Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Febbraio 2004

Disegno di legge 23 novembre 1999, n.6582

Camera dei Deputati. Disegno di legge n. 6582 presentato dal Governo: “Misure contro le discriminazioni e per la promozione di pari opportunità”, 23 novembre 1999.

Art. l.

(Finalità)

l. La presente legge ha lo scopo di promuovere la piena attuazione del principio di uguaglianza, assicurando che le differenze di sesso, di razza, di origine etnica, di lingua, di religione o di convinzioni personali, di opinioni politiche, di disabilità, di età, di orientamento sessuale, di condizioni personali e sociali non siano causa di discriminazione, al fine di consentire il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di donne e uomini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 2.

(Princìpi e definizioni)

1. E’ vietato porre in essere atti, patti o comportamenti che producono un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta le persone in ragione delle qualità soggettive indicate all’articolo 1 della presente legge.

2. Per discriminazione indiretta si intende ogni disposizione, criterio o pratica formalmente neutri, che svantaggiano in misura proporzionalmente maggiore una o più persone in ragione delle qualità soggettive indicate all’articolo 1 della presente legge, salvo che tale disposizione, criterio o pratica siano giustificati da ragioni obiettive, non basate sulle suddette qualità ovvero, nel caso di lavoro o di impresa, riguardino requisiti essenziali al loro svolgimento.

3. I soggetti privati e le amministrazioni pubbliche promuovono azioni positive, intese come misure adottate con atti normativi o con contratti collettivi, o nell’esercizio di poteri autoritativi o di sovraordinazione, volte ad eliminare le disuguaglianze di fatto che ostacolano la piena partecipazione di ogni persona a tutte le attività e a tutti i livelli compresi quelli decisionali. Le azioni positive non ricadono nel divieto di discriminazione.

4. Le amministrazioni pubbliche anche ad ordinamento autonomo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici, anche economici, gli enti locali ed i loro consorzi ed i soggetti a controllo o a partecipazione maggioritaria pubblica, ovvero esercenti pubblici servizi, conformano la propria attività, anche mediante atti organizzativi, ai seguenti princìpi:

a) integrazione dei princìpi di non discriminazione e pari opportunità nelle politiche generali e di settore, negli atti di programmazione ed organizzativi;

b) promozione di politiche per l’occupazione, anche attraverso idonee misure relative ai tempi e all’organizzazione del lavoro, volte a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini.

Art. 3.

(Tutela giudiziale)

l. Fuori dai casi regolati da altre disposizioni di legge, quando il comportamento di un soggetto privato o di un’amministrazione pubblica produce una discriminazione per i motivi di cui all’articolo 1, l’interessato può chiedere al giudice la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione dei suoi effetti, salvo il risarcimento del danno.

2. L’azione si propone dinanzi al giudice del luogo di domicilio dell’istante.

3. Quando la domanda è rivolta alla pronuncia di provvedimenti urgenti, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile. Se l’ordinanza è pronunciata prima del giudizio di merito, il giudice provvede alla liquidazione delle spese del procedimento anche nel caso di accoglimento dell’istanza; in tale caso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 669-octíes ed ai commi primo, secondo e quarto, numero 1), dell’articolo 669-novíes del codice di procedura civile.

4. Se viene posto in essere un atto, patto o comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le persone lese dalla discriminazione, la domanda può essere proposta dagli enti o associazioni rappresentativi dei diritti e degli interessi del gruppo a cui appartengono i soggetti passivi della discriminazione.

5. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio per i motivi di cui all’articolo 1, può dedurre elementi di fatto, relativi a fenomeni di carattere collettivo. Il giudice valuta i fatti dedotti nei limiti di cui all’articolo 2729, primo comma, dei codice civile.

6. Chiunque elude l’esecuzione dell’ordinanza che accoglie il ricorso è punito ai sensi dell’articolo 388, primo comma, del codice penale.

7. Con la sentenza che definisce il giudizio, il giudice condanna il responsabile della discriminazione al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’articolo 2059 del codice civile.