovo, come sacerdoti, partecipiamo alla missione del nostro Maestro, che è Profeta, Sacerdote e Re, e siamo chiamati a rendergli una peculiare testimonianza nella Chiesa e dinanzi al mondo.

Queste tre funzioni (triplex munus) e le potestà che ne derivano esprimono sul piano dell’agire il ministero pastorale (munus pastorale), che ogni Vescovo riceve con la consacrazione episcopale. È lo stesso amore di Cristo, partecipato nella consacrazione, che si concretizza nell’annuncio del Vangelo di speranza a tutte le genti (cfr Lc 4, 16-19), nell’amministrazione dei Sacramenti a chi accoglie la salvezza e nella guida del Popolo santo verso la vita eterna. Si tratta, infatti, di funzioni tra loro intimamente connesse, che reciprocamente si spiegano, si condizionano e si illuminano.43

Proprio per questo, il Vescovo, quando insegna, al tempo stesso santifica e governa il Popolo di Dio; mentre santifica, anche insegna e governa; quando governa, insegna e santifica. Sant’Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium.44 Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Gesù Cristo.

« … chiamò a sé quelli che egli volle » (Mc 3, 13)

10. Molta folla seguiva Gesù, quando egli decise di salire sul monte e di chiamare a sé gli Apostoli. Molti erano i discepoli, ma Egli ne scelse Dodici soltanto per lo specifico compito di Apostoli (cfr Mc 3, 13-19). Nell’Aula Sinodale è spesso risuonato il detto di S. Agostino: « Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano ».45

Dono dello Spirito fatto alla Chiesa, il Vescovo è, anzitutto e come ogni altro cristiano, figlio e membro della Chiesa. Da questa Santa Madre egli ha ricevuto il dono della vita divina nel sacramento del Battesimo e il primo ammaestramento nella fede. Con tutti gli altri fedeli egli condivide l’insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità. D’altra parte, in forza della pienezza del sacramento dell’Ordine, il Vescovo è anche colui che, di fronte ai fedeli, è maestro, santificatore e pastore, incaricato di agire in nome e in persona di Cristo.

Si tratta, evidentemente, di due relazioni non semplicemente accostate fra loro, bensì in reciproco e intimo rapporto, ordinate come sono l’una all’altra perché entrambe attingono dalla ricchezza di Cristo unico e sommo sacerdote. Il Vescovo diventa « padre » proprio perché pienamente « figlio » della Chiesa. Ciò ripropone il rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale: due modi di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, nel quale sono presenti due dimensioni, che si uniscono nell’atto supremo del sacrificio della croce.

Questo si riflette sulla relazione che, nella Chiesa, vige tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Il fatto che, quantunque differiscano essenzialmente tra di loro, siano ordinati l’uno all’altro,46 crea una reciprocità che struttura armonicamente la vita della Chiesa come luogo di attualizzazione storica della salvezza operata da Cristo. Tale reciprocità si ritrova proprio nella persona stessa del Vescovo, che è e rimane un battezzato, ma costituito nel sommo sacerdozio. Questa realtà più profonda del Vescovo è il fondamento del suo « essere tra » gli altri fedeli e del suo essere « di fronte » ad essi.

Lo ricorda il Concilio Vaticano II in un bellissimo testo: « Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio (cfr 2 Pt 1, 1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli per l’edificazione del Corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del Popolo di Dio, include l’unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da un comune necessario rapporto: i Pastori della Chiesa sull’esempio del Signore siano al servizio gli uni degli altri e degli altri fedeli e questi a loro volta prestino volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai dottori ».47

Il ministero pastorale ricevuto nella consacrazione, che pone il Vescovo « di fronte » agli altri fedeli, si esprime in un « essere per » gli altri fedeli che non lo sradica dal suo « essere con » loro. Ciò vale sia per la sua santificazione personale, da ricercare ed attuare nell’esercizio del suo ministero, sia per lo stile di attuazione del ministero stesso in tutte le funzioni in cui si esplica.

La reciprocità, che esiste tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale, e che si ritrova nello stesso ministero episcopale, si manifesta in una sorta di « circolarità » tra le due forme di sacerdozio: circolarità tra la testimonianza di fede di tutti i fedeli e la testimonianza di fede autentica del Vescovo nei suoi atti magisteriali; circolarità tra la vita santa dei fedeli e i mezzi di santificazione che il Vescovo offre ad essi; circolarità, infine, tra la responsabilità personale del Vescovo riguardo al bene della Chiesa a lui affidata e la corresponsabilità di tutti i fedeli rispetto al bene della stessa.

CAPITOLO SECONDO

LA VITA SPIRITUALE DEL VESCOVO

« Ne costituì Dodici che stessero con lui » (Mc 3, 14)

11. Con il medesimo atto d’amore con il quale liberamente li costituisce Apostoli, Gesù chiama i Dodici a condividere la sua stessa vita. Anche questa condivisione, che è comunione di animi e d’intenti con Lui, è pertanto un’esigenza iscritta nella loro partecipazione alla sua stessa missione. Non si devono ridurre le funzioni del Vescovo ad un compito meramente organizzativo. Proprio per evitare questo rischio, sia i documenti preparatori del Sinodo sia molti interventi in Aula dei Padri sinodali hanno insistito su ciò che comporta, nella vita personale del Vescovo e nell’esercizio del ministero a lui affidato, la realtà dell’episcopato come pienezza del sacramento dell’Ordine, nei suoi fondamenti teologici, cristologici e pneumatologici.

Alla santificazione oggettiva, che per opera di Cristo si ha nel Sacramento con la comunicazione dello Spirito, deve corrispondere la santità soggettiva, nella quale il Vescovo, con il sostegno della grazia, sempre più deve progredire attraverso l’esercizio del ministero. La trasformazione ontologica operata dalla consacrazione, come conformazione a Cristo, richiede uno stile di vita che manifesti lo « stare con lui ». Varie volte, di conseguenza, nell’Aula del Sinodo si è insistito sulla carità pastorale, come frutto sia del carattere impresso dal Sacramento sia della grazia ad esso propria. La carità, si è detto, è come l’anima del ministero del Vescovo, che viene coinvolto in un dinamismo di pro-existentia pastorale, da cui è spinto a vivere, come Cristo Buon Pastore, per il Padre e per gli altri, nel dono quotidiano di sé.

È soprattutto nell’esercizio del proprio ministero, ispirato all’imitazione della carità del Buon Pastore, che il Vescovo è chiamato a santificarsi e a santificare, avendo come principio unificante la contemplazione del volto di Cristo e l’annunzio del vangelo della salvezza.48 La sua spiritualità, pertanto, oltre che dal sacramento del Battesimo e della Confermazione, attinge orientamenti e stimoli dalla stessa Ordinazione episcopale che lo impegna a vivere nella fede, nella speranza e nella carità il proprio ministero di evangelizzatore, di liturgo e di guida nella comunità. Quella del Vescovo sarà allora anche una spiritualità ecclesiale, perché tutto nella sua vita è orientato all’edificazione amorosa della Santa Chiesa.

Ciò esige nel Vescovo un atteggiamento di servizio improntato a forza d’animo, coraggio apostolico e fiducioso abbandono all’azione interiore dello Spirito. Egli pertanto si impegnerà ad assumere uno stile di vita che imiti la kénosis di Cristo servo, povero e umile, in modo che l’esercizio del ministero pastorale sia in lui un riflesso coerente di Gesù, Servo di Dio, e lo induca ad essere come Lui vicino a tutti, dal più grande al più piccolo. Insomma, ancora una volta con una sorta di reciprocità, l’esercizio fedele e amorevole del ministero santifica il Vescovo e lo rende sul piano soggettivo sempre più conforme alla ricchezza ontologica di santità che in lui ha posto il Sacramento.

La santità personale del Vescovo, tuttavia, non si ferma mai ad un livello solo soggettivo perché, nella sua efficacia, ridonda sempre a beneficio dei fedeli, affidati alla sua cura pastorale. Nella pratica della carità, come contenuto del ministero pastorale ricevuto, il Vescovo diventa segno di Cristo e acquista quell’autorevolezza morale di cui l’esercizio dell’autorità giuridica ha bisogno per poter efficacemente incidere sull’ambiente. Se, infatti, l’ufficio episcopale non poggia sulla testimonianza della santità manifestata nella carità pastorale, nell’umiltà e nella semplicità di vita, finisce per ridursi ad un ruolo quasi soltanto funzionale e perde fatalmente di credibilità presso il Clero ed i fedeli.

Vocazione alla santità nella Chiesa del nostro tempo

12. Un’immagine biblica sembra particolarmente adatta per illuminare la figura del Vescovo quale amico di Dio, pastore e guida del popolo. È la figura di Mosè. Guardando a lui, il Vescovo può trarre ispirazione nel suo essere ed agire di pastore, scelto e inviato dal Signore, coraggioso nel precedere il suo popolo verso la terra promessa, fedele interprete della parola e della legge del Dio vivente, mediatore dell’Alleanza, ardente e fiducioso nella preghiera in favore della sua gente. Come Mosè, che dopo il colloquio con il Signore sulla santa montagna tornò in mezzo al suo popolo con il volto raggiante (cfr Es 34, 29-30), anche il Vescovo potrà portare tra i suoi fratelli i segni del suo essere padre, fratello ed amico soltanto se sarà entrato nella nube oscura e luminosa del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Illuminato dalla luce della Trinità, egli sarà segno della bontà misericordiosa del Padre, viva immagine della carità del Figlio, trasparente uomo dello Spirito, consacrato e inviato per guidare il Popolo di Dio sui sentieri del tempo nel pellegrinaggio verso l’eternità.

I Padri sinodali hanno messo in luce l’importanza dell’impegno spirituale nella vita, nel ministero e nel cammino del Vescovo. Io stesso ho indicato questa priorità in sintonia con le esigenze della vita della Chiesa e l’appello dello Spirito Santo, che in questi anni ha richiamato a tutti il primato della grazia, la diffusa esigenza di spiritualità, l’urgenza di testimoniare la santità.

Il richiamo alla spiritualità scaturisce dal riferimento all’azione dello Spirito Santo nella storia della salvezza. La sua è una presenza attiva e dinamica, profetica e missionaria. Il dono della pienezza dello Spirito Santo, che il Vescovo riceve nell’Ordinazione episcopale, è un prezioso e urgente richiamo ad assecondarne l’azione nella comunione ecclesiale e nella missione universale.

Celebrata dopo il Grande Giubileo del 2000, l’Assemblea sinodale ha sin dal principio fatto proprio il progetto di una vita santa, che io stesso ho indicato alla Chiesa intera: « La prospettiva entro cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità… Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai un’urgenza della pastorale ».49 L’accoglienza entusiastica e generosa del mio appello a mettere al primo posto la vocazione alla santità, è stata l’atmosfera nella quale si sono svolti i lavori sinodali e il clima che, in qualche maniera, ha unificato gli interventi e le riflessioni dei Padri. Essi sentivano echeggiare nei loro cuori il monito di san Gregorio Nazianzeno: « Prima purificarsi e poi purificare, prima lasciarsi istruire dalla sapienza e poi istruire, prima diventare luce e poi illuminare, prima avvicinarsi a Dio e poi condurvi gli altri, prima essere santi e poi santificare ».50

Per questa ragione, dall’Assemblea sinodale si è più volte levato l’invito a individuare con chiarezza la specificità « episcopale » del cammino di santità di un Vescovo. Sarà sempre una santità vissuta con il popolo e per il popolo, in una comunione che diventa stimolo e reciproca edificazione nella carità. Né si tratta d’istanze secondarie, o marginali. È proprio la vita spirituale del Vescovo, infatti, che favorisce la fecondità della sua opera pastorale. Non sta forse nella meditazione assidua del mistero di Cristo, nella contemplazione appassionata del suo volto, nell’imitazione generosa della vita del Buon Pastore il fondamento di ogni pastorale efficace? Se è vero che il nostro è tempo di continuo movimento e spesso anche di agitazione col facile rischio del « fare per fare », allora il Vescovo per primo deve mostrare, con l’esempio della propria vita, che occorre ristabilire il primato dell’« essere » sul « fare » e, ancora di più, il primato della grazia, che nella visione cristiana della vita è pure principio essenziale per una « programmazione » del ministero pastorale.51

Il cammino spirituale del Vescovo

13. Un Vescovo può ritenersi davvero ministro della comunione e della speranza per il Popolo santo di Dio solo quando cammina alla presenza del Signore. Non è possibile, infatti, essere al servizio degli uomini senza prima essere « servi di Dio ». E servi di Dio non si può essere se non si è « uomini di Dio ». Perciò nell’omelia dell’inizio del Sinodo ho detto: « Il Pastore deve essere uomo di Dio; la sua esistenza e il suo ministero stanno interamente sotto la sua gloria divina e traggono dal sovraeminente mistero di Dio luce e vigore ».52

La chiamata alla santità è insita, per il Vescovo, nello stesso evento sacramentale che è all’origine del suo ministero, ossia l’Ordinazione episcopale. L’antico Eucologio di Serapione formula in questi termini l’invocazione rituale della consacrazione: « Dio di verità fa’ del tuo servitore un Vescovo vivente, un Vescovo santo nella successione dei santi Apostoli ».53 Poiché, tuttavia, l’Ordinazione episcopale non infonde la perfezione delle virtù, « il Vescovo è chiamato a proseguire il suo cammino di perfezione con maggiore intensità, per giungere alla statura di Cristo, Uomo perfetto ».54

La stessa indole cristologica e trinitaria del suo mistero e ministero esige per il Vescovo un cammino di santità, che consiste nell’avanzamento progressivo verso una sempre più profonda maturità spirituale ed apostolica, segnata dal primato della carità pastorale. Un cammino evidentemente vissuto insieme con il suo popolo, in un itinerario che è al tempo stesso personale e comunitario, come la vita stessa della Chiesa. In questo cammino, però, il Vescovo diventa, in intima comunione con Cristo e attenta docilità allo Spirito, testimone, modello, promotore e animatore. Così si esprime pure la legge canonica: « Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santità nella carità, nell’umiltà e nella semplicità di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale ».55

Il cammino spirituale del Vescovo, come quello d’ogni fedele cristiano, ha certamente la sua radice nella grazia sacramentale del Battesimo e della Confermazione. Questa grazia lo accomuna a tutti i fedeli, poiché, come avverte il Concilio Vaticano II, « tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità ».56 Vale specialmente in questo caso la notissima affermazione di sant’Agostino, ricca di realismo e di sapienza soprannaturale: « Se mi atterrisce l’essere per voi, mi consola l’essere con voi. Perché per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quello è il nome di una carica, questo di una grazia; quello è il nome di un pericolo, questo della salvezza ».57 Tuttavia, grazie alla carità pastorale, la carica diventa servizio e il pericolo si trasforma in opportunità di crescita e di maturazione. Il ministero episcopale non è solo fonte di santità per gli altri, ma è già motivo di santificazione per colui che lascia passare attraverso il proprio cuore e la propria vita la carità di Dio.

I Padri sinodali hanno sintetizzato alcune esigenze di questo cammino. Anzitutto hanno richiamato il carattere battesimale e crismale, che sin dal principio dell’esistenza cristiana, mediante le virtù teologali, rende capaci di credere in Dio, di sperare in Lui e di amarlo. Lo Spirito Santo, per parte sua, infonde i suoi doni favorendo la crescita nel bene attraverso l’esercizio delle virtù morali, che danno concretezza anche umana alla vita spirituale.58 In forza del Battesimo che ha ricevuto, il Vescovo partecipa, come ogni cristiano, alla spiritualità che è radicata nell’incorporazione al Cristo e che si manifesta nella sua sequela secondo il Vangelo. Per questo egli condivide la vocazione di tutti i fedeli alla santità. Deve quindi coltivare una vita di preghiera e di fede profonda e riporre in Dio tutta la sua fiducia, offrendo la sua testimonianza al Vangelo in docile obbedienza ai suggerimenti dello Spirito Santo e riservando una particolare e filiale devozione alla Vergine Maria, che è perfetta maestra di vita spirituale.59

La spiritualità del Vescovo sarà, pertanto, una spiritualità di comunione, vissuta in sintonia con tutti gli altri battezzati, figli insieme con lui dell’unico Padre nel cielo e dell’unica Madre sulla terra, la Santa Chiesa. Come tutti i credenti in Cristo, egli ha bisogno di alimentare la sua vita spirituale nutrendosi della viva ed efficace parola del Vangelo e del pane di vita della santa Eucaristia, cibo di vita eterna. A causa dell’umana fragilità, anche il Vescovo è chiamato a ricorrere con frequenza e ritmi regolari al sacramento della Penitenza per ottenere il dono di quella misericordia, di cui pure è divenuto ministro. Consapevole, dunque, della propria umana debolezza e dei propri peccati, ogni Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti, vive anzitutto per se stesso il sacramento della Riconciliazione, come una esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare slancio al proprio impegno di santificazione nell’esercizio del ministero. In tal modo egli esprime anche visibilmente il mistero di una Chiesa in se stessa santa, ma composta anche di peccatori bisognosi di essere perdonati.

Come tutti i sacerdoti e, ovviamente, in speciale comunione con i sacerdoti del presbiterio diocesano, il Vescovo si impegnerà a percorrere uno specifico cammino di spiritualità. Egli, infatti, è chiamato alla santità pure per il nuovo titolo che deriva dall’Ordine sacro. Il Vescovo, perciò, vive di fede, speranza e carità in quanto è ministro della parola del Signore, della santificazione e del progresso spirituale del Popolo di Dio. Egli dev’essere santo perché deve servire la Chiesa come maestro, santificatore e guida. Come tale egli deve anche profondamente e intensamente amare la Chiesa. Ogni Vescovo è conformato a Cristo per amare la Chiesa con l’amore di Cristo sposo e per essere, nella Chiesa, ministro della sua unità, per fare cioè della Chiesa « un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».60

La specifica spiritualità del Vescovo, i Padri sinodali lo hanno sottolineato ripetutamente, si arricchisce ulteriormente dell’apporto di grazia insito nella pienezza del Sacerdozio, a lui conferita nel momento dell’Ordinazione. In quanto pastore del gregge e servitore del Vangelo di Gesù Cristo nella speranza, il Vescovo deve riflettere e fare come trasparire in se medesimo la persona stessa di Cristo, Pastore supremo. Nel Pontificale Romano questo impegno è esplicitamente richiamato: « Ricevi la mitra, e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria ».61

Per questo il Vescovo ha un costante bisogno della grazia di Dio, che rafforzi e perfezioni la sua natura umana. Egli può affermare con l’apostolo Paolo: « La nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza » (2 Cor 3, 5-6). Lo si deve, perciò, sottolineare: il ministero apostolico è una sorgente di spiritualità per il Vescovo, il quale deve attingere da esso le risorse spirituali che lo fanno crescere nella santità e gli permettono di scoprire l’azione dello Spirito Santo nel Popolo di Dio affidato alle sue sollecitudini pastorali.62

Il cammino spirituale del Vescovo coincide, in questa prospettiva, con la stessa carità pastorale, che a buon diritto dev’essere ritenuta come l’anima del suo apostolato, come lo è anche di quello del presbitero e del diacono. Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè, che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e che si spende perciò totalmente nell’adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli. Giustamente, al riguardo, il Concilio Vaticano II afferma che i Pastori, a immagine di Cristo, devono con santità e slancio, con umiltà e fortezza compiere il proprio ministero, « il quale, così adempiuto, sarà anche per loro un eccellente mezzo di santificazione ».63 Nessun Vescovo può ignorare che il vertice della santità rimane Cristo Crocifisso, nella sua suprema donazione al Padre e ai fratelli nello Spirito Santo. Per questo la configurazione a Cristo e la partecipazione alle sue sofferenze (cfr 1 Pt 4, 13) diventa la via regale della santità del Vescovo in mezzo al suo popolo.

Maria, Madre della speranza e maestra di vita spirituale

14. Sostegno della vita spirituale sarà anche per il Vescovo la presenza materna della Vergine Maria, Mater spei et spes nostra, come l’invoca la Chiesa. Per Maria, dunque, il Vescovo nutrirà una devozione autentica e filiale, sentendosi chiamato a fare proprio il suo fiat, a rivivere e attualizzare ogni giorno l’affidamento che Gesù fece di Maria, in piedi presso la Croce, al Discepolo e del Discepolo amato a Maria (cfr Gv 19, 26-27). Ugualmente il Vescovo è chiamato a rispecchiarsi nella preghiera unanime e perseverante dei discepoli ed apostoli del Figlio con la Madre sua, in preparazione alla Pentecoste. In questa icona della Chiesa nascente si esprime il legame indissolubile fra Maria e i successori degli Apostoli (cfr At 1, 14).

La santa Madre di Dio sarà quindi per il Vescovo maestra nell’ascolto e nella pronta esecuzione della Parola di Dio, nel discepolato fedele verso l’unico Maestro, nella stabilità della fede, nella fiduciosa speranza e nell’ardente carità. Come Maria, « memoria » dell’Incarnazione del Verbo nella prima comunità cristiana, il Vescovo sarà custode e tramite della Tradizione vivente della Chiesa, nella comunione con tutti gli altri Vescovi, in unione e sotto l’autorità del Successore di Pietro.

La solida devozione mariana del Vescovo farà costante riferimento alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa modello esemplare di ascolto e di preghiera, di offerta e di maternità spirituale. Sarà, anzi, compito del Vescovo fare sì che la Liturgia appaia sempre « quale “forma esemplare”, fonte di ispirazione, costante punto di riferimento e meta ultima » per la pietà mariana del Popolo di Dio.64 Fermo restando questo principio, anche il Vescovo nutrirà la sua pietà mariana personale e comunitaria con i pii esercizi approvati e raccomandati dalla Chiesa, specialmente con la recita di quel compendio del Vangelo che è il Santo Rosario. Esperto di questa preghiera, tutta incentrata sulla contemplazione degli eventi salvifici della vita di Cristo, cui fu strettamente associata la sua santa Madre, ogni Vescovo è invitato a esserne anche solerte promotore.65

Affidarsi alla Parola

15. L’Assemblea del Sinodo dei Vescovi ha indicato alcuni mezzi necessari per nutrire e fare progredire la propria vita spirituale.66 Tra questi c’è, al primo posto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi affidato « al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati » (At 20, 32). Prima, perciò, d’essere trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa,67 deve essere ascoltatore della Parola. Egli dev’essere come « dentro » la Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da un grembo materno. Insieme con sant’Ignazio d’Antiochia, anche il Vescovo ripete: « Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo ».68 Ogni Vescovo, pertanto, avrà sempre presente per se stesso quella nota ammonizione di san Girolamo, ripresa pure dal Concilio Vaticano II: « L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo ».69 Non c’è, difatti, primato della santità senza ascolto della Parola di Dio, che della santità è guida e nutrimento.

L’affidarsi alla Parola di Dio e il custodirla, come la Vergine Maria che fu Virgo audiens,70 comporta il mettere in pratica alcuni aiuti, che la tradizione e l’esperienza spirituale della Chiesa non hanno mai mancato di suggerire. Si tratta, anzitutto, della frequente lettura personale e dello studio attento e assiduo della Sacra Scrittura. Un Vescovo sarebbe vano predicatore della Parola all’esterno, se prima non l’ascoltasse dall’interno.71 Senza il contatto frequente con la Sacra Scrittura, un Vescovo sarebbe pure ministro poco credibile della speranza, se è vero, come ricorda san Paolo che « in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza » (Rm 15, 4). È, dunque, sempre valido ciò che scriveva Origene: « Sono queste le due attività del Pontefice: o imparare da Dio, leggendo le Scritture divine e meditandole più volte, o ammaestrare il popolo. Però, insegni le cose che egli stesso ha imparato da Dio ».72

Il Sinodo ha richiamato l’importanza della lectio e della meditatio della Parola di Dio nella vita dei Pastori e nel loro stesso ministero a servizio della comunità. Come ho scritto nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, « è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza ».73 Negli spazi della meditazione e della lectio, il cuore che ha già accolto la Parola si apre alla contemplazione dell’agire di Dio e, di conseguenza, alla conversione a Lui dei pensieri e della vita, accompagnata dalla richiesta supplice del suo perdono e della sua grazia.

Nutrirsi dell’Eucaristia

16. Come, poi, il mistero pasquale sta al centro della vita e della missione del Buon Pastore, così anche l’Eucaristia è al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote.

Con la celebrazione quotidiana della Santa Messa, egli offre se stesso insieme con Cristo. Quando, poi, questa celebrazione avviene nella Cattedrale, o nelle altre chiese, specialmente parrocchiali, con il concorso e la partecipazione attiva dei fedeli, il Vescovo appare sotto gli occhi di tutti qual è, ossia come il Sacerdos et Pontifex, poiché agisce nella persona di Cristo e nella potenza del suo Spirito, e come lo hiereus, il sacerdote santo, occupato nell’operare i sacri misteri dell’altare, che annuncia e spiega con la predicazione.74

L’amore del Vescovo verso la Santa Eucaristia si esprime pure quando, nel corso della giornata, dedica parte anche abbastanza prolungata del proprio tempo all’adorazione davanti al Tabernacolo. Qui il Vescovo apre al Signore il suo animo, perché sia tutto pervaso e informato dalla carità effusa sulla Croce dal Pastore grande delle pecore, che per loro ha sparso il suo sangue e ha dato la propria vita. A Lui pure innalza la sua preghiera, continuando a intercedere per le pecore che gli sono state affidate.

La preghiera e la Liturgia delle Ore

17. Un secondo mezzo indicato dai Padri sinodali è la preghiera, in modo speciale quella elevata al Signore con la celebrazione della Liturgia delle Ore, che è specificamente e sempre preghiera della comunità cristiana nel nome di Cristo e sotto la guida dello Spirito.

La preghiera è in se stessa un particolare dovere per un Vescovo e per quanti hanno « avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, più disponibili all’esperienza contemplativa ».75 Il Vescovo stesso non può dimenticare di essere successore di quegli Apostoli che furono costituiti da Cristo anzitutto perché « stessero con lui » (Mc 3, 14) e che, all’inizio della loro missione, fecero una solenne dichiarazione, che è un programma di vita: « Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola » (At 6, 4). Il Vescovo, pertanto, riuscirà ad essere per i fedeli un maestro di preghiera solo se potrà contare sulla propria esperienza personale di dialogo con Dio. Egli deve potersi rivolgere a Dio in ogni momento con le parole del Salmista: « Io spero sulla tua parola » (Sal 119 [118], 114). Sarà proprio dalla preghiera che egli potrà attingere quella speranza con la quale deve come contagiare i fedeli. La preghiera, infatti, è il luogo privilegiato dove si esprime e si nutre la speranza poiché essa, secondo un’espressione di san Tommaso d’Aquino, è la « interprete della speranza ».76

Quella personale del Vescovo sarà in modo tutto speciale una preghiera tipicamente « apostolica », cioè presentata al Padre come intercessione per ogni necessità del popolo, che gli è stato affidato. Nel Pontificale Romano è questo l’ultimo impegno dell’eletto all’episcopato, prima che si proceda all’imposizione delle mani: « Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo Popolo santo ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio? ».77 In modo tutto particolare il Vescovo prega per la santità dei suoi sacerdoti, per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, perché nella Chiesa sempre più arda l’impegno missionario e apostolico.

Riguardo, poi, alla Liturgia delle Ore, destinata a consacrare e orientare il corso intero della giornata per mezzo della lode di Dio, come non ricordare le magnifiche espressioni del Concilio Vaticano II? « Quando a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti e altri a ciò deputati da un precetto della Chiesa, o i fedeli che pregano insieme col sacerdote nella forma approvata, allora è veramente la voce della sposa stessa che parla allo sposo, anzi è la preghiera di Cristo che, in unione al suo Corpo, eleva al Padre. Tutti coloro pertanto che compiono questo, adempiono l’obbligo della Chiesa e partecipano al sommo onore della sposa di Cristo perché, rendendo lode a Dio, stanno davanti al trono di Dio in nome della Madre Chiesa ».78 Scrivendo sulla preghiera del Divino Ufficio, il mio predecessore di v. m. Paolo VI, affermava che essa è « preghiera della Chiesa locale », nella quale si esprime « la vera natura della Chiesa orante ».79 Nella consecratio temporis che la Liturgia delle Ore realizza, si attua quella laus perennis che è anticipo e prefigurazione della Liturgia celeste, vincolo di unione con gli angeli e i santi che in eterno glorificano il nome di Dio. Tanto, dunque, un Vescovo si mostra e si realizza quale uomo di speranza, quanto s’inserisce nel dinamismo escatologico della preghiera del Salterio. Nei Salmi risuona la Vox sponsae che invoca lo Sposo.

Ogni Vescovo, quindi, prega con il suo popolo e prega per il suo popolo. Egli, però, è pure edificato ed aiutato dalla preghiera dei suoi fedeli, sacerdoti, diaconi, persone di vita consacrata e laici di tutte le età. In mezzo a loro il Vescovo è educatore e promotore della preghiera. Non soltanto trasmette le cose contemplate, ma apre ai cristiani la via stessa della contemplazione. Il noto motto del contemplata aliis tradere diviene, in tal modo, un contemplationem aliis tradere.

La via dei consigli evangelici e delle beatitudini

18. Per tutti i suoi discepoli, in modo speciale per coloro che già durante la loro vita terrena vogliono seguirlo più da vicino alla maniera degli Apostoli, il Signore propone la via dei consigli evangelici. Oltre che un dono della Trinità alla Chiesa, i consigli sono nel credente un riflesso della vita trinitaria.80 Lo sono in special modo nel Vescovo che, come successore degli Apostoli, è chiamato a seguire Cristo sulla strada della perfezione della carità. Per questo egli è consacrato come è consacrato Gesù. La sua vita è dipendenza radicale da Lui e totale trasparenza di Lui dinanzi alla Chiesa e al mondo. Nella vita del Vescovo deve risplendere la vita di Gesù e quindi la sua obbedienza al Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2, 8), il suo amore casto e verginale, la sua povertà che è libertà assoluta dinanzi ai beni terreni.

In questo modo i Vescovi possono con il loro esempio guidare non solo quelli che nella Chiesa sono stati chiamati alla sequela di Cristo nella vita consacrata, ma anche i presbiteri, ai quali pure è proposto il radicalismo della santità secondo lo spirito dei consigli evangelici. Tale radicalismo, del resto, chiama in causa tutti i fedeli, anche i laici, giacché esso « è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con Lui operata dallo Spirito ».81

Sul volto del Vescovo, insomma, i fedeli devono potere contemplare le qualità che sono dono della grazia e che nelle Beatitudini costituiscono quasi l’autoritratto di Cristo: il volto della povertà, della mitezza e della passione per la giustizia; il volto misericordioso del Padre e dell’uomo pacifico e pacificatore; il volto della purezza di chi guarda costantemente ed unicamente a Dio. I fedeli devono poter vedere nel loro Vescovo anche il volto di colui che rivive la compassione di Gesù verso gli afflitti e talvolta, come è avvenuto nella storia e ancora oggi avviene, il volto pieno di fortezza e di gioia interiore di chi è perseguitato a causa della verità del Vangelo.

La virtù dell’obbedienza

19. Portando su di sé questi tratti umanissimi di Gesù, il Vescovo diventa pure modello e promotore di una spiritualità di comunione, tesa con vigile attenzione a costruire la Chiesa, in modo che tutto, parole e opere, sia compiuto nel segno della sottomissione filiale in Cristo e nello Spirito all’amorevole disegno del Padre. In quanto maestro di santità e ministro della santificazione del suo popolo, il Vescovo è chiamato infatti ad adempiere fedelmente la volontà del Padre. L’obbedienza del Vescovo deve essere vissuta avendo come modello – né potrebbe essere diversamente – l’obbedienza stessa di Cristo, il quale ha affermato più volte di essere disceso dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (cfr Gv 6, 38; 8, 29; Fil 2, 7-8).

Camminando sulle orme di Cristo, il Vescovo è obbediente al Vangelo e alla Tradizione della Chiesa, sa leggere i segni dei tempi e riconoscere la voce dello Spirito Santo nel ministero petrino e nella collegialità episcopale. Nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis ho messo in luce il carattere apostolico, comunitario e pastorale dell’obbedienza presbiterale.82 Tali caratteristiche si ritrovano, com’è ovvio, in modo anche più marcato nell’obbedienza del Vescovo. La pienezza del sacramento dell’Ordine che egli ha ricevuto lo pone infatti in una speciale relazione col Successore di Pietro, con i membri del Collegio episcopale e con la stessa sua Chiesa particolare. Egli deve sentirsi impegnato a vivere intensamente questi rapporti con il Papa e con i confratelli Vescovi in uno stretto vincolo di unità e di collaborazione, rispondendo in tal modo al disegno divino che ha voluto unire inseparabilmente gli Apostoli intorno a Pietro. Questa comunione gerarchica del Vescovo con il Sommo Pontefice rafforza la sua capacità di rendere presente, in virtù dell’Ordine ricevuto, Cristo Gesù, Capo invisibile di tutta la Chiesa.

All’aspetto apostolico dell’obbedienza non può non aggiungersi anche l’aspetto comunitario, in quanto l’episcopato è per sua natura « uno e indiviso ».83 In forza di questa comunitarietà, il Vescovo è chiamato a vivere la sua obbedienza vincendo ogni tentazione individualistica e facendosi carico, nell’insieme della missione del Collegio episcopale, della sollecitudine per il bene di tutta la Chiesa.

Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresì attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa.84 Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un’obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale.85 Al riguardo, è sempre attuale l’esortazione che sant’Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: « Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio ».86

Lo spirito e la prassi della povertà nel Vescovo

20. I Padri sinodali, in segno di sintonia collegiale, hanno raccolto l’appello da me lanciato nella Liturgia d’apertura del Sinodo, perché la beatitudine evangelica della povertà fosse ritenuta come una delle condizioni necessarie per attuare, nell’odierna situazione, un fecondo ministero episcopale. Anche in questa circostanza, in mezzo all’assemblea dei Vescovi si è come stagliata la figura di Cristo Signore, che « ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni » e che invita anche la Chiesa, con i suoi pastori in primo luogo, « a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza ».87

Il Vescovo, perciò, che vuole essere autentico testimone e ministro del vangelo della speranza, deve essere vir pauper. Lo richiede la testimonianza che egli è tenuto a rendere a Cristo povero; lo richiede anche la sollecitudine della Chiesa verso i poveri, verso i quali è doverosa una scelta preferenziale. La decisione del Vescovo di vivere il proprio ministero nella povertà contribuisce decisamente a fare della Chiesa la « casa dei poveri ».

Tale decisione, inoltre, pone il Vescovo in una situazione di interiore libertà nell’esercizio del ministero consentendogli di comunicare efficacemente i frutti della salvezza. L’autorità episcopale deve essere esercitata con un’instancabile generosità e con un’inesauribile gratuità. Ciò richiede da parte del Vescovo una piena fiducia nella provvidenza del Padre celeste, una magnanima comunione di beni, un austero tenore di vita, una permanente conversione personale. Solo per questa via egli sarà capace di partecipare alle angosce e ai dolori del Popolo di Dio, che egli deve non solo guidare e nutrire, ma con il quale deve essere solidale, condividendone i problemi e contribuendo ad alimentarne la speranza.

Compirà questo servizio con efficacia se la sua vita sarà semplice, sobria e, insieme, attiva e generosa e se metterà coloro che sono ritenuti gli ultimi della nostra società non ai margini ma al centro della comunità cristiana.88 Quasi senza accorgersene, favorirà la « fantasia della carità », che metterà in evidenza più che l’efficacia dei soccorsi prestati, la capacità di vivere la condivisione fraterna. Infatti nella Chiesa apostolica, come ampiamente testimoniano gli Atti, la povertà di alcuni suscitava la solidarietà degli altri con il risultato sorprendente che « nessuno fra loro era bisognoso » (4, 34). La Chiesa è debitrice di questa profezia al mondo assediato dai problemi della fame e delle disuguaglianze fra i popoli. In questa prospettiva di condivisione e di semplicità il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il « buon padre di famiglia » e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri.

Essere procurator pauperum è stato sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio possono attendere una vita più degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall’esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella « opzione preferenziale per i poveri », che ho indicato come programma per il terzo millennio.89

Con la castità al servizio di una Chiesa che riflette la purezza di Cristo

21. « Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e nell’integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo ». Con queste parole, proclamate nel Pontificale Romano,90 il Vescovo è invitato a prendere coscienza dell’impegno che assume di riflettere in sé l’amore verginale di Cristo per tutti i suoi fedeli. Egli è chiamato innanzitutto a suscitare tra i fedeli rapporti vicendevoli ispirati a quel rispetto e a quella stima che si addicono ad una famiglia dove fiorisce l’amore secondo l’esortazione dell’apostolo Pietro: « Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati, non da un seme corruttibile ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva ed eterna » (1 Pt 1, 22-23).

Mentre con il suo esempio e con la sua parola egli esorta i cristiani ad offrire i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito e Dio (cfr Rm 12, 1), a tutti egli ricorda che « passa la scena di questo mondo » (1 Cor 7, 31), ed è perciò doveroso vivere « nell’attesa della beata speranza » del ritorno glorioso di Cristo (cfr Tt 2, 13). In particolare, nella sua sollecitudine pastorale egli è vicino con paterno affetto a quanti hanno abbracciato la vita religiosa nella professione dei consigli evangelici ed offrono il loro prezioso servizio alla Chiesa. Egli sostiene poi ed incoraggia i sacerdoti che, chiamati dalla grazia divina, hanno liberamente assunto l’impegno del celibato per il Regno dei cieli, richiamando a se stesso ed a loro le motivazioni evangeliche e spirituali di tale scelta, quanto mai importante per il servizio del Popolo di Dio. Nell’oggi della Chiesa e del mondo la testimonianza dell’amore casto costituisce, per un verso, una specie di terapia spirituale per l’umanità e, per l’altro, una contestazione dell’idolatria dell’istinto sessuale.

Nel presente contesto sociale, il Vescovo deve essere particolarmente vicino al suo gregge e innanzitutto ai suoi sacerdoti, paternamente attento alle loro difficoltà ascetiche e spirituali, prestando loro l’opportuno sostegno per favorirne la fedeltà alla vocazione ed alle esigenze di un’esemplare santità di vita nell’esercizio del ministero. Nei casi, poi, di gravi mancanze e, ancor più, di delitti che recano danno alla testimonianza stessa del Vangelo, specie quando accade da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno. Egli è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per la correzione e il bene spirituale del sacro ministro, sia per la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia, come pure per quanto riguarda la protezione e l’aiuto alle vittime.

Con la parola, con l’azione vigile e paterna il Vescovo adempie l’impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Operando in questo modo, il pastore precede il suo gregge come ha fatto Cristo, lo Sposo, che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l’esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale.

Animatore di una spiritualità di comunione e di missione

22. Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho posto in evidenza la necessità di « fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione ».91 L’osservazione ha avuto una vasta eco ed è stata ripresa nell’Assemblea sinodale. Ovviamente, il Vescovo per primo, nel suo cammino spirituale, ha il compito di farsi promotore e animatore di una spiritualità di comunione, adoperandosi instancabilmente per farne uno dei principi educativi di fondo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano: nella parrocchia, nelle associazioni cattoliche, nei movimenti ecclesiali, nelle scuole cattoliche, negli oratori. In particolar modo sarà cura del Vescovo di fare sì che la spiritualità della comunione emerga e si affermi laddove si educano i futuri presbiteri, cioè nei seminari, come pure nei noviziati religiosi, nelle case religiose, negli Istituti e nelle Facoltà teologiche.

I punti salienti di questa promozione della spiritualità di comunione li ho indicati sinteticamente nella stessa Lettera apostolica. Qui sarà sufficiente aggiungere che un Vescovo deve particolarmente incoraggiarla all’interno del suo presbiterio, come anche tra i diaconi, i consacrati e le consacrate. Lo farà nel dialogo e nell’incontro personali, ma anche negli incontri comunitari, per i quali egli non mancherà di favorire nella propria Chiesa particolare momenti speciali in cui meglio ci si disponga ad ascoltare lo Spirito « che parla alle Chiese » (Ap 2, 7.11 e al.). Tali sono i ritiri, gli esercizi spirituali e le giornate di spiritualità, come pure l’uso prudente anche dei nuovi strumenti della comunicazione sociale, se ciò risulta opportuno per una maggiore efficacia.

Coltivare una spiritualità di comunione vuol pure dire, per un Vescovo, alimentare la comunione col Romano Pontefice e con gli altri fratelli Vescovi, specialmente all’interno di una medesima Conferenza episcopale e Provincia ecclesiastica. Anche in questo caso, non da ultimo per superare il rischio della solitudine e dello scoraggiamento davanti all’enormità e alla sproporzione dei problemi, un Vescovo farà volentieri ricorso, oltre che alla preghiera, anche all’amicizia e alla comunione fraterna con i suoi Fratelli nell’episcopato.

La comunione nella sua sorgente e nel suo modello trinitari si esprime sempre nella missione. La missione è il frutto e la conseguenza logica della comunione. Si favorisce il dinamismo della comunione quando ci si apre agli orizzonti e alle urgenze della missione, garantendo sempre la testimonianza dell’unità affinché il mondo creda, e dilatando gli spazi dell’amore affinché tutti raggiungano la comunione trinitaria, dalla quale procedono e alla quale sono destinati. Quanto più è intensa la comunione, tanto più è favorita la missione, specialmente quando è vissuta nella povertà dell’amore, che è la capacità di muoversi incontro ad ogni persona, gruppo e cultura con la sola forza della Croce, spes unica e testimonianza suprema dell’amore di Dio, che si manifesta anche come amore di fraternità universale.

Un cammino che procede nel quotidiano

23. Il realismo spirituale induce a riconoscere che il Vescovo è chiamato a vivere la propria vocazione alla santità nel contesto di difficoltà esterne e interne, di debolezze proprie ed altrui, d’imprevisti quotidiani, di problemi personali e istituzionali. È una situazione, questa, costante nella vita dei pastori, della quale è testimone san Gregorio Magno quando constata con sofferenza: « Dopo che mi sono posto sulle spalle del cuore il fardello pastorale, l’animo non può assiduamente raccogliersi in se stesso, perché rimane diviso in molte cose. Infatti sono costretto a discutere ora le cause delle Chiese, ora quelle dei monasteri, spesso a interessarmi della vita e delle azioni dei singoli… E così mentre la mente, lacerata e dilaniata, è costretta a pensare a tante cose, quando può rientrare in se stessa per concentrarsi totalmente nella predicazione, senza tirarsi indietro dal ministero di annunziare la Parola? … La vita della sentinella dev’essere dunque sempre alta e vigilante ».92

Per controbilanciare le spinte centrifughe, che tentano di frantumare la sua unità interiore, il Vescovo ha bisogno di coltivare un sereno tenore di vita, che favorisca l’equilibrio mentale, psicologico e affettivo, e lo renda capace di aprirsi all’accoglienza delle persone e delle loro domande, in un contesto di autentica partecipazione alle diverse situazioni, liete e tristi. Anche la cura della propria salute nelle sue varie dimensioni costituisce per un Vescovo un atto di amore verso i fedeli ed una garanzia di maggiore apertura e disponibilità alle suggestioni dello Spirito. Sono note, al riguardo, le raccomandazioni fatte da S. Carlo Borromeo, fulgida figura di pastore, nel discorso che egli tenne nell’ultimo suo Sinodo: « Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso ».93

Il Vescovo, pertanto, curerà di entrare con equilibrio nella molteplicità dei suoi impegni armonizzandoli tra loro: la celebrazione dei divini misteri e la preghiera privata, lo studio personale e la programmazione pastorale, il raccoglimento e il giusto riposo. Sostenuto da questi sussidi per la sua vita spirituale, egli troverà la pace del cuore sperimentando la profondità della comunione con la Trinità, che lo ha scelto e consacrato. Nella grazia che Dio gli assicura, ogni giorno egli saprà svolgere il suo ministero, attento ai bisogni della Chiesa e del mondo, come testimone della speranza.

La formazione permanente del Vescovo

24. In stretto collegamento con l’impegno del Vescovo di proseguire instancabilmente sulla via della santità vivendo una spiritualità cristocentrica ed ecclesiale, l’Assemblea sinodale ha posto anche l’istanza di una sua formazione permanente. Necessaria per tutti i fedeli, come è stato sottolineato nei precedenti Sinodi e ribadito nelle successive Esortazioni apostoliche Christifideles Laici, Pastores dabo vobis e Vita consecrata, la formazione permanente è da ritenersi necessaria specialmente per il Vescovo, che porta su di sé la responsabilità del comune progresso e del concorde cammino nella Chiesa.

Come per i sacerdoti e le persone di vita consacrata, anche per un Vescovo la formazione permanente è un’esigenza intrinseca alla sua vocazione e missione. Grazie ad essa, infatti, è possibile discernere le nuove chiamate con cui Dio precisa ed attualizza la chiamata iniziale. Anche l’apostolo Pietro, dopo il « seguimi » del primo incontro con Cristo (cfr Mt 4, 19), si sente ripetere lo stesso invito dal Risorto che, prima di lasciare la terra, preannunciandogli le fatiche e le tribolazioni del futuro ministero, aggiunge: « Tu seguimi » (Gv 21, 22). « C’è, dunque, un “seguimi” che accompagna la vita e la missione dell’apostolo. È un “seguimi” che attesta l’appello e l’esigenza della fedeltà sino alla morte, un “seguimi” che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé nel martirio ».94 Non si tratta, è evidente, di attuare soltanto un adeguato aggiornamento, richiesto da una realistica conoscenza della situazione della Chiesa e del mondo, così da permettere al Pastore di essere inserito nel presente con mente aperta e cuore compassionevole. A questa buona ragione di un’aggiornata formazione permanente, si uniscono le motivazioni antropologiche derivanti dal fatto che la vita stessa è un incessante cammino verso la maturità, e quelle teologiche connesse in profondità con la radice sacramentale: il Vescovo, infatti, deve « custodire con vigile amore il “mistero” che porta in sé per il bene della Chiesa e dell’umanità ».95

Per l’aggiornamento periodico, specialmente su alcuni temi di grande importanza, si richiedono dei veri momenti prolungati di ascolto, di comunione e di dialogo con persone esperte – Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici –, in uno scambio di esperienze pastorali, di conoscenze dottrinali, di risorse spirituali che non mancheranno di assicurare un vero arricchimento personale. Allo scopo, i Padri sinodali hanno sottolineato l’utilità di speciali corsi di formazione per i Vescovi, come i convegni annuali promossi dalla Congregazione per i Vescovi o da quella per l’Evangelizzazione dei Popoli a favore dei Vescovi di recente ordinazione episcopale. Ugualmente è stato auspicato che brevi corsi di formazione o giornate di studio e di aggiornamento, come pure corsi di esercizi spirituali per i Vescovi, siano disposti e preparati dai Sinodi patriarcali, dalle Conferenze nazionali o regionali e pure dalle Assemblee continentali di Vescovi.

Converrà che la stessa Presidenza della Conferenza episcopale si assuma il compito di provvedere alla preparazione ed alla realizzazione di tali programmi di formazione permanente, incoraggiando i Vescovi a partecipare a questi corsi, così da ottenere anche in questo modo una maggiore comunione fra i Pastori, in vista di una migliore efficacia pastorale nelle singole diocesi.96

È evidente in ogni caso che, come la vita della Chiesa, così anche lo stile di azione, le iniziative pastorali, le forme del ministero del Vescovo sono in evoluzione. Anche da questo punto di vista si rende necessario un aggiornamento, in conformità con le disposizioni del Codice di Diritto Canonico e in rapporto alle nuove sfide e ai nuovi impegni della Chiesa nella società. In tale contesto l’Assemblea sinodale ha proposto di rivedere il Direttorio Ecclesiae imago, già pubblicato dalla Congregazione per i Vescovi il 22 febbraio 1973, e di adattarlo alle mutate esigenze dei tempi e ai cambiamenti intercorsi nella Chiesa e nella vita pastorale.97

L’esempio dei santi Vescovi

25. Nella loro vita e nel loro ministero, nel cammino spirituale e nello sforzo di adeguare la loro azione apostolica, i Vescovi sono sempre confortati dall’esempio di Pastori santi. Io stesso nell’Omelia per la Celebrazione eucaristica conclusiva del Sinodo ho proposto l’esempio di santi Pastori canonizzati durante l’ultimo secolo, come testimonianza di una grazia dello Spirito che non è mai mancata alla Chiesa e non mancherà mai.98

La storia della Chiesa, a partire dagli Apostoli, conosce un numero davvero grande di Pastori la cui dottrina e santità sono in grado d’illuminare e orientare il cammino spirituale anche dei Vescovi del terzo millennio. Le gloriose testimonianze dei grandi Pastori dei primi secoli della Chiesa, dei Fondatori delle Chiese particolari, dei confessori della fede e dei martiri, che in tempi di persecuzione hanno dato la vita per Cristo, restano come luminosi punti di riferimento a cui i Vescovi del nostro tempo possono guardare per trarne indicazioni e stimoli nel loro servizio al Vangelo.

Molti, in particolare, sono stati esemplari nell’esercizio della virtù della speranza, quando in tempi difficili hanno risollevato il loro popolo, hanno ricostruito le chiese dopo tempi di persecuzione e di calamità, hanno edificato ospizi dove accogliere pellegrini e poveri, hanno aperto ospedali dove curare ammalati e vecchi. Tanti altri Vescovi sono stati guide illuminate, che hanno aperto nuovi sentieri per il loro popolo. In tempi difficili, conservando fisso lo sguardo su Cristo crocifisso e risorto, nostra speranza, hanno dato risposte positive e creative alle sfide del momento. All’inizio del terzo millennio, vi sono ancora di questi Pastori, che hanno una storia da raccontare, fatta di fede ancorata saldamente alla Croce. Pastori che sanno cogliere le umane aspirazioni, assumerle, purificarle e interpretarle alla luce del Vangelo e che, perciò, hanno pure una storia da costruire, insieme con tutto il popolo a loro affidato.

Ogni Chiesa particolare avrà, dunque, la cura di celebrare i propri santi Vescovi, ricordando anche i Pastori che per la vita santa e gli insegnamenti illuminati hanno lasciato nel popolo speciale eredità di ammirazione e di affetto. Sono essi le spirituali sentinelle che guidano dal cielo il cammino della Chiesa pellegrina nel tempo. Anche per questo, affinché sia conservata sempre viva la memoria della fedeltà dei Vescovi eminenti nell’esercizio del loro ministero, l’Assemblea sinodale ha raccomandato che le Chiese particolari o, secondo il caso, le Conferenze episcopali si adoperino per farne conoscere ai fedeli la figura per mezzo di biografie aggiornate e, se è il caso, esaminino l’opportunità di introdurre le loro cause di canonizzazione.99

La testimonianza di una vita spirituale ed apostolica pienamente realizzata rimane ancora oggi la grande prova della forza del Vangelo nel trasformare le persone e le comunità, facendo penetrare nel mondo e nella storia la stessa santità di Dio. Anche questo è un motivo di speranza, specialmente per le nuove generazioni che attendono dalla Chiesa proposte stimolanti a cui ispirarsi nell’impegno di rinnovare in Cristo la società del nostro tempo.

CAPITOLO TERZO

MAESTRO DELLA FEDE
E ARALDO DELLA PAROLA

« Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo » (Mc 16, 15)

26. Ai suoi Apostoli Gesù risorto affida la missione di « fare discepoli » tutti i popoli insegnando loro ad osservare tutto ciò che Lui stesso ha comandato. Alla Chiesa, comunità dei discepoli del Signore crocifisso e risorto, è dunque affidato solennemente il compito di predicare il Vangelo a tutte le creature. È compito che durerà sino alla fine dei tempi. A partire da quel primo inizio non è ormai più possibile pensare ad una Chiesa senza tale missione evangelizzatrice. Ne ha manifestato la consapevolezza l’apostolo Paolo con le ben note parole: « Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9, 16).

Se il dovere di annunciare il Vangelo è proprio di tutta la Chiesa e di ogni suo figlio, lo è a titolo speciale dei Vescovi i quali, nel giorno della sacra Ordinazione che li immette nella successione apostolica, assumono come impegno precipuo quello di predicare il Vangelo e di predicarlo « invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito e rafforzandoli nella vivezza della fede ».100

L’attività evangelizzatrice del Vescovo, mirante a condurre gli uomini alla fede o ad irrobustirli in essa, costituisce una manifestazione preminente della sua paternità. Egli perciò può ripetere con Paolo: « Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo » (1 Cor 4, 15). Proprio per questa dinamica generatrice di vita nuova secondo lo Spirito, il ministero episcopale si mostra nel mondo come segno di speranza per i popoli, per ogni uomo.

Molto opportunamente, perciò, i Padri sinodali hanno ricordato che l’annuncio di Cristo ha sempre il primo posto e che il Vescovo è il primo annunciatore del Vangelo con le parole e con la testimonianza della vita. Egli deve essere cosciente delle sfide che l’ora presente reca con sé ed avere il coraggio di affrontarle. Tutti i Vescovi, quali ministri della verità, sosterranno questo loro compito con forza e fiducia.101

Cristo nel cuore del Vangelo e dell’uomo

27. Il tema dell’annuncio del Vangelo è stato davvero preminente negli interventi dei Padri sinodali, i quali hanno a più riprese e nei modi più vari affermato che centro vivo dell’annuncio del Vangelo è Cristo crocifisso e risorto per la salvezza di tutti gli uomini.102

Cristo, infatti, è il cuore dell’evangelizzazione, il cui programma « s’incentra, in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, da amare, da imitare per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio ».103

Da Cristo, cuore del Vangelo, si dipartono tutte le altre verità della fede e s’irradia pure la speranza per tutti gli uomini. Cristo, infatti, è la luce che illumina ogni uomo e chiunque è rigenerato in Lui riceve le primizie dello Spirito, che lo mettono in grado di adempiere la legge nuova dell’amore.104

In forza, perciò, della sua stessa missione apostolica, il Vescovo è abilitato ad introdurre il suo popolo nel cuore del mistero della fede, ove potrà incontrare la persona viva di Gesù Cristo. I fedeli giungeranno così a comprendere che tutta l’esperienza cristiana ha la sua fonte e il suo indefettibile punto di riferimento nella Pasqua di Gesù, vincitore del peccato e della morte.105

Nell’annuncio della morte e risurrezione del Signore, poi, è incluso « l’annuncio profetico di un al di là, vocazione profonda e definitiva dell’uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente: al di là del tempo e della storia, al di là della realtà di questo mondo la cui figura passa […] L’evangelizzazione contiene dunque anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella Nuova Alleanza in Gesù Cristo ».106

Il Vescovo, uditore e custode della Parola

28. Il Concilio Vaticano II, proseguendo sulla via indicata dalla tradizione della Chiesa, spiega che la missione dell’insegnamento propria dei Vescovi consiste nel custodire santamente e annunciare coraggiosamente la fede.107

Da questo punto di vista, si rivela in tutta la sua ricchezza di significato il gesto previsto nel Rito romano di Ordinazione episcopale, quando sul capo dell’eletto è imposto l’Evangeliario aperto: si vuole con ciò esprimere, da una parte, che la Parola avvolge e custodisce il ministero del Vescovo e, dall’altra, che la vita di lui dev’essere interamente sottomessa alla Parola di Dio nella quotidiana dedizione alla predicazione del Vangelo con ogni pazienza e dottrina (cfr 2 Tm 4). Anche i Padri sinodali hanno più volte ricordato che il Vescovo è colui che custodisce con amore la Parola di Dio e la difende con coraggio, testimoniandone il messaggio di salvezza. In effetti, il senso del munus docendi episcopale scaturisce dalla natura stessa di ciò che dev’essere custodito, cioè il deposito della fede.

Cristo nostro Signore, nella Sacra Scrittura dell’uno e dell’altro Testamento e nella Tradizione, ha affidato alla sua Chiesa l’unico deposito della Rivelazione divina, che è come lo specchio nel quale essa, « pellegrina in terra, contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia così come egli è ».108 È quanto è avvenuto nel corso dei secoli sino ad oggi: le diverse comunità, accogliendo la Parola sempre nuova ed efficace nel succedersi dei tempi, hanno docilmente ascoltato la voce dello Spirito Santo, impegnandosi a renderla viva e operante nell’attualità dei diversi periodi storici. Così la Parola tramandata, la Tradizione, è divenuta sempre più consapevolmente Parola di vita e, intanto, il compito del suo annuncio e della sua custodia si è progressivamente realizzato, sotto la guida e l’assistenza dello Spirito di Verità, come ininterrotta trasmissione di tutto ciò che la Chiesa è e di tutto ciò che essa crede.109

Questa Tradizione, che trae la sua origine dagli Apostoli, progredisce nella vita della Chiesa, come ha insegnato il Concilio Vaticano II. Similmente cresce e si sviluppa la comprensione delle cose e delle parole trasmesse, sicché nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa si stabilisce una singolare unità di sentimenti tra Vescovi e fedeli.110 Nella ricerca, dunque, della fedeltà allo Spirito, che parla all’interno della Chiesa, i fedeli e i pastori s’incontrano e stabiliscono quei vincoli profondi di fede che rappresentano come il primo momento del sensus fidei. È utile risentire al riguardo le espressioni del Concilio Vaticano II: « La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo (cfr 1 Gv 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolatre mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi ».111

Per questo la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l’esercizio della sua missione d’insegnare. Un Vescovo trova la sua identità e il suo posto all’interno della comunità dei discepoli del Signore, dove ha ricevuto il dono della vita divina e il primo ammaestramento nella fede. Ogni Vescovo, specialmente quando dalla sua Cattedra episcopale esercita davanti all’assemblea dei fedeli la sua funzione di maestro nella Chiesa, deve potere ripetere come sant’Agostino: « A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell’unico Maestro, siamo con voi condiscepoli nella stessa scuola ».112 Nella Chiesa, scuola del Dio vivente, Vescovi e fedeli sono tutti condiscepoli e tutti hanno bisogno d’essere istruiti dallo Spirito.

Sono davvero molti i luoghi dai quali lo Spirito elargisce il suo interiore ammaestramento. Il cuore di ciascuno, anzitutto, e poi la vita delle diverse Chiese particolari, dove emergono e si fanno sentire le molteplici necessità delle persone e delle diverse comunità ecclesiali, mediante linguaggi conosciuti, ma anche diversi e nuovi.

Lo Spirito si fa ancora ascoltare mentre suscita nella Chiesa differenti forme di carismi e di servizi. Anche per questa ragione, certamente, molte volte nell’Aula sinodale si sono udite voci che esortavano il Vescovo all’incontro diretto e al contatto personale, sul modello del Buon Pastore che conosce le sue pecore e le chiama ciascuna per nome, con i fedeli che vivono nelle comunità affidate alla sua premura pastorale. Infatti l’incontro frequente del Vescovo con i suoi presbiteri, in primo luogo, e poi con i diaconi, con i consacrati e le loro comunità, con i fedeli laici, singolarmente e nelle diverse forme di aggregazione, ha grande importanza per l’esercizio di un ministero efficace in mezzo al Popolo di Dio.

Il servizio autentico e autorevole della Parola

29. Con l’Ordinazione episcopale ciascun Vescovo ha ricevuto la fondamentale missione di annunciare autorevolmente la Parola. Ogni Vescovo infatti, in forza della sacra Ordinazione, è dottore autentico che predica al popolo a lui affidato la fede da credere e da applicare nella vita morale. Ciò vuol dire che i Vescovi sono rivestiti dell’autorità stessa di Cristo ed è per questa fondamentale ragione che « quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice, i Vescovi devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accordarsi col giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio dello spirito ».113 In questo servizio alla Verità, ogni Vescovo è posto di fronte alla comunità, in quanto egli è per la comunità, verso la quale dirige la propria sollecitudine pastorale e per la quale eleva a Dio con insistenza la sua preghiera.

Ciò, dunque, che ha ascoltato e accolto dal cuore della Chiesa, ogni Vescovo lo restituisce ai suoi fratelli, di cui deve avere cura come il Buon Pastore. Il sensus fidei raggiunge in lui la sua completezza. Il Concilio Vaticano II difatti insegna: « Per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio (cfr 1 Ts 2, 13), aderisce “indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Gd 3), con retto giudizio vi penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita ».114 È, dunque, parola che, all’interno della comunità e di fronte ad essa, non è più semplicemente parola del Vescovo come persona privata, ma parola del Pastore che conferma la fede, raduna attorno al mistero di Dio e genera la vita.

I fedeli hanno bisogno della parola del proprio Vescovo, hanno bisogno della conferma e della purificazione della loro fede. L’Assemblea sinodale ha sottolineato, per sua parte, questo bisogno, mettendo in rilievo alcuni ambiti specifici nei quali esso è avvertito in modo tutto particolare. Uno di tali ambiti è costituito dal primo annuncio o kerygma, che è sempre necessario per suscitare l’obbedienza della fede, ma che è ancora più urgente nell’odierna situazione segnata dall’indifferenza e dall’ignoranza religiosa di tanti cristiani.115 Anche nell’ambito della catechesi è evidente che il Vescovo è il catechista per eccellenza. Il ruolo incisivo di santi e grandi Vescovi, i cui testi catechetici sono ancora oggi consultati con ammirazione, incoraggia a sottolineare che è compito sempre attuale del Vescovo assumere l’alta direzione della catechesi. In questo suo compito, egli non mancherà di fare riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica.

È perciò sempre valido quanto ho scritto nell’Esortazione apostolica Catechesi tradendae: « Voi [Vescovi] avete una missione particolare nelle vostre Chiese; voi siete in esse i primissimi responsabili della catechesi ».116 Per questo è dovere di ogni Vescovo assicurare nella propria Chiesa particolare la effettiva priorità di una catechesi attiva ed efficace. Egli stesso, anzi, deve esercitare la sua sollecitudine mediante interventi diretti destinati pure a suscitare e a conservare un’autentica passione per la catechesi.117

Consapevole, poi, della sua responsabilità nell’ambito della trasmissione e dell’educazione della fede, ogni Vescovo deve adoperarsi perché simile sollecitudine ci sia in quanti, a motivo della loro vocazione e missione, sono chiamati a trasmettere la fede. Si tratta dei sacerdoti e dei diaconi, dei fedeli di vita consacrata, dei padri e delle madri di famiglia, degli operatori pastorali e in special modo dei catechisti, come pure dei docenti di teologia e di scienze ecclesiastiche e degli insegnanti di religione cattolica.118 Perciò il Vescovo si prenderà cura della loro formazione, iniziale e permanente.

Particolarmente utile, anche per questo suo dovere, è il dialogo aperto e la collaborazione con i teologi, a cui spetta di approfondire con metodo appropriato l’insondabile ricchezza del mistero di Cristo. I Vescovi non manchino di offrire loro, come pure alle istituzioni scolastiche e accademiche nelle quali essi operano, incoraggiamento e sostegno, perché svolgano il loro lavoro a servizio del Popolo di Dio nella fedeltà alla Tradizione e nell’attenzione alle emergenze della storia.119 Qualora si renda opportuno, i Vescovi difendano con fermezza l’unità e l’integrità della fede, giudicando con autorità ciò che è conforme o meno alla Parola di Dio.120

I Padri sinodali hanno pure richiamato l’attenzione dei Vescovi sulle loro responsabilità magisteriali in ambito morale. Le norme che la Chiesa propone riflettono i comandamenti divini, che hanno la loro sintesi ed il loro coronamento nel comandamento evangelico della carità. Il fine a cui tende ogni norma divina è il maggior bene dell’uomo. Vale anche oggi la raccomandazione del Deuteronomio: « Camminate in tutto e per tutto per la via che il Signore vostro Dio vi ha prescritto, perché viviate e siate felici » (5, 33). Non si deve, inoltre, dimenticare che i comandamenti del Decalogo hanno un saldo radicamento nella stessa natura umana e che perciò i valori che essi difendono hanno una validità universale. Questo vale, in particolare, per la vita umana, da difendere dal suo concepimento alla sua conclusione con la morte naturale, la libertà delle persone e delle nazioni, la giustizia sociale e le strutture per attuarla.121

Il ministero episcopale per l’inculturazione del Vangelo

30. L’evangelizzazione della cultura e l’inculturazione del Vangelo sono parte integrante della nuova evangelizzazione e sono, perciò, un compito proprio dell’ufficio episcopale. Riprendendo, al riguardo, alcune mie precedenti espressioni, il Sinodo ha ripetuto: « Una fede che non diventa cultura, non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta ».122

Si tratta, in realtà, di un compito antico e sempre nuovo, che ha la sua origine nel mistero stesso dell’Incarnazione e la sua ragione nella capacità intrinseca del Vangelo di radicarsi in ogni cultura, di informarla e di promuoverla, purificandola e aprendola alla pienezza di verità e di vita che si è realizzata in Cristo Gesù. A questo tema molta attenzione è stata rivolta durante i Sinodi continentali, da cui sono venute preziose indicazioni. Su di esso mi sono soffermato io stesso in più circostanze.

Pertanto ogni Vescovo, considerando i valori culturali presenti nel territorio in cui vive la sua Chiesa particolare, metterà ogni impegno perché il Vangelo sia annunciato nella sua integrità, sì da plasmare il cuore degli uomini e i costumi dei popoli. In quest’impresa evangelizzatrice potrà essergli di prezioso aiuto il contributo dei teologi, come pure quello degli esperti nella valorizzazione del patrimonio culturale, artistico e storico della Diocesi: esso riguarda sia l’antica sia la nuova evangelizzazione e costituisce un efficace strumento pastorale.123

Ugualmente di grande importanza per l’annuncio del Vangelo nei « nuovi areopaghi » e per la trasmissione della fede sono i mezzi della comunicazione sociale, ai quali si è pure rivolta l’attenzione dei Padri sinodali, i quali hanno incoraggiato i Vescovi ad una maggiore collaborazione tra le Conferenze episcopali, in ambito sia nazionale sia internazionale, perché più qualificata ne risulti l’azione in questo delicato e prezioso ambito della vita sociale.124

In realtà, quando si tratta dell’annuncio del Vangelo, oltre che della sua ortodossia, è pure importante preoccuparsi di una sua proposta incisiva che ne promuova l’ascolto e l’accoglimento. Questo, evidentemente, comporta l’impegno di riservare, specialmente nei Seminari, uno spazio adeguato per la formazione dei candidati al sacerdozio circa l’uso dei mezzi della comunicazione sociale, in modo che gli evangelizzatori siano buoni proclamatori e buoni comunicatori.

Predicare con la parola e con l’esempio

31. Il ministero del Vescovo quale annunciatore del Vangelo e custode della fede nel Popolo di Dio non sarebbe compiutamente esposto, se mancasse l’accenno al dovere della coerenza personale: il suo insegnamento continua con la testimonianza e con l’esempio di un’autentica vita di fede. Se il Vescovo, che insegna con un’autorità esercitata nel nome di Gesù Cristo 125 la Parola ascoltata nella comunità, non vivesse ciò che ha insegnato, darebbe alla comunità stessa un messaggio contraddittorio.

Appare così chiaro che tutte le attività del Vescovo devono essere finalizzate alla proclamazione del Vangelo, « potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede » (Rm 1, 16). Il suo compito essenziale è di aiutare il Popolo di Dio a rendere alla parola della Rivelazione l’obbedienza della fede (cfr Rm 1, 5) e ad abbracciare integralmente l’insegnamento di Cristo. Si potrebbe dire che, nel Vescovo, missione e vita si uniscono in maniera tale che non si può più pensare ad esse come a due cose distinte: noi Vescovi siamo la nostra missione. Se non la compissimo, non saremmo più noi. È nella testimonianza della nostra fede che la nostra vita diventa segno visibile della presenza di Cristo nelle nostre comunità.

La testimonianza della vita diventa per un Vescovo come un nuovo titolo d’autorità, che si accosta al titolo oggettivo ricevuto nella consacrazione. All’autorità si affianca così l’autorevolezza. Ambedue sono necessarie. Dall’una, infatti, sorge l’esigenza oggettiva dell’adesione dei fedeli all’insegnamento autentico del Vescovo; dalla seconda, la facilitazione a riporre la fiducia nel messaggio. Mi piace riprendere, a tale proposito, quello che scriveva un grande Vescovo della Chiesa antica, sant’Ilario di Poitiers: « Il beato apostolo Paolo, volendo definire il tipo di Vescovo ideale e formare con i suoi insegnamenti un uomo di Chiesa completamente nuovo, spiegò qual era, per così dire, il massimo della perfezione in lui. Affermò che doveva professare una dottrina sicura, consona all’insegnamento, onde essere in grado di esortare alla sana dottrina e di confutare quelli che contraddicono […] Da una parte, un ministro dalla vita irreprensibile, se non è colto, riuscirà solo a giovare a se stesso; dall’altra, un ministro colto perderà l’autorità che proviene dalla cultura, se la sua vita non risulta irreprensibile ».126

È sempre l’apostolo Paolo a fissare in queste parole la condotta da seguire: offri « te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro » (Tt 2, 7-8).

CAPITOLO QUARTO

MINISTRO DELLA GRAZIA
DEL SUPREMO SACERDOZIO

« Santificati in Gesù Cristo, chiamati ad essere santi » (1 Cor 1, 2)

32. Nell’accingermi a trattare di una delle prime e fondamentali funzioni del Vescovo, il ministero della santificazione, il mio pensiero va alle parole che l’apostolo Paolo rivolgeva ai fedeli di Corinto, quasi mettendo sotto i loro occhi il mistero della loro vocazione: « santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo » (1 Cor 1, 2). La santificazione del cristiano si realizza nel lavacro battesimale, è corroborata dai sacramenti della Confermazione e della Riconciliazione ed è alimentata dall’Eucaristia, il bene più prezioso della Chiesa, il sacramento dal quale la Chiesa è costantemente edificata come Popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo.127

Di questa santificazione, che si diffonde nella vita della Chiesa, il Vescovo è ministro soprattutto mediante la Santa Liturgia. Della Liturgia, e in modo speciale della Celebrazione eucaristica, si afferma che è culmine e fonte della vita della Chiesa.128 In qualche modo l’affermazione trova riscontro nello stesso ministero liturgico del Vescovo, che si presenta come il momento centrale nella sua attività mirante alla santificazione del Popolo di Dio.

Appare da ciò chiaramente l’importanza della vita liturgica nella Chiesa particolare, dove il Vescovo esercita il suo ministero di santificazione, proclamando e predicando la parola di Dio, guidando la preghiera per il suo popolo e con il suo popolo, presiedendo la celebrazione dei Sacramenti. Per questa ragione, la Costituzione dogmatica Lumen gentium attribuisce al Vescovo un bel titolo, preso dalla preghiera di consacrazione episcopale nel rito bizantino, quello, cioè, di « distributore della grazia del supremo sacerdozio, specialmente nell’Eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire, e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce ».129

Tra il ministero della santificazione e gli altri due, della parola e del governo, vige una profonda e intima corrispondenza. La predicazione, infatti, è ordinata alla partecipazione della vita divina, attinta alla duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. Essa si sviluppa e si manifesta nella vita quotidiana dei fedeli, giacché tutti sono chiamati a esprimere nel comportamento quanto hanno ricevuto nella fede.130 Il ministero di governo, poi, come quello di Gesù Buon Pastore, si esprime in funzioni ed opere miranti a fare emergere nella comunità dei fedeli la pienezza di vita nella carità, a gloria della Santa Trinità e a testimonianza della sua amorevole presenza nel mondo.

Ogni Vescovo, pertanto, mentre esercita il ministero della santificazione (munus sanctificandi), attua ciò a cui mira il ministero dell’insegnamento (munus docendi) e, insieme, attinge la grazia per il ministero del governo (munus regendi), modellando i suoi atteggiamenti ad immagine di Cristo Sommo Sacerdote, in modo che tutto sia ordinato all’edificazione della Chiesa e alla gloria della Trinità Santa.

Fonte e culmine della vita della Chiesa particolare

33. Il Vescovo esercita il ministero della santificazione mediante la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti, la lode divina della Liturgia delle Ore, la presidenza degli altri riti sacri e anche mediante la promozione della vita liturgica e dell’autentica pietà popolare. Fra tutte le celebrazioni presiedute dal Vescovo, poi, hanno una speciale rilevanza quelle da cui emerge la peculiarità del ministero episcopale, come pienezza del sacerdozio. Si tratta, specialmente, del conferimento del sacramento della Confermazione, delle Sacre Ordinazioni, della solenne celebrazione dell’Eucaristia in cui il Vescovo è circondato dal suo presbiterio e dagli altri ministri – come nella liturgia della Messa Crismale –, della dedicazione delle chiese e degli altari, della consacrazione delle vergini e di altri riti importanti per la vita della Chiesa particolare. In queste celebrazioni il Vescovo si presenta in modo visibile come il padre e il pastore dei fedeli, il « sacerdote grande » del suo popolo (cfr Eb 10, 21), l’orante e il maestro della preghiera, che intercede per i suoi fratelli e con lo stesso popolo implora e ringrazia il Signore, mettendo in evidenza il primato di Dio e della sua gloria.

In questi vari momenti sgorga, come da fonte, la grazia divina, che permea tutta la vita dei figli di Dio nel corso del loro cammino terreno, orientandola verso il suo culmine e la sua pienezza nella patria beata. Il ministero della santificazione è, per questo, un momento fondamentale per la promozione della speranza cristiana. Il Vescovo non solo annuncia con la predicazione della parola le promesse di Dio e traccia i sentieri del futuro, ma incoraggia il Popolo di Dio nel suo pellegrinaggio terreno e attraverso la celebrazione dei Sacramenti, caparra della gloria futura, gli fa pregustare il suo destino finale, in comunione con la Vergine Maria ed i Santi, nell’incrollabile certezza della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, e della sua venuta nella gloria.

L’importanza della chiesa cattedrale

34. Il Vescovo, pur esercitando il suo ministero di santificazione in tutta la Diocesi, ha come suo punto focale la chiesa cattedrale, che è come la chiesa madre e il centro di convergenza della Chiesa particolare.

La cattedrale, difatti, è il luogo dove il Vescovo ha la sua Cattedra, da cui educa e fa crescere il suo popolo mediante la predicazione e presiede le principali celebrazioni dell’anno liturgico e dei Sacramenti. Proprio quando è assiso sulla sua Cattedra, un Vescovo si mostra di fronte all’assemblea dei fedeli come colui che presiede in loco Dei Patris; ed è per questo, come ho già ricordato, che, secondo un’antichissima tradizione propria dell’Oriente e dell’Occidente, soltanto il Vescovo si può assidere sulla Cattedra episcopale. La presenza di questa Cattedra, appunto, fa della chiesa cattedrale il centro spaziale e spirituale di unità e di comunione per il presbiterio diocesano e per tutto il Popolo santo di Dio.

In proposito, non può essere dimenticato l’insegnamento del Concilio Vaticano II circa la massima importanza che tutti devono riconoscere « alla vita liturgica della Diocesi che si svolge intorno al Vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il Popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare, cui presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri ».131 Nella cattedrale, dunque, dove si realizza il momento più alto della vita della Chiesa, si compie pure l’atto più eccelso e sacro del munus sanctificandi del Vescovo, che comporta insieme, come la liturgia stessa che egli presiede, la santificazione delle persone, il culto e la gloria di Dio.

Speciali circostanze per questa manifestazione del mistero della Chiesa sono alcune particolari celebrazioni. Ricordo, fra queste, la liturgia annuale della Messa crismale, che dev’essere considerata « una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del Vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui ».132 Durante questa celebrazione, insieme con l’Olio degli infermi e l’Olio dei catecumeni, è benedetto il santo Crisma, segno sacramentale di salvezza e di vita perfetta per tutti i rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo. Tra le liturgie più solenni sono certamente da annoverare pure quelle per il conferimento degli Ordini sacri: riti, questi, che hanno nella chiesa cattedrale il loro luogo proprio e normale.133 A ciò si aggiungano altre circostanze, come la celebrazione dell’anniversario della sua dedicazione e le feste dei santi Patroni della Diocesi.

Queste ed altre occasioni, secondo il calendario liturgico di ogni Diocesi, sono circostanze preziose per rinsaldare i vincoli di comunione con i presbiteri, le persone consacrate, i fedeli laici, e per stimolare gli impulsi della missione fra tutti i membri della Chiesa particolare. Per questo il Caeremoniale Episcoporum mette in luce l’importanza della chiesa cattedrale e delle celebrazioni che in essa si svolgono, per il bene e l’esempio di tutta la Chiesa particolare.134

Il Vescovo, moderatore della Liturgia come pedagogia della fede

35. I Padri sinodali hanno voluto, nelle attuali circostanze, richiamare l’attenzione sull’importanza del ministero della santificazione che si esercita nella Liturgia, la quale deve svolgersi in modo da esercitare la sua efficacia didattica ed educativa.135 Ciò richiede che le celebrazioni liturgiche siano davvero epifania del mistero. Dovranno perciò esprimere con chiarezza la natura del culto divino, riflettendo il senso genuino della Chiesa che prega e che celebra i misteri divini. Se le celebrazioni saranno convenientemente partecipate da tutti secondo i vari ministeri, non mancheranno di risplendere per dignità e bellezza.

Io stesso, nell’esercizio del mio ministero, ho voluto dare una priorità alle celebrazioni liturgiche, sia in Roma sia anche durante i miei viaggi apostolici nei diversi continenti e nazioni. Facendo brillare la bellezza e la dignità della liturgia cristiana in tutte le sue espressioni, ho inteso promuovere il genuino senso della santificazione del nome di Dio, al fine di educare il sentimento religioso dei fedeli e di aprirlo alla trascendenza.

Esorto, quindi, i miei fratelli Vescovi, quali maestri della fede e partecipi del supremo sacerdozio di Cristo, ad adoperarsi con tutte le forze per l’autentica promozione della liturgia. Essa esige che nel modo di celebrare si annunci con chiarezza la verità rivelata, si trasmetta fedelmente la vita divina, si esprima senza ambiguità la genuina natura della Chiesa. Siano tutti consapevoli dell’importanza delle sacre celebrazioni dei misteri della fede cattolica. La verità della fede e della vita cristiana non si trasmette solo con le parole, ma anche con i segni sacramentali e l’insieme dei riti liturgici. È ben noto, in proposito, l’antico assioma che vincola strettamente la lex credendi alla lex orandi.136

Ogni Vescovo, pertanto, sia esemplare nell’arte del presiedere, consapevole di tractare mysteria. Abbia pure una profonda vita teologale, che ne ispiri il comportamento in ogni contatto con il Popolo santo di Dio. Sia capace di trasmettere il senso soprannaturale delle parole, delle preghiere e dei riti, in modo da coinvolgere tutti nella partecipazione ai santi misteri. Il Vescovo, inoltre, mediante una concreta ed appropriata promozione della pastorale liturgica nella Diocesi, deve fare sì che i ministri e il popolo acquisiscano un’autentica comprensione ed esperienza della liturgia, in modo da far giungere i fedeli a quella piena, consapevole, attiva e fruttuosa partecipazione ai santi misteri, auspicata dal Concilio Vaticano II.137

In tal modo le celebrazioni liturgiche, specialmente quelle presiedute dal Vescovo nella sua Cattedrale, saranno limpide proclamazioni della fede della Chiesa, momenti privilegiati in cui il Pastore presenta il mistero di Cristo ai fedeli e li aiuta ad entrarvi progressivamente per farne una gioiosa esperienza, da testimoniare poi nelle opere di carità (cfr Gal 5, 6).

Considerata l’importanza della retta trasmissione della fede nella santa liturgia della Chiesa, il Vescovo non mancherà di vigilare con cura, per il bene dei fedeli, affinché siano osservate sempre, da tutti e dappertutto, le norme liturgiche in vigore. Ciò comporta anche una ferma e tempestiva correzione degli abusi e la eliminazione degli arbìtri in campo liturgico. Lo stesso Vescovo sia anche attento, per quanto da lui dipende, o in collaborazione con le Conferenze episcopali e le Commissioni liturgiche pertinenti, affinché la stessa dignità e verità delle azioni liturgiche sia osservata nelle trasmissioni radiofoniche e televisive.

La centralità del Giorno del Signore e dell’anno liturgico

36. La vita ed il ministero del Vescovo debbono essere come permeati dalla presenza del Signore nel suo mistero. La promozione nell’intera Diocesi della convinzione circa la centralità spirituale, catechistica e pastorale della liturgia, infatti, dipende in gran parte dall’esempio del Vescovo.

Al centro di questo suo ministero c’è la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo nel Giorno del Signore, o Domenica. Come ho più volte ripetuto, anche di recente, per dare un segno forte dell’identità cristiana nel nostro tempo occorre restituire centralità alla celebrazione del Giorno del Signore e, in esso, alla celebrazione dell’Eucaristia. La Domenica è un giorno che deve essere sentito come « giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana ».138

La presenza del Vescovo, che alla Domenica, Giorno anche della Chiesa, presiede l’Eucaristia nella sua cattedrale o nelle parrocchie della Diocesi, può essere un segno esemplare di fedeltà al mistero della Risurrezione e un motivo di speranza per il Popolo di Dio nel suo pellegrinare, di domenica in domenica, fino all’ottavo giorno senza tramonto della Pasqua eterna.139

Nel corso dell’anno liturgico la Chiesa rivive l’intero mistero di Cristo, dall’Incarnazione e dalla Natività del Signore sino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa nella speranza del ritorno glorioso del Signore.140 Naturalmente il Vescovo riserverà una particolare attenzione alla preparazione e alla celebrazione del Triduo Pasquale, cuore dell’intero anno liturgico, con la solenne Veglia di Pasqua ed il suo prolungamento nella cinquantina pasquale.

L’anno liturgico, con la sua cadenza ciclica, può essere opportunamente valorizzato per una programmazione pastorale della vita della Diocesi attorno al mistero di Cristo, nell’attesa della sua venuta nella gloria. In questo itinerario di fede la Chiesa è sostenuta dalla « memoria della Vergine Maria, la quale, in cielo glorificata ormai nel corpo e nell’anima […] sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio pellegrinante ».141 È una speranza che si alimenta anche alla memoria dei martiri e degli altri santi, « che, giunti alla perfezione con l’aiuto della multiforme grazia di Dio e già in possesso della salvezza eterna, in cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono per noi ».142

Il Vescovo, ministro della Celebrazione eucaristica

37. Nel cuore del munus sanctificandi del Vescovo c’è l’Eucaristia, che egli stesso offre o fa offrire, e dove specialmente si manifesta il suo ufficio di « economo » o ministro della grazia del supremo sacerdozio.143

È soprattutto presiedendo l’assemblea eucaristica che il Vescovo contribuisce all’edificazione della Chiesa, mistero di comunione e di missione. L’Eucaristia, infatti, è il principio essenziale della vita non solo dei singoli fedeli, ma della stessa comunità in Cristo. I fedeli, radunati dalla predicazione del Vangelo, formano delle comunità in cui è veramente presente la Chiesa di Cristo, e ciò si rende manifesto con singolare evidenza nella stessa celebrazione del Sacrificio eucaristico.144 È noto, al riguardo, l’insegnamento del Concilio Vaticano II: « In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto il ministero sacro del Vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e “unità del Corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza”. In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere o che vivono nella dispersione, è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Infatti “la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che prendiamo” ».145

Dalla Celebrazione eucaristica, poi, che è « fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione »,146 sgorga anche tutto l’impegno missionario della Chiesa, tesa a manifestare ad altri con la testimonianza della vita il mistero vissuto nella fede.

Tra tutte le incombenze del ministero pastorale del Vescovo, l’impegno per la celebrazione dell’Eucaristia è il più cogente e importante. A lui spetta pure, come uno dei suoi principali compiti, quello di provvedere affinché i fedeli abbiano la possibilità di accedere alla mensa del Signore, soprattutto alla Domenica, che, come ho appena ricordato, è il giorno in cui la Chiesa, comunità e famiglia dei figli di Dio, trova la sua peculiare identità cristiana attorno ai propri presbiteri.147

Accade, però, che in certe regioni, sia a motivo della scarsità dei sacerdoti, sia per altre gravi e persistenti ragioni, non si riesca a provvedere alla Celebrazione eucaristica con l’opportuna normalità. Ciò accresce il dovere del Vescovo, quale padre di famiglia e ministro della grazia, di essere sempre attento a discernere gli effettivi bisogni e la gravità delle situazioni. Occorrerà procedere ad una sapiente distribuzione dei membri del presbiterio così che, anche in simili emergenze, le comunità non rimangano troppo a lungo prive della Celebrazione eucaristica.

In mancanza della Santa Messa, il Vescovo farà in modo che la comunità, pur restando sempre in attesa della pienezza dell’incontro con Cristo nella celebrazione del Mistero pasquale, possa contare, almeno nelle domeniche e nelle feste, su di una speciale celebrazione. In questo caso i fedeli, presieduti da ministri responsabili, potranno usufruire del dono della Parola proclamata e della comunione all’Eucaristia, mediante previste e apposite celebrazioni delle assemblee domenicali in assenza di presbitero.148

Il Vescovo, responsabile dell’iniziazione cristiana

38. Nelle attuali circostanze della Chiesa e del mondo, sia nelle Chiese giovani sia nei Paesi in cui il cristianesimo è stabilito da secoli, risulta provvidenziale il recupero, soprattutto per gli adulti, della grande tradizione della disciplina dell’iniziazione cristiana. È stata questa una provvida disposizione del Concilio Vaticano II,149 che ha voluto in tal modo offrire un cammino d’incontro con Cristo e con la Chiesa a tanti uomini e donne, toccati dalla grazia dello Spirito e desiderosi di entrare in comunione con il mistero della salvezza in Cristo, morto e risorto per noi.

Mediante il cammino dell’iniziazione cristiana, i catecumeni sono progressivamente introdotti nella conoscenza del mistero di Cristo e della Chiesa, in analogia con l’origine, lo sviluppo e l’accrescimento della vita naturale. I fedeli, infatti, rinati nel Battesimo e resi partecipi del sacerdozio regale, sono corroborati mediante la Confermazione, di cui il Vescovo è ministro originario, e ricevono così una speciale effusione di doni dello Spirito. Partecipando poi all’Eucaristia, essi sono nutriti con il cibo della vita eterna e sono pienamente inseriti nella Chiesa, mistico Corpo di Cristo. I fedeli, in tal modo, « per effetto di questi sacramenti dell’iniziazione cristiana, sono in grado di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e di progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità ».150

I Vescovi, tenuto conto delle circostanze odierne, attueranno le prescrizioni del Rito della iniziazione cristiana degli adulti. Avranno pertanto a cuore che in ogni Diocesi vi siano le strutture e gli operatori pastorali necessari per assicurare nel modo più degno ed efficace l’attuazione degli ordinamenti e della disciplina liturgica, catechistica e pastorale dell’iniziazione cristiana, adattata alle necessità dei nostri tempi.

Per la sua stessa natura d’inserimento progressivo nel mistero di Cristo e della Chiesa, mistero che vive ed è operante in ciascuna Chiesa particolare, l’itinerario dell’iniziazione cristiana richiede la presenza ed il ministero del Vescovo diocesano, in modo speciale nella fase culminante del cammino, cioè nel conferimento dei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia, che regolarmente avviene nella Veglia pasquale.

Compito del Vescovo è pure di disciplinare, secondo le leggi della Chiesa, quanto si riferisce all’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, disponendo circa la loro conveniente preparazione catechistica ed il loro graduale impegno nella vita della comunità. Dovrà anche vegliare perché eventuali percorsi di catecumenato, o di ripresa e rinvigorimento dei cammini dell’iniziazione cristiana, o d’accostamento a quei fedeli che si sono allontanati dalla normale e comunitaria vita di fede, si svolgano secondo le norme della Chiesa e in piena sintonia con la vita delle comunità parrocchiali nella Diocesi.

Quanto, infine, al sacramento della Confermazione, il Vescovo, che ne è ministro originario, curerà di essere normalmente lui a conferirlo. La sua presenza in mezzo alla comunità parrocchiale, che, a motivo del fonte battesimale e della Mensa eucaristica, è il luogo nativo e ordinario del cammino dell’iniziazione cristiana, richiama efficacemente il mistero della Pentecoste e si rivela sommamente utile per rinsaldare i vincoli della comunione ecclesiale tra pastore e fedeli.

La responsabilità del Vescovo nella disciplina penitenziale

39. I Padri sinodali nei loro interventi hanno riservato una particolare attenzione alla disciplina penitenziale, rilevandone l’importanza e richiamando la speciale cura che, quali successori degli Apostoli, i Vescovi devono riservare alla pastorale e alla disciplina del sacramento della Penitenza. Con gioia ho udito riaffermato da loro quanto è mia profonda convinzione, che cioè deve essere riservata la massima cura pastorale a questo Sacramento della Chiesa, fonte di riconciliazione, di pace e di gioia per noi tutti che abbiamo bisogno della misericordia del Signore e della guarigione delle ferite del peccato.

Al Vescovo, quale primo responsabile della disciplina penitenziale nella sua Chiesa particolare, spetta innanzitutto il compito dell’invito kerygmatico alla conversione e alla penitenza. È suo dovere proclamare con libertà evangelica la triste e rovinosa presenza del peccato nella vita degli uomini e nella storia delle comunità. Al tempo stesso, egli deve annunciare il mistero insondabile della misericordia che Dio ci ha elargito nella Croce e nella Risurrezione del suo Figlio, Gesù Cristo, e nell’effusione dello Spirito per la remissione dei peccati. Quest’annuncio, che è pure invito alla riconciliazione e richiamo alla speranza, sta nel cuore del Vangelo. È il primo annunzio degli Apostoli nel giorno della Pentecoste, un annuncio nel quale si rivela il senso stesso della grazia della salvezza, comunicata attraverso i Sacramenti.

Il Vescovo sarà, nei modi opportuni, un ministro esemplare del sacramento della Penitenza, ed egli stesso vi farà un assiduo e fedele ricorso. Egli non cesserà di esortare i suoi sacerdoti ad avere in grande stima il ministero della riconciliazione, ricevuto nell’ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli ad esercitarlo con generosità e senso soprannaturale, imitando il Padre, che accoglie coloro che ritornano alla casa paterna, e Cristo Buon Pastore, che porta sulle sue spalle la pecorella smarrita.151

La responsabilità del Vescovo si estende anche al dovere di vigilare perché il ricorso all’assoluzione generale non avvenga al di fuori delle norme del diritto. A tale riguardo, nel Motu proprio Misericordia Dei ho sottolineato che i Vescovi hanno il dovere di richiamare la disciplina vigente, secondo cui la confessione individuale e integra e l’assoluzione costituiscono l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa. Solamente un’impossibilità fisica o morale dispensa da tale via ordinaria, nel qual caso la riconciliazione si potrà ottenere in altri modi. Il Vescovo non mancherà di ricordare a tutti coloro a cui, in forza dell’ufficio, è demandata la cura delle anime, il dovere di offrire ai fedeli l’opportunità di accostarsi alla confessione individuale.152 Egli provvederà pure a verificare che di fatto siano date ai fedeli le massime facilitazioni per potersi confessare.

Considerato alla luce della Tradizione e del Magistero della Chiesa l’intimo legame esistente fra il sacramento della Riconciliazione e la partecipazione all’Eucaristia, si rende oggi sempre più necessario formare la coscienza dei fedeli a partecipare degnamente e fruttuosamente al Banchetto eucaristico, accostandovisi in stato di grazia.153

Giova, inoltre, ricordare che appartiene altresì al Vescovo il compito di regolare, in modo conveniente e con un’oculata scelta dei ministri adatti, la disciplina che presiede all’esercizio degli esorcismi ed alle celebrazioni di preghiera per ottenere le guarigioni, nel rispetto dei recenti documenti della Santa Sede.154

L’attenzione alla pietà popolare

40. I Padri sinodali hanno ribadito l’importanza che, nella trasmissione e nello sviluppo della fede, ha la pietà popolare. Essa, infatti, come ebbe a dire il mio predecessore di v. m. Paolo VI, è ricca di valori nei confronti sia di Dio che dei fratelli,155 così da costituire un vero e proprio tesoro di spiritualità nella vita della comunità cristiana.

Anche nel nostro tempo, nel quale si avverte una diffusa sete di spiritualità, che spesso porta molti ad aderire a sette religiose o ad altre forme di vago spiritualismo, i Vescovi sono chiamati a discernere e a favorire i valori e le forme della vera pietà popolare.

È sempre attuale ciò che è scritto nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: « La carità pastorale deve suggerire a tutti quelli, che il Signore ha posto come capi di comunità ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realtà così ricca e insieme così vulnerabile. Prima di tutto, occorre esservi sensibili, sapere cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo ».156

Occorre, quindi, orientare questa religiosità, purificandone, all’occorrenza, le forme espressive secondo i principi della fede e della vita cristiana. I fedeli, mediante la pietà popolare, devono essere condotti all’incontro personale con Cristo, alla comunione con la Beata Vergine Maria e con i Santi, specialmente per mezzo dell’ascolto della parola di Dio, del ricorso alla preghiera, della partecipazione alla vita sacramentale, della testimonianza della carità e delle opere di misericordia.157

Per una più ampia riflessione su quest’argomento e per una preziosa serie di suggerimenti teologici, pastorali e spirituali, mi è grato rimandare ai documenti emanati da questa Sede Apostolica, dove è ricordato che tutte le manifestazioni della pietà popolare sono sotto la responsabilità del Vescovo, nella propria diocesi. A lui compete regolarle, incoraggiarle nella loro funzione d’aiuto ai fedeli per la vita cristiana, purificarle dove è necessario, ed evangelizzarle.158

La promozione della santità per tutti i fedeli

41. La santità del Popolo di Dio, cui è ordinato il ministero di santificazione del Vescovo, è dono della grazia divina e manifestazione del primato di Dio nella vita della Chiesa. Per questo, nel suo ministero, egli deve promuovere instancabilmente una vera e propria pastorale e pedagogia della santità, sì da realizzare il programma proposto dal capitolo quinto della Costituzione Lumen gentium circa la vocazione universale alla santità.

Questo programma io stesso ho voluto proporre a tutta la Chiesa, all’inizio del terzo millennio, come priorità pastorale e come frutto del grande Giubileo dell’Incarnazione.159 La santità, infatti, è ancora oggi un segno dei tempi, una prova della verità del cristianesimo che rifulge nei suoi esponenti migliori, sia in quelli elevati in grande numero agli onori degli altari, sia in quelli ancora più numerosi che nascostamente hanno fecondato e fecondano la storia degli uomini con l’umile e gioiosa santità del quotidiano. Anche nel nostro tempo, infatti, non mancano preziose testimonianze di forme di santità, personale e comunitaria, che sono per tutti, anche per le nuove generazioni, un segno di speranza.

Per fare, dunque, emergere la testimonianza della santità, esorto i miei Fratelli Vescovi a volere cogliere e a mettere in luce i segni della santità e delle virtù eroiche, che ancora oggi si manifestano, specialmente quando riguardano i fedeli laici delle loro diocesi, soprattutto i coniugi cristiani. Dove ciò, poi, risulti davvero opportuno, li incoraggio a promuovere i relativi processi di canonizzazione.160 Ciò potrà essere per tutti un segno di speranza e, per il cammino del Popolo di Dio, un motivo d’incoraggiamento nella sua testimonianza, di fronte al mondo, della permanente presenza della grazia nel tessuto delle umane vicende.

CAPITOLO QUINTO

IL GOVERNO PASTORALE
DEL VESCOVO

« Vi ho dato l’esempio » (Gv 13, 15)

42. Trattando del dovere di governare la famiglia di Dio e di assumere la cura abituale e quotidiana del gregge del Signore Gesù, il Concilio Vaticano II spiega che i Vescovi nell’esercizio del loro ministero di padri e pastori in mezzo ai loro fedeli debbono comportarsi come « coloro che servono », avendo sempre sotto gli occhi l’esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore (cfr Mt 20, 28; Mc 10, 45; Lc 22, 26- 27; Gv 10, 11).161

Quest’immagine di Gesù, modello supremo del Vescovo, ha una sua eloquente espressione nel gesto della lavanda dei piedi, narrato nel Vangelo secondo Giovanni: « Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano […] si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto […]. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro […] Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi » (13, 1-15).

Contempliamo, allora, Gesù mentre compie questo gesto che sembra offrirci la chiave per la comprensione del suo stesso essere e della sua missione, della sua vita e della sua morte. Contempliamo pure l’amore di Gesù, che si traduce in azione, in gesti concreti. Contempliamo Gesù che assume sino in fondo, con radicalità assoluta, la forma di servo (cfr Fil 2, 7). Lui, il Maestro e Signore, che ha ricevuto tutto nelle sue mani dal Padre, ci ha amati fino alla fine, fino a mettersi totalmente nelle mani degli uomini, accettando da loro tutto ciò che essi avrebbero poi fatto di Lui. Quello di Gesù è un gesto d’amore compiuto nel contesto dell’istituzione dell’Eucaristia e nella chiara prospettiva della passione e della morte. È un gesto rivelatore del senso dell’Incarnazione, ma, ancora di più, dell’essenza stessa di Dio. Dio è amore, e per questo ha assunto la condizione di servo: Dio si è posto a servizio dell’uomo per portare l’uomo alla piena comunione con Lui.

Se questo, dunque, è il Maestro e Signore, il senso del ministero e dell’essere stesso di chi è chiamato, come i Dodici, ad entrare nella più grande intimità con Gesù, non può consistere che nella totale e incondizionata disponibilità verso gli altri, sia verso coloro che già fanno parte dell’ovile, sia verso quelli che ancora non vi appartengono (cfr Gv 10, 16).

L’autorità di servizio pastorale del Vescovo

43. Il Vescovo è inviato in nome di Cristo come pastore per la cura di una determinata porzione del Popolo di Dio. Per mezzo del Vangelo e dell’Eucaristia, egli deve farla crescere quale realtà di comunione nello Spirito Santo.162 Da questo deriva per il Vescovo la rappresentanza e il governo della Chiesa affidatagli, con la potestà necessaria per esercitare il ministero pastorale sacramentalmente ricevuto (munus pastorale), come partecipazione alla stessa consacrazione e missione di Cristo.163 In forza di ciò, « i Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr Lc 22, 26-27) ».164

Questo brano conciliare è una mirabile sintesi della dottrina cattolica riguardo al governo pastorale del Vescovo ed è ripreso nel rito dell’Ordinazione del Vescovo: « Episcopato è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al Vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro ».165 C’è qui il principio fondamentale per cui nella Chiesa, secondo quanto afferma san Paolo, l’autorità ha come scopo l’edificazione del Popolo di Dio, non la sua rovina (cfr 2 Cor 10, 8). L’edificazione del gregge di Cristo nella verità e nella santità richiede da parte del Vescovo, come più volte è stato detto nell’aula sinodale, alcune caratteristiche, fra cui l’esemplarità della vita, la capacità di relazione autentica e costruttiva con le persone, l’attitudine a stimolare e sviluppare la cooperazione, la bontà d’animo e la pazienza, la comprensione e la compassione per le miserie dell’anima e del corpo, l’indulgenza e il perdono. Si tratta, infatti, di esprimere nel miglior modo possibile il supremo modello, che è Gesù Buon Pastore.

Quella del Vescovo è una vera potestà, ma una potestà illuminata dalla luce del Buon Pastore e informata dal suo modello. Esercitata in nome di Cristo, essa è « propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell’utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere circoscritto. In virtù di questo potere, i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all’apostolato ».166 Il Vescovo, dunque, è investito, in virtù dell’ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata ad esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo (munus pastorale) ricevuto nel Sacramento.

Il governo del Vescovo, tuttavia, sarà pastoralmente efficace – occorre ricordarlo anche in questo caso – se poggerà su un’autorevolezza morale, data dalla sua santità di vita. Sarà questa a disporre gli animi ad accogliere il Vangelo da lui annunciato nella sua Chiesa, come anche le norme da lui fissate per il bene del Popolo di Dio. Ammoniva, perciò, sant’Ambrogio: « Nei sacerdoti non si ricerca nulla di volgare, nulla di comune con le aspirazioni, le abitudini, i costumi della moltitudine grossolana. La dignità sacerdotale rivendica per sé una gravità che si tiene lontana dai tumulti, una vita austera e una singolare autorevolezza ».167

L’esercizio dell’autorità nella Chiesa non può essere concepito come qualcosa d’impersonale e di burocratico, proprio perché si tratta di un’autorità che nasce dalla testimonianza. In tutto ciò che viene detto e fatto dal Vescovo deve essere rivelata l’autorità della parola e dell’agire di Cristo. Se mancasse l’autorevolezza della santità di vita del Vescovo, cioè la sua testimonianza di fede, speranza e carità, il suo governo difficilmente potrebbe essere recepito dal Popolo di Dio come manifestazione della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa.

Ministri per volontà del Signore dell’apostolicità della Chiesa e rivestiti della potenza dello Spirito del Padre, che regge e guida (Spiritus principalis), i Vescovi sono successori degli Apostoli non solo nell’autorità e nella sacra potestà, ma pure nella forma di vita apostolica, nelle sofferenze apostoliche per l’annuncio e la diffusione del Vangelo, nella cura tenera e misericordiosa dei fedeli loro affidati, nella difesa dei deboli, nella costante attenzione per il Popolo di Dio.

Nell’aula sinodale è stato ricordato che, dopo il Concilio Vaticano II, l’esercizio dell’autorità nella Chiesa s’è rivelato spesso faticoso. Tale situazione, anche se alcune delle difficoltà più acute sembrano superate, permane tuttora. Si pone perciò il problema di come il necessario servizio dell’autorità possa essere meglio compreso, accettato e adempiuto. Al riguardo, una prima risposta scaturisce dalla natura stessa dell’autorità ecclesiale: essa è – e come tale deve mostrarsi il più chiaramente possibile – partecipazione alla missione di Cristo, da viversi ed esercitarsi nell’umiltà, nella dedizione e nel servizio.

La valorizzazione dell’autorità del Vescovo non s’esprime nelle esteriorità, ma nell’approfondimento del significato teologico, spirituale e morale del suo ministero, fondato nel carisma dell’apostolicità. Quanto è stato detto in aula sinodale circa l’icona della lavanda dei piedi, e il collegamento che, in tale contesto, è stato stabilito tra la figura del servo e quella del pastore, fa capire che l’episcopato è veramente un onore quando è servizio. Ogni Vescovo, perciò, deve applicare a se stesso la parola di Gesù: « Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti » (Mc 10, 42- 45). Memore di queste parole del Signore, il Vescovo governa col cuore del servo umile e del pastore affettuoso, che guida il suo gregge, cercando la gloria di Dio e la salvezza delle anime (cfr Lc 22, 26-27). Vissuta così, quella del Vescovo è davvero una forma di governo unica al mondo.

È già stato ricordato il testo della Lumen gentium, dove si afferma che i Vescovi reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e legati di Cristo, « col consiglio, la persuasione, l’esempio ».168 Non c’è in questo contraddizione con le parole che seguono, quando il Concilio Vaticano II aggiunge che i Vescovi governano, sì, « col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà ».169 Si tratta infatti di una « sacra potestà » che affonda le radici nell’autorevolezza morale di cui il Vescovo è insignito in virtù della sua santità di vita. Proprio questa agevola la ricezione di tutta la sua azione di governo e la rende efficace.

Stile pastorale di governo e comunione diocesana

44. La comunione ecclesiale vissuta porterà il Vescovo ad uno stile pastorale sempre più aperto alla collaborazione di tutti. Vi è una sorta di circolarità tra quanto il Vescovo è chiamato a decidere con responsabilità personale per il bene della Chiesa affidata alla sua cura e l’apporto che i fedeli gli possono offrire attraverso gli organi consultivi, quali il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio episcopale, il consiglio pastorale.170

I Padri sinodali non hanno omesso di fare riferimento a queste modalità di esercizio del governo episcopale, mediante le quali si organizza l’azione pastorale nella diocesi.171 La Chiesa particolare, infatti, non dice riferimento soltanto al triplice ministero episcopale (munus episcopale), ma anche alla triplice funzione profetica, sacerdotale e regale dell’intero Popolo di Dio. Tutti i fedeli, in virtù del Battesimo, partecipano, nel modo ad essi proprio, al triplice munus di Cristo. La loro reale uguaglianza nella dignità e nell’agire fa sì che tutti siano chiamati a cooperare all’edificazione del Corpo di Cristo, quindi ad attuare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa nel mondo, ciascuno secondo la propria condizione e i propri compiti.172

Ogni tipo di differenziazione tra i fedeli, in base ai diversi carismi, funzioni, ministeri è ordinata al servizio delle altre membra del Popolo di Dio. La differenziazione ontologico-funzionale, che pone il Vescovo « di fronte » agli altri fedeli sulla base della pienezza del sacramento dell’Ordine che ha ricevuto, è un essere per gli altri fedeli, che non lo sradica dal suo essere con essi.

La Chiesa è una comunione organica, che si realizza nel coordinamento dei diversi carismi, ministeri e servizi, in ordine al conseguimento del fine comune che è la salvezza. Il Vescovo è responsabile della realizzazione di questa unità nella diversità, favorendo, come è stato detto nell’Assemblea sinodale, la sinergia di diversi operatori, così che sia possibile percorrere insieme il comune cammino di fede e di missione.173

Ciò detto, però, è necessario aggiungere che il ministero del Vescovo non si può affatto ridurre al compito di un semplice moderatore. Per natura sua il munus episcopale implica un chiaro e inequivocabile diritto-dovere di governo, in cui è inclusa anche la componente giurisdizionale. I Pastori sono testimoni pubblici e la loro potestas testandi fidem giunge alla sua pienezza nella potestas iudicandi: il Vescovo non è solo chiamato a testimoniare la fede, ma anche a valutarne e a disciplinarne le manifestazioni da parte dei credenti affidati alle sue cure pastorali. Nell’adempiere a questo suo compito egli farà tutto il possibile per suscitare il consenso dei suoi fedeli, ma alla fine dovrà sapersi assumere la responsabilità delle decisioni che appariranno necessarie alla sua coscienza di pastore, preoccupato soprattutto del futuro giudizio di Dio.

La comunione ecclesiale nella sua organicità chiama in causa la responsabilità personale del Vescovo, ma suppone anche la partecipazione di tutte le categorie di fedeli, in quanto corresponsabili del bene della Chiesa particolare che essi stessi formano. Ciò che garantisce l’autenticità di tale comunione organica è l’azione dello Spirito, il quale opera sia nella responsabilità personale del Vescovo, sia nella partecipazione ad essa dei fedeli. È lo Spirito infatti che, fondando l’uguaglianza battesimale di tutti i fedeli come anche la diversità carismatica e ministeriale di ciascuno, è in grado di attuare efficacemente la comunione. Sulla base di questi principi si reggono i Sinodi diocesani, il cui profilo canonico, stabilito nei canoni 460-468 del Codice di Diritto Canonico, è stato precisato dall’Istruzione interdicasteriale del 19 marzo 1997.174 Alla sostanza di tali norme dovranno attenersi anche le altre assemblee diocesane, che il Vescovo presiederà non abdicando mai alla sua specifica responsabilità.

Se nel Battesimo ogni cristiano riceve l’amore di Dio tramite l’effusione dello Spirito Santo, il Vescovo – ha ricordato opportunamente l’Assemblea sinodale – mediante il sacramento dell’Ordine riceve nel suo cuore la carità pastorale di Cristo. Questa carità pastorale è finalizzata a creare la comunione.175 Prima di tradurre quest’amore-comunione in linee di azione, il Vescovo deve impegnarsi a renderlo presente nel proprio cuore e nel cuore della Chiesa attraverso una vita autenticamente spirituale.

Se la comunione esprime l’essenza della Chiesa, è normale che la spiritualità di comunione tenda a manifestarsi nell’ambito sia personale che comunitario suscitando forme sempre nuove di partecipazione e di corresponsabilità nelle varie categorie di fedeli. Il Vescovo si sforzerà, pertanto, di suscitare nella sua Chiesa particolare strutture di comunione e di partecipazione, che consentano di ascoltare lo Spirito che vive e parla nei fedeli, per poi orientarli a porre in atto quanto lo stesso Spirito suggerisce in ordine al vero bene della Chiesa.

Le articolazioni della Chiesa particolare

45. Molti interventi dei Padri sinodali hanno fatto riferimento a vari aspetti e momenti della vita della Diocesi. Così, una debita attenzione è stata dedicata alla Curia diocesana, quale struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità pastorale nei suoi vari aspetti.176 È stata richiamata, in particolare, l’opportunità che l’amministrazione economica della Diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche. Se nella Diocesi si vive una spiritualità di comunione, non si potrà non prestare un’attenzione privilegiata alle parrocchie e comunità più povere, facendo inoltre il possibile per riservare una parte delle disponibilità economiche alle Chiese più indigenti, specialmente nelle terre di missione e di migrazione.177

È sulla parrocchia, tuttavia, che i Padri sinodali hanno ritenuto conveniente fermare la loro attenzione, ricordando che di questa comunità, eminente fra tutte quelle presenti in una Diocesi, il Vescovo è il primo responsabile: ad essa pertanto egli deve riservare soprattutto la sua cura.178 La parrocchia infatti – come è stato affermato a più voci – rimane ancora il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi.

La visita pastorale

46. È proprio in questa prospettiva che emerge l’importanza della Visita pastorale, autentico tempo di grazia e momento speciale, anzi unico, in ordine all’incontro e al dialogo del Vescovo con i fedeli.179 Il Vescovo Bartolomeu dos Martires, che io stesso ho beatificato pochi giorni dopo la conclusione del Sinodo, nella sua classica opera Stimulus Pastorum, molto apprezzata dallo stesso san Carlo Borromeo, definisce la Visita pastorale quasi anima episcopalis regiminis ed efficacemente la descrive come un’espansione della presenza spirituale del Vescovo tra i suoi fedeli.180

Nella sua Visita pastorale alla parrocchia, lasciato ad altri delegati l’esame delle questioni di carattere amministrativo, il Vescovo privilegi l’incontro con le persone, a cominciare dal parroco e dagli altri sacerdoti. È questo il momento in cui egli esercita più da vicino per il suo popolo il ministero della parola, della santificazione e della guida pastorale, entrando a più diretto contatto con le ansie e le preoccupazioni, le gioie e le attese della gente e potendo rivolgere a tutti un invito alla speranza. Qui, soprattutto, il Vescovo ha il diretto contatto con le persone più povere, con gli anziani e con gli ammalati. Realizzata così, la Visita pastorale si mostra qual è, un segno della presenza del Signore che visita il suo popolo nella pace.

Il Vescovo con il suo presbiterio

47. Non è senza ragione che il decreto conciliare Christus Dominus, offrendo la descrizione della Chiesa particolare, la indica come comunità di fedeli affidata alla cura pastorale del Vescovo « cum cooperatione presbyterii ».181 Esiste, infatti, tra il Vescovo e i presbiteri una communio sacramentalis in virtù del sacerdozio ministeriale o gerarchico, che è partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo e pertanto, anche se in grado diverso, in virtù dell’unico ministero ecclesiale ordinato e dell’unica missione apostolica.

I presbiteri e, tra di loro specialmente i parroci, sono, dunque i collaboratori più stretti del ministero del Vescovo. I Padri sinodali hanno rinnovato le raccomandazioni e gli inviti, già presenti nei documenti conciliari e ripresi più recentemente nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis,182 alla speciale qualità delle relazioni fra il Vescovo e i suoi presbiteri. Il Vescovo cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li ascolta, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale e economico.183

L’affetto privilegiato del Vescovo per i suoi sacerdoti si manifesta come accompagnamento paterno e fraterno nelle tappe fondamentali della loro vita ministeriale, a partire dai primi passi nel ministero pastorale. Fondamentale resta la formazione permanente dei presbiteri, che costituisce per tutti come una « vocazione nella vocazione » perché, nelle sue differenti e complementari dimensioni, tende ad aiutare il prete ad essere e a fare il prete secondo lo stile di Gesù.

Ogni Vescovo diocesano ha tra i suoi primi doveri la cura spirituale del suo presbiterio: « Il gesto del sacerdote che pone le proprie mani nelle mani del Vescovo, nel giorno dell’ordinazione presbiterale, professandogli “filiale rispetto e obbedienza”, a prima vista può sembrare un gesto a senso unico. Il gesto in realtà impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il giovane presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani ».184

In due altri momenti, vorrei aggiungere, il presbitero può giustamente attendersi la manifestazione di una speciale vicinanza da parte del proprio Vescovo. Il primo è quando gli viene affidata una missione pastorale, sia che ciò accada per la prima volta, come nel caso del sacerdote da poco ordinato, sia che avvenga per un avvicendamento ministeriale, o per il conferimento di un nuovo mandato pastorale. Il conferimento di una missione pastorale è, per lo stesso Vescovo, un momento significativo di paterna responsabilità nei riguardi di un suo presbitero. San Girolamo ha parole che ben si possono applicare a questa circostanza: « Lo stesso rapporto che passava tra Aronne e i suoi figli noi sappiamo che passa tra il Vescovo e i suoi sacerdoti. Uno solo è il Signore, uno il tempio: ci sia pure unità nel ministero […] La gloria di un padre non è il figlio saggio? Il Vescovo si congratuli con se stesso d’avere avuto buon fiuto nella scelta di simili sacerdoti per Cristo ».185

L’altro momento è quello in cui un sacerdote, a motivo dell’età avanzata, lascia l’effettiva guida pastorale di una comunità, oppure gli incarichi di diretta responsabilità. In queste e in analoghe circostanze, il Vescovo ha il dovere di far sì che il sacerdote avverta sia la gratitudine della Chiesa particolare per le fatiche apostoliche fino ad allora svolte, sia la specificità della sua nuova collocazione all’interno del presbiterio diocesano: egli infatti conserva, ed anzi vede accresciuta, la possibilità di contribuire all’edificazione della Chiesa mediante la testimonianza esemplare di una preghiera più assidua e la generosa messa a disposizione, a vantaggio dei confratelli più giovani, dell’esperienza acquisita. Ai sacerdoti, poi, che si trovano nella medesima situazione a motivo di una malattia grave, o per un’altra forma di persistente debilitazione, il Vescovo farà sentire la propria vicinanza fraterna, aiutandoli a conservare viva la convinzione di « essere membri attivi nell’edificazione della Chiesa anche e specialmente in forza della loro unione a Gesù Cristo sofferente e a tanti altri fratelli e sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione del Signore ».186

Il Vescovo seguirà, pure, con la preghiera e con una fattiva compassione i sacerdoti che, per una qualsivoglia ragione, hanno messo in questione la loro vocazione e la loro fedeltà alla chiamata del Signore e sono in qualche modo venuti meno ai loro doveri.187

Egli non mancherà, infine, di esaminare i segni di virtù eroiche che si fossero eventualmente manifestati tra i sacerdoti diocesani e, quando lo ritenesse opportuno, procederà al loro pubblico riconoscimento, muovendo i passi necessari per introdurre la causa di canonizzazione.188

La formazione dei candidati al presbiterato

48. Approfondendo il tema del ministero dei presbiteri, l’attenzione dei Padri sinodali si è rivolta in particolare alla formazione dei candidati al sacerdozio, che si svolge nel Seminario.189 Con ciò che comporta di preghiera, di dedizione, di fatica, la formazione dei presbiteri costituisce per il Vescovo una preoccupazione di primaria importanza. Al riguardo, i Padri sinodali, ben sapendo che il Seminario è per la Diocesi un bene tra i più preziosi, si sono soffermati a trattarne con attenzione, ed hanno ribadito la necessità indiscutibile del Seminario Maggiore, senza tuttavia trascurare la rilevanza che anche il Minore riveste per la trasmissione dei valori cristiani in ordine alla sequela di Cristo.190

Ogni Vescovo, pertanto, esprimerà la sua premura anzitutto scegliendo con massima cura gli educatori dei futuri presbiteri e stabilendo le forme più opportune e appropriate per la necessaria loro preparazione a svolgere il ministero in un ambito tanto fondamentale per la vita della comunità cristiana. Il Vescovo non mancherà di visitare con frequenza il Seminario, anche quando circostanze particolari lo avessero condotto insieme con altri Vescovi alla scelta, in non pochi casi necessaria e addirittura da preferirsi, di un Seminario interdiocesano.191 La conoscenza personale e approfondita dei candidati al presbiterato nella propria Chiesa particolare è un elemento dal quale il Vescovo non può prescindere. Sulla base di tali contatti diretti, egli si impegnerà a far sì che nei Seminari siano formate personalità mature ed equilibrate, capaci di stabilire solide relazioni umane e pastorali, teologicamente preparate, forti nella vita spirituale, amanti della Chiesa. Ugualmente si sforzerà di promuovere e sollecitare iniziative di carattere economico per il sostegno e l’aiuto dei giovani candidati al presbiterato.

È evidente, però, che forza suscitatrice e formatrice di vocazioni è innanzitutto la preghiera. Le vocazioni hanno bisogno di una diffusa rete di intercessori presso il « Padrone della messe ». Quanto più il problema della vocazione sarà affrontato nel contesto della preghiera, tanto più la preghiera aiuterà il prescelto ad ascoltare la voce di Colui che lo chiama.

Giunto il momento di conferire gli Ordini sacri, ogni Vescovo terrà il dovuto scrutinio.192 A tale proposito, consapevole della sua grave responsabilità nel conferimento dell’Ordine presbiterale, soltanto dopo un’indagine accurata ed un’ampia consultazione, a norma del diritto, il Vescovo accoglierà nella propria Diocesi candidati che provengono da altra Diocesi, o da un Istituto religioso.193

Il Vescovo e i diaconi permanenti

49. In quanto dispensatori dei sacri Ordini, i Vescovi hanno una responsabilità diretta anche riguardo ai Diaconi permanenti, che l’Assemblea sinodale riconosce come autentici doni di Dio per annunciare il Vangelo, istruire le comunità cristiane e promuovere il servizio della carità nella Famiglia di Dio.194

Ogni Vescovo, perciò, avrà grande cura per queste vocazioni, del cui discernimento e formazione è lui il responsabile ultimo. Benché, normalmente, debba esercitare questa responsabilità mediante collaboratori di sua stretta fiducia, impegnati ad agire in maniera conforme alle disposizioni della Santa Sede,195 il Vescovo cercherà, nei limiti del possibile, di conoscere personalmente quanti si preparano al Diaconato. Dopo averli ordinati, continuerà ad essere per loro un vero padre, incoraggiandoli all’amore verso il Corpo e il Sangue di Cristo, di cui sono ministri, e verso la Santa Chiesa che hanno accettato di servire; quelli poi che sono coniugati, esorterà ad una esemplare vita familiare.

La premura del Vescovo verso le persone di vita consacrata

50. L’Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata ha già messo in risalto l’importanza che la vita consacrata ha nel ministero del Vescovo. Richiamando quel testo durante quest’ultimo Sinodo, i Padri hanno ricordato che nella Chiesa-comunione il Vescovo deve stimare e promuovere la specifica vocazione e missione della vita consacrata, che appartiene stabilmente e fermamente alla vita e alla santità della Chiesa.196 Anche nella Chiesa particolare essa adempie il dovere di un’esemplare presenza e missione carismatica. Il Vescovo esaminerà perciò attentamente se, fra le persone consacrate vissute nella Diocesi, vi siano state testimonianze di esercizio eroico delle virtù e, ritenendolo opportuno, procederà ad avviare il processo di canonizzazione.

Nella sua cura premurosa verso tutte le forme di vita consacrata, cura che s’esprime sia nell’incoraggiamento che nella vigilanza, il Vescovo dovrà riservare un posto speciale per la vita contemplativa. I consacrati, a loro volta, accoglieranno cordialmente le indicazioni pastorali del Vescovo, mirando ad una piena comunione con la vita e la missione della Chiesa particolare, ove dimorano. Il Vescovo, infatti, è il responsabile dell’attività apostolica nella Diocesi: con lui devono collaborare i consacrati e le consacrate in modo da arricchire, con la presenza e con il ministero, la comunione ecclesiale. A tale proposito, si deve tener presente il documento Mutuae relationes e quanto attiene il diritto vigente.

Speciale attenzione è stata raccomandata per gli Istituti di diritto diocesano, soprattutto per quelli che si dibattono in serie difficoltà: ad essi il Vescovo riserverà una speciale cura paterna. Nell’iter, infine, di approvazione di nuovi Istituti nati nella propria Diocesi, il Vescovo avrà cura di muoversi secondo quanto indicato e prescritto nell’Esortazione Vita consecrata e nelle altre istruzioni dei competenti Dicasteri della Santa Sede.197

I fedeli laici nella cura pastorale del Vescovo

51. Nei fedeli laici, che costituiscono la maggioranza del Popolo di Dio, deve evidenziarsi la forza missionaria del Battesimo. A tal fine, essi hanno bisogno del sostegno, dell’incoraggiamento e dell’aiuto dei loro Vescovi, che li guidino a sviluppare il loro apostolato secondo la loro propria indole secolare, attingendo alla grazia dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. Sarà per questo necessario promuovere itinerari specifici di formazione, che li abilitino ad assumere responsabilità nella Chiesa all’interno delle strutture di partecipazione diocesane e parrocchiali, oltre che nei diversi servizi di animazione della liturgia, di catechesi, di insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ecc.

Spettano soprattutto ai laici – e in questo senso li si deve incoraggiare – l’evangelizzazione delle culture, l’inserimento della forza del Vangelo nelle realtà della famiglia, del lavoro, dei mass-media, dello sport, del tempo libero, l’animazione cristiana dell’ordine sociale e della vita pubblica, nazionale e internazionale. Per la loro collocazione nel mondo, difatti, i fedeli laici sono in grado di esercitare una grande influenza sull’ambiente circostante, allargando per tanti uomini e donne le prospettive e gli orizzonti della speranza. D’altra parte, impegnati come sono per la loro scelta di vita nelle realtà temporali, i fedeli laici sono chiamati, in modo corrispondente alla loro specifica indole secolare, a rendere conto della speranza (cfr 1 Pt 3, 15) nei rispettivi campi di lavoro, coltivando nel cuore « l’attesa di una terra nuova ».198 I Vescovi, per parte loro, siano vicini ai fedeli laici che, inseriti nel vivo dei complessi problemi del mondo, sono particolarmente esposti al turbamento e alla sofferenza e li sostengano perché siano cristiani di forte speranza, saldamente ancorati alla certezza che il Signore è sempre accanto ai suoi figli.

Dev’essere pure considerata l’importanza dell’apostolato laico associato, sia quello di più antica tradizione, sia quello costituito dai nuovi movimenti ecclesiali. Tutte queste realtà aggregative arricchiscono la Chiesa, ma hanno sempre bisogno del servizio di discernimento che è proprio del Vescovo, alla cui missione pastorale spetta di favorire la complementarità tra movimenti di ispirazione diversificata, vegliando sul loro sviluppo, sulla formazione teologica e spirituale degli animatori, sull’inserimento delle nuove realtà nella comunità diocesana e nelle parrocchie, da cui non debbono separarsi.199 Il Vescovo cercherà pure di far sì che le aggregazioni laicali sostengano la pastorale vocazionale nella Diocesi, favorendo l’accoglienza di tutte le vocazioni, specialmente di quelle al ministero ordinato, alla vita consacrata e all’impegno missionario.200

La sollecitudine del Vescovo verso la famiglia

52. Molte voci di Padri sinodali si sono levate a favore della famiglia, giustamente chiamata « chiesa domestica », spazio aperto alla presenza del Signore Gesù, santuario della vita. Fondata sul sacramento del Matrimonio, essa appare quale comunità di importanza primaria, giacché in essa sia i coniugi sia i loro figli vivono la propria vocazione e si perfezionano nella carità. La famiglia cristiana – è stato sottolineato nel Sinodo – è comunità apostolica, aperta alla missione.201

È proprio del Vescovo fare in modo che nella società civile siano sostenuti e difesi i valori del matrimonio attraverso giuste scelte politiche ed economiche. All’interno, poi, della comunità cristiana egli non mancherà di incoraggiare la preparazione dei fidanzati al matrimonio, l’accompagnamento delle giovani coppie e la formazione di gruppi di famiglie che sostengano la pastorale familiare e, non da ultimo, siano in grado di aiutare le famiglie in difficoltà. La vicinanza del Vescovo ai coniugi e ai loro figli, anche attraverso iniziative di vario genere a carattere diocesano, sarà per loro di sicuro conforto.

Guardando ai compiti educativi della famiglia stessa, i Padri sinodali hanno unanimemente riconosciuto il valore delle scuole cattoliche in ordine alla formazione integrale delle nuove generazioni, all’inculturazione della fede e al dialogo fra le diverse culture. È perciò necessario che il Vescovo sostenga e qualifichi l’opera delle scuole cattoliche, promuovendone il sorgere laddove non esistono e sollecitando, per quanto sta in lui, le istituzioni civili perché favoriscano un’effettiva libertà d’insegnamento all’interno del Paese.202

I giovani, una priorità pastorale in vista del futuro

53. Il Vescovo, pastore e padre della comunità cristiana, avrà una cura particolare per l’evangelizzazione e l’accompagnamento spirituale dei giovani. Un ministero di speranza non può fare a meno di costruire il futuro insieme con coloro – i giovani, appunto – ai quali è affidato l’avvenire. Come « sentinelle del mattino », i giovani attendono l’aurora di un mondo nuovo. L’esperienza delle Giornate Mondiali della Gioventù, che i Vescovi incoraggiano cordialmente, ci mostra quanto numerosi siano i giovani disponibili a impegnarsi nella Chiesa e nel mondo, se è proposta loro un’autentica responsabilità e offerta una integrale formazione cristiana.

In questa prospettiva, facendomi interprete del pensiero dei Padri sinodali, rivolgo uno speciale appello alle persone di vita consacrata dei molti Istituti impegnati nell’ambito della formazione e della educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, perché non si lascino scoraggiare dalle difficoltà del momento e non desistano dalla loro benemerita opera, ma la intensifichino qualificando sempre meglio i loro sforzi.203

I giovani, attraverso una relazione personale con i loro pastori e formatori, siano spinti a crescere nella carità, siano educati a una vita generosa, disponibile al servizio degli altri, soprattutto degli indigenti e degli ammalati. In questo modo sarà più facile parlare loro anche delle altre virtù cristiane, specialmente della castità. Su questa via giungeranno a capire che una vita è « bella » quando è donata, sull’esempio di Gesù. Potranno così compiere scelte responsabili e definitive, sia in ordine al matrimonio, sia nel ministero sacro e nella vita consacrata.

La pastorale vocazionale

54. Determinante è la promozione di una cultura vocazionale in senso più ampio: occorre cioè educare i giovani alla scoperta della vita stessa come vocazione. Converrà pertanto che il Vescovo faccia appello alle famiglie, alle comunità parrocchiali e agli istituti educativi, perché aiutino i ragazzi e i giovani a scoprire il progetto di Dio sulla loro vita, accogliendo la chiamata alla santità che Dio originalmente rivolge a ciascuno.204

È molto importante, a tale proposito, rinvigorire la dimensione vocazionale di tutta l’azione pastorale. Per questo il Vescovo procurerà che la pastorale giovanile e vocazionale sia affidata a sacerdoti e a persone capaci di trasmettere, con l’entusiasmo e con l’esempio della loro vita, l’amore per Gesù. Sarà loro compito accompagnare i giovani mediante un rapporto personale di amicizia e, se possibile, di direzione spirituale, per aiutarli a cogliere i segni della chiamata di Dio, e a cercare la forza per corrispondervi nella grazia dei Sacramenti e nella vita di preghiera, che è anzitutto ascolto di Dio che parla.

Sono, questi, alcuni degli ambiti nei quali ogni Vescovo esercita il suo ministero di governo ed esprime verso la porzione del Popolo di Dio che gli è affidata la carità pastorale che lo anima. Una delle forme caratteristiche di tale carità è la compassione, a imitazione di Cristo, Sommo Sacerdote, il quale seppe compatire le umane fragilità, poiché egli stesso era stato provato in tutto come noi, anche se, a differenza di noi, non nel peccato (cfr Ebr 4, 15). Tale compassione è sempre unita alla responsabilità, che il Vescovo ha assunto di fronte a Dio e alla Chiesa. È così che egli realizza le promesse e gli impegni assunti nel giorno della sua Ordinazione episcopale, quando ha dato liberamente il suo assenso alla richiesta della Chiesa di prendersi cura, con amore di padre, del Popolo santo di Dio e di guidarlo sulla via della salvezza; di essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri, i malati e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto e pure, come buon pastore, di andare alla ricerca delle pecore smarrite per riportarle all’ovile di Cristo.205

CAPITOLO SESTO

NELLA COMUNIONE DELLE CHIESE

« La preoccupazione per tutte le Chiese » (2 Cor 11, 28)

55. Scrivendo ai cristiani di Corinto, l’apostolo Paolo rievoca tutto ciò che egli ha patito per il Vangelo: « Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese » (2 Cor 11, 26-28). La conclusione a cui egli giunge è un interrogativo appassionato: « Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? » (2 Cor 11, 29). È lo stesso interrogativo che interpella la coscienza di ogni Vescovo, in quanto membro del Collegio episcopale.

Lo ricorda espressamente il Concilio Vaticano II quando afferma che tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine a tutta la Chiesa. « Tutti i Vescovi infatti devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli all’amore di tutto il Corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr Mt 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca, e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è una verità che, reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di Chiese ».206

Accade così che ogni Vescovo è simultaneamente in relazione con la sua Chiesa particolare e con la Chiesa universale. Lo stesso Vescovo, infatti, che è visibile principio e fondamento dell’unità nella propria Chiesa particolare, è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale. Tutti i Vescovi, pertanto, risiedendo nelle loro Chiese particolari sparse nel mondo, ma sempre custodendo la comunione gerarchica con il Capo del Collegio episcopale e con il Collegio stesso, danno consistenza ed espressione alla cattolicità della Chiesa e nel contempo conferiscono alla loro Chiesa particolare tale nota di cattolicità. Ogni Vescovo, così, è quasi punto di congiunzione della sua Chiesa particolare con la Chiesa universale e testimonianza visibile della presenza dell’unica Chiesa di Cristo nella sua Chiesa particolare. Nella comunione delle Chiese, dunque, il Vescovo rappresenta la sua Chiesa particolare e, in questa, egli rappresenta la comunione delle Chiese. Mediante il ministero episcopale, infatti, le portiones Ecclesiae partecipano alla totalità dell’Una-Santa, mentre questa, sempre attraverso tale ministero, si rende presente nella singola Ecclesiae portio.207

La dimensione universale del ministero episcopale è pienamente manifestata e attuata quando tutti i Vescovi, in comunione gerarchica col Romano Pontefice, agiscono come Collegio. Riuniti solennemente in un Concilio Ecumenico o sparsi per il mondo, ma sempre in comunione gerarchica col Romano Pontefice, essi costituiscono la prosecuzione del Collegio apostolico.208 Anche in altre forme, però, tutti i Vescovi collaborano tra di loro e con il Romano Pontefice in bonum totius Ecclesiae, e ciò avviene anzitutto perché il Vangelo sia annunciato in tutta la terra e anche per fare fronte ai vari problemi che assillano le diverse Chiese particolari. Nello stesso tempo, anche l’esercizio del ministero del Successore di Pietro per il bene di tutta la Chiesa e di ogni Chiesa particolare, come pure l’azione del Collegio in quanto tale, sono di valido aiuto perché, nelle Chiese particolari affidate alla cura pastorale dei singoli Vescovi diocesani, siano salvaguardate l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa. Nella Cattedra di Pietro i Vescovi, sia come singoli sia uniti tra di loro come Collegio, trovano il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità della fede e della comunione.209

Il Vescovo diocesano in relazione alla suprema autorità

56. Il Concilio Vaticano II insegna che « ai Vescovi, come a successori degli Apostoli, nelle Diocesi loro affidate, per sé spetta tutto il potere ordinario, proprio e immediato, che è necessario per l’esercizio del loro dovere pastorale (munus pastorale), ferma sempre restando in ogni campo la potestà del Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, di riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità ».210

Nell’aula sinodale è stata sollevata da qualcuno la questione se non si possa trattare la relazione tra il Vescovo e la suprema autorità alla luce del principio di sussidiarietà, specialmente per quanto concerne i rapporti tra il Vescovo e la Curia romana, auspicando che tali rapporti, in linea con un’ecclesiologia di comunione, si svolgano nel rispetto delle competenze di ciascuno e, quindi, nell’attuazione di una maggiore decentralizzazione. È stato pure chiesto che si studi la possibilità di applicare tale principio alla vita della Chiesa, salvaguardando in ogni caso il fatto che principio costitutivo per l’esercizio dell’autorità episcopale è la comunione gerarchica dei singoli Vescovi con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale.

Come si sa, il principio di sussidiarietà fu formulato dal mio predecessore di v. m. Pio XI per la società civile.211 Il Concilio Vaticano II, che non ha mai usato il termine « sussidiarietà », ha però incoraggiato la condivisione tra gli organismi della Chiesa, avviando una nuova riflessione sulla teologia dell’Episcopato, che sta dando i suoi frutti nella concreta applicazione del principio della collegialità alla comunione ecclesiale. I Padri sinodali hanno tuttavia ritenuto, per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità episcopale, che il concetto di sussidiarietà risulti ambiguo e hanno insistito di approfondire teologicamente la natura dell’autorità episcopale alla luce del principio di comunione.212

Nell’Assemblea sinodale si è parlato più volte del principio di comunione.213 Si tratta di una comunione organica, che si ispira all’immagine del Corpo di Cristo, di cui parla l’apostolo Paolo quando sottolinea le funzioni di complementarità e mutuo aiuto tra le diverse membra nell’unico corpo (cfr 1 Cor 12, 12-31).

Perché, dunque, il ricorso al principio di comunione sia fatto correttamente ed efficacemente, saranno ineludibili alcuni punti di riferimento. Si dovrà innanzitutto tener conto del fatto che nella sua Chiesa particolare, il Vescovo diocesano possiede tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l’adempimento del suo ministero pastorale. A lui, pertanto, compete un ambito proprio di esercizio autonomo di tale autorità, ambito riconosciuto e tutelato dalla legislazione universale.214 La potestà del Vescovo, dall’altra parte, coesiste con la potestà suprema del Romano Pontefice, anch’essa episcopale, ordinaria e immediata su tutte le singole Chiese e i raggruppamenti di esse, su tutti i pastori e i fedeli.215

Altro punto fermo da tener presente: l’unità della Chiesa è radicata nell’unità dell’episcopato, il quale, per essere uno, richiede un Capo del Collegio. Analogamente la Chiesa, per essere una, esige una Chiesa come Capo delle Chiese, quella di Roma il cui Vescovo, Successore di Pietro, è il Capo del Collegio.216 Affinché, dunque, « ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita ad immagine della Chiesa universale, in essa dev’essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa […] Il primato del Vescovo di Roma e il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale « non derivati dalla particolarità delle Chiese », ma tuttavia interiori a ogni Chiesa particolare […] L’essere il ministero del successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare ».217

La Chiesa di Cristo, nella sua nota di cattolicità, si realizza pienamente in ogni Chiesa particolare, la quale riceve tutti i mezzi naturali e soprannaturali per adempiere la missione, che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Tra questi c’è anche la potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo, richiesta per l’esercizio del suo ministero pastorale (munus pastorale), il quale esercizio, però, è sottoposto alle leggi universali e alle riserve, fatte dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice, alla suprema autorità, oppure ad altra autorità ecclesiastica.218

La capacità di governo proprio, comprendente anche l’esercizio del magistero autentico,219 intrinsecamente appartenente al Vescovo nella sua Diocesi, si trova all’interno di quella realtà misterica della Chiesa, la quale fa sì che nella Chiesa particolare sia immanente la Chiesa universale, che rende presente la suprema autorità, cioè il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi con la loro potestà suprema, piena, ordinaria e immediata su tutti i fedeli e pastori.220

Conformemente alla dottrina del Concilio Vaticano II, si deve affermare che la funzione di insegnare (munus docendi) e quella di governare (munus regendi) – quindi la corrispondente potestà di magistero e di governo – nella Chiesa particolare sono da ciascun Vescovo diocesano esercitate, per loro natura, nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con il Collegio stesso.221 Ciò non indebolisce l’autorità episcopale, anzi la rafforza, in quanto i vincoli della comunione gerarchica che legano i Vescovi alla Sede Apostolica richiedono una necessaria coordinazione tra la responsabilità del Vescovo diocesano e quella della suprema autorità, che è dettata dalla natura stessa della Chiesa. È lo stesso diritto divino a porre i limiti dell’esercizio dell’una e dell’altra. La potestà dei Vescovi, per questo, « non è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa ».222

Bene si espresse pertanto il Papa Paolo VI quando, aprendo il terzo periodo del Concilio Vaticano II, affermò: « Come voi, venerati Fratelli nell’episcopato, sparsi sulla terra per dare consistenza ed espressione alla vera cattolicità della Chiesa, avete bisogno di un centro, d’un principio di unità nella fede e nella comunione, quale appunto trovate in questa Cattedra di Pietro; così Noi abbiamo bisogno che voi Ci siate sempre vicini per dare sempre più al volto della Sede Apostolica la sua prestanza, la sua umana e storica realtà, anzi la consonanza alla sua fede, l’esempio al compimento dei suoi doveri, il conforto nelle sue tribolazioni ».223

La realtà della comunione, che è alla base di tutte le relazioni intraecclesiali 224 e che è stata messa in luce anche nella discussione sinodale, costituisce una relazione di reciprocità tra il Romano Pontefice e i Vescovi. Infatti, se da una parte il Vescovo, per esprimere in pienezza il suo stesso ufficio e fondare la cattolicità della sua Chiesa, deve esercitare la potestà di governo che gli è propria (munus regendi), nella comunione gerarchica con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, dall’altra parte il Romano Pontefice, Capo del Collegio, nell’esercizio del suo ministero di supremo pastore della Chiesa (munus supremi Ecclesiae pastoris), agisce sempre nella comunione con tutti gli altri Vescovi, anzi con tutta la Chiesa.225 Nella comunione ecclesiale, allora, come il Vescovo non è solo, ma è continuamente riferito al Collegio e al suo Capo ed è da essi sostenuto, così anche il Romano Pontefice non è solo, ma è sempre in riferimento ai Vescovi ed è da essi sostenuto. È questa un’altra ragione per cui l’esercizio della potestà suprema del Romano Pontefice non annulla, ma afferma, corrobora e rivendica la stessa potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo nella sua Chiesa particolare.

Le visite « ad limina Apostolorum »

57. Una manifestazione e insieme un mezzo di comunione tra i Vescovi e la Cattedra di Pietro sono le visite ad limina Apostolorum.226 Tre, infatti, sono i momenti principali di tale avvenimento, con un loro proprio significato.227 Anzitutto il pellegrinaggio ai sepolcri dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo, che indica il riferimento a quell’unica fede di cui essi diedero testimonianza a Roma con il loro martirio.

Connesso con questo momento è l’incontro col Successore di Pietro. In occasione della visita ad limina, infatti, i Vescovi si riuniscono attorno a lui e attuano, secondo il principio di cattolicità, una comunicazione di doni tra tutti quei beni che per opera dello Spirito si ritrovano nella Chiesa, sia a livello particolare e locale, sia a livello universale.228 Ciò che allora si attua non è semplicemente una reciproca informazione, ma soprattutto l’affermazione e il consolidamento della collegialità (collegialis confirmatio) nel corpo della Chiesa, per la quale si ha l’unità nella diversità, generando una specie di « perichoresis » tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, che si può paragonare al movimento per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore.229 La linfa vitale che viene da Cristo, unisce tutte le parti, come la linfa della vite che va ai tralci (cfr Gv 15, 5). Ciò si rende evidente, in particolare, nella Celebrazione eucaristica dei Vescovi con il Papa. Ogni Eucaristia, infatti, è celebrata in comunione col Vescovo proprio, col Romano Pontefice e col Collegio Episcopale e, mediante questi, con i fedeli della Chiesa particolare e di tutta la Chiesa, così che la Chiesa universale è presente in quella particolare e questa è inserita, insieme con le altre Chiese particolari, nella comunione della Chiesa universale.

Fin dai primi secoli il riferimento ultimo della comunione è alla Chiesa di Roma, dove Pietro e Paolo hanno dato la loro testimonianza di fede. Infatti con essa, per la sua posizione preminente, è necessario che concordi ogni Chiesa, perché essa è la garanzia ultima dell’integrità della tradizione trasmessa dagli Apostoli.230 La Chiesa di Roma presiede alla comunione universale della carità,231 tutela le legittime varietà e nello stesso tempo veglia perché la particolarità non solo non nuoccia all’unità, ma la serva.232 Tutto ciò comporta la necessità della comunione delle varie Chiese con la Chiesa di Roma, perché tutte si possano trovare nell’integrità della Tradizione apostolica e nell’unità della disciplina canonica per la custodia della fede, dei Sacramenti e della via concreta alla santità. Tale comunione delle Chiese è espressa dalla comunione gerarchica tra i singoli Vescovi e il Romano Pontefice.233 Dalla comunione cum Petro et sub Petro di tutti i Vescovi, attuata nella carità, scaturisce il dovere della collaborazione di tutti con il Successore di Pietro, per il bene della Chiesa intera e quindi di ogni Chiesa particolare. La visita ad limina è diretta appunto a questo fine.

Il terzo aspetto delle visite ad limina è costituito dall’incontro con i responsabili dei Dicasteri della Curia romana: trattando con loro, i Vescovi hanno diretto accesso ai problemi di competenza dei singoli Dicasteri, e sono così introdotti ai vari aspetti della comune sollecitudine pastorale. Al riguardo, i Padri sinodali hanno chiesto che, nel segno della mutua conoscenza e fiducia, si facciano più frequenti i rapporti tra Vescovi, singoli o uniti nelle Conferenze episcopali, e Dicasteri della Curia romana,234 in modo che questi, direttamente informati sui problemi concreti delle Chiese, possano meglio svolgere il loro servizio universale.

Senza dubbio le visite ad limina, insieme con la relazione quinquennale sullo stato della Diocesi,235 sono mezzi efficaci per l’attuazione dell’esigenza di reciproca conoscenza, che sgorga dalla stessa realtà della comunione tra i Vescovi e il Romano Pontefice. La presenza dei Vescovi a Roma per la visita può, anzi, essere occasione opportuna per affrettare, da una parte, la risposta alle questioni da loro presentate ai Dicasteri e per favorire, dall’altra, secondo l’auspicio da essi manifestato, una loro consultazione individuale o collettiva, in vista della predisposizione di documenti di rilevante importanza generale; nell’occasione potranno, inoltre, essere opportunamente illustrati ai medesimi Vescovi, prima della loro pubblicazione, eventuali documenti che la Santa Sede intendesse indirizzare alla Chiesa nel suo insieme o specificamente alle loro Chiese particolari.

Il Sinodo dei Vescovi

58. Secondo un’esperienza ormai consolidata, ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, in qualche modo espressiva dell’episcopato, mostra in maniera peculiare lo spirito di comunione che unisce i Vescovi con il Romano Pontefice e i Vescovi tra di loro, permettendo di esprimere un approfondito giudizio ecclesiale, sotto l’azione dello Spirito, riguardo ai vari problemi che assillano la vita della Chiesa.236

Come è noto, durante il Concilio Vaticano II emerse l’esigenza che i Vescovi potessero aiutare meglio il Romano Pontefice nell’esercizio del suo ufficio. Fu proprio in considerazione di ciò che il mio predecessore di v. m. Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi,237 pur tenendo presente l’apporto che già recava al Romano Pontefice il Collegio dei Cardinali. Mediante il nuovo organismo si poteva così esprimere più efficacemente l’affetto collegiale e la sollecitudine dei Vescovi per il bene di tutta la Chiesa.

Gli anni trascorsi hanno mostrato come i Vescovi, in unione di fede e di carità, possano prestare valido aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nell’esercizio del suo ministero apostolico, sia per la salvaguardia della fede e dei costumi, che per l’osservanza della disciplina ecclesiastica. Lo scambio di notizie sulle Chiese particolari, infatti, facilitando la concordanza di sentenze anche su questioni dottrinali, è un modo valido per rafforzare la comunione.238

Ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è una forte esperienza ecclesiale, anche se nelle modalità delle sue procedure rimane sempre perfettibile.239 I Vescovi riuniti nel Sinodo rappresentano anzitutto le proprie Chiese, ma tengono presenti anche i contributi delle Conferenze episcopali dalle quali sono designati e dei cui pareri circa le questioni da trattare si fanno portatori. Essi esprimono così il voto del Corpo gerarchico della Chiesa e, in qualche modo, quello del popolo cristiano, del quale sono i pastori.

Il Sinodo è un evento in cui si rende particolarmente evidente che il Successore di Pietro, nell’adempimento del suo ufficio, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa.240 « Spetta al Sinodo dei Vescovi – stabilisce al riguardo il Codice di Diritto Canonico – discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non abbia concesso potestà deliberativa ».241 Il fatto che il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva non ne diminuisce l’importanza. Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa. Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiae non è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell’azione dello Spirito, anima dell’unica Chiesa di Cristo.

Proprio perché il Sinodo è al servizio della verità e della Chiesa, come espressione della vera corresponsabilità da parte di tutto l’episcopato in unione con il suo Capo riguardo al bene della Chiesa, nel dare il voto o consultivo o deliberativo i Vescovi, insieme agli altri membri del Sinodo, esprimono comunque la partecipazione al governo della Chiesa universale. Come il mio predecessore di v. m. Paolo VI, anche io ho sempre fatto tesoro delle proposte e dei pareri espressi dai Padri sinodali, facendoli entrare nel processo di elaborazione del documento che raccoglie i risultati del Sinodo, e che proprio per questo amo qualificare come « post-sinodale ».

La comunione tra i Vescovi e tra le Chiese a livello locale

59. Oltre che a livello universale, sono molte e varie le forme nelle quali può esprimersi, e di fatto si esprime, la comunione episcopale e quindi la sollecitudine per tutte le Chiese sorelle. I rapporti scambievoli tra i Vescovi, poi, vanno ben oltre i loro incontri istituzionali. La coscienza viva della dimensione collegiale del ministero che è stato loro comunicato deve spingerli a realizzare fra di loro, soprattutto nell’ambito della medesima Conferenza episcopale, a livello sia della Provincia che della Regione ecclesiastica, le molteplici espressioni della fraternità sacramentale, che vanno dalla reciproca accoglienza e stima alle varie attenzioni di carità e concreta collaborazione.

Come ho già scritto in precedenza, « molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II in poi anche per quanto riguarda la riforma della Curia Romana, l’organizzazione dei Sinodi, il funzionamento delle Conferenze episcopali. Ma certamente molto resta da fare, per esprimere al meglio le potenzialità di questi strumenti della comunione, oggi particolarmente necessari di fronte all’esigenza di rispondere con prontezza ed efficacia ai problemi che la Chiesa deve affrontare nei cambiamenti così rapidi del nostro tempo ».242 Il nuovo secolo, allora, deve trovarci tutti impegnati più che mai a valorizzare e sviluppare gli ambiti e gli strumenti che servono ad assicurare e a garantire la comunione tra i Vescovi e tra le Chiese.

Ogni azione del Vescovo compiuta nell’esercizio del proprio ministero pastorale è sempre un’azione compiuta nel Collegio. Che si tratti di esercizio del ministero della Parola o del governo nella propria Chiesa particolare, o anche di decisione presa con gli altri Fratelli nell’episcopato riguardo alle altre Chiese particolari della stessa Conferenza episcopale, in ambito provinciale o regionale, rimane sempre azione nel Collegio, perché compiuta conservando la comunione con tutti gli altri Vescovi e con il Capo del Collegio, nonché impegnando la propria responsabilità pastorale. Tutto questo, poi, si realizza non già in virtù di una convenienza umana di coordinamento, bensì di una sollecitudine verso le altre Chiese, che deriva dall’essere, ciascun Vescovo, inserito e raccolto in un Corpo o Collegio. Ogni Vescovo, infatti, è simultaneamente responsabile, anche se in modi diversi, della Chiesa particolare, delle Chiese sorelle più vicine e della Chiesa universale.

Opportunamente, pertanto, i Padri sinodali hanno ribadito che « Vivendo nella comunione episcopale, i singoli Vescovi sentano come proprie le difficoltà e le sofferenze dei loro Fratelli nell’episcopato. Affinché questa comunione episcopale sia rafforzata e divenga sempre più forte, i singoli Vescovi e le singole Conferenze episcopali considerino attentamente la possibilità che le loro Chiese hanno di aiutare quelle più povere ».243 Sappiamo che tale povertà può consistere sia in una forte penuria di sacerdoti o di altri operatori pastorali, sia in una grave mancanza di mezzi materiali. Tanto in un caso come nell’altro, a soffrire è l’annuncio del Vangelo. È per questo che, in linea con quanto già il Concilio Vaticano II inculcava,244 faccio mio il pensiero dei Padri sinodali i quali hanno auspicato che siano favorite le relazioni di fraterna solidarietà tra le Chiese di antica evangelizzazione e le cosiddette « giovani Chiese », anche stabilendo dei « gemellaggi », che si concretizzino nella comunicazione di esperienze e di agenti pastorali, nonché di aiuti pecuniari. Ciò infatti conferma l’immagine della Chiesa come « famiglia di Dio », nella quale i più forti sostengono i più deboli per il bene di tutti.245

Si traduce così nella comunione delle Chiese la comunione dei Vescovi, la quale si esprime pure nelle amorevoli attenzioni verso quei Pastori che, più degli altri Fratelli e per ragioni soprattutto legate a situazioni locali, sono stati o, purtroppo, sono ancora provati dalla sofferenza, nella condivisione il più delle volte delle sofferenze dei loro fedeli. Una categoria di Pastori meritevole di particolare attenzione, a motivo del numero crescente di coloro che si trovano a farne parte, è quella dei Vescovi emeriti. Ad essi, nella Liturgia di conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria, insieme con i Padri sinodali ho spesso rivolto il pensiero. La Chiesa intera ha grande considerazione per questi carissimi Fratelli, che restano membri importanti del Collegio episcopale, ed è grata per il servizio pastorale che hanno svolto e ancora svolgono mettendo la loro saggezza e la loro esperienza a disposizione della comunità. L’autorità competente non manchi di valorizzare questo loro personale patrimonio spirituale, in cui è pure depositata una parte preziosa della memoria delle Chiese che hanno guidato per anni. È doveroso porre ogni impegno per assicurare loro condizioni di serenità spirituale ed economica nel contesto umano da essi ragionevolmente desiderato. Si studino inoltre le possibilità di un ulteriore utilizzo delle loro competenze all’interno dei vari organismi delle Conferenze Episcopali.246

Le Chiese cattoliche orientali

60. Nella medesima prospettiva della comunione tra i Vescovi e tra le Chiese i Padri sinodali hanno riservato un’attenzione tutta particolare alle Chiese cattoliche orientali, tornando a considerare le venerande e antiche ricchezze delle loro tradizioni, le quali costituiscono un tesoro vivo che coesiste con analoghe espressioni della Chiesa latina. Le une e le altre insieme illuminano maggiormente l’unità cattolica del Popolo santo di Dio.247

Non c’è dubbio, poi, che le Chiese cattoliche dell’Oriente, in ragione della loro affinità spirituale, storica, teologica, liturgica e disciplinare con le Chiese ortodosse e le altre Chiese orientali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, hanno un titolo specialissimo per la promozione dell’unità dei cristiani, sopratutto dell’Oriente. E ciò sono chiamate a fare, come tutte le Chiese, con la preghiera e con l’esemplare vita cristiana; inoltre, come loro specifico contributo, esse sono chiamate ad aggiungere la loro religiosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali.248

Le Chiese patriarcali e il loro Sinodo

61. Tra le istituzioni proprie delle Chiese cattoliche orientali emergono le Chiese patriarcali. Esse appartengono a quei raggruppamenti di Chiese che, come afferma il Concilio Vaticano II,249 per divina Provvidenza, nel succedersi del tempo si sono organicamente costituiti e che godono sia di disciplina e di usi liturgici propri, sia di un comune patrimonio teologico e spirituale, sempre conservando l’unità della fede e dell’unica divina costituzione della Chiesa universale. La loro particolare dignità è data dal fatto che esse, quasi matrici di fede, hanno generato altre Chiese, le quali sono come loro figlie e perciò fino ai nostri tempi a loro legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri.

Quest’istituzione patriarcale è ben antica nella Chiesa. Già attestata nel primo Concilio ecumenico di Nicea, essa è stata riconosciuta dai primi Concili ecumenici ed è tuttora la forma tradizionale di governo nelle Chiese orientali.250 Nella sua origine e struttura particolare, pertanto, essa è d’istituzione ecclesiastica. Appunto per questo il Concilio Ecumenico Vaticano II ha espresso il desiderio che « dove sia necessario si erigano nuovi Patriarcati, la cui fondazione è riservata al Concilio Ecumenico o al Romano Pontefice ».251 Chiunque nelle Chiese orientali ha una potestà sovraepiscopale e sovralocale – come i Patriarchi e i Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali – partecipa della suprema autorità che il Successore di Pietro ha su tutta la Chiesa, ed esercita questa sua potestà nel rispetto, oltre che del Primato del Romano Pontefice,252 anche dell’ufficio dei singoli Vescovi, senza invadere il campo della loro competenza e senza limitare il libero esercizio delle funzioni loro proprie.

I rapporti, infatti, tra i Vescovi di una Chiesa patriarcale e il Patriarca, che a sua volta è il Vescovo dell’eparchia patriarcale, si sviluppano sulla base stabilita già in antichità nei Canoni degli Apostoli: « Bisogna che i Vescovi di ciascuna nazione sappiano chi tra loro è il primo e lo considerino come loro capo e non facciano nulla di importante senza il suo assenso; ciascuno non si occuperà che di ciò che riguarda il suo distretto e i territori che da esso dipendono; ma anch’egli non faccia nulla senza l’assenso di tutti; così la concordia regnerà e Dio sarà glorificato, per Cristo nello Spirito Santo ».253 Questo canone esprime l’antica prassi della sinodalità nelle Chiese d’Oriente, offrendone al tempo stesso il fondamento teologico e il significato dossologico, poiché è affermato chiaramente che l’azione sinodale dei Vescovi nella concordia rende culto e gloria a Dio Uno e Trino.

Nella vita sinodale delle Chiese patriarcali, dunque, dev’essere riconosciuta un’attuazione effettiva della dimensione collegiale del ministero episcopale. Tutti i Vescovi legittimamente consacrati partecipano al Sinodo della loro Chiesa patriarcale in quanto pastori di una porzione del Popolo di Dio. Tuttavia, il ruolo del primo, ossia del Patriarca, è riconosciuto come un elemento a suo modo costituente l’azione collegiale. Non si dà, infatti, alcuna azione collegiale senza un « primo » riconosciuto come tale. La sinodalità, per altro verso, non distrugge né diminuisce la legittima autonomia d’ogni Vescovo nel governo della propria Chiesa; afferma, però, l’affetto collegiale dei Vescovi corresponsabili di tutte le Chiese particolari comprese nel Patriarcato.

Al Sinodo patriarcale è riconosciuta una vera potestà di governo. Esso, infatti, elegge il Patriarca e i Vescovi per gli uffici entro il territorio della Chiesa patriarcale, nonché i candidati all’episcopato per gli uffici fuori dai confini della Chiesa patriarcale da proporre per la nomina al Romano Pontefice.254 Oltre al consenso o parere necessari per la validità di determinati atti di competenza del Patriarca, al Sinodo spetta emanare le leggi, che hanno il loro vigore entro – e in caso di leggi liturgiche anche oltre – i confini della Chiesa patriarcale.255 Il Sinodo, inoltre, restando salva la competenza della Sede Apostolica, è il tribunale superiore dentro i confini della stessa Chiesa patriarcale.256 Per la gestione, poi, degli affari più importanti, specialmente di quelli che riguardano l’aggiornamento delle forme e dei modi di apostolato e della disciplina ecclesiastica, il Patriarca e anche il Sinodo patriarcale si avvalgono della collaborazione consultiva dell’Assemblea patriarcale, che il Patriarca convoca almeno ogni cinque anni.257

L’organizzazione metropolitana e delle Province ecclesiastiche

62. Un modo concreto per favorire la comunione tra i Vescovi e la solidarietà tra le Chiese è ridare vitalità all’antichissima istituzione delle Province ecclesiastiche, dove i Metropoliti sono strumento e segno sia della fraternità tra i Vescovi della Provincia che della loro comunione con il Romano Pontefice.258 Un lavoro pastorale comune, difatti, per la somiglianza dei problemi che assillano i singoli Vescovi e per il fatto che il numero limitato di essi permette un’intesa maggiore e più efficace, sarà certamente meglio programmato nelle assemblee dei Vescovi della stessa Provincia e soprattutto nei Concili provinciali.

Dove, per il bene comune, si riterrà opportuna l’erezione delle Regioni ecclesiastiche, simile funzione potrà essere svolta dalle assemblee dei Vescovi della medesima Regione o, comunque, dai Concili plenari. Al riguardo, poi, è da ribadire quanto già espresso dal Concilio Vaticano II: « La veneranda istituzione dei Sinodi e dei Concili riprenda nuovo vigore, per provvedere più adeguatamente e più efficacemente all’incremento della fede e alla tutela della disciplina nelle varie Chiese, secondo le mutate circostanze dei tempi ».259 In essi i Vescovi potranno agire esprimendo non solo la comunione tra di loro, ma anche quella con tutte le componenti della porzione di Popolo di Dio loro affidata; tali componenti sono rappresentate nei Concili a norma del diritto.

Nei Concili particolari, infatti, proprio per la partecipazione in essi anche di presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e laici, sebbene solo con voto consultivo, è in modo immediato espressa non soltanto la comunione tra i Vescovi, ma anche la comunione tra le Chiese. I Concili particolari, inoltre, come momento ecclesiale solenne, richiedono una riflessione accurata nella preparazione, che coinvolge tutte le categorie di fedeli, in modo tale da renderli luogo adatto per le decisioni più importanti, specialmente quelle riguardanti la fede. Il posto dei Concili particolari, perciò, non può essere preso dalle Conferenze episcopali, come precisa lo stesso Concilio Vaticano II quando auspica che i Concili particolari riprendano nuovo vigore. Le Conferenze episcopali, invece, possono essere un valido strumento per la preparazione dei Concili plenari.260

Le Conferenze episcopali

63. Non s’intende affatto, con questo, sottacere l’importanza e l’utilità delle Conferenze dei Vescovi, che hanno trovato nell’ultimo Concilio una loro configurazione istituzionale, precisata ulteriormente nel Codice di Diritto Canonico e nel recente Motu proprio Apostolos suos.261 Istituzioni analoghe sono, nelle Chiese cattoliche orientali, le Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris previste dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali « affinché in uno scambio luminoso di prudenza ed esperienza e mediante un confronto di pareri nasca una santa cospirazione di forze per il bene comune delle Chiese, con cui favorire l’unità di azione, aiutare le attività comuni, promuovere più speditamente il bene della religione e inoltre osservare più efficacemente la disciplina ecclesiastica ».262

Queste assemblee di Vescovi sono oggi, come si esprimevano anche i Padri sinodali, un valido strumento per esprimere e portare a pratica attuazione lo spirito collegiale dei Vescovi. Per questo, le Conferenze episcopali sono da valorizzare ulteriormente in tutte le loro potenzialità.263 Esse, infatti, « si sono sviluppate notevolmente ed hanno assunto il ruolo di organo preferito dai Vescovi di una nazione o di un determinato territorio per lo scambio di vedute, per la consultazione reciproca e per la collaborazione a vantaggio del bene comune della Chiesa: “esse sono diventate in questi anni una realtà concreta, viva ed efficiente in tutte le parti del mondo”. La loro rilevanza appare dal contributo efficace che recano all’unità tra i Vescovi, e quindi all’unità della Chiesa, rivelandosi uno strumento assai valido per rinsaldare la comunione ecclesiale ».264

Poiché membri delle Conferenze episcopali sono solo i Vescovi e tutti quelli che nel diritto sono equiparati ai Vescovi diocesani, anche se non insigniti del carattere episcopale,265 il fondamento teologico di esse è, a differenza dei Concili particolari, immediatamente la dimensione collegiale della responsabilità del governo episcopale. Solo indirettamente lo è la comunione tra le Chiese.

Essendo, in ogni caso, le Conferenze episcopali un organo permanente che si riunisce periodicamente, la loro funzione sarà efficace se si porrà come ausiliaria rispetto a quella che i singoli Vescovi svolgono per diritto divino nella loro Chiesa. A livello di singola Chiesa, infatti, il Vescovo diocesano pasce nel nome del Signore il gregge a lui affidato come pastore proprio, ordinario e immediato e il suo agire è strettamente personale, non collegiale, anche se animato dallo spirito comunionale. A livello, quindi, di raggruppamenti di Chiese particolari per zone geografiche (nazione, regione, ecc.), i Vescovi ad esse preposti non esercitano congiuntamente la loro cura pastorale con atti collegiali pari a quelli del Collegio episcopale, il quale, come soggetto teologico è indivisibile.266 Per questo i Vescovi della stessa Conferenza episcopale riuniti in Assemblea esercitano congiuntamente per il bene dei loro fedeli, nei limiti delle competenze loro attribuite dal diritto o da un mandato delle Sede Apostolica, solo alcune delle funzioni che scaturiscono dal loro ministero pastorale (munus pastorale).267

È certo che le Conferenze episcopali più numerose richiedono, proprio per svolgere il loro servizio a favore dei singoli Vescovi che le formano e quindi delle singole Chiese, una complessa organizzazione. In ogni caso è da « evitare la burocratizzazione degli uffici e delle commissioni operanti tra le riunioni plenarie ».268 Le Conferenze episcopali, infatti, « con le loro commissioni e uffici esistono per aiutare i Vescovi e non per sostituirsi a essi »,269 e ancor meno per costituire una struttura intermedia tra la Sede Apostolica e i singoli Vescovi. Le Conferenze episcopali possono offrire un valido aiuto alla Sede Apostolica esprimendo il loro parere su specifici problemi di carattere più generale.270

Le Conferenze episcopali, poi, esprimono e attuano lo spirito collegiale che unisce i Vescovi e, di conseguenza, la comunione tra le varie Chiese, stabilendo tra di loro, specialmente tra le più vicine, strette relazioni nella ricerca di un bene maggiore.271 Ciò può essere realizzato in vari modi, mediante consigli, simposi, federazioni. Di notevole rilevanza sono specialmente le riunioni continentali dei Vescovi, che però non assumono mai le competenze che sono riconosciute alle Conferenze episcopali. Tali riunioni sono di grande aiuto per fomentare tra le Conferenze episcopali delle diverse nazioni quella collaborazione che, in questo tempo di « globalizzazione », si rivela particolarmente necessaria per affrontarne le sfide ed attuare una vera « globalizzazione della solidarietà ».272

L’unità della Chiesa e il dialogo ecumenico

64. La preghiera del Signore Gesù per l’unità fra tutti i suoi discepoli (ut unum sint: Gv 17, 21) costituisce per ogni Vescovo un pressante appello ad un preciso dovere apostolico. Non è possibile attendersi questa unità come frutto dei nostri sforzi; essa è principalmente dono della Trinità Santa alla Chiesa. Ciò tuttavia non dispensa i cristiani dal porre ogni impegno, a cominciare da quello della preghiera, per affrettare il cammino verso la piena unità. Rispondendo alle preghiere e alle intenzioni del Signore e alla sua oblazione sulla Croce per radunare i figli dispersi (cfr Gv 11, 52), la Chiesa cattolica si sente impegnata in modo irreversibile nel dialogo ecumenico, dal quale dipende l’efficacia della sua testimonianza nel mondo. Occorre, dunque, perseverare sulla via del dialogo della verità e dell’amore.

Molti Padri sinodali hanno richiamato la specifica vocazione che ogni Vescovo ha di promuovere nella propria diocesi questo dialogo e di svilupparlo in veritate et caritate (cfr Ef 4, 15). Lo scandalo della divisione fra i cristiani, infatti, è avvertito da tutti come un segnale opposto alla speranza cristiana. Le forme concrete per questa promozione del dialogo ecumenico, poi, sono state indicate nella migliore conoscenza reciproca tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa; in incontri e iniziative appropriate, e soprattutto nella testimonianza della carità. Esiste, in effetti, un ecumenismo della vita quotidiana, fatto di reciproca accoglienza, ascolto e collaborazione, che possiede una singolare efficacia.

D’altra parte, i Padri sinodali hanno pure avvertito il rischio di gesti poco ponderati, segnali di un « ecumenismo impaziente », che possono arrecare danno al cammino in atto verso l’unità piena. È, perciò, molto importante che da tutti siano accolti e messi in pratica i retti principi del dialogo ecumenico, come pure che su di essi s’insista nei seminari con i candidati al ministero sacro, nelle parrocchie e nelle altre strutture ecclesiali. La stessa vita interna della Chiesa, poi, deve offrire una testimonianza d’unità nel rispetto e nell’apertura di spazi sempre più ampi nei quali siano accolte e sviluppino le loro grandi ricchezze le diverse tradizioni teologiche, spirituali, liturgiche e disciplinari.273

La missionarietà nel ministero episcopale

65. In quanto membri del Collegio episcopale, i Vescovi sono consacrati non solo per una Diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini.274 Questa dottrina esposta nel Concilio Vaticano II è stata richiamata dai Padri sinodali per mettere in evidenza il fatto che ogni Vescovo dev’essere consapevole dell’indole missionaria del proprio ministero pastorale. Tutta la sua azione pastorale, dunque, deve essere caratterizzata da uno spirito missionario, per suscitare e conservare nell’animo dei fedeli l’ardore per la diffusione del Vangelo. Per questo è compito del Vescovo suscitare, promuovere e dirigere nella propria Diocesi attività e iniziative missionarie, anche sotto l’aspetto economico.275

Non meno importante, poi, come è stato affermato nel Sinodo, è incoraggiare la dimensione missionaria nella propria Chiesa particolare promovendo, a seconda delle diverse situazioni, valori fondamentali come il riconoscimento del prossimo, il rispetto della diversità culturale e una sana interazione fra le differenti culture. Il carattere sempre più multiculturale delle città e delle società, d’altra parte, soprattutto come conseguenza delle migrazioni internazionali, stabilisce nuove situazioni dalle quali emerge una particolare sfida missionaria.

Nell’Aula sinodale vi sono stati anche interventi che hanno posto in evidenza alcune questioni relative ai rapporti tra i Vescovi diocesani e le Congregazioni religiose missionarie, sottolineando la necessità al riguardo di una più approfondita riflessione. Al tempo stesso, è stato riconosciuto il grande contributo di esperienza che una Chiesa particolare può ricevere dalle stesse Congregazioni di vita consacrata per mantenere viva tra i fedeli la dimensione missionaria.

In questo suo zelo il Vescovo si mostri servo e testimone della speranza. La missione, infatti, è senza dubbio l’indice esatto della fede in Cristo e nel suo amore per noi: 276 l’uomo di tutti i tempi è da essa sospinto ad una vita nuova, animata dalla speranza. Annunciando Cristo risorto, infatti, i cristiani presentano Colui che inaugura una nuova era della storia e proclamano al mondo la buona notizia di una salvezza integrale e universale, che contiene in sé la caparra di un mondo nuovo, in cui il dolore e l’ingiustizia faranno posto alla gioia e alla bellezza. All’inizio di un nuovo millennio, poi, quando si è acuita la coscienza dell’universalità della salvezza e si sperimenta che l’annuncio del Vangelo deve essere ogni giorno rinnovato, dall’Assemblea sinodale giunge l’invito a non diminuire l’impegno missionario, anzi ad ampliarlo in una sempre più profonda cooperazione missionaria.

CAPITOLO SETTIMO

IL VESCOVO
DI FRONTE ALLE SFIDE ATTUALI

« Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! » (Gv 16, 33)

66. Nella Sacra Scrittura la Chiesa è paragonata ad un gregge, « di cui Dio stesso ha preannunciato di voler essere il pastore e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il Pastore buono e il Principe dei pastori ».277 Non è forse Gesù stesso a qualificare i suoi discepoli come pusillus grex e ad esortarli a non avere paura, ma a coltivare la speranza? (cfr Lc 12, 32).

Questa esortazione Gesù l’ha ripetuta più volte ai suoi discepoli: « Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! » (Gv 16, 33). Quando stava per tornare al Padre, dopo avere lavato i piedi agli Apostoli, disse loro: « Non sia turbato il vostro cuore » e aggiunse: « Io sono la Via […] Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » (Gv 14, 1-6). Su questa Via, che è Cristo, il piccolo gregge, la Chiesa, si è incamminata, e a guidarla è Lui, il Pastore Buono, che « quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce » (Gv 10, 4).

Ad immagine di Cristo Gesù e sulle sue orme, anche il Vescovo esce per annunziarlo al mondo come Salvatore dell’uomo, di ogni uomo. Missionario del Vangelo, egli agisce in nome della Chiesa, esperta in umanità e vicina agli uomini del nostro tempo. Per questo il Vescovo, forte del radicalismo evangelico, ha pure il dovere di smascherare le false antropologie, di riscattare i valori schiacciati dai processi ideologici e di discernere la verità. Egli sa di poter ripetere con l’Apostolo: « Noi ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono » (1 Tim 4, 10).

L’azione del Vescovo, allora, sarà caratterizzata da quella parresía, che è frutto dell’operazione dello Spirito (cfr At 4, 31). Sicché, uscendo da se stesso per annunciare Gesù Cristo, il Vescovo assume con fiducia e coraggio la sua missione, factus pontifex, fatto veramente « ponte » proteso verso ogni uomo. Con passione di pastore egli esce per cercare le pecore, al seguito di Gesù, che dice: « Ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore » (Gv 10, 16).

Il Vescovo operatore di giustizia e pace

67. Nell’ambito di questa missionarietà, i Padri sinodali hanno indicato il Vescovo come un profeta di giustizia. La guerra dei potenti contro i deboli ha, oggi più che ieri, aperto profonde divisioni tra ricchi e poveri. I poveri sono legione! All’interno di un sistema economico ingiusto, con dissonanze strutturali molto forti, la situazione degli emarginati si aggrava di giorno in giorno. In tante parti della terra oggi c’è fame, mentre altrove c’è opulenza. Soprattutto i poveri, i giovani, i rifugiati, sono le vittime di queste drammatiche sperequazioni. Anche la donna in molti luoghi è avvilita nella sua dignità di persona, vittima di una cultura edonista e materialista.

Di fronte, e tante volte dentro, a queste situazioni d’ingiustizia, che aprono inevitabilmente la porta ai conflitti e alla morte, il Vescovo è il difensore dei diritti dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Egli predica la dottrina morale della Chiesa, in difesa del diritto della vita, dal concepimento sino alla sua naturale conclusione; predica pure la dottrina sociale della Chiesa, fondata sul Vangelo, e prende a cuore la difesa di chiunque è debole, rendendosi voce di chi non ha voce, per farne valere i diritti. Non c’è dubbio che la dottrina sociale della Chiesa è in grado di suscitare speranza anche nelle situazioni più difficili, perché, se non c’è speranza per i poveri, non ve ne sarà per nessuno, neppure per i cosiddetti ricchi.

I Vescovi hanno condannato con vigore il terrorismo e il genocidio e hanno levato la loro voce a favore di coloro che piangono a motivo di ingiustizie, che sono sottoposti a persecuzione, che sono senza lavoro, per i bambini vessati in vari e sempre gravissimi modi. Come la santa Chiesa che nel mondo è sacramento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano,278 anche il Vescovo è difensore e padre dei poveri, è sollecito della giustizia e dei diritti umani, è portatore di speranza.279

La parola dei Padri sinodali, unita alla mia, è stata esplicita e forte. « Non abbiamo potuto non ascoltare, nel corso del Sinodo, l’eco di tanti altri drammi collettivi […] S’impone un cambiamento di ordine morale […] Alcuni mali endemici, troppo a lungo sottovalutati, possono portare alla disperazione intere popolazioni. Come tacere di fronte al dramma persistente della fame e della povertà estrema, in un’epoca in cui l’umanità ha a disposizione come non mai gli strumenti per un’equa condivisione? Non possiamo non esprimere la nostra solidarietà con la massa dei rifugiati e degli immigrati che, a causa di guerre, in conseguenza di oppressione politica o di discriminazione economica, sono costretti ad abbandonare la propria terra, alla ricerca di un lavoro e nella speranza della pace. I disastri causati dalla malaria, l’aumento dell’AIDS, l’analfabetismo, la mancanza di futuro per tanti bambini e giovani abbandonati su una strada, lo sfruttamento delle donne, la pornografia, l’intolleranza e la strumentalizzazione inaccettabile della religione per scopi violenti, il traffico di droga e il commercio di armi: il catalogo non è completo! E tuttavia, pur in mezzo a tutte queste difficoltà, gli umili rialzano la testa. Il Signore li guarda e li sostiene: « Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri io sorgerò, dice il Signore » (Sal 12[11], 6) ».280

Al quadro drammatico appena delineato, conseguono con ovvia urgenza l’appello e l’impegno alla pace. Sono, infatti, sempre attivi i focolai di conflitto ereditati dal precedente secolo e dall’intero millennio. Neppure mancano conflitti locali, che creano lacerazioni profonde tra le culture e le nazionalità. E come tacere dei fondamentalismi religiosi, sempre nemici del dialogo e della pace? In molte regioni del mondo la terra somiglia ad una polveriera, pronta ad esplodere e a rovesciare sulla famiglia umana enormi dolori.

In questa situazione la Chiesa continua ad annunciare la pace di Cristo, che nel discorso della montagna ha proclamato la beatitudine degli « operatori di pace » (Mt 5, 9). La pace è una responsabilità universale, che passa attraverso i mille piccoli atti della vita di ogni giorno. Essa attende i suoi profeti e i suoi artefici, che non possono mancare anzitutto nelle comunità ecclesiali, di cui il Vescovo è pastore. Sull’esempio di Gesù, venuto per annunciare la libertà agli oppressi e per proclamare l’anno di grazia del Signore (cfr Lc 4, 16-21), egli sarà pronto sempre a mostrare che la speranza cristiana è intimamente congiunta con lo zelo per la promozione integrale dell’uomo e della società, come insegna la dottrina sociale della Chiesa.

All’interno, poi, di eventuali e purtroppo non rare situazioni di conflitto armato, il Vescovo, anche quando esorta il popolo a far valere i propri diritti, deve sempre avvertire che, per un cristiano, è in ogni caso doveroso escludere la vendetta e aprirsi al perdono e all’amore dei nemici.281 Non c’è giustizia, infatti, senza perdono. Per quanto difficile da accettare, l’affermazione per ogni persona sensata appare scontata: una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono.282

Il dialogo interreligioso, soprattutto a favore della pace nel mondo

68. Come in più circostanze ho ripetuto, il dialogo tra le religioni dev’essere al servizio della pace tra i popoli. Le tradizioni religiose, infatti, possiedono le risorse necessarie per superare le frammentazioni e per favorire la reciproca amicizia e il rispetto tra i popoli. Dal Sinodo è giunto l’appello perché i Vescovi si facciano promotori di incontri insieme con i rappresentanti dei popoli per riflettere attentamente sui dissidi e sulle guerre che lacerano il mondo, così da individuare cammini percorribili per un comune impegno di giustizia, di concordia e di pace.

I Padri sinodali hanno fortemente sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso in ordine alla pace ed hanno chiesto ai Vescovi di impegnarsi in tal senso nelle rispettive Diocesi. Nuove strade verso la pace possono essere aperte attraverso l’affermazione della libertà religiosa, di cui ha parlato il Concilio Vaticano II nel Decreto Dignitatis humanae, come anche attraverso l’opera educativa a vantaggio delle nuove generazioni, ed il corretto uso dei mezzi di comunicazione sociale.283

La prospettiva del dialogo interreligioso, tuttavia, è sicuramente più ampia e per questa ragione i Padri sinodali hanno ribadito che esso è parte della nuova evangelizzazione, soprattutto in questi tempi in cui, molto più che in passato, convivono nelle stesse regioni, nelle medesime città, nei posti di lavoro della vita quotidiana persone appartenenti a diverse religioni. Il dialogo interreligioso, è, dunque, postulato dalla vita quotidiana di molte famiglie cristiane e anche per questo i Vescovi, come maestri della fede e pastori del Popolo di Dio, debbono avere verso di esso una giusta attenzione.

Da questo contesto di convivenza con persone di altre religioni nasce per i cristiani uno speciale dovere di testimoniare l’unicità e l’universalità del mistero salvifico di Gesù Cristo e la conseguente necessità della Chiesa come strumento di salvezza per l’intera umanità. « Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l’altra” ».284 È chiaro quindi che il dialogo interreligioso non può mai sostituire l’annuncio e la propagazione della fede, i quali costituiscono la finalità prioritaria della predicazione, della catechesi e della missione della Chiesa.

Affermare con franchezza e senza ambiguità che la salvezza dell’uomo dipende dalla redenzione operata da Cristo non impedisce il dialogo con le altre religioni. Nella prospettiva della professione della speranza cristiana, poi, non si dimenticherà che è proprio essa a fondare il dialogo interreligioso. Come, infatti, si afferma nel Dichiarazione conciliare Nostra aetate, « tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra; essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti si riuniscano nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove i popoli cammineranno nella sua luce ».285

La vita civile, sociale ed economica

69. Nell’azione pastorale del Vescovo non può mancare una particolare attenzione alle esigenze di amore e di giustizia che derivano dalle condizioni sociali ed economiche delle persone più povere, abbandonate, maltrattate, nelle quali il credente vede altrettante speciali icone di Gesù. La loro presenza all’interno delle comunità ecclesiali e civili è un banco di prova per l’autenticità della nostra fede cristiana.

Una parola vorrei spendere circa il complesso fenomeno della cosiddetta globalizzazione, che è una delle caratteristiche del mondo attuale. Esiste, infatti, una « globalizzazione » dell’economia, della finanza e anche della cultura, che si va progressivamente affermando come effetto dei rapidi progressi legati alle tecnologie informatiche. Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, essa richiede un attento discernimento allo scopo di individuarne gli aspetti positivi e negativi e le varie conseguenze che ne possono derivare per la Chiesa e per l’intero genere umano. In tale opera è importante l’apporto dei Vescovi, i quali richiameranno sempre l’urgenza di pervenire ad una globalizzazione nella carità, senza marginalizzazione. In proposito, anche i Padri sinodali hanno richiamato il dovere di promuovere una « globalizzazione della carità », considerando in questo medesimo contesto le questioni relative alla remissione del debito estero, che compromette le economie di intere popolazioni, frenando il loro progresso sociale e politico.286

Senza riprendere qui una così grave problematica, ripeto solo alcuni punti fondamentali già altrove esposti: la visione della Chiesa in tale materia ha tre essenziali e concomitanti punti di riferimento, che sono la dignità della persona umana, la solidarietà e la sussidiarietà. Pertanto, « l’economia globalizzata dev’essere analizzata alla luce dei principi della giustizia sociale, rispettando l’opzione preferenziale per i poveri, che devono essere messi in grado di difendersi in un’economia globalizzata, e le esigenze del bene comune internazionale ».287 Innestata nel dinamismo della solidarietà, la globalizzazione non è più emarginante. La globalizzazione della solidarietà, infatti, è conseguenza diretta di quella carità universale che è l’anima del Vangelo.

Il rispetto dell’ambiente e la salvaguardia del creato

70. I Padri sinodali hanno pure ricordato gli aspetti etici della questione ecologica.288 In effetti, il senso profondo dell’appello a globalizzare la solidarietà riguarda pure, e con urgenza, la questione della salvaguardia del creato e delle risorse della terra. Il « gemito della creazione », a cui accenna l’Apostolo (cfr Rm 8, 22), sembra oggi verificarsi in una prospettiva capovolta, poiché non si tratta più di una tensione escatologica, nell’attesa della rivelazione dei figli di Dio (cfr Rm 8, 19), bensì di uno spasimo di morte che tende ad afferrare l’uomo stesso per distruggerlo.

È qui, difatti, che si svela, nella sua forma più insidiosa e perversa, la questione ecologica. In effetti, « il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita, quale si avverte in molti comportamenti inquinanti. Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi, l’inquinamento o la distruzione riduttiva e innaturale, talora configura un vero e proprio disprezzo dell’uomo ».289

È evidente che la posta in gioco non è solo un’ecologia fisica, cioè attenta a tutelare l’habitat dei vari esseri viventi, ma anche un’ecologia umana, che protegga il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni e prepari alle generazioni future un ambiente che si avvicini il più possibile al progetto del Creatore. C’è dunque bisogno di una conversione ecologica, alla quale i Vescovi daranno il proprio contributo insegnando il corretto rapporto dell’uomo con la natura. Alla luce della dottrina su Dio Padre, creatore del cielo e della terra, si tratta di un rapporto « ministeriale »: l’uomo, infatti, è collocato al centro della creazione come ministro del Creatore.

Il ministero del Vescovo riguardo alla salute

71. La premura per l’uomo spinge il Vescovo a imitare Gesù, il vero « buon Samaritano », pieno di compassione e di misericordia, che si prende cura dell’uomo senza discriminazione alcuna. La tutela della salute occupa un posto di rilievo tra le sfide attuali. Sono, purtroppo, ancora molte le forme di malattia presenti nelle varie parti del mondo e, sebbene la scienza umana progredisca in modo esponenziale nella ricerca di nuove soluzioni, o aiuti per meglio affrontarle, emergono sempre nuove situazioni in cui la salute fisica e psichica viene ad essere minata.

Nell’ambito della propria Diocesi, ogni Vescovo, con l’aiuto di persone qualificate, è chiamato ad operare perché sia integralmente annunciato il « Vangelo della vita ». L’impegno di umanizzare la medicina e l’assistenza agli ammalati da parte di cristiani che testimoniano a chi soffre la propria sollecita vicinanza, risvegliano nell’animo di ciascuno la figura di Gesù, medico dei corpi e delle anime. Tra le istruzioni affidate ai suoi apostoli, Egli non ha omesso d’inserire l’esortazione a guarire gli ammalati (cfr Mt 10, 8).290 Pertanto l’organizzazione e la promozione di un’adeguata pastorale per gli operatori sanitari meritano davvero una priorità nel cuore di un Vescovo.

In particolare, i Padri sinodali hanno sentito il bisogno di esprimere con forza la loro sollecitudine per la promozione di un’autentica « cultura della vita » nella società contemporanea: « Ciò che, forse, sconvolge maggiormente il nostro cuore di pastori è il disprezzo della vita dal suo concepimento al suo termine, e la disgregazione della famiglia. Il no della Chiesa all’aborto e all’eutanasia è un sì alla vita, un sì alla bontà originaria della creazione, un sì che può raggiungere ogni essere umano nel santuario della sua coscienza, un sì alla famiglia, prima cellula di speranza nella quale Dio si compiace sino a chiamarla a diventare chiesa domestica ».291

La cura pastorale del Vescovo verso i migranti

72. I movimenti dei popoli oggi hanno assunto proporzioni inedite e si presentano come movimenti di massa, che coinvolgono un enorme numero di persone. Tra queste, sono molte quelle allontanate o in fuga dal proprio paese a motivo di conflitti armati, di precarie condizioni economiche, di scontri politici, etnici e sociali, di catastrofi naturali. Tutte queste migrazioni, pur nella loro diversità, pongono seri interrogativi alle nostre comunità, in rapporto a problemi pastorali come l’evangelizzazione e il dialogo interreligioso.

È dunque opportuno che nelle Diocesi si provveda ad istituire strutture pastorali apposite per l’accoglienza e l’appropriata cura pastorale di queste persone, a seconda delle diverse condizioni in cui si trovano. Occorre favorire anche la collaborazione tra Diocesi confinanti, al fine di garantire un servizio più efficiente e competente, curando anche la formazione di sacerdoti e operatori laici particolarmente generosi e disponibili per quest’impegnativo servizio, soprattutto in merito ai problemi di natura legale che possono sorgere nell’inserimento di queste persone nel nuovo ordinamento sociale.292

In tale contesto i Padri sinodali provenienti dalle Chiese cattoliche orientali hanno riproposto il problema, nuovo per alcuni aspetti e dalle gravi conseguenze nella vita concreta, dell’emigrazione dei fedeli delle loro Comunità. Accade, infatti, che un numero assai rilevante di fedeli provenienti dalle Chiese cattoliche orientali risiedano ormai abitualmente e stabilmente fuori dalle terre di origine e dalle sedi delle Gerarchie orientali. Si tratta, com’è comprensibile, di una situazione che interpella quotidianamente la responsabilità dei Pastori.

Per questo, anche il Sinodo dei Vescovi ha ritenuto necessario un più approfondito esame sui modi con cui le Chiese cattoliche, sia Orientali sia Occidentali, possono stabilire opportune e adatte strutture pastorali in grado di venire incontro alle esigenze di questi fedeli in condizione di « diaspora ».293 In ogni caso, rimane doveroso per i Vescovi del luogo, per quanto di rito diverso, essere per questi fedeli di rito orientale dei veri padri, garantendo loro, nella cura pastorale, la salvaguardia dei valori religiosi e culturali specifici, nei quali sono nati e hanno ricevuto la loro iniziale formazione cristiana.

Sono, questi, solo alcuni ambiti nei quali la testimonianza cristiana e il ministero episcopale sono chiamati in causa con particolare urgenza. L’assunzione di responsabilità nei riguardi del mondo, dei suoi problemi, delle sue sfide, delle sue attese appartiene all’impegno di annuncio del Vangelo della speranza. La posta in gioco, infatti, è sempre il futuro dell’uomo, in quanto « essere di speranza ».

È ben comprensibile che, nell’accumularsi delle sfide a cui è esposta la speranza, sorga la tentazione dello scetticismo e della sfiducia. Ma il cristiano sa di poter fronteggiare anche le situazioni più difficili, perché il fondamento della sua speranza sta nel mistero della Croce e della Risurrezione del Signore. Da lì soltanto è possibile attingere la forza per mettersi e rimanere a servizio di Dio, che vuole la salvezza e la liberazione integrale dell’uomo.

CONCLUSIONE

73. Di fronte a scenari umanamente tanto complessi per l’annuncio del Vangelo, torna quasi spontaneamente alla memoria il racconto della moltiplicazione dei pani narrata nei Vangeli. I discepoli espongono a Gesù le loro perplessità riguardo alla folla, che affamata della sua parola lo ha seguito sin nel deserto, e gli propongono: « Dimitte turbas […] Congeda la folla […] » (Lc 9, 12). Hanno, forse, timore e non sanno davvero come sfamare un numero così grande di persone.

Un analogo atteggiamento potrebbe insorgere nell’animo nostro, quasi sconfortato dall’enormità dei problemi, che interpellano le Chiese e noi Vescovi personalmente. Occorre, in questo caso, fare ricorso a quella nuova fantasia della carità che deve dispiegarsi non solo e non tanto nell’efficienza dei soccorsi prestati, ma più ancora nella capacità di farsi vicini a chi è nel bisogno, permettendo ai poveri di sentire ogni comunità cristiana come la propria casa.294

Gesù, però, ha una maniera sua propria di risolvere i problemi. Quasi provocando gli Apostoli, dice loro: « Dategli voi stessi da mangiare » (Lc 9, 13). Conosciamo bene la conclusione del racconto: « Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste » (Lc 9, 17). Quell’abbondanza residua è presente ancora oggi nella vita della Chiesa!

Ai Vescovi del terzo millennio è chiesto di fare ciò che tanti santi Vescovi seppero fare lungo la storia, sino ad oggi. Come san Basilio, ad esempio, il quale volle addirittura costruire, alle porte di Cesarea, una vasta struttura di accoglienza per i bisognosi, una vera cittadella della carità, che da lui prese il nome di Basiliade: traspare da ciò chiaramente che « la carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole ».295 Questa è la strada che anche noi dobbiamo percorrere: il Buon Pastore ha affidato il suo gregge ad ogni Vescovo, perché lo alimenti con la parola e lo formi con l’esempio.

Donde, allora, noi Vescovi prenderemo il pane necessario per dare risposta alle tante domande, interne ed esterne alle Chiese e alla Chiesa? Ci verrebbe da lamentarci, come gli Apostoli con Gesù: « Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così numerosa? » (Mt 15, 33). Quali sono i « luoghi », da cui attingeremo le risorse? Possiamo almeno accennare ad alcune, fondamentali risposte.

La nostra prima, trascendente risorsa è la carità di Dio diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato donato (cfr Rm 5, 5). L’amore con cui Dio ci ha amati è tale da poterci sempre sostenere nel trovare le vie giuste attraverso cui giungere al cuore dell’uomo e della donna di oggi. In ogni istante il Signore ci dona, con la forza del suo Spirito, la capacità d’amare e d’inventare le forme più giuste e più belle dell’amore. Chiamati ad essere servitori del Vangelo per la speranza del mondo, noi sappiamo che questa speranza non proviene da noi, ma dallo Spirito Santo, il quale « non cessa di essere il custode della speranza nel cuore dell’uomo: della speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che “possiedono le primizie dello Spirito” e “aspettano la redenzione del corpo” ».296

L’altra nostra risorsa è la Chiesa, in cui siamo inseriti mediante il Battesimo con tanti altri nostri fratelli e sorelle, con i quali confessiamo l’unico Padre celeste e ci abbeveriamo all’unico Spirito di santità.297 Fare della Chiesa « la casa e la scuola della comunione » è l’impegno a cui ci invita la situazione presente, se vogliamo rispondere alle attese del mondo.298

La nostra comunione nel corpo episcopale, in cui siamo stati inseriti mediante la consacrazione, è anch’essa una formidabile ricchezza, poiché costituisce un validissimo sostegno per leggere con attenzione i segni dei tempi e discernere con chiarezza quello che lo Spirito dice alle Chiese. Nel cuore del Collegio dei Vescovi c’è il sostegno e la solidarietà del Successore dell’apostolo Pietro, la cui potestà suprema e universale non annulla, anzi afferma, rafforza e rivendica la potestà dei Vescovi, successori degli Apostoli. Sarà importante, in questa prospettiva, valorizzare gli strumenti della comunione secondo le grandi direttive del Concilio Vaticano II. Non v’è dubbio, infatti, che vi sono circostanze – ed oggi non sono poche – nelle quali una singola Chiesa particolare ed anche più Chiese vicine si trovano nell’incapacità o nella pratica impossibilità d’intervenire adeguatamente su problemi di più grande rilievo. È soprattutto in queste circostanze che il ricorso agli strumenti della comunione episcopale può offrire un autentico aiuto.

Un’ultima, immediata risorsa per un Vescovo alla ricerca del « pane » per alleviare la fame dei suoi fratelli è la propria Chiesa particolare, quando la spiritualità della comunione emerga in essa come principio educativo « in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità ».299 È qui che il collegamento tra la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi e le altre tre Assemblee generali, che immediatamente l’hanno preceduta torna ancora una volta a mostrarsi. Poiché un Vescovo non è mai solo: non è solo nella Chiesa universale e neppure lo è nella sua Chiesa particolare.

74. L’impegno del Vescovo all’inizio di un nuovo millennio è così chiaramente delineato. È l’impegno di sempre: annunciare il Vangelo di Cristo, salvezza del mondo. Ma è impegno caratterizzato da urgenze nuove, che esigono la concorde dedizione di tutte le componenti del Popolo di Dio. Il Vescovo dovrà poter contare sui membri del presbiterio diocesano e sui diaconi, ministri del sangue di Cristo e della carità; sulle sorelle e sui fratelli consacrati, chiamati ad essere nella Chiesa e nel mondo testimoni eloquenti del primato di Dio nella vita cristiana e della potenza del suo amore nella fragilità della condizione umana; sui fedeli laici, infine, le cui accresciute possibilità di apostolato nella Chiesa costituiscono per i Pastori una fonte di particolare sostegno e un motivo di speciale conforto.

Al termine delle riflessioni svolte in queste pagine, ci rendiamo conto come il tema della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo riporti ciascuno di noi Vescovi verso tutti i nostri fratelli e sorelle nella Chiesa e verso tutti gli uomini e donne del mondo. Ad essi Cristo ci invia, come un giorno inviò gli Apostoli (cfr Mt 28, 19-20). Nostro compito è quello di essere, per ogni persona, in modo eminente e visibile, un segno vivo di Gesù Cristo, Maestro, Sacerdote e Pastore.300

Cristo Gesù è dunque l’icona a cui, venerati Fratelli nell’episcopato, guardiamo per svolgere il nostro ministero di araldi della speranza. Come Lui dobbiamo anche noi saper offrire la nostra esistenza per la salvezza di quanti ci sono affidati, annunciando e celebrando la vittoria dell’amore misericordioso di Dio sul peccato e sulla morte.

Invochiamo su questo nostro compito l’intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli. Ella, che nel Cenacolo sostenne la preghiera del Collegio apostolico, ci ottenga la grazia di non venire mai meno alla consegna d’amore che Cristo ci ha affidato. Testimone della vera vita, Maria « brilla innanzi al peregrinante Popolo di Dio – e perciò in particolare dinanzi a noi, che ne siamo i Pastori – quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore ».301

Dato a Roma, presso san Pietro, il 16 ottobre dell’anno 2003, venticinquesimo anniversario della mia elezione al Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

NOTE:

1Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Preghiera di Ordinazione.

2Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

3S. Tommaso d’Aquino, Super Ev. Joh., X, 3.

4Giovanni Paolo II, Omelia a conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (27 ottobre 2001), 3: AAS 94 (2002), 114.

5 Discorso ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi d’Italia (6 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 68.

6Propositio 3.

7Cfr Giovanni Paolo II, Preghiera nel trigesimo dell’11 settembre: L’Osservatore Romano, 12 ottobre 2001, p. 1.

8Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 8: L’Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5; cfr Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 41: AAS 63 (1971), 429-430.

9Cfr Propositio 6.

10Cfr Propositio 1.

11Cfr Ottato di Milevi, Contra Parmenianum donat. 2,2: PL 11, 947; S. Ignazio d’Antiochia, Ai Romani, 1,1: PG 5, 685.

12Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 6: AAS 94 (2002), 111-112.

13Cfr Messale Romano, Prefazio dei Santi Pastori.

14S. Agostino, Sermo 340/A,9: PLS 2, 644.

15Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 3.

16Cfr Contro le eresie, III, 2, 2; 3, 1: PG 7, 847.848; Propositio 2.

17Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; 27.

18Cfr Ai Magnesiani, 6, 1: PG 5, 764; Ai Tralliani, 3, 1: PG 5, 780; Agli Smirnesi, 8, 1: PG 5, 852.

19Cfr Pontificale Romano, Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Impegni dell’eletto.

20Cfr Didascalia Apostolorum II, 33, 1, ed. F.X. Funk, I, 115.

21Cfr Propositio 6.

22Cfr Pontificale Romano, Rito dell’Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

23N. 19.

24Cfr ibid., 22; Codice di Diritto Canonico, can. 330; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 42.

25Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, can. 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 49.

26Cfr Propositio 20; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

27Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 3; 5; 6; Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

28Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988), Adnexum I, 4: AAS 80 (1988), 914-915; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico can. 337 §§ 1, 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 50 §§ 1, 2.

29Cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla conclusione della VII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (29 ottobre 1987), 4: AAS 80 (1988), 610; Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum I (28 giugno 1988): AAS 80 (1988) 915-916; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

30Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

31Ibid.

32Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos, (21 maggio 1998), 8: AAS 90 (1998), 647.

33Cfr Sacramentario di Angoulême, In dedicatione basilicae novae: « Dirige, Domine, ecclesiam tuam dispensatione cælesti, ut quae ante mundi principium in tua semper est praesentia præparata, usque ad plenitudinem gloriamque promissam te moderante perveniat »: CCSL 159 C, rubr. 1851; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 758-760; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9: AAS 85 (1993), 843.

34Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

35Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

36Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 5.

37Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

38Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 650.

39Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

40Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

41Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 25-26.

42Cfr Propositio 33.

43Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21, 27; Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti (8 aprile 1979), 3: AAS 71 (1979), 397.

44Cfr In Io. Ev. tract. 123, 5: PL 35, 1967.

45Sermo 340, 1: PL 38, 1483: « Vobis enim sum episcopus; vobiscum sum christianus ».

46Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.

47Ibid., 32.

48Cfr Propositio 8.

49Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 30: AAS 93 (2001), 287.

50Orazione II, n. 71: PG 35, 479.

51Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 15.31: AAS 93 (2001), 276.288.

52N. 5: AAS 94 (2002), 111.

53Sacramentarium Serapionis, 28, ed. F.X. Funk, II, 191.

54Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 5: AAS 94 (2002), 111.

55Codice di Diritto Canonico, can. 387; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 197.

56Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 40.

57Sermo 340, 1: PL 38, 1483.

58Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1804.1839.

59Cfr Propositio 7.

60S. Cipriano, De oratione dominica, 23: PL 4, 535; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 4.

61Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Consegna della mitra.

62Cfr Propositio 7.

63Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 41.

64Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 184: Città del Vaticano, 2002, p.154.

65Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), 43: AAS 95 (2003), 35-36.

66Cfr Propositio 8.

67Cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 59: AAS 68 (1976), 50.

68Ai Filadelfiesi, 5: PG 5, 700.

69Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 25.

70Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), 17: AAS 66 (1974), 128.

71Cfr S. Agostino, Sermo 179, 1: PL 38, 966.

72Omelie sul Lev., VI : PG 12, 474 C.

73N. 39: AAS 93 (2001), 294.

74Cfr Pseudo Dionigi Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica, III: PG 3, 512; S. Tommaso d’Aquino, S. Th. II-II, q. 184, a. 5.

75Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 34: AAS 93 (2001), 290.

76S. Th. II-II, q. 17, a. 2.

77Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Impegni dell’eletto.

78Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 84-85.

79Cost. ap. Laudis canticum (1 novembre 1970): AAS 63 (1971), 532.

80Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 20-21: AAS 88 (1996), 393-395.

81Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 27: AAS 84 (1992), 701.

82Cfr n. 28: l.c. 701-703.

83Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

84Cfr ibid., 27.37.

85Cfr Propositio 10.

86A Policarpo, IV: PG 5, 721.

87Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

88Cfr Propositio 9.

89Cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 49: AAS 93 (2001), 302.

90 Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Consegna dell’anello.

91N. 43: AAS 93 (2001), 296.

92Hom. in Ez. I, 11: PL 76, 908.

93Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, p. 1178.

94Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 70: AAS 84 (1992), 781.

95Ibid., 72: l.c., 787.

96Cfr Propositio 12.

97Cfr Propositio 13.

98Cfr n. 6: AAS 94 (2002), 116.

99Cfr Propositio 11.

100Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 12; cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

101Cfr Propositiones 14; 15.

102Cfr Propositio 14.

103Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29: AAS 93 (2001), 285-286.

104Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

105Cfr Propositio 15.

106Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 28: AAS 68 (1976), 24.

107Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25; Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10; Codice di Diritto Canonico, can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1.

108Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 7.

109Cfr ibid., 8.

110Cfr ibid., 10.

111Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 12.

112En. in Ps. 126, 3: PL 37, 1669.

113Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

114Ibid., 12.

115Cfr Propositio 15.

116N. 63: AAS 71 (1979), 1329.

117Cfr Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi (15 agosto 1997), 233: Ench. Vat. 16, 1065.

118Cfr Propositio 15.

119Cfr Propositio 47.

120Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis (24 maggio 1990), 19: AAS 82 (1990), 1558; Codice di Diritto Canonico, can. 386 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 196 § 2.

121Cfr Propositio 16.

122Discorso ai partecipanti al congresso nazionale italiano del Movimento ecclesiale di impegno culturale (16 gennaio 1982), 2: Insegnamenti V/1 (1982), 131; cfr Propositio 64.

123Cfr Propositio 65.

124Cfr Propositio 66.

125Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10.

126De Trinitate, VIII, 1: PL 10, 236.

127Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 22-24: AAS 95 (2003), 448-449.

128Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.

129N. 26.

130Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 10.

131Ibid., 41.

132Pontificale Romano, Benedizione degli oli, Premesse, 1.

133Cfr Pontificale Romano, Rito dell’Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, 21, 120, 202.

134Cfr nn. 42-54.

135Cfr Propositio 17.

136« Legem credendi lex statuat supplicandi »: S. Celestino, Ad Galliarum episcopos: PL 45, 1759.

137Cfr Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 11.14.

138Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 35: AAS 93 (2001), 291.

139Cfr Propositio 17.

140Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.

141Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 68.

142Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 104.

143Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

144Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 21: AAS 95 (2003), 447-448.

145Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

146Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum ordinis, 5.

147Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 28; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 41-42: AAS 95 (2003), 460-461.

148Cfr Congregazione per il Clero (et aliae), Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997), « Disposizioni pratiche », art. 7: AAS 89 (1997), 869-870.

149Cfr Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 64.

150Paolo VI, Cost. ap. Divinae consortium naturae (15 agosto 1971): AAS 63 (1971), 657.

151Cfr Propositio 18.

152Cfr Motu proprio Misericordia Dei (7 aprile 2002), 1: AAS 94 (2002), 453-454.

153Cfr Propositio 18.

154Cfr Rituale Romano, Rito degli esorcismi (22 novembre 1998), Città del Vaticano 1999; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Circa le preghiere per ottenere da Dio la guarigione (14 settembre 2000): L’Osservatore Romano, 24 novembre 2000, p. 6.

155Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 48: AAS 68 (1976), 37-38.

156Ibid.

157Cfr Propositio 19.

158Cfr Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia (17 dicembre 2001), 21: Città del Vaticano, 2002, 28-29.

159Cfr Lettera ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29-41:AAS 93 (2001), 285-295.

160Cfr Propositio 48.

161Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

162Cfr Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 11; Codice di Diritto Canonico, can. 369; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 177 § 1.

163Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

164Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27.

165Pontificale Romano, Rito dell’Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

166Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

167Ad Irenaeum, Epistulae, lib. I, ep. VI: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano-Roma 1988, 19, p. 66.

168N. 27.

169Ibid.

170Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208; 212 §§ 2, 3; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 7 § 1; 11; 15 §§ 2, 3.

171Cfr Propositio 35.

172Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 32; Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208.

173Cfr Propositio 35.

174Cfr AAS 89 (1997), 706-727. Un analogo discorso deve essere fatto per le Assemblee eparchiali, delle quali trattano i cann. 235-242 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

175Cfr Propositio 35.

176Cfr Propositio 36.

177Cfr Propositio 39.

178Cfr Propositio 37.

179Cfr ibid.

180Cfr Romae 1572, p. 52 v.

181N. 11.

182Cfr nn. 16-17: AAS 84 (1992), 681-684.

183Cfr Propositio 40.

184Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi eletti di recente (23 settembre 2002), 4: L’Osservatore Romano (23-24 settembre 2002), p. 5.

185Ep. ad Nepotianum presb., LII, 7: PL 22, 534.

186Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 77: AAS 84 (1992), 795.

187Cfr Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

188Cfr Propositio 40.

189Cfr Propositio 41.

190Cfr ibid.; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 60-63: AAS 84 (1992), 762-769.

191Cfr ibid., 65: l.c. 771-772.

192Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1051.

193Cfr Propositio 41.

194Cfr Propositio 42.

195Cfr Congregazione per l’Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 843-879; Congregazione per il Clero, Directorium pro ministerio et vita Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 879-926.

196Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 44.

197Cfr Propositio 43.

198Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 39.

199Cfr Propositiones 45, 46 e 49.

200Cfr Propositio 52.

201Cfr Propositio 51.

202Cfr ibid.

203Cfr Propositio 53.

204Cfr Propositio 52.

205Cfr Pontificale Romano, Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Impegni dell’eletto.

206Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

207Cfr Paolo VI, Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9. 11-14: AAS 85 (1993), 843-845.

208Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 337; 749 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 50; 597 § 2.

209Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

210Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8.

211Cfr Lett. enc. Quadragesimo anno (15 maggio 1931): AAS 23 (1931), 203.

212Cfr Propositio 20.

213Cfr Relatio post disceptationem, 15-17: L’Osservatore Romano, 14 ottobre 2001, p. 4; Propositio 20.

214Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

215Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 331 e 333; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43 e 45 § 1.

216Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992),12: AAS 85 (1993), 845-846.

217Ibid., 13: l.c., 846.

218Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 27; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

219Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 753; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 600.

220Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 333 § 1; 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43; 45 § 1; 49.

221Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

222Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 1.

223Cfr Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813.

224Cfr Sinodo dei Vescovi, II Assemblea Generale Straordinaria, Relazione Finale Exeunte coetu (7 dicembre 1985), C. 1: L’Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, p. 7.

225Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

226Cfr Propositio 27.

227Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988) art. 31: AAS 80 (1988), 868; Adnexum I, 6: ibid., 916-917; Codice di Diritto Canonico, can. 400 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 208.

228Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

229Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum (28 giugno 1988) I, 2; I, 5: AAS 80 (1988), 913; 915.

230Cfr S. Ireneo, Contro le eresie 3, 3, 2: PG 7, 848.

231Cfr S. Ignazio d’Antiochia, Ai Romani 1, 1: PG 5, 685.

232Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

233Cfr ibid., 21-22; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 4.

234Cfr Propositiones 26 e 27.

235Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 399; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 206.

236Cfr Propositio 25.

237Cfr Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965): AAS 57 (1965), 775-780; Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 5.

238Cfr Paolo VI, Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965), II: AAS 57 (1965), 776-777; Allocuzione ai Padri sinodali (30 settembre 1967): AAS 59 (1967), 970-971.

239Cfr Propositio 25.

240Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

241Can. 343.

242Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 44: AAS 93 (2001), 298.

243Propositio 31; Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

244Cfr Decr. sull’ufficio pastorale dei Vesovi nella Chiesa Christus Dominus, 6.

245Cfr Propositio 32.

246Cfr Propositio 33.

247Cfr Propositio 21.

248Cfr Propositio 22.

249Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche, Orientalium Ecclesiarum, 11.

250Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacri canones (18 ottobre 1990): AAS 82 (1990), 1037.

251Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 11.

252Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 76 e 77.

253Cfr Canones Apostolorum, VIII, 47, 34: ed. F.X. Funk, I, 572-574.

254Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 110 § 3 e 149.

255Cfr ibid., cann. 110 § 1 e 150 §§ 2,3.

256Cfr ibid., cann. 110 § 2 e 1062.

257Cfr ibid., cann. 140-143.

258Cfr Propositio 28; Codice di Diritto Canonico, can. 437 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 156 § 1.

259Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 36.

260Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 441; 443.

261Cfr AAS 90 (1998), 641-658.

262Can. 322.

263Cfr Propositiones 29 e 30.

264Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 6: AAS 90 (1998), 645-646.

265Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 450.

266Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 10.12: AAS 90 (1998), 648-650.

267Cfr ibid., nn. 12; 13; 19: l.c., 649-651.653-654; Codice di Diritto Canonico, cann. 381 § 1; 447; 455 § 1.

268Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 18: AAS 90 (1998), 653.

269Ibid.

270Cfr Propositio 25.

271Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 459 § 1.

272Cfr Propositio 30.

273Cfr Propositio 60.

274Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 38.

275Cfr Propositio 63.

276Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 11: AAS 83 (1991), 259-260.

277Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 6.

278Cfr ibid., 1.

279Cfr Propositiones 54-55.

280Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 10-11: L’Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

281Cfr Propositio 55.

282Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 (8 dicembre 2001), 8: AAS 94 (2002), 137.

283Cfr Propositiones 61 e 62.

284Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), 22: AAS 92 (2000), 763.

285N. 1.

286Cfr Propositio 56.

287Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in America (22 gennaio 1999), 55: AAS 91 (1999), 790-791.

288Cfr Propositio 56.

289Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990 (8 dicembre 1989), 7: AAS 82 (1990), 150.

290 Cfr Propositio 57.

291 Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 12: L’Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

292Cfr Propositio 58.

293Cfr Propositio 23.

294Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 50: AAS 93 (2001), 303.

295Cfr ibid.

296Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986), 67: AAS 78 (1986), 898.

297Cfr Tertulliano, Apologeticum, 39, 9: CCL 1, 151.

298Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 43: AAS 93 (2001), 296.

299Ibid.

300Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21.

301Ibid., 68.