Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 24 Luglio 2018

Decreto 05 luglio 2018

Tribunale di Pistoia ha pronunciato il seguente

DECRETO
Visto il ricorso presentato in data 12.3.2018 da AAA e da BBB, la prima anche quale esercente la responsabilità genitoriale su CCC, con cui hanno domandato di dichiarare l’illegittimità del rifiuto reso il 27.11.2017 dal Sindaco del Comune di DDD alla dichiarazione di riconoscimento del figlio minore da parte di BBB e per l’effetto di rettificare/sostituire o cancellare l’atto indebitamente registrato, ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di formare un nuovo atto di nascita con l’indicazione dell’avvenuta nascita a EEE in data …….2017 di CCC dai genitori AAA e BBB, modificando il cognome del figlio in AA BB;
letti i pareri del Giudice Tutelare e del Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Pistoia, rispettivamente del 5.5.2018 e del 18.6.218;
vista la documentazione prodotta e sentiti i procuratori delle ricorrenti all’udienza del 29.5.2018;
OSSERVA

1. Le ricorrenti hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 95, comma I, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 avverso il rifiuto del Sindaco del Comune di DDD di ricevere la dichiarazione di riconoscimento del figlio CCC da parte di BBB in quanto nato a seguito del ricorso in Spagna, da parte delle due donne, alla Procreazione Medicalmente Assistita (di seguito PMA) di tipo eterologo.
Le ricorrenti hanno dato atto di avere una stabile relazione sentimentale sin dal giugno 2012, convivendo dal 13.2.2013 nel Comune di DDD, e di essersi unite civilmente presso il Comune di FFF in data 8.10.2016.
A tale programma di vita comune è conseguita la scelta di attuare un progetto di genitorialità condiviso mediante il ricorso alla PMA, cui si è sottoposta AAA dando alla luce il 18.11.2017 il piccolo CCC presso l’ospedale di EEE.
In data 27.11.2017 le donne hanno dichiarato la nascita presso il proprio Comune di residenza e il Sindaco ha reso il rifiuto “di ricevere la dichiarazione congiunta fatta dalla Signora AAA nata a …. (FI) il ………. e dalla signora BBB nata a …. il …….. di riconoscimento da parte di entrambe del minore nato a EEE il …../2017 a cui danno il nome di CCC e partorito dalla signora AAA in quanto: – il titolo VII del Libro primo del codice civile non rientra tra le norme espressamente richiamate nella legge che regola le unioni Civili e non è pertanto discrezionalità di questa Amministrazione derogare a quanto stabilito dalla legge n. 76 del 2016; – il vigente ordinamento dello Stato Civile non prevede tale possibilità”.
Con l’atto introduttivo le ricorrenti hanno, quindi, opposto il rifiuto del Sindaco, esponendo in modo puntuale i motivi posti a fondamento del ricorso che poggiano su di una esegesi della normativa italiana in tema di PMA in sintonia col principio di tutela del superiore interesse del minore, sicché l’art. 8 della L. 40/2004 dovrebbe trovare applicazione anche con riferimento ai bambini nati in Italia e concepiti con tecniche di PMA eseguite all’estero da una coppia di donne.
2. Di parere contrario il Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Pistoia, il quale ha motivato il proprio dissenso in ragione della circostanza che nel nostro ordinamento il rapporto di filiazione non si forma per effetto di una manifestazione volitiva, ma in presenza di un legame biologico o di condizioni speciali di legge.
In particolare il PM ha argomentato sulla finalità della legge sulla PMA che impedirebbe qualsiasi interpretazione contrastante con la volontà del legislatore, sicché l’acquisizione

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dello status di figlio sarebbe strettamente connessa all’osservanza delle norme previste dalla L. 40/2004.
Altrimenti opinando, ha osservato la Procura, si arriverebbe a “vanificare l’intero impianto normativo, consentendo la legittimazione di quelle condotte e di quelle situazioni di fatto che il legislatore ha vietato”; legislatore che anche con il più recente intervento normativo (L. 76/2016) ha dimostrato di voler mantenere saldi i principi e le condizioni in materia di acquisizione dello status filiationis, escludendo la cosiddetta stepchild adoption.
Ancora il PM ha osservato che il consenso espresso dalla coppia omosessuale in occasione del ricorso alla PMA non può costituire valido fondamento del rapporto di filiazione e che i diritti e gli interessi del minore sono in primo luogo tutelati dall’osservanza della legge, non ravvisandosi alcun trattamento discriminatorio per il nato in un panorama giurisprudenziale tutt’altro che certo.
Infine, la Procura ha sottolineato la non rilevanza nel caso di specie della risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pisa con riferimento alla quale il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Pistoia, in sede di parere, ha domandato la sospensione del presente procedimento.
3. Sotto tale ultimo profilo, si osserva che il Giudice Tutelare nel parere reso ha fatto proprie le motivazioni espresse nell’ordinanza del Tribunale di Pisa del 14.3.2018, il quale ha rimesso al vaglio della Corte Costituzionale una serie di norme che non consentono di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso.
Per tali ragioni ha formulato parere favorevole alla sospensione del presente procedimento in attesa degli esiti del citato giudizio di costituzionalità o alla rimessione alla Corte Costituzionale per analoghi profili; in estremo subordine ha manifestato parere favorevole all’accoglimento dell’opposizione.
4. Nessuno si è costituito per il Sindaco del Comune di DDD quale Ufficiale del Governo e dello Stato Civile.
5. Tanto premesso, il Collegio ritiene di condividere in massima parte le argomentazioni svolte dalle ricorrenti nell’atto introduttivo e nelle note autorizzate depositate il 26.6.2018, reputando fondato il ricorso.

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5.1 In primo luogo, giova delineare a grandi linee il quadro normativo nazionale di riferimento, rappresentato, oltre che dalla Carta Costituzionale, dalla L. 40/2004 recante Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, il cui art. 8 disciplina lo stato giuridico delnato prevedendo che “I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”, nonché dalla L. 76/2016 che ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degliarticoli 2 e 3 della Costituzione.
5.2 L’attuale assetto normativo italiano vieta l’accesso alla PMA da parte di coppie di donne (l’art. 5 L. 40/2004 fa infatti riferimento a coppie di maggiorenni di sesso diverso); tuttavia, nell’ipotesi in cui la coppia omosessuale sia ricorsa a tali tecniche in paesi che lo consentono, è da comprendere quale sia lo status giuridico del nato.
Tale indagine deve essere compiuta alla luce del principio primario che regola la materia e che deve guidare ogni decisione giudiziale relativa ai minori, ovvero quello della tutela dell’interesse superiore del bambino, sotto il profilo della sua identità personale e sociale,come desunto non solo dalla nostra Costituzione (cfr. artt. 2, 3, 30 e 31), ma prima ancora dalla Convenzione sui diritti del fanciullo siglata a New York il 20.11.1989 (cfr. art. 3), dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli siglata a Strasburgo il 25.1.1996 (cfr. art. 6), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7.12.2000 (cfr. art. 24, § 2), nonché dalla copiosa giurisprudenza della Corte EDU (si vedano, ad esempio, le sentenze del 26.6.2014 nei casi Mennesson e Labassee contro Francia).
La preminenza della tutela degli interessi del minore costituisce, dunque, il primo e fondamentale criterio utile a delibare ogni questione in materia di status filiationis, nel cui ambito la valutazione in ordine alla meritevolezza della tutela degli interessi degli adulti ad autodeterminarsi e a generare figli rimane solo sullo sfondo, poiché non è questo interesse che si mira a preservare, quanto piuttosto quello del minore ad avere una propria identitàpersonale all’interno del nucleo familiare, qualunque sia la sua tipologia di formazione (coppia eterosessuale, coniugata e non, ovvero coppia omosessuale, unita civilmente e non).
Ciò in quanto il diritto alla genitorialità, e ancor più alla bigenitorialità, è un diritto prima di tutto del minore ad instaurare relazioni affettive stabili con entrambi i genitori, sia quando lo stesso sia stato concepito biologicamente che a mezzo delle tecniche mediche di cui alla PMA, posto che anche in tali ultimi casi il figlio è generato in forza di un progetto di vita comune della coppia, etero o omosessuale, volto alla creazione di un nucleo familiare secondo un progetto di genitorialità condiviso.

Il figlio voluto dalla coppia omosessuale attraverso il ricorso alla PMA deve trovare, dunque, tutela anche sotto il profilo giuridico, venendo in gioco tutta una serie di interessi che, per la sola ragione di essere amato e cresciuto di fatto dalla coppia di donne, non sono comunque assicurati se non attraverso il formale riconoscimento dell’essere figlio delle due mamme che lo hanno desiderato; riconoscimento che comporta, altresì, l’attribuzione didiritti successori, di diritti patrimoniali quale quello al mantenimento ex art. 316 bis c.c. e di tutele che altrimenti sarebbero attribuite in modo incompleto nel caso di riconoscimento della genitorialità in capo alla sola madre partoriente.
5.3 Si profila così fondamentale una lettura della L. 40/2004 costituzionalmente orientata – da qui la non condivisibilità della prospettata necessità di sospensione del presente giudizio in attesa della decisione della Corte Costituzionale in ordine alla questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Pisa, come si dirà oltre –, lettura che, nell’ambito dei principi generali richiamati, consente di ritenere ammissibile il riconoscimento della genitorialità in capo ad entrambe le ricorrenti e, quindi, non soltanto in capo alla madre che ha partorito CCC, ma anche a quella che ha condiviso con la prima il progetto di genitorialità che ha portato alla nascita del bimbo.
Tale processo ermeneutico passa dall’esame della normativa in parola, soprattutto conriferimento alla sua evoluzione interpretativa che ha portato, con la pronuncia della Corte Costituzionale n. 162/2014, alla declaratoria di illegittimità del divieto di fecondazione eterologa.
Sin da tale pronuncia è stato chiarito che “il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione” e che, pertanto, il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa.
In tale ottica la Corte ha affermato che lo stato giuridico del nato ed i rapporti con i genitori sono “regolamentati dalle pertinenti norme della legge n. 40 del 2004, applicabili anche al nato da PMA di tipo eterologo in forza degli ordinari canoni ermeneutici”.Sicché l’art. 8 di detta legge laddove attribuisce lo status di figlio legittimo o riconosciuto della coppia che ha espresso il consenso all’applicazione delle tecniche di PMA rende evidente l’operatività di detto riconoscimento anche in ipotesi di PMA di tipo eterologo (su questo presupposto la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma III, della L. 40/2004 nella parte in cui stabiliva il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo).
Il percorso motivazionale della Corte consente di ritenere ormai abbandonato un concetto di filiazione basato sul solo dato biologico e genetico, aprendo invece l’orizzonte a criteri diattribuzione dello status filiationis che poggiano sulla manifestazione del consenso così come disciplinata dall’art. 6 L. 40/2004.
Lo stesso legislatore del 2004, d’altronde, aveva affermato che in caso di ricorso illegittimo alla fecondazione eterologa era prevalente non il dato biologico ma il consenso e la genitorialità intenzionale, tutelando in caso di conflitto l’interesse concreto del minore adessere riconosciuto da chi lo aveva effettivamente voluto; così pure gli artt. 244 e 263 c.c. esprimono un favor opposto a quello veritatis introducendo termini decadenziali per le azioni ablative, presupponendo che ciò corrisponda al superiore interesse del minore, a meno che non sia questi a decidere diversamente.
Il consenso richiamato, come è stato correttamente osservato dai più attenti commentatori (cfr. Marco Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 40, reperibile in www.questionegiustizia.it), rappresenta l’assunzione consapevole ed irrevocabile della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i componenti della coppia e costituisce il fulcro del riconoscimento dello stato giuridico del nato e del concetto di genitorialità legale, come contrapposta alla genitorialità biologica.
5.4 Ed allora, proprio perché il sistema normativo deve essere letto alla luce del principio di tutela del superiore interesse del minore, si deve affermare che lo status filiationis è regolarmente costituito nei confronti di entrambe le donne che compongono la coppia tutte le volte in cui sia stata utilizzata una tecnica di PMA anche se in carenza dei requisiti oggettivi e soggettivi fissati dalla normativa interna.
Ciò in quanto, se è vero che tale condotta può scontrarsi con le sanzioni di cui all’art. 12 L.40/2004, è pur vero che la violazione di norme interne non può comunque portare alla lesione dei diritti del minore a vedersi riconosciuto come figlio delle due mamme che hanno legittimamente manifestato il loro consenso ad assumere la responsabilità genitoriale nei confronti del nascituro.
In altri termini, si deve prescindere da ogni valutazione sulla legittimità delle condotte poste in essere dai genitori poiché la scelta degli adulti non può andare a discapito dei minori(così Cass., sez. I, sentenza n. 19599/2016: “le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 – imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia – non possono ricadere su chi è nato”) e del loro diritto ad avere un secondo genitore come sancito nella stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 24, § 3: “il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo quando ciò sia contrario al suo interesse”.
5.5 E certamente nell’attuale contesto sociale e giuridico non è possibile affermare che l’instaurazione di relazioni genitoriali tra genitori dello stesso sesso ed il figlio frutto del loro progetto di famiglia costituisca un pregiudizio per il minore, dato che ciò non ha alcuna evidenza scientifica – ed anzi l’amore di due genitori omosessuali è equivalente a quello di due genitori eterosessuali nella misura in cui consente al figlio di crescere in un ambiente coeso e tutelante quale quello familiare –, né risulta essere vietato a livello costituzionale, pur prendendo atto della presente scelta del legislatore di non consentire l’accesso alla PMA alle coppie formate da due donne, scelta passibile di futuri cambiamenti come riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 162/2014.
Sotto tale ultimo profilo la stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 19599/2016 ha affermato che non esiste alcun vincolo costituzionale che vieti la filiazione da parte di coppie dello stesso sesso, essendo piuttosto i divieti legislativi il frutto di scelte politiche su temi eticamente sensibili sempre astrattamente passibili di modifiche da parte del legislatore: “non è possibile sostenere l’esistenza di un principio costituzionale fondamentale…idoneo ad impedire l’ingresso in Italia dell’atto di nascita…in ragione di un’asserita preclusione ontologica per le coppie formate da persone dello stesso sesso (unite da uno stabile legame affettivo) di accogliere, di allevare e anche di generare figli”.
La posizione assunta a mezzo della legislazione vigente “non esprime una opzione costituzionalmente obbligata” né costituisce estrinsecazione di valori fondamentali del nostro ordinamento. Anzi, al contrario, consentire che l’identità di sesso dei genitori importi una condizione deteriore per il minore, incidendo sul suo status, questo sì che determinerebbe una violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.
5.6 Il concetto di famiglia deve, quindi, essere riletto alla luce dei mutamenti sociali e deve essere inteso come comunità di affetti svincolata da legami biologici, oltre che daistituti tradizionali quali l’unione matrimoniale, incentrandosi piuttosto su relazioni affettive ed effettive tra i suoi componenti che prescindono da legami tradizionalmente intesi (si veda la riforma della filiazione, la recente disciplina delle unioni civili ed il riconoscimentoper le coppie dello stesso sesso del diritto di adottare figli ai sensi dell’art. 44, comma I, lett.d), L. 184/1983).
5.7 Come si è visto, la stessa giurisprudenza nazionale ha allargato le maglie della costituzione del rapporto di filiazione riconoscendo, nell’ottica primaria di tutelare il diritto del minore, la trascrivibilità in Italia di un atto di nascita estero riferito a bambini venuti alla luce in territorio straniero a seguito della sottoposizione alle tecniche della PMA da parte di coppie di donne (cfr. in particolare la già richiamata sentenza n. 19599/2016 della Corte di Cassazione e la successiva sentenza n. 14878/2017).
Tale interpretazione estensiva è passata principalmente attraverso il vaglio della contrarietà all’ordine pubblico internazionale del riconoscimento dell’atto di nascita estero ed ha avuto come esito un giudizio di non contrarietà della doppia maternità ai principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale.
Orbene, se è vero che nel caso portato all’attenzione di questo Collegio non si discute della trascrivibilità di un atto di nascita già formatosi in un altro paese, quanto piuttosto della formazione ab initio di tale atto in Italia (i.e. nuova iscrizione) essendo il piccolo CCC nato nel territorio nazionale, è pur vero che non si ravvisano ragioni per discostarsi dai principi sin qui delineati che consentono di attribuire al bimbo lo status di figlio delle ricorrenti.
Tale riconoscimento non passa, nel caso di specie, attraverso una valutazione riferita al concetto di ordine pubblico (giacché non vi è da riconoscere alcun atto straniero),incentrandosi piuttosto sull’esegesi del quadro normativo e dei principi generali che informano la materia per come sino ad ora individuati.
5.8 A ciò si deve aggiungere un ulteriore dato normativo, rappresentato dalla L. 76/2016, la quale, pur non disciplinando direttamente i rapporti tra genitori e figli,attribuisce comunque un utile strumento interpretativo, sia in quanto sancisce il principio per cui coppia è anche quella formata da persone dello stesso sesso, sia perché il comma 20 dell’art. 1 (cosiddetta “clausola di equivalenza”) – nel prevedere che “la disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184” – non richiama la L. 40/2004, facendo così ritenere ammissibile l’applicazione del concetto di coppia di cui all’unionecivile anche in tema di PMA.
Tale opzione interpretativa è vieppiù avvalorata dalla piena operatività dell’art. 1, comma 20, L. 76/2016 rispetto all’art. 9 L. 40/2004. Tale ultima norma prevede che “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cuiall’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice”. Ebbene i concetti di coniuge e convivente ivi richiamati rientrano certamente nel campo di applicazione del citato comma 20, sicché si deve ritenere che ciò costituisca ulteriore conferma del fatto che il legislatore abbia ritenuto di includere la L. 40/2004 nell’ambito diequivalenza di cui alla L. 76/2016.
5.9 Ulteriore conferma del riconoscimento della genitorialità samesex (o meglio dell’estensione dell’unione civile ad ipotesi di famiglia con figli) si ha, da ultimo, con la L. 4/2018 la quale, nel porre speciali tutele a favore degli orfani di crimini domestici,contempla anche gli orfani a seguito dell’omicidio del genitore commesso dall’altra parte dell’unione civile.
5.10 Dall’insieme delle considerazioni sin qui svolte deriva, da un lato, che il concetto di coppia di cui alla L. 40/2004 deve essere oggi inteso in senso lato, comprensivo anche della coppia omosessuale, e, dall’altro lato, che pur in presenza di fecondazioni eterologhe vietate in Italia ma praticate all’estero (ovvero quelle tra coppie samesex) il principio di tutela del superiore interesse del minore impone di riconoscere allo stesso le due madri che hanno manifestato il consenso pieno e consapevole di cui all’art. 6 – o meglio nelle forme previste dallo Stato in cui è praticata la PMA, sempre che assicurino garanzie analoghe a quelle dicui all’art. 6 con riferimento alla piena e irretrattabile assunzione di responsabilità da partedella coppia. Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 L. 40/2004 porta, dunque, ad affermare che i bimbi nati in Italia a seguito di tecniche di PMA eseguite all’estero sono figli della coppia di donne che hanno prestato il consenso manifestando inequivocabilmente di voler assumere la responsabilità genitoriale sul nascituro quale frutto di un progetto di vita comune con il partner e di realizzazione di una famiglia (in questo senso cfr. anche Stefania Stefanelli, Riconoscimento dell’atto di nascita da due madri, in difetto di legame genetico con colei che non ha partorito consultabile in www.articolo29.it).
Come è stato correttamente e condivisibilmente osservato “il congegno normativo a tutela del minore prescinde da ogni valutazione sulla legittimità delle condotte poste in essere dai genitori ed era stato pensato, anzi, proprio per il caso della violazione di un divieto di legge (i.e. il divieto di fecondazione eterologa). Il principio per cui i genitori sono individuati sulla base del consenso e non del Dna è stato posto nella legge 40 per ogni ipotesi di nascita a mezzo di procreazione medicalmente assistita, anche se (anzi, in origine proprio se) in violazione dei principi stabiliti dalla stessa legge in materia di soggetti legittimati e tecniche consentite, atteso che tale principio è stato introdotto dalla legge proprio al fine di proteggere i minori nati con tecniche al tempo vietate. Né vi è ragione per assumere che i nati abbiamo minore o maggiore tutela a seconda del tipo di tecnica adottata o del tipo di violazione di disposizioni di legge realizzata da parte dei genitori” (così M. Gattuso, cit.).
Dunque, nell’attuale sistema normativo si deve ritenere che il consenso sia alla base della costituzione del rapporto di filiazione in caso di ricorso alla PMA (cosiddetta genitorialità intenzionale) così come, nella gestazione “ordinaria”, lo è il dato biologico genetico.
Opinare diversamente significherebbe accettare situazioni discriminatorie tra figli nati da coppie etero o omosessuali che abbiano fatto ricorso alle tecniche della PMA di tipo eterologo, rendendo illegittimo elemento di discrimine il contesto familiare in cui il minore è accolto, cresciuto, educato, amato.
Come acutamente osservato “la prospettiva determinante non è quella dei diritti della coppia, ma di quelli del nato nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo, diritti che non tollerano disparità di trattamento in ragione delle condizioni e convinzioni personali dei genitori, in quanto presidiati dall’art. 2 Cost.” (S. Stefanelli, cit.).
5.11 Non si ravvisa, dunque, alcun vuoto normativo, né si profila alcuna necessità di sollevare una questione di legittimità costituzionale come paventato dal Giudice Tutelare, dal momento che, come si è visto, è ben possibile operare una interpretazione delle norme vigenti conforme a Costituzione; né d’altronde vi è spazio per la sospensione delprocedimento come suggerito dal GT, sia in quanto contraria ai principi sanciti dalla stessa giurisprudenza di legittimità – cfr. Cass., sez. II, ordinanza n. 24946 del 24/11/2006 –, sia in quanto la questione sollevata dal Tribunale di Pisa diverge da quella portata all’attenzionedi questo Tribunale, avendo ad oggetto l’art. 33 L. 218/1995 che non assume alcuna rilevanza nel caso di specie, il quale non presenta alcun carattere di transnazionalità.
I principi elaborati sinora dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità ben si prestano a costituire il fondamento per la loro estensione alle ipotesi, come quella in esame, di nascita del minore nel territorio italiano con necessità di formare per la prima volta l’atto di nascita in Italia; d’altronde, in questo solco si collocano anche numerose prese di posizione da parte di Ufficiali di Stato Civile che stanno registrando la nascita in Italia di bambini di coppie di donne (cfr. da ultimo i Comuni di Torino, Milano e Sesto Fiorentino).
6. Da ultimo, mette conto rilevare che non si ravvisa alcuna necessità di nominare un curatore speciale per il piccolo CCC dal momento che tale nomina ha come presupposto la valutazione in ordine alla sussistenza di un conflitto di interessi che, nel caso de quo, appare non sussistere atteso che il provvedimento richiesto dalle ricorrenti al Tribunale non può che andare a favore del minore (diversamente dall’ipotesi, ad esempio, di cui all’art. 250 c.c.).
7. In conclusione, poiché nel caso in esame le ricorrenti hanno documentato la manifestazione del loro consenso al momento della scelta di ricorrere alla PMA (cfr. doc. 2) e tale dichiarazione appare pienamente conforme alla lettera di cui all’art. 6 L. 40/2004, ildiniego opposto dal Sindaco del Comune di DDD si profila illegittimo in quanto l’atto dinascita di CCC avrebbe dovuto essere formato sin dall’origine con il contestuale riconoscimento del neonato da parte delle sue mamme, sicché ritiene il Collegio che ragioni di tutela del superiore interesse del minore impongano di operare la rettificazione ai sensidell’art. 95 D.P.R. 396/2000 mediante la sostituzione dell’atto di nascita esistente e la formazione di un nuovo atto di nascita di contenuto analogo a quello del 27.11.2017, ma con indicazione delle due ricorrenti come madri di CCC.
8. Poiché si tratta di un riconoscimento contestuale il minore potrà portare il cognome di entrambe le madri, come da queste richiesto (in applicazione della medesima ratio espressa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 286/2016, pur se riferita a genitori di sesso diverso nell’ambito di un rapporto matrimoniale, non ravvisandosi ragioni che impongano una diversa interpretazione).
9. Sussistono gravi ragioni per compensare le spese di lite – o meglio per dichiararle irripetibili attesa la mancata costituzione in giudizio del Sindaco di DDD – in considerazione della novità delle questioni trattate e della loro complessità e rilevanza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pistoia, in composizione collegiale, così provvede:
1) in accoglimento del ricorso dichiara l’illegittimità del diniego opposto dal Sindaco del Comune di DDD alla dichiarazione di riconoscimento del figlio minore CCC da parte di BBB e, per l’effetto, ordina all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di DDD di operare larettificazione ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000 mediante la sostituzione dell’atto dinascita esistente e la formazione di un nuovo atto di nascita di contenuto analogo a quello del ……… ma con indicazione delle due ricorrenti come madri di CCC, nato a EEE il………., attribuendo a quest’ultimo il cognome di AA BB;
2) dichiara le spese irripetibili.
Così deciso in Pistoia nella Camera di Consiglio del 5 luglio 2018.