Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 11 Gennaio 2005

Decreto 29 maggio 2000, n.3722

Tribunale Civile di Padova. Sezione I. Decreto 29 maggio 2000, n. 3722: “Rigetto del ricorso volto alla cancellazione della registrazione di battesimo dai libri parrocchiali”.

(Omissis)

ritenuto quanto segue:

– il ricorso del F. al Garante ed il presente ricorso contro il provvedimento del Garante concernono il «trattamento» dei dati personali consistente nella registrazione del battesimo del F. nell’apposito libro della parrocchia e nella conservazione dell’atto così formato: in relazione a queste «operazioni» il F. ha chiesto la cancellazione della registrazione ed ora, in via subordinata, la riduzione dei dati in forma anonima (art. 13 lett. c n. 2 della legge [n. 675/1996]);

– le operazioni predette costituiscono attività strettamente connessa all’amministrazione del sacramento del battesimo, tanto che il loro compito è imposto dall’ordinamento canonico al parroco del luogo, in cui si celebra il battesimo (v. can. 876 Cod. dir. Canonico). In particolare, con riguardo alla conservazione dell’atto di battesimo si osserva che essa appare necessaria per realizzare le finalità proprie della sua registrazione: e, questo, un principio che vale in genere per la registrazione degli atti, che anche nell’ordinamento civile a fatta per essere conservata nel tempo. Proprio per tali ragioni l’ordinamento canonico fa espresso divieto che venga cancellata la registrazione dei sacramenti;

– è indiscutibile che l’amministrazione dei sacramenti concerne l’attività più squisitamente religiosa della Chiesa cattolica ed attiene alla sua specifica missione spirituale e che la relativa disciplina fa parte dell’ordinamento istituzionale della Chiesa medesima. Si tratta, in altri termini, di attività che rientrano nell’ordine proprio della Chiesa, ossia in quell’ordine che lo Stato italiano riconosce come «indipendente e sovrano» (art. 7 della Costituzione): riconoscimento, questo, che implica anzitutto la scelta dello Stato di non interferire con lo svolgimento di tali attività, le quali di conseguenza non possono formare oggetto di sindacato da parte degli ordini, sia amministrativi che giudiziari, dello Stato. Questo principio vale, peraltro, nel limite in cui gli atti dell’autorità ecclesiastica mantengano, anche per lo Stato, una rilevanza veramente interna a quell’ordinamento e non vengano ad incidere su interessi, alla cui tutela lo Stato non può rinunciare: fra questi, in primo luogo, quei fondamentali diritti della persona che sono considerati inviolabili dall’ordinamento statale. Poichè nella materia, di cui ci occupiamo, non esiste alcuna regolamentazione pattizia fra Stato e Chiesa in ordine alle specifiche sfere di competenza, la loro delimitazione spetta in definitiva agli organi dello Stato preposti alla vigilanza ed al «giudizio» nella suddetta materia (Garante e autorità giudiziaria): lo Stato, infatti, si riserva il potere di verificare se sussistano i presupposti per escludere il proprio intervento con riguardo agli atti dell’autorità ecclesiastica. E pertanto legittimo l’esercizio, da parte del Garante, della sua funzione di accertamento e controllo al fine anzitutto di valutare se la fattispecie in esame sia (o meno) irrilevante per l’ordinamento statale, in quanto rientrante nell’esclusivo ambito propriamente confessionale;

– la registrazione dell’atto di battesimo e la sua conservazione nei registri parrocchiali non ledono minimamente la libertà religiosa del F.; non gli hanno, infatti, impedito di abiurare la fede cattolica, ne hanno posto qualche ostacolo alla sua pubblica professione di ateismo ed a tutta l’attività, che egli ha svolto quale membro di un’associazione di atei e agnostici. Neppure esse possono considerarsi lesive della sua dignità personale, ove tale dignità venga valutata alla stregua non del soggettivo sentire dell’individuo ma – com’e necessario – dei valori e dei criteri assunti dall’ordinamento dello Stato: per quest’ultimo non può certamente costituire una sorta di marchio infamante l’essere stato sottoposto ad un rito proprio di una confessione religiosa da esso riconosciuta. Ne infine esse – quali documentazioni di un fatto storico – violano il suo diritto a revocare la propria appartenenza alla Chiesa cattolica ed a far risultare ciò anche pubblicamente posto che egli ha ottenuto – in conformità alle vigenti norme dell’ordinamento canonico (v. art. 2 par. 9 del decreto della CEI 20.10.1999) – che la sua lettera, con la richiesta di cancellazione, venisse allegata all’atto di battesimo e conservata nel registro;

– occorre oltretutto rilevare che le «operazioni» oggetto del ricorso coinvolgono anche diritti di altre persone: in primo luogo dei genitori del F., i quali, nel libero esercizio di un diritto ora costituzionalmente riconosciuto (art. 30 Cost.), hanno desiderato per il proprio figlio la somministrazione del sacramento del battesimo come espressione dei propri convincimenti religiosi ed hanno perciò diritto che questa scelta – la quale attiene ad una sfera di libertà personale anch’essa tutelata dalla Costituzione – rimanga documentata (anche dopo la loro morte) nelle forme che essi stessi hanno accettato, richiedendo il battesimo;

ritenuto, in conclusione, che la registrazione del battesimo o la mera conservazione di quel dato nei libri parrocchiali svolge una funzione esclusivamente interna all’ordinamento della Chiesa cattolica senza assumere rilevanza nell’ambito proprio dello Stato;

ritenuto equo compensare le spese del giudizio, a motivo della novità e complessità delle questioni dibattute;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, compensando fra le parti le spese del giudizio.

(Omissis)