Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 17 Agosto 2010

Circolare 23 aprile 1998, n.25

Conferenza Episcopale Italiana – Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici. Circolare n. 25 concernente: "Enti ecclesiastici e riforma del non profit", 23 aprile 1998.

1. Occorre anzitutto ricordare che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono enti non commerciali, che per legge hanno come oggetto principale l'attività istituzionale di religione o di culto (cf. art. 1 e art. 16 lettera a) delle norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984) e però possono svolgere anche attività diverse (cf. art. 15 e art. 16 lettera b) delle citate norme).

Le note che seguono si riferiscono prevalentemente alle attività diverse, le quali "sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime" (art. 7 n. 3 dell'Accordo di revisione dei Concordato).

2. La prima sezione del decreto è intitolata "Modifiche alla disciplina degli enti non commerciali in materia di imposte sul reddito e di imposte sul valore aggiunto" (IVA); è composta di nove articoli, e riguarda tutti gli enti ecclesiastici, perché essi sono, appunto, enti non commerciali.

B) Il decreto non modifica, e quindi conferma, le agevolazioni fiscali finora previste dalle norme vigenti per gli enti ecclesiastici (es. aliquota IRPEG ridotta del 50%, esenzione dell'imposta su donazioni e successioni, ecc.).

C) La nuova disciplina, anzitutto, qualifica l'ente non commerciale con riferimento non solo al fine (assenza del fine di lucro), ma anche all'oggetto principale, inteso come "l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto" (art. 87, comma 4, del Testo Unico delle imposte sul reddito [TUIR]).

La conseguenza di tale scelta del legislatore è che "l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta" (art. 111 bis del TUIR)

Si osserva che gli enti di fatto, in tale quadro normativo, sono particolarmente a rischio di subire le conseguenze negative della perdita della qualifica di ente non commerciale.

Tale disposizione non si applica invece agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (art. 111, comma quarto, del TUIR) per l’ovvia ragione che essi hanno per legge come oggetto principale l'attività di religione o di culto.

Si ricorda peraltro che gli enti ecclesiastici, in particolare le associazioni e le fondazioni, possono perdere addirittura il riconoscimento agli effetti civili qualora nell'attività svolta prevalga a tal punto quella commerciale da far venir meno l'effettivo perseguimento delle proprie finalità.

C) Altri punti della disciplina meritano poi di essere segnalati.

L'art. 108 del TUIR, così come modificato, prevede l'esclusione dal reddito imponibile delle raccolte occasionali, anche se favorite dalla cessione di beni di modico valore ai sovventori, e dei contributi convenzionati. Tale norma non riguarda le collette raccolte in chiesa, perché queste rientrano nell'attività di religione o di culto e sono fuori dall'ambito fiscale ed autorizzativo in genere (cf. art. 7, comma 4, dell'Accordo di revisione del Concordato).

L'art. 109, comma 2, dei TUIR, così come modificato, prevede che "per l’attività commerciale esercitata gli enti non commerciali hanno l'obbligo di tenere la contabilità separata".

Resta esclusa quindi l'opzione per la contabilità unica, che peraltro gli enti seguivano.

L’art. 111 del TUIR e l'art. 4 del decreto IVA, escludono dall’imposizione talune cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate dagli enti di tipo associativo a favore degli associati.

Le associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese hanno particolari agevolazioni a condizione che inseriscano nello statuto determinate clausole.

Si ricorda, peraltro, a questo riguardo, che la natura degli enti ecclesiastici è stata recentemente esaminata e riprecisata dalla Commissione Paritetica per l’interpretazione ed esecuzione delle norme pattizie (cf. S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 15 ottobre 1997, pagg. 257ss.).

Questa ha affermato: "La Repubblica italiana è tenuta, ai sensi della norma ora ricordata (art. 7, comma 2, dell'Accordo del 18 febbraio 1984), ad accogliere nel proprio ordinamento gli enti ecclesiastici, ai quali accorda il riconoscimento, con le caratteristiche che agli stessi ineriscono nell'ordinamento di provenienza".

"Ciò comporta che non possono ritenersi applicabili agli enti ecclesiastici le norme del codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private ( … ) una siffatta linea finirebbe per condurre – con disconoscimento della fondamentale regola pattizia che vuole l'ente ecclesiastico recepito con i suoi originari caratteri – ad una vera e propria 'rifondazione' dello stesso nell'ordinamento italiano".

Non è consentito, pertanto, costituire fittiziamente degli statuti per gli enti ecclesiastici che non ne sono dotati, come le parrocchie, ovvero modificare gli statuti degli enti che ne sono dotati, come le confraternite, inserendo clausole non compatibili con la struttura originaria dell'ente al mero scopo di ottenere le richiamate agevolazioni.

Qualora un ente ecclesiastico di tipo associativo (cioè una confraternita, non una parrocchia o una casa religiosa) intenda modificare lo statuto con le clausole di cui all'art. 111 dei TUIR, comma 4-quinquies, lettere a), b), d), f) entro la scadenza del 30 giugno 1998 al fine di rientrare nella nuova disciplina fiscale, l'Ordinario dovrà approvare tale modifica, verificandone la compatibilità con la natura di ente ecclesiastico, prima dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche.

Sono poi previste alcune agevolazioni temporanee, con scadenza al 30 settembre 1998. Queste meritano particolare attenzione. Si prevedono due possibilità:

a) il trasferimento gratuito di aziende o beni a favore di enti non commerciali: può servire, ad esempio, quando per motivi contingenti è stato costituito un ente di fatto ed ora giova trasferire beni e attività ad un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto;

b) l'esclusione dei beni immobili strumentali dal patrimonio dell'impresa con il pagamento di una imposta sostitutiva di IRPEG, ILOR, IVA: ciò consente di sanare quelle situazioni in cui gli enti hanno dichiarato come strumentali beni immobili che non erano tali o in cui l'attività commerciale è prossima a chiudere.

La materia è delicata, ma la nuova disciplina può offrire soluzioni preziose; è perciò opportuno vagliare tutte le situazioni di enti di fatto e di immobili strumentali esistenti nell'ambito della propria diocesi al fine di valutare l'opportunità di profittare della possibilità prevista.

3. La seconda sezione del decreto disciplina il regime fiscale di una nuova categoria di enti non commerciali, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).

C) Gli enti che svolgono attività in undici determinati settori di utilità sociale ed hanno i requisiti di legge possono iscriversi nell'anagrafe delle ONLUS e fruire del regime che prevede:

la possibilità di ricevere erogazioni liberali detraibili e deducibili da parte di persone fisiche e giuridiche anche non imprenditori;

il riconoscimento che lo svolgimento dell'attività istituzionale nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale non costituisce esercizio di attività commerciale;

l'obbligo di reimpiegare gli utili e di vincolare il patrimonio all'attività qualificata come ONLUS.

B) Gli enti ecclesiastici non possono essere ritenuti ONLUS in quanto tali poiché l'attività di religione o di culto non è dichiarabile sempre e in ogni caso "di utilità sociale". Giustamente perciò l'art. 10, comma 9, del decreto dispone che gli enti ecclesiastici "sono considerati ONLUS limitatamente all'esercizio delle attività elencate alla lettera a) del comma primo" (tra queste, principalmente, l'assistenza sociale e sociosanitaria, la beneficenza, la tutela e valorizzazione dei beni culturali; e, se rivolta a soggetti svantaggiati, l'istruzione, la formazione, lo sport dilettantistico).

C) L'ente non è obbligato a seguire il regime ONLUS; in alternativa può svolgere l'attività di utilità sociale nell'ordinario regime fiscale con le agevolazioni già previste per gli enti ecclesiastici.

D) Abbiamo ricordato che la qualifica ONLUS non viene attribuita all'ente ecclesiastico in quanto tale, ma in funzione di determinate attività, che in linea di massima non sono istituzionali. Ciò vuol dire che le clausole statutarie richieste dall'art. 10, comma primo, lettere b), d), e), f), g) non coinvolgono direttamente l'assetto statutario dell'ente. Le clausole suddette, infatti, possono essere inserite in una formale delibera, adottata dal l'amministratore unico o dal consiglio di amministrazione, con cui l'ente stabilisce l'inizio o la prosecuzione di una attività di utilità sociale e le norme regolamentari relative ad essa.

E) Si segnala infine che la scadenza del 31 gennaio 1998 per l'iscrizione all'anagrafe delle ONLUS non è un termine perentorio; serve soltanto per valersi del regime ONLUS dal 1° gennaio; per gli enti che faranno la iscrizione in data successiva il regime correrà dalla data medesima.