Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 10 Marzo 2004

Decisione 09 settembre 1992

Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo. Decisione 9 settembre 1992, “Sluijs c. Belgio”: Obbligo di frequenza dei corsi di religione e diritto del genitore a chiedere la dispensa per il figlio.

L’art. 2 del Protocollo Addizionale alla CEDU non impedisce agli stati di diffondere informazioni o conoscenze che abbiano, direttamente o non, carattere religioso o filosofico se gli stati stessi curano di garantire che le informazioni o conoscenze contenute nei programmi siano impartite in maniera obiettiva, critica e pluralista, tale da escludere segni di indottrinamento che possa essere considerato non rispettoso delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori.

1. Il ricorrente ritiene che il rifiuto opposto dal Ministro, il 4 febbraio 1987, di accordare una dispensa dall’obbligo di frequentare i corsi di religione per i suoi figli D., E., e G. viola l’art. 2 del Protocollo addizionale. […]

L’art. 2 del Protocollo addizionale è imperniato sulla sua prima frase, la quale sancisce il diritto di un minore all’istruzione, mentre la seconda frase, che completa la precedente, consacra il diritto dei genitori di assicurare ai loro figli un’educazione e un’istruzione conforme alle loro convinzioni religiose e filosofiche (v. la sentenza Campbell e Cosans del 25 febbraio 1982, serie A n. 48, pp. 18-19, par. 40).

Nella sentenza Kjeldsen, Busk Madsen e Pedersen (del 7 dicembre 1976, serie A n. 23, pp. 26-27, par. 53) la Corte ha dichiarato che:

“la definizione e la preparazione del programma degli studi è, in linea di principio, di competenza degli Stati contraenti. Si tratta, in ampia misura, di un problema di opportunità sul quale la Corte non è chiamata a pronunciarsi e la cui soluzione può legittimamente mutare a seconda dei paesi e delle epoche. In particolare, la seconda frase dell’art. 2 del Protocollo non impedisce agli Stati di diffondere attraverso l’istruzione o l’educazione informazioni o conoscenze che abbiano, direttamente o non, carattere religioso o filosofico. Non autorizza neppure i genitori ad opporsi all’integrazione di tali insegnamenti nel programma scolastico, il che comporterebbe altrimenti il rischio di rendere irrealizzabile ogni programma di insegnamento istituzionalizzato. Sembra, infatti, molto difficile che talune discipline insegnate a scuola non abbiano, in maggiore o minore misura, una sfumatura o un’incidenza di carattere filosofico. Lo stesso si può dire dell’aspetto religioso se si tiene conto dell’esistenza di religioni che formano un insieme dogmatico e morale molto ampio che ha o può avere risposte ad ogni domanda di carattere filosofico, cosmologico o etico. La seconda frase dell’art. 2 implica in compenso che lo Stato, nell’adempimento delle funzioni da esso assunte in materia di educazione e di istruzione, controlli che le informazioni o conoscenze contenute nei programmi siano impartite in maniera obiettiva, critica e pluralista. Impedisce loro di perseguire un obiettivo di indottrinamento che possa essere considerato non rispettoso delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori. In ciò viene posto il limite che non deve essere oltrepassato.

Una simile interpretazione si concilia con la prima frase dell’art. 2 del Protocollo, con gli artt. da 8 a 10 della Convenzione e con lo spirito generale di questa, destinata a salvaguardare e promuovere gli ideali e i valori di una società democratica”.

Nella fattispecie, la Commissione rileva che, a seguito della sentenza del consiglio di stato del 14 maggio 1985, il programma di insegnamento della morale non-confessionale era stato modificato e il programma indicava esplicitamente che non sarebbe stato possibile porre i corsi di morale al servizio di una concezione sociale o di una specifica dottrina filosofica oppure organizzare questi corsi in funzione delle prese di posizione di tali concezioni o dottrine. Sembra, dunque, che le autorità belghe abbiano vigilato con cura affinché le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori degli alunni della scuola pubblica non contrastassero col contenuto dei corsi di morale non-confessionale, senza tuttavia poter escludere, da parte degli insegnanti, valutazioni sconfinanti nel campo religioso o filosofico. In effetti, le direttive impartite esplicitamente ai fini dell’insegnamento della morale provano che questi corsi non costituiscono affatto un tentativo di indottrinamento, ma, al contrario, che le autorità hanno vigilato con cura affinché le informazioni diffuse in occasione di tali corsi venissero diffuse in maniera obiettiva, critica e pluralista, evitando di porle al servizio di una concezione sociale o di una specifica dottrina filosofica. Inoltre, in tal modo, le autorità hanno vigilato affinché tale insegnamento non leda il diritto dei genitori “di assistere e consigliare i loro figli, di esercitare nei loro confronti la funzione naturale di educatori, di orientarli in una direzione conforme con le loro convinzioni religiose o filosofiche” (v. la sentenza Kjeldsen, Busk Madsen e Pedersen, cit., p. 28, par. 54).

La Commissione ritiene, dunque, che l’obbligo previsto dall’art. 8 della legge del 29 maggio 1959 non lede, di per sé, affatto le convinzioni religiose o filosofiche del ricorrente nella misura vietata dalla seconda frase dell’art. 2 del Protocollo addizionale.

Rileva, inoltre, che lo Stato belga riserva ancora una importante risorsa ai genitori che desiderano sottrarre i loro figli all’insegnamento della morale non-confessionale, così come è impartito nella scuola pubblica, lasciandoli liberi di affidarli a scuole private non obbligate a rispettare l’art. 8 della legge del 29 maggio 1959 e, del resto, sovvenzionate dallo Stato nel rispetto del principio dell’uguaglianza tra scuole pubbliche e private consacrato dall’art. 17 della Costituzione.

(omissis)