Direttiva 29 settembre 2002, n.73
Parlamento europeo e Consiglio. Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, 23 settembre 2002.
(Da “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee” n. L 269 del 5 ottobre 2002)
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 141, paragrafo 3,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale,
deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato, visto il progetto comune approvato il 19 aprile 2002 dal comitato di conciliazione,
considerando quanto segue:
(1) A norma dell’articolo 6 del trattato dell’Unione europea, l’Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri, e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.
(2) Il diritto all’eguaglianza dinanzi alla legge ed alla tutela contro la discriminazione per tutti gli individui costituisce un diritto universale riconosciuto dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dalla convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, dai patti delle Nazioni Unite relative ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali, nonché dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di cui tutti gli Stati membri sono firmatari.
(3) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(4) La parità fra uomini e donne è un principio fondamentale ai sensi dell’articolo 2 e dell’articolo 3, paragrafo 2, del trattato CE, nonché ai sensi della giurisprudenza della Corte di giustizia. Le suddette disposizioni del trattato sanciscono la parità fra uomini e donne quale “compito” e “obiettivo” della Comunità e impongono l’obbligo concreto della sua promozione in tutte le sue attività.
(5) L’articolo 141 del trattato, ed in particolare il paragrafo 3, affronta specificamente la parità di trattamento e di opportunità per uomini e donne in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
(6) La direttiva 76/207/CEE del Consiglio non dà una definizione della nozione di discriminazione diretta o indiretta. Il Consiglio ha adottato, sulla base dell’articolo 13 del trattato, la direttiva 2000/43/CE, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e la direttiva del Consiglio 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in cui si dà una definizione di discriminazione diretta ed indiretta. È pertanto appropriato inserire definizioni coerenti con le suddette direttive in materia di genere.
(7) La presente direttiva lascia impregiudicata la libertà di associazione compreso il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. Misure ai sensi dell’articolo 141, paragrafo 4, del trattato possono includere l’adesione o la continuazione dell’attività di organizzazioni o sindacati il cui scopo principale sia la promozione, nella pratica, del principio della parità di trattamento fra uomini e donne.
(8) Le molestie legate al sesso di una persona e le molestie sessuali sono contrarie al principio della parità di trattamento fra uomini e donne; è pertanto opportuno definire siffatte nozioni e vietare siffatte forme di discriminazione. A tal fine va sottolineato che queste forme di discriminazione non si producono soltanto sul posto di lavoro, ma anche nel quadro dell’accesso all’impiego ed alla formazione professionale, durante l’impiego e l’occupazione.
(9) In questo contesto, occorrerebbe incoraggiare i datori di lavoro e i responsabili della formazione professionale a prendere misure per combattere tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare, a prendere misure preventive contro le molestie e le molestie sessuali sul posto di lavoro, in conformità del diritto e della prassi nazionali.
(10) La valutazione dei fatti sulla base dei quali si può dedurre che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta è una questione di competenza dell’organo giurisdizionale nazionale o di altro organo competente secondo norme del diritto o della prassi nazionale. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione indiretta sia accertata con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia(7) una discriminazione consiste nell’applicazione di norme diverse a situazioni comparabili o nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse.
(11) Le attività professionali che gli Stati membri possono escludere dal campo di applicazione della direttiva 76/207/CEE dovrebbero essere ristrette a quelle che necessitano l’assunzione di una persona di un determinato sesso data la natura delle particolari attività lavorative in questione, purché l’obiettivo ricercato sia legittimo e soggetto al principio di proporzionalità come stabilisce la giurisprudenza della Corte di giustizia.
(12) La Corte di giustizia ha coerentemente riconosciuto la legittimità, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la maternità. Ha inoltre costantemente decretato che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donne in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. La presente direttiva non pregiudica pertanto la direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992 concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) che intende garantire la protezione dello stato fisico e mentale delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Alcuni considerando della direttiva 92/85/CEE affermano che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento non dovrebbe svantaggiare le donne sul mercato del lavoro né pregiudicare le direttive in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne. La Corte di giustizia ha riconosciuto la tutela dei diritti delle donne sul piano del lavoro, in particolare per quanto riguarda il loro diritto a riprendere lo stesso lavoro o un lavoro equivalente, con condizioni lavorative non meno favorevoli, nonché di beneficiare di qualsiasi miglioramento delle condizioni di lavoro alle quali avrebbero avuto diritto durante la loro assenza.
(13) Nella risoluzione del Consiglio e dei ministri incaricati dell’occupazione e della politica sociale, riuniti in sede di Consiglio, del 29 giugno 2000, concernente la partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini all’attività professionale e alla vita familiare, gli Stati membri sono incoraggiati a prendere in considerazione la possibilità che i rispettivi ordinamenti giuridici riconoscano ai lavoratori uomini un diritto individuale e non trasferibile al congedo di paternità, pur mantenendo i propri diritti inerenti al lavoro. In tale contesto, è importante sottolineare che spetta agli Stati membri determinare se concedere o meno un tale diritto e determinare inoltre tutte le condizioni, a parte il licenziamento e il ritorno al lavoro, che sono al di fuori del campo di applicazione della presente direttiva.
(14) Gli Stati membri hanno la facoltà, ai sensi dell’articolo 141, paragrafo 4, del trattato, di mantenere o di adottare misure che prevedono vantaggi specifici volti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato oppure a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali. Data la situazione attuale e tenendo conto della dichiarazione 28 allegata al trattato di Amsterdam, gli Stati membri dovrebbero, innanzitutto, mirare a migliorare la situazione delle donne nella vita lavorativa.
(15) Il divieto di discriminazione non dovrebbe pregiudicare il mantenimento o l’adozione di misure volte a prevenire o compensare gli svantaggi incontrati da un gruppo di persone di uno dei due sessi. Tali misure autorizzano l’esistenza di organizzazioni di persone di tale sesso se il loro principale obiettivo è la promozione di necessità specifiche delle persone stesse e la promozione della parità tra donne e uomini.
(16) Il principio della parità di retribuzione tra gli uomini e le donne è già fermamente stabilito dall’articolo 141 del trattato e dalla direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ed è costantemente sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia: questo principio costituisce una parte essenziale e imprescindibile dell’acquis comunitario in materia di discriminazioni basate sul sesso.
(17) La Corte di giustizia ha stabilito che, vista la natura fondamentale del diritto all’effettiva tutela giurisdizionale, i dipendenti godono di tale tutela anche dopo la fine del rapporto di lavoro. La stessa tutela andrebbe assicurata a ogni dipendente che difenda, o testimoni in favore di una persona tutelata ai sensi della presente direttiva.
(18) La Corte di giustizia ha stabilito che, per essere efficace, il principio della parità di trattamento comporta, qualora sia disatteso, che l’indennizzo riconosciuto al dipendente discriminato debba essere adeguato al danno subito. Ha inoltre specificato che stabilire un massimale a priori può precludere un risarcimento efficace e che non è consentito escludere il riconoscimento di interessi per compensare la perdita subita.
(19) Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, le norme nazionali relative ai termini per agire in giudizio sono ammissibili, a condizione che esse non siano meno favorevoli di quelle relative ai termini previsti per analoghe azioni del sistema processuale nazionale e che non rendano in pratica impossibile l’esercizio di diritti conferiti dalla normativa comunitaria.
(20) Le vittime di discriminazioni fondate sul sesso dovrebbero disporre di mezzi adeguati di protezione legale. Al fine di assicurare un livello più efficace di protezione, anche alle associazioni, organizzazioni e altre persone giuridiche dovrebbe essere conferito il potere di avviare una procedura, secondo le modalità stabilite dagli Stati membri, per conto o a sostegno delle vittime, fatte salve norme procedurali nazionali relative alla rappresentanza e alla difesa in giudizio.
(21) Gli Stati membri dovrebbero promuovere il dialogo fra le parti sociali e, nel quadro della prassi nazionale, con organizzazioni non governative, al fine di affrontare e combattere varie forme di discriminazione fondate sul sesso nei luoghi di lavoro.
(22) Gli Stati membri dovrebbero prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di mancata ottemperanza agli obblighi derivanti dalla direttiva 76/207/CEE.
(23) Poiché gli scopi dell’azione proposta non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(24) La direttiva 76/207/CEE dovrebbe pertanto essere modificata,
HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:
Articolo 1
La direttiva 76/207/CE è modificata come segue:
1) All’articolo 1 è inserito il seguente paragrafo:
“1 bis. Gli Stati membri tengono conto dell’obiettivo della parità tra gli uomini e le donne nel formulare ed attuare leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività nei settori di cui al paragrafo 1.”.
2) L’articolo 2 è sostituito dal seguente:
“Articolo 2
1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.
2. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
– discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga,
– discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari,
– molestie: situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo,
– molestie sessuali: situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
3. Le molestie e le molestie sessuali, ai sensi della presente direttiva, sono considerate discriminazioni fondate sul sesso e sono pertanto vietate.
Il rifiuto di, o la sottomissione a, tali comportamenti da parte di una persona non possono essere utilizzati per prendere una decisione riguardo a detta persona.
4. L’ordine di discriminare persone a motivo del sesso è considerato una discriminazione ai sensi della presente direttiva.
5. Gli Stati membri incoraggiano, in conformità con il diritto, gli accordi collettivi o le prassi nazionali, i datori di lavoro e i responsabili dell’accesso alla formazione professionale a prendere misure per prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare, le molestie e le molestie sessuali sul luogo di lavoro.
6. Per quanto riguarda l’accesso all’occupazione, inclusa la formazione preventiva, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica specifica di un sesso non costituisca discriminazione laddove, per la particolare natura delle attività lavorative di cui trattasi o per il contesto in cui esse vengono espletate, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato.
7. La presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.
Alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.
Ai sensi della presente direttiva un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE costituisce una discriminazione.
La presente direttiva lascia altresì impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso all’UNICE, dal CEEP e dalla CES, e della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). La presente direttiva lascia altresì impregiudicata la facoltà degli Stati membri di riconoscere diritti distinti di congedo di paternità e/o adozione. Gli Stati membri che riconoscono siffatti diritti adottano le misure necessarie per tutelare i lavoratori e le lavoratrici contro il licenziamento causato dall’esercizio di tali diritti e per garantire che alla fine di tale periodo di congedo essi abbiano diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano per essi meno favorevoli, e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero loro spettati durante la loro assenza.
8. Gli Stati membri possono mantenere o adottare misure ai sensi dell’articolo 141, paragrafo 4, del trattato volte ad assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne.”.
3) L’articolo 3 è sostituito dal seguente:
“Articolo 3
1. L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;
b) all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE;
d) all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.
2. A tal fine gli Stati membri prendono le misure necessarie per assicurare che:
a) tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento siano abrogate;
b) tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano il lavoro autonomo e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate.”.
4) Gli articoli 4 e 5 sono soppressi.
5) L’articolo 6 è sostituito dal seguente:
“Articolo 6
1. Gli Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o amministrative, comprese, ove lo ritengono opportuno, le procedure di conciliazione finalizzate all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.
2. Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per garantire un indennizzo o una riparazione reale ed effettiva che essi stessi stabiliscono per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione contraria all’articolo 3, in modo tale da risultare dissuasiva e proporzionata al danno subito; tale indennizzo o riparazione non può avere un massimale stabilito a priori, fatti salvi i casi in cui il datore di lavoro può dimostrare che l’unico danno subito dall’aspirante a seguito di una discriminazione ai sensi della presente direttiva è costituito dal rifiuto di prendere in considerazione la sua domanda.
3. Gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche che, conformemente ai criteri stabiliti dalle rispettive legislazioni nazionali, abbiano un legittimo interesse a garantire che le disposizioni della presente direttiva siano rispettate, il diritto di avviare, in via giurisdizionale e/o amministrativa, per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.
4. I paragrafi 1 e 3 lasciano impregiudicate le norme nazionali relative ai termini per la proposta di azioni relative al principio della parità di trattamento.”.
6) L’articolo 7 è sostituito dal seguente:
“Articolo 7
Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori, inclusi i rappresentanti dei dipendenti previsti dalle leggi e/o prassi nazionali, dal licenziamento o da altro trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro, quale reazione ad un reclamo all’interno dell’impresa o ad un’azione legale volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.”.
7) Sono inseriti i seguenti articoli:
“Articolo 8 bis
1. Gli Stati membri designano uno o più organismi per la promozione, l’analisi, il controllo e il sostegno delle parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso. Tali organismi possono far parte di agenzie, incaricate, a livello nazionale, della difesa dei diritti umani o della salvaguardia dei diritti individuali.
2. Gli Stati membri assicurano che nella competenza di tali organismi rientrino:
a) l’assistenza indipendente alle vittime di discriminazioni nel dare seguito alle denunce da essi inoltrate in materia di discriminazione, fatto salvo il diritto delle vittime e delle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche di cui all’articolo 6, paragrafo 3;
b) lo svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazione;
c) la pubblicazione di relazioni indipendenti e la formulazione di raccomandazioni su questioni connesse con tali discriminazioni.
Articolo 8 ter
1. Gli Stati membri, conformemente alle tradizioni e prassi nazionali, prendono le misure adeguate per incoraggiare il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere il principio della parità di trattamento, fra l’altro attraverso il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, contratti collettivi, codici di comportamento, ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche.
2. Laddove ciò sia conforme alle tradizioni e prassi nazionali, gli Stati membri incoraggiano le parti sociali, lasciando impregiudicata la loro autonomia, a promuovere la parità tra le donne e gli uomini e a concludere al livello appropriato accordi che fissino regole antidiscriminatorie negli ambiti di cui all’articolo 1 che rientrano nella sfera della contrattazione collettiva. Tali accordi rispettano i requisiti minimi fissati dalla presente direttiva e dalle relative misure nazionali di attuazione.
3. Gli Stati membri, in conformità con la legislazione, i contratti collettivi o le prassi nazionali, incoraggiano i datori di lavoro a promuovere in modo sistematico e pianificato la parità di trattamento tra uomini e donne sul posto di lavoro.
4. A tal fine, i datori di lavoro sono incoraggiati a fornire, ad intervalli regolari appropriati, ai lavoratori e/o ai rappresentanti dei lavoratori informazioni adeguate sulla parità di trattamento tra uomini e donne nell’impresa.
Tali informazioni possono includere dati statistici sulla distribuzione di uomini e donne ai vari livelli dell’impresa e proposte di misure atte a migliorare la situazione in cooperazione con i rappresentanti dei dipendenti.
Articolo 8 quater
Al fine di promuovere il principio della parità di trattamento, gli Stati membri incoraggiano il dialogo con le competenti organizzazioni non governative che, conformemente alle rispettive legislazioni e prassi nazionali, hanno un legittimo interesse a contribuire alla lotta contro le discriminazioni fondate sul sesso.
Articolo 8 quinquies
Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione.
Le sanzioni, che possono prevedere un risarcimento dei danni, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano le relative disposizioni alla Commissione entro 5 ottobre 2005 e provvedono poi a notificare immediatamente le eventuali modificazioni successive.
Articolo 8 sexies
1. Gli Stati membri possono introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle fissate nella presente direttiva.
2. L’attuazione della presente direttiva non può in alcun caso costituire motivo di riduzione del livello di protezione contro la discriminazione già predisposto dagli Stati membri nei settori di applicazione della presente direttiva.”.
Articolo 2
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro 5 ottobre 2005 o fanno sì che entro questa data i datori di lavoro e i lavoratori introducano le disposizioni richieste tramite accordi. Gli Stati membri adottano tutte le iniziative necessarie per essere in grado in ogni momento di garantire i risultati previsti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Quando gli Stati membri adottano queste disposizioni, esse contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione entro tre anni dall’entrata in vigore della presente direttiva tutte le informazioni necessarie per consentire alla Commissione di redigere una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della presente direttiva.
3. Salvo il disposto del paragrafo 2, gli Stati membri sottopongono ogni quattro anni alla Commissione il testo delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti eventuali misure adottate in base all’articolo 141, paragrafo 4, del trattato nonché relazioni su tali misure e sulla loro attuazione. Sulla base di tali informazioni, la Commissione adotta e pubblica ogni quattro anni una relazione di valutazione comparativa di tali misure, alla luce della Dichiarazione n. 28 allegata all’Atto finale del trattato di Amsterdam.
Articolo 3
La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
Articolo 4
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Bruxelles, addì 23 settembre 2002.
Per il Parlamento europeo
Il Presidente
P. Cox
Per il Consiglio
Il Presidente
M. Fischer Boel
Autore:
Parlamento europeo e Consiglio
Dossier:
_Lotta alla discriminazione_
Parole chiave:
Formazione professionale, Uguaglianza, Diritti fondamentali, Pari opportunità, Lavoro, Molestie, Maternità, Discriminazione sessuale, Indennizzi, Tutela giurisdizionale
Natura:
Direttiva