Decreto generale 05 novembre 1990, n.786
Conferenza Episcopale Italiana. Decreto Generale sul matrimonio canonico, Prot. n. 786/90, 5 novembre 1990.
Decreto
La Conferenza Episcopale Italiana nella XXXII Assemblea Generale ordinaria, svoltasi a Roma dal 14 al 18 maggio 1990, ha esaminato e approvato con la prescritta maggioranza il “Decreto generale sul matrimonio canonico”, in attuazione delle disposizioni del codice di diritto canonico e del mandato speciale della Santa Sede conferito con venerato Foglio del Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, in data 2 marzo 1990, n. 1164/90/RS.
In conformità al can. 455, par. 2, del codice di diritto canonico ho richiesto con lettera del 19 giugno 1990 (prot. n. 416/90) la prescritta “recognitio” della Santa Sede.
Con venerato Foglio del 26 settembre 1990 (prot. n. 6355/90/RS) il Segretario della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato mi ha partecipato che il Santo Padre Giovanni Paolo II si è degnato di autorizzare la promulgazione del Decreto e mi ha comunicato che Sua Santità ha inoltre disposto che, in concomitanza con l’entrata in vigore delle nuove norme, siano da considerarsi abrogate, “quatenus opus sit”, le Istruzioni della Sacra Congregazione per i Sacramenti del 1° luglio 1929 e del 1° agosto 1930, così come ogni altra eventuale prescrizione, emanata dalla Santa Sede, che risultasse contraria.
Pertanto con il presente decreto, nella mia qualità di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per mandato dell’Assemblea Generale e in conformità al can. 455 nonché all’art. 28/a dello Statuto della C.E.I., intendo promulgare e di fatto promulgo il “Decreto generale sul matrimonio canonico” approvato dalla XXXII Assemblea Generale, stabilendo che la promulgazione sia fatta mediante pubblicazione sul “Notiziario” ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana.
Tenuto conto dell’esigenza di una previa e adeguata informazione, che illustri la nuova normativa, stabilisco altresì che il Decreto promulgato entri in vigore a partire dalla prima domenica di Quaresima dell’anno 1991 (17 febbraio 1991).
Testo del Decreto Generale
Premessa
Tutti possono contrarre matrimonio, ad eccezione di coloro ai quali il diritto lo proibisce (can. 1058 CIC). Tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento (can. 1055, par. 2).
Il matrimonio contratto dai fedeli cattolici è per norma generale regolato dal diritto canonico (cfr can. 1059). Per i cattolici italiani la disciplina generale è integrata (cfr can. 3) dalle disposizioni dell’Accordo di revisione del Concordato Lateranense stipulato il 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la Santa Sede (cfr in particolare art. 8 dell’Accordo e n. 4 del Protocollo addizionale). Tali disposizioni, mentre riconoscono la competenza della Chiesa circa il matrimonio dei cattolici ed assicurano “la libertà (…) della giurisdizione in materia ecclesiastica” (art. 2), fanno salva la competenza dell’autorità civile circa gli effetti puramente civili del matrimonio medesimo (art. 8, comma primo).
Lo Stato italiano dovrà dare le necessarie disposizioni attuative al riguardo.
La Conferenza Episcopale Italiana ha già adottato, per parte sua, alcune delibere relative a taluni aspetti della disciplina matrimoniale affidati dal codice di diritto canonico alla sua competenza (cfr delibere C.E.I. nn. 9, 10, 31).
Per completare le disposizioni attuative affidate dal codice di diritto canonico (cfr cann. 1067; 1121, par. 1; 1126; 1127, par. 2) e per assicurare una conforme applicazione della disciplina vigente e degli adempimenti disposti in materia, la Conferenza Episcopale Italiana, avendo ricevuto il mandato speciale della Santa Sede con lettera della Segreteria di Stato n. 1164/90/RS del marzo 1990, ha predisposto il presente Decreto generale, approvato dall’Assemblea Generale nella sessione 14-18 maggio 1990 con la prescritta maggioranza qualificata.
La Santa Sede ha dato la necessaria “recognitio” in data 26 settembre 1990, disponendo che contestualmente all’entrata in vigore delle nuove norme, siano da considerarsi abrogate, “quatenus opus sit”, le Istruzioni della Sacra Congregazione per i Sacramenti del 1° luglio 1929 e del 1° agosto 1930, così come ogni altra eventuale prescrizione, emanata dalla Santa Sede, che risultasse contraria.
Il Presidente della C.E.I. ha promulgato il Decreto generale in data 5 novembre 1990, disponendo che entri in vigore con la prima domenica di Quaresima del 1991.
Pertanto, a partire dal 17 febbraio 1991, le presenti norme entrano in vigore per tutte le Chiese particolari in Italia.
I. OBBLIGO DI CELEBRARE IL MATRIMONIO CANONICO
CON EFFETTI CIVILI
1. I cattolici che intendono contrarre matrimonio in Italia sono tenuti a celebrarlo unicamente secondo la forma canonica (cfr can. 1108), con l’obbligo di avvalersi del riconoscimento agli effetti civili assicurato dal Concordato.
L’Ordinario del luogo può dispensare dall’obbligo di avvalersi del riconoscimento agli effetti civili assicurato dal Concordato soltanto per gravi motivi pastorali, stabilendo se nel caso l’atto civile, che per i cattolici non ha valore costitutivo del vincolo matrimoniale, debba precedere o seguire la celebrazione del sacramento e richiedendo l’impegno dei nubendi di non iniziare la convivenza coniugale se non dopo la celebrazione canonica.
II. PREPARAZIONE AL MATRIMONIO CANONICO CON EFFETTI CIVILI
E ATTI DA PREMETTERE ALLA SUA CELEBRAZIONE
A Preparazione
2. L’azione pastorale della Chiesa deve accompagnare la famiglia nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo.
Ai nostri giorni è più che mai necessaria l’assistenza ai giovani nella preparazione al matrimonio e alla vita familiare. Questa assistenza non può essere limitata all’espletamento delle pratiche per la celebrazione matrimoniale, ma deve abbracciare le diverse fasi della vita dell’uomo e della donna affinché prendano coscienza dei valori e degli impegni propri della vocazione al matrimonio cristiano.
I Vescovi diocesani, a norma del can. 1064 del codice di diritto canonico, sono tenuti a elaborare un programma di assistenza pastorale alla famiglia e, in questo ambito, a emanare direttive circa la preparazione al matrimonio.
3. La preparazione remota, prossima e immediata al matrimonio è regolata, nel quadro del diritto universale, dalle disposizioni attuative date dalla Conferenza Episcopale Italiana e da quelle proprie delle Chiese particolari in materia di pastorale prematrimoniale.
Al fine di promuovere una prassi comune, per la preparazione prossima e immediata al matrimonio siano accolte in ogni programma diocesano le seguenti indicazioni:
1) coinvolgimento della comunità e, in particolare, degli operatori di pastorale familiare in iniziative che dispongano i nubendi alla santità e ai doveri del loro nuovo stato (cfr can. 1063, n. 2);
2) colloqui con il parroco o con il sacerdote incaricato, “corsi per i fidanzati” e altre iniziative organiche per il cammino di fede dei nubendi, attraverso l’approfondimento non solo dei valori umani della vita coniugale e familiare ma anche dei valori propri del sacramento e della famiglia cristiana, con gli impegni che ne derivano;
3) tempo di preparazione immediata normalmente non inferiore a tre mesi;
4) incontri personali dei nubendi con il parroco per lo svolgimento dell’istruttoria matrimoniale e per la preparazione a una consapevole e fruttuosa celebrazione della liturgia delle nozze.
B Atti preliminari
4. L’istruttoria matrimoniale comprende alcuni adempimenti, da premettere alla celebrazione del matrimonio, ordinati ad accertare che nulla si oppone alla sua valida, lecita e fruttuosa celebrazione, verificando nei nubendi, in particolare, la libertà di stato, l’assenza di impedimenti e l’integrità del consenso (cfr can. 1066).
Questi adempimenti sono affidati di norma, a libera scelta dei nubendi, al parroco della parrocchia dove l’uno o l’altro dei medesimi ha il domicilio canonico o il quasi domicilio o la dimora protratta per un mese.
5. Le prescrizioni canoniche riguardanti l’istruttoria comprendono: la verifica dei documenti; l’esame dei nubendi circa la libertà del consenso e la non esclusione della natura, dei fini e delle proprietà essenziali del matrimonio; la cura delle pubblicazioni; la domanda all’Ordinario del luogo di dispensa da eventuali impedimenti o di licenza alla celebrazione nei casi previsti dal codice di diritto canonico, dal presente decreto o dal diritto particolare.
6. I documenti da raccogliere e verificare sono: il certificato di battesimo, il certificato di confermazione, il certificato di stato libero, quando è richiesto, il certificato di morte del coniuge per le persone vedove ed altri secondo i singoli casi.
7. Il certificato di battesimo deve avere data non anteriore a sei mesi. Esso deve riportare soltanto il nome e il cognome, il luogo e la data di nascita del soggetto, l’indicazione del luogo e della data del battesimo e, se ricevuta, della confermazione.
Le annotazioni rilevanti al fine della valida o lecita celebrazione del matrimonio e quelle relative all’adozione, eventualmente contenute nell’atto di battesimo, devono essere trasmesse d’ufficio e in busta chiusa al parroco che conduce l’istruttoria.
Per quanto concerne i dati o le annotazioni riguardanti i genitori naturali di persone adottate (cfr can. 877, par. 3), il parroco della parrocchia del battesimo e il parroco che conduce l’istruttoria sono tenuti al segreto d’ufficio.
8. I pastori d’anime siano solleciti nell’esortare i nubendi che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione a riceverlo prima del matrimonio se ciò è possibile senza grave incomodo (cfr can. 1065, par. 1).
Prestino particolare attenzione a coloro che, dopo il battesimo, non hanno ricevuto gli altri sacramenti né alcuna formazione cristiana.
Parimenti siano animati da grande prudenza pastorale nel curare la preparazione dei nubendi non cresimati che già vivono in situazione coniugale irregolare (conviventi o sposati civilmente). In questo caso, di norma, l’amministrazione della confermazione non preceda la celebrazione del matrimonio.
Nel diritto particolare, tenendo conto anche delle facoltà concesse ai Vescovi diocesani circa il ministro della confermazione (cfr can. 884, par. 1), si potranno dare disposizioni affinché la celebrazione della confermazione per i nubendi sia opportunamente inserita nella preparazione immediata al matrimonio.
9. Quando i nubendi, dopo il compimento del sedicesimo anno di età, hanno dimorato per più di un anno in una diocesi diversa da quella in cui hanno domicilio o il quasi domicilio o la dimora protratta per un mese, il parroco che procede all’istruttoria dovrà verificare la loro libertà di stato anche attraverso un apposito certificato di stato libero, risultante dall’attestazione di due testimoni idonei oppure, in mancanza di questi, dal giuramento suppletorio deferito agli interessati. In questo caso il giuramento suppletorio viene reso e inserito nell’esame dei nubendi, di cui al numero seguente del presente decreto.
10. L’esame dei nubendi è finalizzato a verificare la libertà e l’integrità del loro consenso, la loro volontà di sposarsi secondo la natura, i fini e le proprietà essenziali del matrimonio, l’assenza di impedimenti e di condizioni. L’importanza e la serietà di questo adempimento domandano che esso sia fatto dal parroco con diligenza, interrogando separatamente i nubendi. Le risposte devono essere rese sotto vincolo di giuramento, verbalizzate e sottoscritte, e sono tutelate dal segreto d’ufficio.
Di norma l’esame dei nubendi conclude la preparazione immediata al matrimonio e suppone la conclusione del corso per i fidanzati e l’avvenuta verifica dei documenti.
Quando il parroco competente non può o incontra difficoltà a interrogare entrambi i nubendi, deferisce ad altro parroco il compito di esaminare uno dei contraenti, chiedendo che gli sia trasmesso in busta chiusa il verbale, vidimato dalla curia diocesana se il parroco appartiene a un’altra diocesi (cfr can. 1070).
All’occorrenza è consentito al parroco di ricorrere a un interprete, della cui fedeltà sia certo, e che non può essere, in ogni caso, l’altra parte contraente.Il verbale dell’esame dei nubendi ha valore per la durata di sei mesi.
11. Gli incontri personali del parroco con i nubendi non siano limitati a quelli necessari per l’esame. Affinché questo adempimento, in coerenza con la sua rilevanza giuridica, acquisti pieno significato pastorale, occorre che sia accompagnato da altri colloqui, soprattutto quando si tratta di fidanzati che ancora presentano carenze o difficoltà nella dottrina o nella pratica cristiana.
Il parroco non trascuri di richiamare ai nubendi gli impegni e i valori del matrimonio cristiano, di esortarli ad accostarsi ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia (cfr can. 1065, par. 2), di prepararli “a prendere parte attiva e consapevole ai riti della liturgia nuziale”.
Altri adempimenti da premettere alla celebrazione del matrimonio, come, ad esempio, la dichiarazione di volontà o la domanda di matrimonio formulata congiuntamente dai nubendi, possono essere introdotti dalle disposizioni del diritto particolare.
12. La celebrazione del matrimonio è preceduta dalle pubblicazioni canoniche, che sono sempre richieste perché rispondono a una esigenza di bene comune.
Le pubblicazioni canoniche consistono nell’affissione all’albo parrocchiale dell’annuncio di matrimonio, con i dati anagrafici (cognome e nome, luogo e data di nascita), la residenza, lo stato civile e la professione dei nubendi. L’atto della pubblicazione deve rimanere affisso all’albo parrocchiale per almeno otto giorni consecutivi, comprensivi di due giorni festivi.
Altre forme di pubblicazioni, svolte secondo le consuetudini o introdotte per finalità pastorali, come ad esempio, la presentazione dei nubendi alla comunità, non sono sostitutive della modalità suddetta.
Tutti i fedeli sono tenuti a segnalare al parroco o all’Ordinario del luogo prima che il matrimonio venga celebrato gli impedimenti di cui fossero a conoscenza (cfr can. 1069).
13. La responsabilità delle pubblicazioni è affidata al parroco incaricato dell’istruttoria matrimoniale, di cui al n. 4 del presente decreto.
Egli curi che le pubblicazioni siano fatte nella parrocchia del domicilio o del quasi domicilio o della dimora protratta per un mese di ciascuno dei nubendi. Qualora l’attuale dimora non duri da almeno un anno, esse siano richieste anche nella parrocchia dell’ultimo precedente domicilio protrattosi almeno per un anno, salvo diverse disposizioni date dall’Ordinario del luogo.
14. La dispensa dalle pubblicazioni canoniche può essere concessa dall’Ordinario del luogo per una giusta causa.
Se il matrimonio non viene celebrato entro sei mesi dal compimento delle pubblicazioni canoniche, queste dovranno essere ripetute, salvo diverso giudizio dell’Ordinario del luogo.
15. Il parroco, di cui al n. 4 del presente decreto, richiede la pubblicazione civile al comune nel quale uno degli sposi ha la residenza, accompagnando la richiesta dei nubendi.
Occorre ricordare ai fidanzati, durante la preparazione al matrimonio, che essi non devono chiedere la pubblicazione al comune prima che siano state compiute le pratiche da premettersi alla celebrazione del matrimonio canonico, avvertendoli che, senza la richiesta del parroco, la loro non può avere effetto ai fini della procedura concordataria.
Dal canto suo il parroco, in via ordinaria, non richieda la pubblicazione all’ufficiale dello stato civile, se precedentemente non ha adempiuto le prescrizioni canoniche, di cui al n. 10 del presente decreto.
Nel caso in cui la residenza civile dei nubendi non coincide con il domicilio canonico, il parroco del domicilio canonico, se necessario, chieda la collaborazione del parroco del luogo della residenza civile ai fini della richiesta della pubblicazione, trasmettendogli un documento autentico con tutti i dati occorrenti.
16.Nel caso che il parroco sia assente o impedito la richiesta viene fatta dal ministro di culto che a norma del diritto canonico lo sostituisce.
17. Trascorsi tre giorni dal compimento della pubblicazione civile, l’ufficiale dello stato civile, se non gli è stata notificata alcuna opposizione né gli consti l’esistenza di alcun impedimento al matrimonio, rilascia un attestato, con il quale dichiara che nulla osta alla celebrazione del matrimonio.
Qualora l’ufficiale dello stato civile comunichi alle parti e al parroco il rifiuto motivato del rilascio dell’attestato e l’autorità giudiziaria dichiari l’inammissibilità dell’opposizione al rifiuto, prima di procedere alla celebrazione del matrimonio il parroco sottoponga il caso al giudizio dell’Ordinario del luogo.
18. Ai fini del presente decreto sono equiparati al parroco gli amministratori parrocchiali e i cappellani militari.
Le facoltà del parroco possono essere avocate a sé dall’Ordinario del luogo in singoli casi e per giuste ragioni pastorali.
III. EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO CANONICO
19. Il matrimonio celebrato avanti l’Ordinario del luogo, il parroco o il ministro di culto delegato, secondo le norme del diritto canonico, produce gli effetti civili, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile.
20. Nel ricevere la richiesta di celebrazione del matrimonio canonico con effetti civili il parroco tenga presente che il matrimonio canonico non può ottenere gli effetti civili qualora al momento della celebrazione sussista una delle seguenti circostanze:
a) che uno dei contraenti non abbia compiuto gli anni diciotto e non sia stato ammesso al matrimonio a norma delle leggi civili;
b) che uno dei contraenti sia stato dichiarato interdetto per infermità di mente;
c) che i contraenti tra loro o anche uno solo di essi siano già legati da matrimonio valido agli effetti civili;
d) che sussista tra i contraenti uno degli impedimenti previsti dalla legge civile e non sia possibile ottenere l’autorizzazione al matrimonio.
Il divieto richiamato al comma precedente cessa peraltro nei casi in cui, a norma degli articoli 68, terzo comma, 117, secondo comma e 119, secondo comma, del codice civile, non sarebbe possibile pronunziare la nullità del matrimonio o il suo annullamento.
21. A norma del can. 1071, par. 1, n. 2, in tutti i casi in cui il matrimonio canonico non può essere immediatamente trascritto nei registri dello stato civile il parroco non proceda alla celebrazione senza l’autorizzazione dell’Ordinario del luogo.
IV. CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO CANONICO E TRASCRIZIONE
PER GLI EFFETTI CIVILI
22. Per ciò che riguarda il luogo, la forma canonica e il rito liturgico della celebrazione del matrimonio, si osservino le prescrizioni del codice di diritto canonico, dei libri liturgici e del diritto particolare.
E’ compito primario dei pastori d’anime promuovere con instancabile sollecitudine “una celebrazione delle nozze che risulti veramente evangelizzante ed ecclesiale”. “In quanto segno, la celebrazione liturgica deve svolgersi in modo da costituire, anche nella realtà esteriore, una proclamazione della parola di Dio e una professione di fede della comunità dei credenti (…). In quanto gesto sacramentale della Chiesa, la celebrazione liturgica del matrimonio deve coinvolgere la comunità cristiana con la partecipazione piena, attiva e responsabile di tutti i presenti, secondo il posto e il compito di ciascuno”.
23. La parrocchia della celebrazione delle nozze è di norma quella nella quale i nubendi sono inseriti a norma del canone 1115.
Per motivi di necessità o di convenienza pastorale il matrimonio potrà essere celebrato in altre parrocchie. In questo caso il parroco, che ha svolto l’istruttoria matrimoniale, dia licenza all’altro parroco trasmettendo soltanto l’attestato riassuntivo dei documenti necessari e il nulla osta rilasciato dal Comune.
Se è destinato a un parroco di altra diocesi, l’attestato riassuntivo sarà vidimato dalla cancelleria della curia diocesana di provenienza.
Nell’ambito della stessa diocesi questa vidimazione è necessaria soltanto se le disposizioni del diritto particolare la prevedono.
Non si tralasci, in ogni caso, di dare al parroco nella cui parrocchia si celebrerà il matrimonio sufficienti e chiare indicazioni, affinché possa notificare l’avvenuta celebrazione del matrimonio al parroco che ha dato la licenza e a quello della parrocchia di battesimo degli sposi, quando fosse diversa da quella in cui è stata istruita la pratica.
24. La celebrazione delle nozze normalmente si svolga nella chiesa parrocchiale. Con il permesso dell’Ordinario del luogo o del parroco potrà compiersi in altra chiesa od oratorio (cfr can. 1118, par. 1).
Soltanto in presenza di particolari ragioni pastorali l’Ordinario del luogo può permettere che il matrimonio sia celebrato in una cappella privata o in un altro luogo conveniente (cfr cann. 1118, par. 2; 1228).
L’Ordinario del luogo può vietare la celebrazione di matrimoni in una chiesa non parrocchiale, qualora a suo giudizio essa nuoccia al ministero parrocchiale (cfr cann. 1219; 558; 559).
25. Dopo la celebrazione del matrimonio, e comunque prima della conclusione del rito liturgico, il ministro di culto davanti al quale esso è stato celebrato spiega agli sposi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli 143, 144 e 147 del codice civile.
Il ministro di culto redige poi l’atto di matrimonio in doppio originale. Qualora uno o entrambi i coniugi intendano rendere dichiarazioni che la legge civile consente siano inserite nell’atto di matrimonio, il ministro di culto le raccoglie nell’atto stesso e le sottoscrive insieme con il dichiarante o i dichiaranti e con i testimoni.
26. L’atto di matrimonio deve contenere:
a) il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, la professione o condizione e la residenza degli sposi;
b) la dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie;
c) il luogo e la data delle pubblicazioni canoniche e civili, gli estremi delle eventuali dispense e il luogo e la data della celebrazione del matrimonio;
d) l’attestazione dell’avvenuta lettura agli sposi degli articoli 143, 144 e 147 del codice civile;
e) le eventuali dichiarazioni rese dagli sposi e consentite secondo la legge civile;
f) il nome e il cognome dell’Ordinario del luogo, o del parroco o del ministro di culto delegato che ha assistito alla celebrazione del matrimonio;
g) le generalità dei testimoni.
27. Uno degli originali dell’atto di matrimonio, insieme con la richiesta di trascrizione, deve essere trasmesso dal parroco della parrocchia nel cui territorio il matrimonio è stato celebrato all’ufficiale dello stato civile del comune in cui si trova il luogo di celebrazione non oltre cinque giorni dalla celebrazione medesima.
28. L’obbligo di trasmettere l’atto di matrimonio al comune incombe sempre al parroco, anche se alla celebrazione del matrimonio abbia assistito l’Ordinario del luogo o un altro ministro di culto delegato.
Nel caso che il parroco sia assente o impedito la richiesta di trascrizione è fatta dal ministro di culto di cui al n. 16 del presente decreto.
29. Se l’atto di matrimonio è regolare ed è accompagnato dalla richiesta di trascrizione sottoscritta dal parroco, l’ufficiale dello stato civile lo trascrive ed entro 48 ore trasmette notizia al parroco dell’avvenuta trascrizione, con l’indicazione degli estremi dell’atto e della data in cui essa è stata effettuata.
Il parroco provvede ad annotare sul registro dei matrimoni la comunicazione ricevuta e a conservarla nell’archivio parrocchiale.
30. Omissis
31. Omissis
32. Omissis
33. Se per un impedimento pubblico o per vizio di consenso che può essere provato o per vizio di forma, un matrimonio risulti nullo prima di essere notificato e trascritto agli effetti civili si proceda, se possibile, alla sua convalidazione secondo la forma prescritta (cfr cann. 1156-1160).
In tale caso il parroco trasmetterà all’ufficiale dello stato civile l’atto della seconda celebrazione del matrimonio, eseguita con la rinnovazione del consenso dinanzi al parroco e ai testimoni, previa dispensa dalle pubblicazioni se quelle fatte siano incorse nella decadenza.
34. Eseguita la trascrizione, i contraenti sono considerati nell’ordinamento civile, a tutti gli effetti giuridici, coniugati dal giorno della celebrazione del matrimonio.
35. In caso di sospensione o di rifiuto della trascrizione dell’atto di matrimonio, è sospesa o rifiutata anche la trascrizione nei registri dello stato civile delle dichiarazioni fatte dai contraenti a norma del n. 25, comma secondo del presente decreto, fatta eccezione per la dichiarazione di riconoscimento del figlio naturale.
Qualora una dichiarazione fatta a norma del medesimo n. 25 non possa essere accolta secondo la legge civile, l’ufficiale dello stato civile ne dà avviso agli interessati, senza giudizio per la trascrizione dell’atto di matrimonio.
V. CASI PARTICOLARI
36. L’Ordinario del luogo non conceda la dispensa dall’impedimento di età stabilito dal can. 1083, par. 1, se non per ragioni gravissime, dopo aver valutato le risultanze di un esame psicologico, compiuto da un consultorio familiare di ispirazione cristiana o da un esperto di fiducia, circa la capacità del minore di esprimere un valido consenso e di assumere gli impegni essenziali del matrimonio ai sensi dei cann. 1057 e 1095.
Lo stesso Ordinario faccia presente agli interessati, alle loro famiglie ed anche ai fedeli che le ragioni di convivenza sociale o di prassi tradizionale non valgono da sé sole a configurare gli estremi della speciale gravità, ricordando che anche gli aspetti etici eventualmente implicati dal caso debbono comporsi con la morale certezza circa la stabilità del matrimonio e considerando che nella fattispecie il matrimonio canonico non potrà conseguire gli effetti civili.
37. La dispensa dalla delibera n. 10 della Conferenza Episcopale Italiana, concernente la proibizione del matrimonio dei minorenni aventi età superiore a quella stabilita dall’impedimento di cui al numero precedente, può essere concessa dall’Ordinario del luogo soltanto in presenza di ragioni gravi.
La celebrazione del matrimonio canonico può essere autorizzata dall’Ordinario del luogo quando il parroco è in grado, oltre che di motivare la gravità delle ragioni, di assicurarsi circa la libertà del consenso e la maturità psicofisica del minore, eventualmente mediante l’intervento di un esperto del consultorio di ispirazione cristiana, soprattutto se la persona minore non è prossima al raggiungimento del diciottesimo anno d’età.
Di norma non si permetta la celebrazione del matrimonio canonico prima che il Tribunale per i minorenni abbia rilasciato l’autorizzazione a procedere, senza la quale non è possibile ottenere la trascrizione agli effetti civili.
38. Il matrimonio di persona civilmente interdetta per infermità di mente non può essere autorizzato dall’Ordinario del luogo se non per gravissime ragioni, e a condizione che non consti con morale certezza l’incapacità della medesima a esprimere un valido consenso e ad assumere gli impegni essenziali del matrimonio.
Per la valutazione della capacità del soggetto, l’Ordinario del luogo ricorra alla consulenza di un consultorio di ispirazione cristiana o almeno di un esperto di fiducia.
39. L’Ordinario del luogo non conceda la dispensa dall’impedimento di affinità in linea retta, stabilito dal can. 1092, se non in presenza di gravi motivi, tenendo anche conto del fatto che il matrimonio, nel caso, non potrà conseguire gli effetti civili.
40 L’ammissione al matrimonio solo canonico di persone vedove può essere concessa dall’Ordinario del luogo, per giusta causa, quando esse siano anziane e veramente bisognose.
Al di fuori di tali circostanze la licenza può essere data soltanto per ragioni gravi e a condizione che le parti si impegnino a richiedere la trascrizione del matrimonio agli effetti civili non appena vengano meno le cause che hanno motivato la licenza medesima, avendo gli stessi coniugi “il dovere di assicurare, nei limiti della possibilità, il riconoscimento civile alla loro unione matrimoniale sia nell’interesse legittimo dei figli, sia per riguardo alle esigenze del bene comune della società, di cui la famiglia è la cellula primordiale”.
41. L’ammissione al matrimonio solo canonico di persone cui la legge civile proibisce temporaneamente di sposarsi può essere concessa dall’Ordinario del luogo soltanto per gravi motivi e con le debite cautele. E’ opportuno considerare le ragioni addotte a sostegno del matrimonio solo canonico soprattutto quando la proibizione di legge non si prolunga nel tempo, ma occorre anche valutare gli inconvenienti del mancato riconoscimento civile, per il bene della stessa vita di coppia e per la tutela dei diritti della prole.
L’eventuale ammissione al matrimonio solo canonico deve essere sostenuta dal parere motivato del parroco e quando occorra del cappellano (cfr can. 564), che garantiscano la preparazione dei nubendi, l’assunzione di ogni responsabilità circa il mancato riconoscimento civile del loro matrimonio e l’impegno a ottenerlo appena possibile.
42. Nei casi di cui ai numeri 40-41 del presente decreto il ministro di culto che assiste alla celebrazione del matrimonio solo canonico è tenuto a dare lettura degli articoli 143, 144 e 147 del codice civile e a redigere l’atto di matrimonio in doppio originale, al fine di salvaguardare la possibilità che i coniugi chiedano la trascrizione del loro matrimonio ai sensi dell’art. 8, n. 1, comma sesto, dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense.
43. I pastori d’anime prestino grande attenzione a coloro che, pur chiedendo il matrimonio canonico, dimostrano di non essere pienamente disposti a celebrarlo con fede. “La fede, infatti, di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in gradi diversi ed è dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura”.Il parroco aiuti questi nubendi a riflettere sul significato della loro scelta e accerti, in ogni caso, che siano sinceramente disposti ad accettare la natura, i fini e le proprietà essenziali del matrimonio cristiano.
Quando si tratta di nubendi che hanno notoriamente abbandonato la fede o che sono irretiti di censura il parroco, salvo il caso di necessità, non proceda al matrimonio senza aver ottenuto la licenza dell’Ordinario del luogo (cfr can. 1071, par. 1, nn. 4-5). Le procedure previste dal codice di diritto canonico e dai nn. 48-52 del presente decreto siano osservate anche nel matrimonio tra una persona credente e un’altra che ha notoriamente abbandonato la fede (cfr can. 1071, par. 2).
In concreto non è facile riconoscere il configurarsi della fattispecie del notorio abbandono della fede. Molte persone, anche se dichiarano di non riconoscersi più come credenti, non danno segni pubblici chiari e inequivocabili di abbandono della fede. E’ bene, tuttavia, che il parroco nel dubbio ricorra all’Ordinario del luogo, il quale valuterà, caso per caso, se sia necessario esigere le procedure richiamate dal comma precedente.
44. Salvo il caso di necessità, coloro che hanno già contratto matrimonio civile non siano ammessi alla celebrazione del matrimonio canonico senza la licenza dell’Ordinario del luogo.
Possono verificarsi i seguenti casi:
1) Matrimonio canonico di persone già sposate civilmente tra loro.
In questo caso la richiesta del sacramento non può essere accolta come se si trattasse semplicemente di sistemare una mera situazione di fatto. E’ necessario che i nubendi siano aiutati a riflettere sulla loro precedente scelta in contrasto con la legge della Chiesa e sui motivi che l’hanno determinata. In questo senso il ricorso all’Ordinario del luogo mira a far prendere coscienza che per i cattolici non può esistere valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento (cfr can. 1055, par. 2).
Se uno solo dei coniugi sposati civilmente chiede il matrimonio canonico mentre l’altro si rifiuta di rinnovare il consenso nella forma canonica, il parroco esamini attentamente la eventualità di ricorrere alla domanda di sanazione in radice, verificando le condizioni previste dal can. 1163, par. 1.
2) Richiesta di matrimonio solo canonico da parte di una persona canonicamente e civilmente libera con un’altra persona cattolica, già sposata civilmente e attualmente separata e in attesa di divorzio.
In questo caso l’Ordinario del luogo non può concedere l’autorizzazione se non per gravi ragioni e in circostanze veramente eccezionali.
E’ necessario in ogni caso che il parroco esamini anzitutto se chi ha ottenuto lo scioglimento del precedente matrimonio civile abbia contratto doveri verso altre persone o verso i figli e se sia disposto ad osservarli (cfr can. 1071, par. 1, n. 3). Inoltre egli deve accertare la sincerità della richiesta del sacramento del matrimonio, inteso come scelta unica e irrevocabile.
Poiché il matrimonio canonico non potrà essere trascritto al civile, il parroco, ottenuta la licenza dell’Ordinario del luogo, non proceda alla celebrazione del sacramento senza chiedere e ottenere dai nubendi l’impegno di regolarizzare non appena possibile la loro posizione matrimoniale agli effetti civili.
3) Richiesta di matrimonio con una persona canonicamente e civilmente libera da parte di persona cattolica già sposata civilmente e divorziata.
Il parroco, accertato quanto indicato nel n. 2), e ottenuta la licenza dell’Ordinario del luogo, proceda all’istruttoria e assista alla celebrazione del matrimonio secondo le disposizioni previste nel presente decreto per assicurare gli effetti civili.
4) Richiesta di matrimonio solo canonico da parte di persone religiosamente libere a seguito di sentenza canonica dichiarante la nullità del matrimonio oppure di provvedimento di dispensa da un matrimonio rato e non consumato.
Nel primo caso, la richiesta non può essere accolta se non quando:
– è certo che la sentenza canonica non potrà essere resa esecutiva nell’ordinamento italiano dalla competente Corte d’Appello;
– si prevede fondatamente che la sentenza dichiarante l’esecutività sopravverrà in tempi eccessivamente lunghi e vi siano serie ragioni di urgenza pastorale.
Nel secondo caso, essendo certo che il provvedimento di dispensa non viene riconosciuto agli effetti civili, la richiesta può essere accolta.
In ambedue i casi spetta all’Ordinario del luogo provvedere alla rimozione di eventuali clausole vincolanti apposte alla sentenza canonica o al rescritto di dispensa e dare le indicazioni opportune perché si provveda ad assicurare la rilevanza anche civile del matrimonio contratto in forma canonica.
45. Nel caso di morte presunta di uno dei due coniugi, il successivo matrimonio del coniuge che ne ha chiesto la dichiarazione può essere trascritto solo se celebrato dopo che la sentenza civile dichiarante la morte presunta è passata in giudicato (cfr art. 65 del codice civile).
Il parroco deve in ogni modo richiedere al Vescovo diocesano la dichiarazione canonica di morte presunta a norma del can. 1707, parr. 1 e 2.
Nei casi incerti e particolarmente complessi il Vescovo diocesano consulti la Santa Sede (cfr can. 1707, par. 3).
46. Per assistere al matrimonio di girovaghi è richiesta la licenza dell’Ordinario del luogo (cfr can. 1071, par. 1, n. 1).
La domanda di licenza deve essere inoltrata al proprio Ordinario dal parroco del luogo della celebrazione (cfr can. 1115). Al fine di superare le difficoltà derivanti dai continui spostamenti dei girovaghi, in particolare dei fieranti, dei circensi e dei nomadi, il parroco che dà inizio all’istruttoria matrimoniale deve avere a disposizione il tempo sufficiente per giungere al termine della sua indagine. In questo caso aiuterà i nubendi nella preparazione al matrimonio e nello svolgimento degli atti preliminari: raccolta di documenti, esame dei nubendi, richiesta di pubblicazione civile al comune di residenza (cfr n. 15 del presente decreto). Il parrroco chieda, eventualmente tramite gli uffici competenti della curia diocesana, la collaborazione di sacerdoti incaricati della pastorale per i girovaghi e di altri parroci interessati.
Al termine dell’istruttoria, e ottenuta la licenza dell’Ordinario del luogo, il parroco o un suo delegato assiste al matrimonio, oppure dà licenza ad altro parroco, seguendo la procedura indicata al n. 23 del presente decreto.
Il parroco che dà inizio alla istruttoria matrimoniale, qualora non abbia a sua disposizione il tempo sufficiente per giungere al termine della indagine, trasmette i documenti da lui raccolti, corredati da una relazione scritta, al parroco del luogo della celebrazione, il quale completerà l’istruttoria e richiederà al proprio Ordinario la licenza per assistere al matrimonio.
Il ricorso all’Ordinario del luogo in cui i girovaghi celebrano il matrimonio può essere necessario anche in ragione del fatto che non raramente i nubendi chiedono di procedere senza il nulla osta rilasciato dall’ufficiale dello stato civile.
47. I cattolici non possono essere ammessi al matrimonio con persone battezzate non cattoliche né con persone non battezzate che siano legate da precedente vincolo con altro contraente non cattolico, anche se il precedente vincolo fosse stato sciolto da qualche autorità religiosa non cattolica o civile, ostandovi il can. 1085.
Nell’ipotesi che almeno una delle parti del precedente matrimonio non sia battezzata, si consideri se convenga sottoporre il caso al competente Ordinario del luogo, perché valuti se ricorrono gli estremi e si diano serie ragioni per avviare una regolare procedura istruttoria volta a inoltrare alla Santa Sede domanda di scioglimento di tale matrimonio “in favorem fidei”.
L’Ordinario del luogo può condurre personalmente l’istruttoria oppure affidarla a un sacerdote delegato o al Tribunale Ecclesiastico diocesano o interdiocesano o regionale.
48. La dispensa dell’impedimento di disparità di culto, di cui al can. 1086, par. 1, o la licenza per il matrimonio misto di cui al can. 1124, può essere concessa soltanto se sono state osservate le condizioni poste dal can. 1125.
Ai sensi del can. 1126 si stabilisce in proposito quanto segue:
a) la parte contraente cattolica deve sottoscrivere davanti al parroco la dichiarazione di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e la promessa di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica;
b) il parroco deve attestare che la parte non cattolica è stata chiaramente informata circa la promessa e gli impegni assunti dalla parte cattolica e ne è consapevole;
c) entrambe le parti devono essere istruite sulla natura, sui fini e sulle proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere esclusi da nessuno dei due contraenti;
d) le dichiarazioni di cui alle lettere a), b) e c) devono essere esibite all’Ordinario del luogo unitamente alla domanda di dispensa dell’impedimento o di licenza per il matrimonio misto.
49. Nel caso di matrimonio misto il parroco, che procede all’istruttoria matrimoniale, deve chiedere alla parte cattolica la presentazione di tutti i documenti religiosi di cui al n. 6 del presente decreto.
Alla parte non cattolica il parroco chiede una dichiarazione che attesti che essa non ha mai contratto alcun matrimonio. Di norma questa dichiarazione deve essere comprovata per iscritto da parte almeno di un testimone idoneo, scelto possibilmente nell’ambito della famiglia della parte non cattolica. La parte battezzata non cattolica deve presentare anche il certificato di battesimo.
Queste richieste non sono segno di mancanza di fiducia nella persona non cattolica o di minor rispetto alle sue convinzioni religiose: esse derivano dall’esigenza di assicurare, in conformità alle leggi canoniche, la validità del matrimonio che si intende celebrare. Più precisamente, è necessario accertare che non vi sia l’impedimento di un precedente vincolo matrimoniale, a norma del can. 1085. Occorre inoltre verificare se vi siano fondati dubbi sulla validità del battesimo; in tal caso si deve chiedere anche la dispensa dall’impedimento di disparità di culto “ad cautelam”.
E’ agevole spiegare che tali esigenze non possono essere soddisfatte, di norma, con la presentazione di documenti civili.
Il parroco deve curare anche le normali pubblicazioni canoniche nella parrocchia del domicilio della parte cattolica, in conformità ai numeri 12, 13 e 14 del presente decreto.
50. Il matrimonio misto sia celebrato con l’osservanza della forma canonica. L’Ordinario del luogo ha il diritto di dispensare da tale forma nei singoli casi, in presenza di gravi difficoltà (cfr can. 1127).
Le motivazioni che giustificano la dispensa sono, particolarmente, quelle relative al rispetto delle esigenze personali della parte non cattolica, quali, ad esempio, il suo rapporto di parentela o di amicizia con il ministro acattolico, l’opposizione che incontra nell’ambito familiare, il fatto che il matrimonio dovrà essere celebrato all’estero, in ambiente non cattolico, e simili.
Fermo restando quanto disposto dal can. 1127, par. 2, di norma – salvo che sia disposto diversamente da eventuali intese con altre confessioni cristiane – si richieda che le nozze siano celebrate davanti a un legittimo ministro di culto, e non con il solo rito civile, stante la necessità di dare risalto al carattere religioso del matrimonio.
La concessione della dispensa dalla forma canonica non esime il parroco della parte cattolica dagli adempimenti di cui ai numeri 48 e 49 del presente decreto. Conclusi questi adempimenti, il parroco inoltri la domanda di dispensa dalla forma canonica al proprio Ordinario diocesano in tempo utile perché si possa effettuare la consultazione dell’Ordinario del luogo in cui avverrà il matrimonio (cfr can. 1127, par. 2).
Il parroco deve poi chiedere alla parte cattolica un attestato dell’avvenuto matrimonio affinché sia in grado di curare la dovuta registrazione nel libro dei matrimoni e nel registro dei battezzati (cfr cann. 1121; 1122).
51. Al matrimonio misto celebrato nella forma canonica devono essere assicurati gli effetti civili, di norma, attraverso la procedura concordataria. Per grave motivo, come stabilito nel n. 1 del presente decreto, l’Ordinario del luogo può dispensare da tale obbligo.
Quanto al rito si osservino le prescrizioni dei libri liturgici rispettivamente per il matrimonio tra due persone battezzate e per il matrimonio tra una persona cattolica e una persona non battezzata.
Il ministro di culto acattolico può intervenire al rito cattolico partecipando attivamente alla liturgia della parola e alla preghiera comune. Eguale modo di partecipazione è possibile al sacerdote cattolico, invitato a partecipare al rito non cattolico, quando sia stata data la dispensa dalla forma canonica. Si osservi, comunque, la disposizione del can. 1127, par. 3.
52. I pastori d’anime curino con particolare attenzione la preparazione dei nubendi al matrimonio misto. Questi nubendi devono essere aiutati a “conoscere le difficoltà che insorgono in una vita coniugale fra sposi divisi nella fede o nella comunione ecclesiale”. In particolare è doveroso richiamare le difficoltà che i nubendi cattolici vanno ad incontrare nel matrimonio con fedeli di religioni non cristiane, soprattutto quando intendono vivere in un ambiente diverso dal proprio, nel quale è più difficile conservare le convinzioni religiose personali, adempiere i doveri di coscienza che ne derivano, specialmente nell’educazione dei figli, e ottenere leale rispetto della propria libertà religiosa.
53. La richiesta del matrimonio canonico all’estero da parte di cattolici italiani residenti in Italia dovrà essere presentata all’Ordinario del luogo, che, in riferimento alla legge della nazione in cui il matrimonio sarà celebrato, indicherà la procedura da seguire.
Quanto al matrimonio di cattolici italiani residenti all’estero che intendono sposarsi canonicamente in Italia, si osservi la procedura concordataria, come stabilito nel n. 1 del presente decreto. A questo scopo è necessario che il parroco, richiesto di celebrare le nozze, ricorra per tempo all’Ordinario del luogo per poter dare agli interessati opportune istruzioni.
VI. SEPARAZIONE CONIUGALE
54. L’assistenza che le comunità ecclesiali, sotto la guida dei loro pastori, sono impegnate ad assicurare ai coniugi perché la loro condizione matrimoniale sia vissuta in spirito cristiano (cfr can. 1063) deve farsi ancor più sollecita nei casi in cui la convivenza coniugale attraversa momenti di grave difficoltà.
In particolare, quando si verificano le situazioni previste dai cann. 1152 e 1153 si deve fare ogni sforzo per aiutare i coniugi in difficoltà ad evitare il ricorso alla separazione, anche attraverso l’opera di consulenza e di sostegno svolta dai consultori di ispirazione cristiana.
Resta fermo tuttavia che, alle condizioni previste dai canoni citati, i coniugi hanno il diritto di interrompere la convivenza, soprattutto quando la sua prosecuzione arrecherebbe di fatto grave danno ai coniugi stessi o ai figli.
55. Di norma le cause di separazione tra i coniugi siano trattate avanti l’autorità giudiziaria civile, fatto salvo in ogni caso il diritto dei fedeli di accedere alla giurisdizione ecclesiastica quando essi siano legati da vincolo soltanto religioso o quando lo richiedano ragioni di coscienza.
In questi ultimi casi i coniugi interessati possono chiedere al Vescovo diocesano l’emanazione di un decreto (cfr can. 1692, par. 1) oppure rivolgersi al tribunale diocesano, il quale, costituito ordinariamente da un unico giudice, procederà con l’intervento del promotore di giustizia, ai sensi dei cann. 1693-1696.
VII. CAUSE DI NULLITA’ MATRIMONIALE
56. L’impegno di assistenza ai fedeli che vivono nello stato matrimoniale e si trovano in condizioni di grave difficoltà deve esprimersi anche nell’aiuto a verificare, quando appaiano indizi non superficiali, l’eventuale esistenza di motivi che la Chiesa considera rilevanti in ordine alla dichiarazione di nullità del matrimonio celebrato.
Un primo aiuto per tale verifica deve essere assicurato con discreta e sollecita disponibilità pastorale specialmente da parte dei parroci, avvalendosi, se del caso, anche della collaborazione di un consultorio di ispirazione cristiana.
E’ bene in ogni modo che nelle curie diocesane e presso i tribunali regionali per le cause di nullità matrimoniale venga predisposto un servizio qualificato di ascolto e di consulenza, al quale i fedeli interessati possano rivolgersi, soprattutto quando si tratta di situazioni o vicende complesse, di propria iniziativa o su indicazione del loro parroco.
La ricerca volta a verificare eventuali motivi di nullità matrimoniale sia condotta sempre con competenza e con prudenza, e con la cura di evitare sbrigative conclusioni, che possono generare dannose illusioni o impedire una chiarificazione preziosa per l’accertamento della libertà di stato e per la pace della coscienza.
57. La Conferenza Episcopale Italiana, sentiti i moderatori dei Tribunali ecclesiastici regionali per le cause matrimoniali, darà disposizioni in ordine all’attuazione del can. 1649, aggiornandole periodicamente.
In particolare, tali disposizioni indicheranno la misura minima e quella massima:
a) delle spese processuali, precisandone le voci;
b) delle spese per le rogatorie;
c) degli onorari degli avvocati.
La stessa Conferenza Episcopale indicherà criteri uniformi per la concessione alle parti del gratuito patrocinio o della riduzione delle spese.
I fedeli che si rivolgono ai Tribunali regionali invocandone il ministero di giustizia siano resi chiaramente edotti delle disposizioni di cui sopra nonché di quelle relative ai doveri-diritti degli avvocati (cfr cann. 1481-1490).
58. Per assicurare il retto e spedito funzionamento dei Tribunali regionali per le cause di nullità matrimoniale i Vescovi diocesani promuovano con ogni impegno la qualificazione di sacerdoti idonei ad assumere il compito di giudici e di difensori del vincolo (cfr cann. 1420, par. 4; 1421, par. 3 e 1435).
I moderatori dei Tribunali regionali considerino con particolare attenzione l’indirizzo dato dal can. 1490 circa la costituzione, da parte dei Tribunali stessi e a loro carico, di patroni che siano a libera disposizione delle parti e, sentiti gli officiali, ne favoriscano per quanto possibile la realizzazione.
59. Il Tribunale ecclesiastico che, pronunciandosi con sentenza o con decreto, ha reso esecutiva la sentenza dichiarante la nullità del matrimonio provveda con sollecitudine a notificarla all’Ordinario del luogo in cui è avvenuta la celebrazione.
L’Ordinario del luogo deve provvedere a trasmettere al parroco o ai parroci competenti i dati necessari perché la nullità dichiarata e l’eventuale divieto di passare a nuove nozze annesso alla dichiarazione siano annotati nell’atto di matrimonio e nel libro dei battesimi (cfr can. 1685).
La rimozione del divieto di passare a nuove nozze “inconsulto Ordinario”, contenuto in una sentenza di nullità matrimoniale, si intende di competenza dell’Ordinario del luogo nel quale viene istruita la pratica per la celebrazione del matrimonio, salva diversa precisazione.
60. I fedeli che hanno celebrato il matrimonio canonico assicurandone gli effetti civili attraverso la procedura concordataria e hanno ottenuto da un tribunale ecclesiastico una sentenza di nullità del medesimo sono di norma tenuti, dopo che ne è stata decretata l’esecutività dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, a proporre domanda alla competente Corte d’Appello per ottenere la dichiarazione di efficacia della stessa nell’ordinamento dello Stato, ove ciò sia possibile ai sensi dell’art. 8, n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato Lateranense e del relativo Protocollo addizionale.
Tale obbligo viene meno quando i fedeli interessati risultino liberi nell’ordinamento dello Stato e l’espletamento delle procedure per l’efficacia civile della sentenza canonica comporti grave incomodo.
61. Al fine della proposizione della domanda per la dichiarazione di efficacia nell’ordinamento dello Stato delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale, il Tribunale ecclesiastico di cui al n. 59 del presente decreto trasmette alle parti interessate il decreto di esecutività ricevuto dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
62 I fedeli che hanno ottenuto dalla competente Corte d’Appello la dichiarazione di efficacia nell’ordinamento dello Stato della sentenza canonica di nullità sono tenuti a notificare copia all’Ordinario del luogo, perché questi possa disporne l’annotazione nei libri parrocchiali.
VIII. DISPENSA DAL MATRIMONIO RATO E NON CONSUMATO
63. La situazione che si viene a creare tra i coniugi in caso di matrimonio rato e non consumato è spesso delicata e complessa e può legittimamente indurre i medesimi, alle condizioni previste dal diritto della Chiesa, a inoltrare domanda per la concessione della dispensa “super rato et non consummato”.
Per la cura pastorale di questi casi e per l’assicurazione di un’opportuna consulenza giuridica ci si attenga, per analogia, alle indicazioni dei nn. 56 e 58.
64. Competente per ricevere la domanda e per svolgere l’istruttoria in vista del rescritto di dispensa è il Vescovo diocesano della parte oratrice, che si avvale della collaborazione del tribunale diocesano o interdiocesano o regionale oppure di un sacerdote idoneo debitamente delegato.
Il voto conclusivo dell’istruttoria dev’essere dato personalmente dal Vescovo, e deve riguardare il fatto della non consumazione, l’esistenza della giusta causa e l’opportunità della concessione della dispensa.
65. Il Vescovo, cui la Sede Apostolica trasmette il rescritto pontificio di dispensa, deve notificarlo alle parti e nello stesso tempo dar mandato sia al parroco della parrocchia in cui fu celebrato il matrimonio sia a quello della parrocchia in cui ciascuno degli sposi fu battezzato di annotare la concessione della dispensa nel libro dei matrimoni e in quello dei battezzati (cfr can. 1706).
66. La rimozione del divieto di passare a nuove nozze “inconsulto Ordinario”, contenuto in un rescritto di dispensa “super rato et non consumato”, si intende di competenza dell’Ordinario del luogo nel quale viene istruita la pratica per la celebrazione del nuovo matrimonio, salva diversa precisazione.
Per la regolarizzazione della situazione delle parti interessate ci si attenga a quanto indicato nel n. 44, par. 4 del presente decreto.
Roma, dalla Sede della C.E.I., 5 novembre 1990
Ugo Card. Poletti
Vicario Generale di Sua Santità per la Città di Roma e Distretto
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
+ Camillo Ruini
Segretario Generale
Autore:
Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.)
Nazione:
Italia
Parole chiave:
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Natura:
Decreto generale
File PDF:
1336-decreto-generale-05-novembre-1990-n-786.pdf