Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Gennaio 2011

Decreto 25 agosto 2010

Tribunale Varese. Decreto 25 agosto 2010: "Direttive anticipate di trattamento terapeutico e nomina dell'amministratore di sostegno".

(omissis)

1. I Fatti
DD (vedova non riconiugata) ha redatto in data 4 novembre 2009 una scrittura privata, autenticata in sede notarile, con cui ha designato quale proprio amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 408 c.c., il sig. BB, nato a … il … e residente in … (VA) alla via … Nella scrittura di cui si tratta (versata in atti in copia fotostatica conforme all'originale) la sig.ra DD (di anni 76) ha premesso di avere raggiunto un'età particolarmente avanzata idonea a renderla nel tempo impossibilitata in via temporanea o assoluta, per menomazione fisica o psichica, a provvedere ai propri interessi. Da qui l'intenzione di nominare "ora per allora" un amministratore di sostegno, sub condicione dell'avversarsi della condizione sospensiva della futura inabilità.
La beneficiaria, nella scrittura privata autenticata, enuclea un insieme di compiti la cui attuazione viene demandata all'amministratore di sostegno in previsione della futura incapacità. I compiti, da integrare con le dichiarazioni rese in sede di esame, sono i seguenti:
1) L'amministratore dovrà fare tutto il possibile per garantire alla beneficiaria la permanenza presso la propria abitazione con l'assistenza di personale infermieristico e/o di altro genere scelto dall'Amministratore. Lo spostamento della beneficiaria presso un istituto ospedaliero dovrà essere autorizzato dal Giudice Tutelare previa esibizione di idonea documentazione medica certificata che dimostri l'impossibilità di poter continuare l'assistenza presso l'abitazione della beneficiaria.
2) L'amministratore dovrà compiere tutti gli atti per la tutela della salute fisica e psichica della beneficiaria, ivi compresi i consensi informati e gli interventi terapeutici. Nell'espletamento di questo incarico, dovrà rispettare fermamente la volontà della beneficiaria, come dichiarata al giudice in occasione dell'udienza e verbalizzata in atto pubblico: "In caso rimango incapace, io voglio rimanere viva finché possibile, perché sono cattolica". Per l'effetto, l'amministratore di sostegno dovrà sempre prendere di mira il proprio ruolo in funzione degli interventi salvifici e di prosecuzione della vita della beneficiaria, con esclusione, dunque, della possibilità di rifiutare cure o trattamenti terapeutici che perseguono questo fine.
3) L'amministratore ha il potere di riscuotere la pensione della beneficiaria e ogni altro tipo di assegno della medesima, che utilizzerà per il mantenimento e le cure necessarie; qualora tali importi non dovessero risultare sufficienti al pagamento di tutte le spese inerenti all'assistenza della beneficiaria, l'amministratore avrà facoltà di prelevare gli importi necessari dal conto corrente postale.
4) L'amministratore curerà un rendiconto mensile delle spese effettuate per l'espletamento del suo incarico, ferma la annualità del Rendiconto ufficiale al Giudice, in cui confluiranno i singoli rendiconti mensili. L'amministratore dovrà richiedere la preventiva autorizzazione al giudice tutelare per gli atti previsti dagli artt. 374 e 375 c.c.
5) Tutte le decisioni di straordinaria amministrazione, quali lo spostamento della beneficiaria presso un istituto ospedaliero specializzato, dovranno essere valutate, in via esclusiva, dal giudice tutelare, solo nel momento in cui l'amministratore di sostegno con idonea documentazione medica certificata, dimostri l'impossibilità di poter continuare l'assistenza presso l'abitazione della beneficiaria.
Con durata dell'amministrazione dal sopraggiungere della malattia sino alla morte e con eventuale sostituzione del beneficiario, ove impossibilitato, con altra persona identificata nella sig.ra AA, nata a … in data …e residente a … . alla via …
Con ricorso depositato in data 25 novembre 2009, la beneficiaria, in proprio ma con la rappresentanza processuale del difensore di fiducia, ha chiesto recepirsi la scrittura privata con provvedimento giudiziale del giudice tutelare, nella volta di un decreto di nomina di amministratore di sostegno, ora per allora.
Letti gli atti ed ascoltato il difensore, questo Ufficio ha fissato udienza di comparizione della beneficiaria e delle persone custodi di informazioni utili, ovvero l'Avv. , il sig. BB e la sig.ra AA. All'udienza del 26 febbraio 2010, le succitate persone sono state sentite personalmente. Il BB e la AA hanno confermato la disponibilità ad occuparsi, in futuro, della DD in quanto legati alla stessa da vincolo di amicizia. La stessa DD, invece, ha ribadito la ferma volontà di avvalersi di un testamento di vita per l'eventuale incapacità. Le sue dichiarazioni sono apparse serie nei contenuti e orientate a motivare con determinazione e sobrietà la richiesta introduttiva del giudizio.
Sono qui perché sono sola. Ho avuto un ictus tempo fa e ho paura che possa venirmi di nuovo cosicché rimarrei incapace di intendere e di volere. Ed, allora, ho voluto designare qualcuno per fare in modo che se rimango incapace di intendere e di volere questi provveda al posto mio.
(…) In caso rimango incapace, io voglio rimanere viva finché possibile, perché sono cattolica, ma a casa mia, In non voglio rimanere in balia di nessuno. Se necessario sono disposta a sottopormi a visita medica per accertare la mia capacità.
Le dichiarazioni della beneficiaria hanno confermato l'intenzione viva della stessa di predisporre uno strumento di tutela in funzione della vita, ovvero del bene primario preservato dall'Ordinamento. Tenuto conto della impronta da voler dare all'amministrazione e, dunque, dell'interesse meritevole di tutela, questo giudice ha ritenuto necessario dare ulteriore corso al procedimento, disponendo una consulenza tecnica d'ufficio in ordine alla salute mentale della ricorrente. In particolare: la sussistenza in capo alla stessa della capacità di intendere e volere; la consapevolezza, in capo alla stessa, del contenuto e degli effetti della richiesta introdotta con il ricorso oggetto di giudizio.
Il Ctu designato, dr.ssa MM, ha prestato giuramento all'udienza dell'8 aprile 2010 e portato a termine l'incarico con perizia depositata in cancelleria in data 31 maggio 2010. Il perito ha seguito un rigoroso metodo di indagine, somministrando test neuropsicologicied affrontando colloqui con la beneficiaria ed ha concluso con un corposo elaborato (28 pagine con gli allegati) riepilogativo di tutte le operazioni peritali. Il pregio della perizia è anche nell'aver ricostruito la storia personale e clinica della beneficiaria, così introducendo nel procedimento ulteriori elementi di giudizio. Si apprende, così, che la beneficiaria, in tutti i momenti in cui colpita da patologie, si è sempre ritrovata sola, senza poter contare sull'unico congiunto, il figlio, con cui ha interrotto i rapporti da circa quattordici anni per una sua condotta ritenuta assolutamente censurabile (questi, morto il padre, si sarebbe avvicinato alla madre solo per motivi di denaro). Si apprende, ancora, che la beneficiaria ha vissuto un momento di particolare difficoltà, allorché le fu ventilata la possibilità – poi scongiurata – che potesse essere affetta da HIV. Da qui una avversione vero l'idea della ospedalizzazione ed il forte desiderio di poter rimanere a casa, per ricevere, se necessario, quivi le cure occorrenti.
Quanto ai quesiti demandati, il consulente conclude rispondendo come segue:
I) il funzionamento cognitivo della signora Rei non è deficitario;
II) la struttura della personalità appare equilibrata ed assestata su un equilibrio definibile in termini di funzionalità;
III) l'esame di realtà è conservato;
IV) le motivazione alla base della scelta operata di nominare un amministratore di sostegno sono fondate rispetto all'esperienza di vita della signora;
V) appare intatta la capacità di intendere e di volere e piena si dimostra la consapevolezza dei contenuti e degli effetti della scelta assunta, nonché la determinazione nel confermare la propria volontà.
Preso atto delle conclusioni rassegnate dal consulente, l'Ufficio giudiziario ha fissato nuova udienza in data 25 giugno 2010 e, quindi, ulteriore udienza in data 30 giugno 2010 in cui l'avvocato della beneficiaria ha chiesto l'accoglimento del ricorso. Trasmessi gli atti all'ufficio di procura, questo non si è opposto all'accoglimento della domanda introduttiva.

Diritto
2. Le questioni giuridiche da esaminare
Con la scheda negoziale redatta in presenza del notaio e con la richiesta nomina di un amministratore di sostegno, la beneficiaria chiede di fatto di poter conferire efficacia alla volontà – manifestata ora per allora – di potersi valere, in futuro, di un sostituto nelle scelte attinenti, in particolare e quasi in via esclusiva, all'esercizio dei diritti di tipo sanitario, quali, in particolare, la facoltà di prestare il consenso informato ai trattamenti terapeutici.
Il problema giuridico che questo giudice è tenuto ad affrontare è di triplice natura ed involge due questioni di carattere sostanziale ed una di carattere processuale:
1) se sia possibile configurare un mandat donné en prévision de l'inaptitude, sulla falsariga del modello francese, ovvero la designazione di un sostituto per le future scelte di autodeterminazione terapeutica in caso di sopravvenuta incapacità della beneficiaria;
2) e se tale sostituzione possa essere veicolata dall'istituto dell'amministrazione di sostegno;
3) se, data soluzione positiva ai primi due quesiti, anche l'amministrazione di sostegno possa essere aperta ora per allora.
La delicatezza della questione, tuttora al vaglio della sede parlamentare per alcuni profili, impone una trattazione dettagliata e completa.
3. Autodeterminazione terapeutica dell'Adulto incapace ed amministrazione di sostegno
Come è noto, fenomeni come la gerontoimmigrazione ed il progressivo incremento della durata della vita hanno indotto la Comunità Internazionale a porsi nuovi interrogativi in ordine ai diritti da riconoscere e tutelare in capo agli adulti incapaci, con particolare attenzione alla individuazione del giudice dotato di competenza giurisdizionale in caso di controversie transfrontaliere. Sintomatiche della nuova attenzione prestata alla quaestio juris de qua, sono, tra l'altro, la Convenzione dell'Aja del 13 gennaio 2000 ("protection internationale des adultes") e la Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2008 recante raccomandazioni alla Commissione sulla protezione giuridica degli adulti: implicazioni transfrontaliere (2008/2123 (INI). È il testo in cui si riconosce che "la protezione giuridica degli adulti vulnerabili deve essere un pilastro del diritto di libera circolazione delle persone".
Sullo sfondo della rinnovata attenzione per la questione della protezione giuridica dell'adulto incapace, si colloca la problematica concernente i limiti e le condizioni del suo diritto alla autodeterminazione terapeutica: ed, invero, tutelare un soggetto vulnerabile vuol dire anche garantire allo stesso l'accesso ai diritti fondamentali, quali, in primis, quello alla salute il cui principale risvolto applicativo insta nella libera scelta consapevole in ordine ai trattamenti terapeutici da sostenere.
Orbene, le più recenti elaborazioni dottrinali e, soprattutto, il nuovo trend giurisprudenziale, in cui, tra l'altro, si colloca la teoria del substituted judgement, sconfessano, in via definitiva, la tralaticia concezione paternalistica della scienza poiché vengono ad essere rivisitate le fondamenta su cui poggiava il rapporto tra medico e paziente. La persona – e non più la vita – diventa il perno attorno a cui ruota la medicina. Ed, in tal senso, il diritto all'autodeterminazione terapeutica diviene un diritto da riconoscere anche all'incapace. Se del caso mediante sostituti legali deputati ad esternarne la volontà presunta o ipotetica. La teoria del substituted judgement ha preso ancor più piede, in Italia, propria all'indomani della legge 9 gennaio 2004, n. 6 che, come è noto, ha introdotto nel libro primo, titolo XII, del codice civile, nuove norme a disciplina ed istituzione dell'amministrazione di sostegno, con contestuale modifica degli articoli del cod. civ. in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali .
È stato, così, istituto, per l'appunto, l'amministratore di sostegno, attingendo da una legge che ha la dichiarata finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. Più che di una riforma, si è trattato di una vera e propria rivoluzione istituzionale come tale riconosciuta, nella sostanza, dalle Corti superiori (Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 440; Cass., 12 giugno 2006, n. 13584; Cass., 9 dicembre 2005, n. 440), che ha confinato in uno spazio residuale gli ormai desueti istituti della interdizione e dell'inabilitazione; la prima ormai soltanto operante (art. 414 c.c.) se ritenuta (e dimostrata) necessaria per assicurare adeguata protezione all'infermo di mente.
Ai sensi del "riesumato" art. 404 c.c., la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita dal suddetto amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. Il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell'articolo 417 c.c. I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all'articolo 407 c.c. o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero. Ai sensi dell'art. 408 c.c., la scelta dell'amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo "alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario".
Disposizione particolarmente pregnante, è quella di cui al primo comma dell'art. 408 c.c.: "l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata". Norma da coordinare con il pure importante art. 410, comma I, c.c.: "nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario". L'amministratore di sostegno, in altri termini, differentemente dalle altre misure a protezione dell'incapace, non si sostituisce al rappresentato ma sceglie "con questo" il suo best interest. Dando una lettura assiologica delle norme sin qui richiamate, una Autorevole Dottrina sostiene che l'interessato sarebbe legittimato a depositare ricorso per l'amministrazione di sostegno, in previsione della propria futura incapacità, con designazione di un soggetto (se del caso individuato in apposita scrittura notarile) che, in conformità con la volontà del beneficiario medesimo, potrebbe negare il consenso ad un trattamento salvifico o prestare il consenso ad un trattamento terapeutico.
In altri termini: l'amministratore di sostegno quale strumento per realizzare il diritto dell'incapace all'autodeterminazione terapeutica.
La tesi ha trovato largo consenso nel panorama dottrinale ed è stata seguita anche dalla giurisprudenza, non senza contrasti I giudici tutelari che hanno sposato la tesi sin qui illustrata, hanno affermato, recependo le osservazioni della Dottrina, che attraverso l'esplicita previsione normativa di un potere decisionale e gestorio dell'amministratore attinente alla sfera personale del beneficiario si è inteso superare l'impasse dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla sussistenza di un potere di cura, lato sensu concepito, esercitabile dal rappresentante legale dell'incapace, con riferimento ad atti personalissimi quale l'espressione di consenso o dissenso informato a trattamenti medicochirurgici. Secondo la dottrina richiamata dai giudici favorevoli all'ADS come strumento di pianificazione delle vicende personali future, dal percorso culturalmente rivoluzionario della L. del 9 gennaio 2004, n. 6, si evince, chiaramente, "il ripudio dei meccanismi di esclusione ed espulsione radicale dell'individuo non autonomo dal mondo dei traffici giuridici, nonché l'importanza riconosciuta alle esigenze terapeutiche". Ciò, dunque, "non poteva non sortire l'effetto di delegittimare alla radice tutto l'impianto tradizionale". Infatti, l'attenzione viene, oggi, posta "sulla sofferenza, e non più sull'infermità mentale", che era considerata quale situazione dominante, tendenzialmente irreversibile, concepita come fonte di pericolo, per l'individuo stesso, per il gruppo familiare di appartenenza, e per l'ordinato sviluppo della società nel suo insieme.
Nella prassi giudiziaria, si fa così spazio un uso "nuovo" della amministrazione di sostegno in virtù del quale un paziente, in buono stato di salute, può "nominare" un soggetto "garante delle sue volontà terapeutiche", per il caso di malattia invalidante (in un decreto della volontaria giurisdizione, ad es., il giudice tutelare ha accolto la richiesta di una donna, intenzionata a rifiutare ogni cura che potesse prolungare le sue sofferenze, di nominare il marito amministratore di sostegno quale persona autorizzata a decidere in caso di perdita delle facoltà intellettive).
Ciò che accomuna i provvedimenti in esame è la strumentalizzazione dell'amministrazione di sostegno agli interessi del soggetto (capace) che nomina un sostituto (per quando sarà incapace) affinché decida in ordine al trattamento terapeutico, rispettando la volontà esplicitamente dichiarata o inespressa ma presumibile dal contegno assunto nel momento di lucidità. In altri termini, una decisione del sostituto in presenza di un formale documento che contenga una volontà anteriormente espressa in modo chiaro, preciso e consapevole ovvero sulla base di una volontà inespressa ma accuratamente raccolta dalla memoria del sostituto.
La Raccomandazione UE n. 1418 sulla protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dei malati incurabili e dei morenti, del 25 giugno 1999, in argomento, dichiara espressamente che il rappresentante legale del paziente può assumere in luogo dell'interessato decisioni fondate su dichiarazioni precedenti del paziente o su presunzioni di volontà che questi però "espresso direttamente o chiaramente".
Nel testo che si cita, si afferma che "vi deve essere un rapporto manifesto di coerenza con le dichiarazioni fatte dalla persona interessata poco tempo prima del momento in cui la decisione deve essere presa, ed in lucidità di mente". Prendendo atto della succitata Raccomandazione, occorre rilevare che l'amministrazione di sostegno è stata (in questo senso meglio) valorizzata dalla giurisprudenza (di merito) quale strumento di "esecuzione" di pregresse volontà espresse (e non quale strumento di sostituzione in toto alle scelte del paziente laddove possibile ricostruire una sua volontà presunta).
I punti di forza della succitata giurisprudenza sono di due tipi: 1) la sussistenza di una esplicita previsione di legge; 2) la previsione di una forma solenne per la dichiarazione (anticipata) del paziente; 3) il nesso teleologico tra dichiarazione e finalità presa di mira: la legge espressamente prevede che venga fatta "in previsione della propria eventuale incapacità".
La norma di riferimento è l'art. 408 c.c. (in particolare: il comma I).
408. Scelta dell'amministratore di sostegno
La scelta dell'amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. L'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento , atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Le designazioni di cui al primo comma possono essere revocate dall'autore con le stesse forme.
In uno dei provvedimenti più recenti, ad es., un professionista, in possesso di piena capacità di intendere e volere, ha chiesto che all'amministratore di sostegno fossero attribuiti, in suo nome e per suo conto, per il tempo di un'eventuale perdita della capacità autodeterminativa e sempre che, nel frattempo, non fosse intervenuta manifestazione di volontà contraria, i poteri-doveri di autorizzazione alla negazione di prestare consenso ai sanitari a sottoporlo alle terapie individuate nell'atto di nomina nonché di richiedere ai sanitari coinvolti di porre in essere, nell'occasione, le cure palliative più efficaci.
Il caso in parola è affine a quello sub iudice ed accende i riflettori sul primo dei problemi qui oggetto di giudizio: quale valore possa darsi alle dichiarazioni del paziente in previsione di una sua eventuale incapacità; quale valore dare, cioè, alle varie dichiarazioni negoziali che, in un modo o nell'altro, integrano una forma di cd. testamento biologico .
Reputa questo giudice che sia ammissibile una pianificazione delle vicende personali ora per allora e che, formalmente, queste possano essere racchiuse in un atto solenne per costituire la base regolamentare da attribuire ad un sostituto nominato tramite amministrazione di sostegno.
4. Nomina di un sostituto in previsione della propria futura incapacità e disposizioni anticipate di volontà.
La pianificazione delle vicende personali è tema di grande attualità nel panorama dottrinale e giurisprudenziale odierno. Esso si ricollega direttamente al problema della autodeterminazione terapeutica dell'incapace. Riconosciuta tutela al diritto ad accettare o rifiutare le cure, il dogma da infrangere resta quello della inattuabilità di un siffatto diritto al cospetto di un non-capace di volere (rectius: scegliere). Orbene, un dogma del genere viene infranto da un abbandono della concezione paternalistica della scienza e da una corretta attuazione del personalismo che pervade la Charta Chartarum, la quale garantisce il diritto alla salute all'individuo e non soltanto al soggetto capace.
Ma dire che l'incapace, il dormiente, abbia diritto ad accettare e rifiutare le cure non dice "come".
Un precipuo problema è quello dell'incapace che non abbia mai disposto in ordine al suo trattamento terapeutico se non con comportamenti concludenti e parole lasciate a futura memoria. In questi casi ci si interroga sulla facoltà di terzi (sostituti) di esprimere quella scelta sulla base di una volontà presunta del rappresentato; e da qui i problemi giuridici riconnessi ad un vacuum legis che tace al riguardo.
Diverso problema, che nasce, però, da un comune fatto storico (la sopravvenuta incapacità) è quello afferente alle dichiarazioni anticipate di trattamento terapeutico eventualmente consegnate dal paziente a terzi perché queste vengano rispettate per il sopravvenire, eventualmente, della sua incapacità naturale.
In alcuni casi, cioè, un soggetto, pienamente capace, dispone "ora per allora" ovvero dichiara, in anticipo, quale sarà la sua futura volontà dinnanzi al sopravvenire di una determinata situazione patologica. Un esempio di dichiarazione anticipata di volontà è quella contenuta nella scrittura oggetto dell'arresto già citato (Trib. Modena, 5.11.2008) nonché nella scrittura sottoposta all'odierno giudizio.
È opportuno, però, muovere da una considerazione: documenti del genere sono, ormai, dilagati nelle prassi odierne.
Va sicuramente citata, al riguardo la cd. "Biocard", ideata negli Stati Uniti negli anni Settanta come forma di difesa contro gli accanimenti terapeutici e, cioè, una "carta di autodeterminazione". La "scheda" di cui si parla "ha il suo fondamento etico nel principio dell'autonomia ed il suo principio etico-giuridico nella dottrina del consenso informato, ed ha lo scopo di permettere che le attuali volontà del paziente siano rispettate nel momento in cui egli perderà la "competence", cioè la coscienza e la capacità di prendere decisioni e di comunicarle". Ad elaborarla sul piano nazionale è stata la "Consulta di Bioetica", un'associazione con sede a Milano, che ne ha messo a punto un modello con la denominazione – per l'appunto – di "Biocard" e si è impegnata a farla conoscere e a diffonderla. In particolare, la "Consulta" ha elaborato una proposta di legge specifica per il riconoscimento della Carta. È previsto che una copia della Carta sia consegnata al rappresentante designato, al medico di fiducia, all'avvocato o al notaio, ai familiari e naturalmente è indispensabile che venga esibita ai sanitari in caso di ricovero ospedaliero.
Il ruolo del notai è sempre valorizzato dall'associazione quale soggetto deputato ad apporre sulla scheda biologia il sigillo di "fedeltà". Ed è proprio il Consiglio nazionale del Notariato ad avere, per primo, raccolto (ideologicamente) l'invito della Consulta: si tratta della importante Delibera del 23 giugno 2006. Il Consiglio Nazionale del Notariato, nella delibera, ritiene utile – "in attesa di un'auspicabile iniziativa legislativa in materia ed al fine di garantire il medico nell'esercizio delle proprie responsabilità" – assicurare "la certezza della provenienza della dichiarazione dal suo autore, mediante intervento notarile e la reperibilità della medesima in un registro telematico nazionale".
Considera, quindi, che l'intervento notarile – "proprio perché volto ad assicurare il valore aggiunto della certezza fornito dalla pubblica funzione di certificazione" – comporta il rispetto delle modalità operative fissate dalla legge (repertorio, trattamento fiscale, ecc.), ma "che nel contempo è necessario individuare forme che non comportino costi significativi ed aggravi di formalità burocratiche per il cittadino e la collettività". Nel provvedimento di cui si tratta, emerge (dichiaratamente) la volontà del notariato di contribuire a risolvere un'esigenza di grande rilevanza umana e sociale e la disponibilità a provvedere alla istituzione e conservazione del Registro Generale dei testamenti di vita, con costi a proprio carico, mediante le proprie strutture informatiche e telematiche. Un dato di rilievo è che, secondo il Consiglio, "alla luce della attuale normativa, il notaio, richiesto di autenticare la sottoscrizione di una dichiarazione relativa ad un testamento di vita", può "farlo, non ravvisandosi alcuna contrarietà a norme di legge".
Propone, quindi, in assenza di un divieto imperativo in materia, di utilizzare un testo di dichiarazione sottoscritta dal solo disponente, contenente la delega ad un fiduciario, incaricato di manifestare ai medici curanti l'esistenza del testamento di vita.
Negli studi notarili vede la luce, dunque, il " testamento di vita".
Ciò che accomuna Biocard e testamento di vita è l'essenza stessa della scheda compilata dal disponente: emerge, infatti, l'espressione della volontà da parte di una persona (testatore; disponente; dichiarante), fornita in condizioni di lucidità mentale (e capacità naturale), in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
In tale ambito si colloca, tradizionalmente, il c.d. testamento biologico (living will), istituto conosciuto nell'esperienza di altri ordinamenti ed oggetto di disegni di legge nelle scorse legislature (e nella attuale), contraddistinto dalla specialità dell'elemento documentale, al quale la persona, pienamente capace, affida le proprie determinazioni in ordine alla volontà di sottoporsi o meno a trattamenti terapeutici e sanitari al manifestarsi di una futura patologia o all'aggravarsi di una patologia esistente, demandando ad un fiduciario il compito di curare l'attuazione delle volontà formalizzate nel documento.
La definizione di testamento biologico oggi vigente, cui peraltro fanno riferimento tutte le ulteriori denominazioni del medesimo fenomeno (living will, direttive anticipate, testamento di vita) è quella data dal Comitato Nazionale per la Bioetica secondo cui esso si identifica con "un documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato".
Il dato definitorio, come illustrato, può dirsi pacifico, pur dovendosi dare atto di diversi sinonimi che richiamano il medesimo contenuto: come riferito da un Autorevole studioso, sono tutte formule che accostano un vocabolo tecnico-giuridico a una parola che evoca la vicenda umana intesa nella sua "fisicità". Più corretto è, tuttavia, discorrere di disposizione anticipate di volontà in previsione dell'incapacità.
Le opinioni, circa l'efficacia delle direttive anticipate di trattamento terapeutico sono diverse: da premettere, dunque, che, allo stato, la maggioranza delle correnti di pensiero non gli nega "valore" giuridico. Se ne contestano, però, gli effetti. L'opinione negativa nei confronti del consenso anticipato, infatti, non confuta l'importante del presupposto da cui muove l'opinione positiva (tutelare l'autodeterminazione terapeutica dell'incapace) ma esige la immediatezza del consenso informato e consapevole, cosicché, con l'incapacità, non verrebbe meno il diritto ma la possibilità di esercitarlo, poiché difetta, "in quel momento", un volere attuale.
Si evidenzia, comunque, che alla legittimazione del living will sembra contrastare anche l'art. 5 del codice civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo tali da determinare un danno permanente.
Alla tesi "certamente" negativa, si contrappone un indirizzo ermeneutico intermedio.
Secondo taluni, infatti, in Italia, il testamento biologico non avrebbe valore giuridico come espressione di volontà, ma potrebbe, però, essere preso in considerazione solo attraverso un passaggio che è anche deontologico, vale a dire se i medici curanti ravvisino nelle terapie che dovrebbero essere praticate il carattere di "cure inappropriate", in quanto il malato non possa clinicamente guarire. Viene introdotto quindi un criterio discrezionale – la decisione di sospendere le cure può cambiare da medico a medico – e quindi si nega carattere vincolante alle disposizioni anticipate.
Questa opinione intermedia – autorevolmente condivisa in dottrina – suggerisce di considerare il living will come "un documento non vincolante ma orientativo, il quale consente di conoscere quali fossero i sentimenti e i desideri del paziente prima della perdita di conoscenza". A sostegno di tale tesi si osserva, tra l'altro, che "le direttive della persona presentano in molti casi un carattere di astrattezza, dovuta soprattutto al lasso di tempo che intercorre tra il momento in cui esse vengono redatte e quindi l'effettiva situazione del soggetto, e la situazione reale di malattia in cui versa la persona quando la direttiva dovrebbe essere applicata. Si rileva inoltre che spesso il linguaggio adoperato in tali documenti presenta forti ambiguità, non essendo il paziente in grado di definire in modo corretto le situazioni cliniche in riferimento alle quali intende fornire direttive. In altri termini, ogni direttiva anticipata perde di significato quanto piè è lontana nel tempo".
La tesi intermedia affida un ruolo predominante al medico nell'orbita, tuttavia, di una concezione che, di fatto, ha un tenue sapore paternalistico. Le critiche sono penetranti: proponendo di lasciare esclusivamente al medico la decisione se seguire o meno la volontà espressa nelle direttive, "è vanificato il valore del documento stesso e delle ragioni che lo giustificano".
Di diverso avviso il Comitato per la Bioetica, secondo il quale "le direttive anticipate potranno essere scritte su un foglio firmato dall'interessato, e i medici dovranno non solo tenerne conto, ma dovranno anche giustificare per iscritto le azioni che violeranno tale volontà".
Il "valore" del testamento di vita, secondo l'opinione favorevole al living will, discenderebbe direttamente dall'art. 32 della Costituzione, cosicché la norma di legge ordinaria (l'art. 5 c.c.) non potrebbe, certo, inibirne gli effetti, stante il grimaldello di aggancio (disposizione cogente).
Questa corrente di pensiero arriva a ritenere le direttive anticipate come pienamente efficaci: si ritiene, infatti, pienamente compatibile col sistema che le dichiarazioni de quibus, "magari supportate da un potere conferito al fiduciario, sopravvivano alla perdita di coscienza del soggetto". Il documento che le contiene, redatto in apposite forme, "ha prevalente ragione di essere proprio nel caso di incapacità, altrimenti può apparire perfino superfluo, andando soltanto a interessare il terreno già coperto dal divieto dell'accanimento e del consenso informato".
La Dottrina, dunque, propende, in via maggioritaria, per un riconoscimento pieno dell'efficacia delle disposizioni anticipate di trattamento terapeutico, delle scelte fatte "ora" per "allora", ove "ora" sta a indicare un preciso contesto temporale in cui un soggetto perfettamente compos sui assume una o più determinazioni destinate a essere operative "allora", nel momento cioè in cui il medesimo soggetto,perduta la capacità di esprimere la propria volontà, venga a trovarsi in situazioni che richiedano l'effettuazione di scelte in ordine alle cure, ai trattamenti e agli interventi da realizzare.
Le argomentazioni che sorreggono la tesi sposata appaiono, in realtà, condivisibili.
Partendo dall'osservazione di Autorevole dottrina, il testamento biologico , in realtà, integra il ricorso ad un documento che racchiude un "dixit" lasciato a futura memoria.
Acutamente, in siffatto versante, si osserva come la legge sui trapianti di organi (legge n. 91/1999) abbia già da tempo aperto la strada a "una vera e propria rivoluzione in tema di validità del living will", fondandosi sulla volontà espressa, anche mediante il silenzio, dal soggetto in vita. Aggiungasi che non si dubita della validità ed efficacia di un testamento che con le sue formule accolga disposizioni non meramente patrimoniali (riconoscimento di un figlio, volontà relative al proprio cadavere, destinazione delle creazioni intellettuali) in previsione di una morte futura, neanche quando le circostanze possano suggerire che una decisione assunta a breve distanza dall'evento sarebbe stata del tutto differente.
Ed, allora, le scelte ora per allora sono già presenti e disciplinate nel nostro ordinamento, come ipotesi precipua di manifestazione del consenso anche con riguardo a disposizioni a contenuto non patrimoniale.
L'attualità del consenso, cioè, va letta come revocabilità (sempre) dello stesso non anche come necessaria persistenza fino al momento in cui la volontà è destinata a trovare attuazione. La verità è che il testamento biologico è la logica conseguenza dell'affermazione del principio di autodeterminazione poichè è volto a colmare lo iato che la sopravvenuta incapacità dell'individuo determina nel rapporto con il sanitario e rappresenta, sotto questo profilo, l'approdo logico del processo di progressiva valorizzazione del consenso informato.
Il largo consenso per il testamento di vita è ben noto.
Quasi tutti gli Stati americani, il primo fu la California nel 1976, riconoscono legalmente le direttive anticipate che sono contenute in uno specifico tesserino, e, nel 1991, è entrato in vigore il Patient self-determination Act, che impone ai luoghi di cura di informare i paziente circa il loro diritto ad avere una direttiva anticipata; in Inghilterra non è riconosciuto espressamente dalla legge, ma la giurisprudenza non mette in dubbio la sua validità e l'Ordine dei Medici ha pubblicato un libro in cui spinge i medici a utilizzare il living will; la Spagna nel 1989 ha proposto il testamento vital; l'Olanda riconosce esplicitamente la validità di una dichiarazione scritta del paziente, nell'ambito della legge che definisce le condizioni per il ricorso all'eutanasia; in Danimarca, ove esiste una specifica legislazione, è stato creato un data-base elettronico in cui vengono custodite le direttive anticipate.
Stesso supporto si rinviene nei più recenti interventi della comunità medico-scientifica.
In tempi recenti, infatti, la Commissione di Bioetica della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione, Terapie Intensive (SIAARTI) ha redatto le Raccomandazioni per l'ammissione e la dimissione dalla Terapia Intensiva e per la limitazione dei trattamenti in Terapia Intensiva e, all'interno di questo documento, ribadisce il diritto del paziente di autodeterminarsi in merito alle scelte terapeutiche che lo riguardano, incoraggiando la formulazione di una pianificazione anticipata delle cure "per fare in modo che le sue volontà siano rispettate anche qualora subentri uno stato di incapacità mentale per l'aggravarsi delle condizioni cliniche".
Si condivide, poi, l'opinione di chi reputa sia di cruciale importanza per l'argomento in oggetto la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali che costituisce, oggi, parte integrante del Trattato di Lisbona; si cita, anche, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
La Carta ha sentito la necessità di stabilire esplicitamente che in ambito medico "il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge" deve essere rispettato. "Ne deriva, pertanto, che ciò che è inviolabile è la dignità dell'uomo, mentre la vita e l'integrità psico-fisica sono un diritto (non un dovere), e ciò che deve essere rispettata è la volontà dell'individuo interessato circa quanto gli prospetta la medicina".
Nel solco dell'indirizzo sin qui esposto, non mancano temperamenti. Si reputa, infatti, che le direttive anticipate non abbiano una efficacia incondizionata. Si afferma precisamente, che esse possono essere disattese (non sulla base di un apprezzamento discrezionale del medico, bensì) quando ci siano fondate ragioni per supporre che non corrispondano più alla volontà attuale: ad esempio, quando sopravvengano circostanze che siano chiaro indice di un possibile superamento di quelle intenzioni (mutamento di convinzioni religiose, progressi della medicina che aprono speranze su patologie che in precedenza non ne lasciavano alcuna, e così via).
Alla luce delle argomentazioni giuridiche sin qui illustrate può pervenirsi alla soluzione del primo quesito.
Le disposizioni anticipate di volontà in previsione dell'incapacità sono valide ed efficaci nell'Ordinamento italiano?
La risposta è positiva.
è valida la volontà di un soggetto capace, formatasi in modo immune da vizi, circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato. È, altresì, valida, nel contesto negoziale di tali direttive anticipate di trattamento terapeutico, la designazione di un sostituto cui demandato il compito di portare ad attuazione ed esecuzione la volontà espressa ora per allora.
5. Nomina di un sostituto in previsione della propria futura incapacità e disposizioni anticipate di volontà mediante ricorso all'art. 408 codice civile
La pianificazione delle vicende personali è tema di grande attualità nel panorama dottrinale e giurisprudenziale.
Volendo individuare quali mezzi attuativi della volontà precedentemente manifestata si possano trovare nel nostro ordinamento, secondo talune voci di dottrina, è d'uopo richiamare la disciplina dell'amministrazione di sostegno – introdotta con legge 9 gennaio 2004, n. 6 -, che viene da più parti indicata come uno strumento attraverso il quale, nell'attesa di una normativa ad hoc, le direttive anticipate possano trovare cittadinanza nel nostro ordinamento.
Alcuni Autori – come già dedotto – reputano che l'istituto del testamento biologico sia stato definitivamente introdotto nel nostro Ordinamento dall'art. 408 del cod. civ., articolo di cui già si è detto. E, pertanto, lo ritengono produttivo di pieni effetti giuridici. In particolare, si osserva come la preesistente designazione da parte del beneficiario di un amministratore di sostegno richiami direttamente l'istituto del c.d. living will, cioè delle direttive anticipate che il soggetto detta per il caso della propria sopravvenuta incapacità.
Secondo gli Autori che sposano questa linea di pensiero, l'oggetto dell'amministrazione di sostegno può comprendere anche decisioni in ordine ai trattamenti sanitari, all'alloggio, all'alimentazione, all'igiene e simili cosicché, conseguentemente niente osta a che vi sia corrispondenza tra l'oggetto dell'amministrazione di sostegno e quello del testamento biologico .
La risposta del Legislatore sarebbe, in definitiva, l'Amministrazione di sostegno.
Si è già visto che la giurisprudenza ha recepito le Voci di dottrina di cui si è dato atto ed ha ritenuto che l'amministratore di sostegno può essere il contenitore ove racchiuse le direttive anticipate del paziente.
I Tribunali intervenuti muovono dalla considerazione per cui con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004 il legislatore italiano abbia radicalmente rivisto la materia delle limitazioni della capacità di agire delle persone e, in luogo della già privilegiata tutela del patrimonio, della famiglia e dei creditori dei soggetti affetti da infermità di mente, abbia stabilito, su un piano di ben più vasta portata sociale, che colui che, privo in tutto o in parte di autonomia per effetto di una infermità fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, "ha diritto di essere coadiuvato da un amministratore di sostegno nominato dal Giudice Tutelare che, sulla base delle concrete esigenze dell'ausilio, disporrà, per gli atti o per le categorie di atti per i quali si ravvisi l'opportunità del sostegno, la sostituzione ovvero la mera assistenza della persona che non sia in grado di darvi autonoma esecuzione" (più che di una riforma: una vera e propria rivoluzione istituzionale). Secondo i giudici in questione, in questa generalizzata logica garantistica dell'essere umano e delle sue esigenze di vita, salute, rapporti famigliari e sociali, "si iscrive, e va letta, la disposizione dell'art. 408 c.c. come novellato dalla legge n. 6 del 2004: L'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata."La lettera della disposizione, la sua ratio, l'enunciazione, infine, nell'ambito di una disciplina tutta incentrata sulla tutela della persona e delle sue esigenze esistenziali, autorizzano e legittimano la constatazione che l'amministrazione di sostegno è, nell'attualità, l'istituto appropriato per esprimere quelle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari per l'ipotesi di incapacità che vanno usualmente sotto il nome di testamento biologico . E la riduzione a sistema si completa, e si conclude, rammentando che la premessa maggiore dell'istituto processuale si identifica nel diritto sostanziale di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione mentre gli strumenti per il cui tramite dare espressione alle proprie volontà sono l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata nominati, appunto, dall'art. 408, comma 2°, c.c.
La giurisprudenza, insomma, reputa che il testamento biologico trovi legittimazione nel diritto stesso alla salute e possa essere reso vitale dall'istituto di nuovo conio, come disciplinato, in parte qua, dall'art. 408 c.c.
Questo giudice condivide l'impianto argomentativo sin qui illustrato ed autorevolmente sostenuto. La dizione dell'art. 408 c.c. richiama inequivocamente l'istituto della pianificazione delle vicende personali poiché espressamente ricollega la nomina ex ante alla prevedibile futura incapacità. La ragione giustificativa che orienta e mette in moto la designazione anticipata è, dunque, proprio il futuro stato di infermità. Tale approdo induce a dover ritenere che, logicamente, la designazione può essere accompagnata da una serie di compiti assegnati al sostituto affinché rende attuali, nel momento di inabilità, le volontà espresse nello stato di consapevolezza. Una soluzione di diverso avviso farebbe platealmente iato con i diritti che, poi, spetterebbero comunque agli stretti congiunti del soggetto incapace: ricostruire ex post la sua presunta volontà e disporre in sua vece.
È principio ormai da considerare "diritto vivente", infatti, quello enunciato dal celebre arresto Cass. civ., sez. I, sentenza 16 ottobre 2007 n. 21748 che consente l'adozione di scelte terapeutiche in capo al "sostituto" "quando la ricerca della presunta volontà della persona in stato di incoscienza – ricostruita, alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri e dichiarazioni dell'interessato, ma anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita, del suo senso dell'integrità e dei suoi interessi critici e di esperienza – assicura che la scelta portata dal rappresentante sia rivolta, esclusivamente, a dare sostanza e coerenza all'identità complessiva del paziente e al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona".
Ed, allora: costituirebbe un'insanabile contraddizione negare al soggetto capace di dire ora per allora come questi vorrà essere trattato nel momento di sopravvenuta incapacità e, poi, però, consentire a terzi una ricostruzione in via presuntiva della sua volontà allorché consapevole e cosciente. Ed, invero, è la stessa sentenza citata ad ipotizzare (e dunque ammettere) una volontà pre-espressa allorché i giudici scrivono che occorre, se possibile, "muovere dalla volontà espressa prima di cadere in stato di incoscienza".
Alla luce delle argomentazioni giuridiche sin qui illustrate può pervenirsi alla soluzione del secondo quesito.
Le disposizioni anticipate di volontà in previsione dell'incapacità possono essere racchiuse nella designazione di cui all'art. 408 c.c.?
La risposta è positiva.
L'art. 408 c.c. come novellato dalla legge n. 6 del 2004 legittima e consente la designazione di un amministratore di sostegno, da parte dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. Il negozio così compilato è destinato a racchiudere, anche, direttive anticipate di trattamento terapeutico che saranno efficaci e vincolanti per i terzi.
6. Designazione "ora per allora" dell'Amministratore di sostegno ed apertura dell'Amministrazione ex art. 405 c.c.
Resta da affrontare e risolvere l'ultimo problema giuridico sottoposto a questo giudicante e costituente, nel caso di specie, la questione processuale di maggiore importanza. Ammesso che le direttive anticipate di volontà siano valide e possano essere racchiuse in una designazione formale ex art. 408 c.c., può aprirsi sin da subito un'amministrazione di sostegno in favore del disponente, in previsione della futura incapacità?
Il punto costituisce il tema su cui la giurisprudenza è profondamente divisa. Come già rilevato, è emblematico il caso del Tribunale di Cagliari dove due giudici diversi hanno adottato soluzioni diametralmente opposte: Trib. Cagliari decreto 22 ottobre 2009 (per la tesi favorevole) contra Trib. Cagliari decreto 14 dicembre 2009 (per la tesi negativa).
Di recente, la tesi negativa è stata sostenuta (Corte App. Firenze, decr. 3 luglio 2009) enunciando che, ove la tesi favorevole dovesse scongiuratamente diffondersi, l'Ufficio del Giudice Tutelare verrebbe costretto a nominare forse milioni di inutili amministratori di sostegno, avviando i relativi procedimento e gli onerosi adempimenti connessi. Quanto sostenuto dalla Corte non può essere condiviso e questo giudice prende le distanze dal su esteso principio. In primo luogo, deve rilevarsi che la tesi ripudiata dal Collegio di Firenze si è, in realtà, già ampiamente diffusa, non solo in giurisprudenza (Trib. Prato, decr. 8 aprile 2009; Trib. Cagliari, decr. 22 ottobre 2009), con argomenti giuridici pregnanti e particolarmente approfonditi, ma anche e soprattutto in Dottrina dove è stata sostenuta in modo Autorevole, anche con scritti particolarmente recenti. In secondo luogo, va condiviso il dubbio manifestato dai commentatori del decreto fiorentino: "è legittimo sbarrare la strada ad applicazioni evolutive di una legge solo per ragioni di economicità del sistema?". La risposta non può che essere si senso negativo.
L'argomento sopra riferito non è, dunque, rilevante ai fini della soluzione della quaestio juris qui affrontata.
Secondo la tesi favorevole, la mera esistenza di una scrittura confezionata ai sensi dell'art. 408 c.c. potrebbe essere inidonea, in concreto, a fornire effettiva tutela al diritto, primario e assoluto, della persona che rischierebbe di trovarsi sottoposta, per impossibilità del mandatario di ottenere in tempo reale il decreto di nomina dell'amministratore, alle terapie non volute ma doverosamente praticate dai sanitari, in esecuzione dei propri obblighi professionali e deontologici, in presenza di una situazione di pericolo per la vita. Del pari, sussisterebbe il rischio di un'attività avente ad oggetto l'incapace da questo non desiderata in vita (es. ricovero in una casa di cura in luogo della assistenza infermieristica domiciliare, come nel caso di specie).
L'argomento sin qui illustrato non è convincente.
Come affermano i sostenitori della tesi negativa, molti tribunali, compreso quello cui appartiene questo giudice, sono in grado di nominare ad horas, se necessario, l'amministratore di sostegno, ovvero di intervenire direttamente nei confronti dei medici curanti, attuando in tempi brevissimi la previsione di cui all'art. 405, 4° comma. "Non può, quindi, invocarsi, a sostegno della tesi criticata, l'impossibilità di un tempestivo intervento, che non sussiste come tale; potendosi, se mai, ipotizzare dei disservizi, da rimuovere doverosamente sul piano organizzativo (sicché l'adducere inconvenientes è non solo giuridicamente scorretto in via generale, ma anche, nella specie, ingiustificato sul piano delle situazioni di fatto)" (Trib. Cagliari, decreto 14.12.2009). In particolare, è prassi radicata presso questo Ufficio – mediante creazione di apposita modulistica ad hoc – che l'interessato/ricorrente possa chiedere immediatamente, già nel ricorso, la nomina di un amministratore provvisorio denunciandone l'urgenza. In quel caso la cancelleria trasmette immediatamente il fascicolo al giudice tutelare di turno che, contestualmente alla fissazione dell'udienza per l'esame, apre in via provvisoria l'amministrazione, sulla base dei documenti versati in atti. Ove il ricorrente versasse nel fascicolo la scheda negoziale ex art. 408 c.c., questa sarebbe più che sufficiente, in quanto vincolante, per aprire subito ed in via provvisoria l'amministrazione di sostegno.
La tesi favorevole, poi, sul piano ermeneutico, contesta l'essenzialità del requisito dell'attualità. Sarebbe la lettera stessa della'art. 404 c.c. ("La persona che … si trova nell'impossibilità … di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare …") a suggerire all'interprete che il legislatore ha individuato l'attualità dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo ma non anche come requisito per la sua istituzione. Si aggiunge che l'art. 406 c.c. nell'attribuire, per parte sua, legittimazione attiva "allo stesso beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato", fa intendere che, nella normalità dei casi (la congiunzione "anche" è rivelatrice), il ricorso può essere presentato da un soggetto con piena capacità di agire sicché, nel coordinamento col disposto dell'art. 408 c.c., costui può legittimamente lasciare disposizioni relative ai trattamenti sanitari, da praticare sul suo corpo, per l'ipotesi di incapacità.
Secondo questo giudice, anche questo argomento non è convincente.
La facoltà in capo allo stesso beneficiario di proporre per sé il ricorso si ricollega al fatto che questo, invero nella maggior parte dei casi, non è un soggetto incapace di agire: è un anziano, è un ludopate, è un assuntore di sostanze stupefacenti, è un soggetto con una infermità fisica. Da qui la conseguente previsione di una sua legittimazione attiva.
Quanto alla attualità dello stato di incapacità, la tesi della divaricazione tra validità ed efficacia del provvedimento pone delicatissimi problemi operativi ove si prendano in esame tutte le pubblicità previste dalla Legge: 1) l'iscrizione del decreto per estratto nel casellario giudiziale (art. 3, comma 1, lettera p), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313); 2) l'annotazione del decreto nell'apposito registro, ex art. 49-bis disp. att. c.c.; 3) la comunicazione del medesimo decreto all'ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all'atto di nascita del beneficiario.
Orbene: se è certamente configurabile un provvedimento sub condicione, nel caso di specie esso pare non preso in considerazione dal Legislatore che, invero, presuppone sia implicitamente che esplicitamente l'attualità della misura di protezione anche in funzione della certezza dei traffici giuridici e, quindi, della pubblicità-notizia in favore dei terzi. Quanto ai referenti normativi che presuppongono l'attualità dello stato di incapacità va in primis citato l'art. 404, comma I, c.c. che fa riferimento alla persona che "si trova" (ora e adesso) nella impossibilità di curare i propri interessi; va, poi, menzionato l'art. 407 comma II c.c. che individua l'irrinunciabile garanzia dell'esame "attuale" della persona beneficiaria. Ancora l'art. 408 c.c. dove individua il potere del giudice di "scegliere" l'amministratore di sostegno sulla base delle circostanze rebus sic stantibus.
Sulle due norme procedimentali occorre soffermarsi poiché esse evidenziano le aporie della tesi favorevole all'apertura ora per allora.
Innanzitutto, aprendo l'amministrazione sub condicione – come hanno già fatto taluni giudici tutelari, occorrerebbe provvedere sulla falsa riga del dispositivo che segue:
Il G.T. dichiara aperta, sub condicione, l'amministrazione di sostegno in favore di DD, nata a … il … 1934 e residente in … alla …: l'efficacia dell'amministrazione è subordinata al verificarsi della condizione sospensiva presa di mira dalla beneficiaria e, cioè, il sopravvento della perdita della capacità di intendere e di volere della stessa. L'avverarsi della condizione dovrà essere comunicato al giudice tutelare a cura del soggetto designato come amministratore di sostegno dalla beneficiaria, affinché lo stesso sia immesso nei poteri che discendono dall'apertura dell'Amministrazione, svolti gli accertamenti istruttori del caso per verificare l'effettiva sopravvenuta incapacità della ricorrente. A tal fine, l'amministratore avrà il dovere di presentare al giudice idonea documentazione medica, se del caso perizia asseverata nelle forme di Legge, non esclusa, comunque, la facoltà del giudice di nominare un proprio CTU per verificare le concrete condizioni della beneficiaria ed altresì.
Ebbene: come si vede, ovviamente, l'apertura sub condicione presuppone, per il futuro, una riapertura del procedimento che è irrinunciabile poiché giammai potrebbe consentirsi alla mera dichiarazione del privato di determinare la certezza probatoria in ordine alla sopravvenuta incapacità di un'altra persona. Sarebbe, allora, necessario un nuovo esame e, se del caso, una nuova CTU per verificare, per l'appunto, che la condizione sospensiva si è verificata.
Ancora: il giudice tutelare in quel momento dovrebbe rivalutare la idoneità della designazione dalla quale potrebbe discostarsi nei termini dell'art. 408, comma IV, c.c. esercitando un legittimo potere riconosciuto dall'Ordinamento. La norma citata, infatti, prevede che "in caso di designazione dell'interessato" il giudice tutelare può chiamare all'incarico di amministratore di sostegno "altra persona quando ricorrano gravi motivi". Si pensi al seguente esempio che, per quanto ipotetico e paradossale, comunica bene l'importanza dell'art. 408, comma IV, c.c.: il caso della persona beneficiaria divenuta totalmente incapace per il fatto illecito del soggetto designato come amministratore di sostegno. È chiaro che, in questa fattispecie, giammai il giudice tutelare potrebbe condividere la scelta della beneficiaria di nominare amministratore il suo carnefice. Si pensi, ancora più semplicemente, al soggetto designato come amministratore che, al momento del verificarsi della condizioni non sia più idoneo (fisicamente o psichicamente) ad assumere l'incarico.
Ancora: si pensi, pure, all'ipotesi (del tutto residuale ma allo stato possibile) degli esiti di un esame che sconsiglino l'amministrazione e suggeriscano una misura più incisiva come l'interdizione.
Infine, e non senza assegnare all'argomento la giusta rilevanza, è importante una apertura dell'amministrazione nell'attualità della malattia per svolgere gli opportuni accertamenti in ordine alla eventuale sopravvenuta revoca o modifica dello statuto biologico , circostanze che potrebbero essere rimaste fuori dalla sfera di conoscenza dell'amministratore designato per i più differenti motivi.
In definitiva, come ha correttamente osservato la giurisprudenza qui condivisa, l'apertura dell'amministrazione di sostegno ora per allora sembra cozzare con i principi vigenti in materia di misure di protezione, la cui disciplina assegna un rilievo centrale alla funzione del giudice, in particolare con riguardo allo specifico controllo preventivo delle scelte non ordinarie del soggetto preposto alla cura del beneficiario.
Certo è che tutti gli impasse sin qui illustrati mettono in evidenza un elemento un po' trascurato dalla tesi favorevole qui non accolta: quello precipuo della tutela dell'adulto incapace che è meglio realizzata là dove l'amministrazione sia condotta dal giudice tutelare solo nel momento in cui la malattia è sopravvenuta. Ciò, ovviamente, sul presupposto, qui acclarato come certo, che le disposizioni anticipate di volontà siano pienamente efficaci.
Va, a questo punto, precisato che negare la possibilità dell'apertura di una amministrazione "ora per allora" non lede quei Principi e quelle Esigenze giustamente difese dalla Scuola di pensiero esistenzialista. Ciò, infatti, che ha importanza è la qui ferma facoltà del soggetto di decidere, in previsione della futura incapacità, la pianificazione delle vicende personali onde non divenire persona in balia delle terze future statuizioni. Ed, allora, il fulcro della tutela è nell'efficacia e validità del testamento di vita consegnato al designato dal disponente, scheda negoziale che, una volta sopravvenuta l'infermità, costituirà l'humus da cui trarrà linfa il ricorso per la nomina dell'amministratore di sostegno.
Ciò che, dunque, può essere perfezionato "ora per allora" non è il procedimento di amministrazione (405 c.c.) ma la designazione dell'amministratore (408 c.c.).
Si dà, così, risposta all'ultimo quesito.
L'amministrazione di sostegno può essere aperta "ora per allora" e, cioè, sotto condizione del verificarsi e attualizzarsi dello stato di incapacità, in previsione del quale redatta la designazione in via anticipata dell'amministratore.?
La risposta è negativa.
L'art. 408 c.c. consente che la designazione dell'amministratore possa essere effettuata dal beneficiario in previsione della futura eventuale incapacità. L'amministrazione di sostegno, però, potrà essere aperta solo nel momento in cui il suddetto stato di infermità si sarà verificato non potendo il procedimento giurisdizionale che essere attuale e contestuale alle esigenze per le quali si chiede la misura di protezione, ciò anche per garantire all'adulto incapace la massima tutela, garantita dalla presenza del giudice tutelare cui demandato il compito di svolgere tutti gli accertamenti del caso.
7. Definizione del Procedimento
A conclusione del procedimento, questo giudice reputa che il soggetto capace di intendere e volere abbia il diritto di designare, con atto solenne, nelle forme di cui all'art. 408 c.c., in previsione della propria eventuale futura incapacità, un amministratore di sostegno cui demandare il Ruolo di eseguire i compiti tipizzati ora per allora nella scheda negoziale ed involgenti, anche, la volontà in ordine ai trattamenti terapeutici (v. l'ampiamente argomentato decreto del G.T. di Cagliari, del 22 ottobre 2009, senz'altro da condividere e che, tra l'altro, richiama Cass. civ. 16 ottobre 2007 n. 21748).
Il documento contenente la designazione ora per allora può, quindi essere portato in giudizio davanti al giudice tutelare per l'apertura di una amministrazione di sostegno, al momento del verificarsi della futura incapacità.
Fino a tale momento, il ricorso non può trovare accoglimento poiché difetta una delle condizioni dell'azione ovvero l'attualità della infermità cui sotteso l'interesse ad agire.
Ricorrono i presupposti ex art. 52, secondo comma, d.lgs. n. 196/03, in materia di protezione di dati personali, per disporre d'Ufficio, in caso di diffusione del presente provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, che sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati nella presente controversia, a tutela dei diritti o della dignità degli stessi.

P.Q.M.
Letti ed applicati gli artt. 405, 408, comma II, cod. civ.,
Dichiara
l'inammissibilità del ricorso

Manda
alla cancelleria perché l'odierno decreto sia comunicato alla persona beneficiaria presso il domicilio eletto ed all'Ufficio di Procura.

Varese lì 25 agosto 2010
Il Giudice Tutelare
dott. Giuseppe Buffone

Annotazione disposta d'ufficio dal Giudice ai sensi dell'art. 52, comma III, d.lgs. 196/2003
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della beneficiaria e dell'amministratore di sostegno
(Il cancelliere)