Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 30 maggio 2018, n.465

Si ringraziano gli avv. Lucio Marsella e Marcello
Rifici, nonché il dott. Federico Papini per la
segnalazione del documento e per la redazione della nota a sentenza
qui pubblicata (nota a sentenza)

"Non esiste (…) nel nostro ordinamento un soccorso di
necessità cosiddetto creativo, che (…) possa travalicare la
contraria volontà dell'interessato, posto che il perimetro
della scriminante dello stato di necessità (…) è
rigidamente circoscritto all'ipotesi in cui il paziente non sia in
grado – per le sue condizioni – di prestare il proprio dissenso o
consenso, come pure chiarito dalla costante giurisprudenza di
legittimità. Invero, l'urgente necessità terapeutica
può rilevare solo in caso di paziente in stato di incoscienza,
trovando i poteri e i doveri del medico unico fondamento nel consenso
del paziente, mai sacrificabile: il medico non può dunque
imporre il trattamento sanitario da lui ritenuto salvifico a chi
consapevolmente e lucidamente lo rifiuti"   

Sentenza 07 marzo 2016, n.2436

Memoria difensiva ex art. 121
c.p.p., del 3 giugno 2015

La Redazione di
OLIR.it ringrazia per la documentazione il Prof. Silvio Ferrari –
Università degli Studi di Milano e  l'Ufficio Legale
della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova

La
Redazione di OLIR.it segnala il contributo di Nicolò Amore, La
tutela penale del segreto ministeriale delle confessioni religiose
prive di intesa
, pubblicata sulla Rivista Diritto Penale
Contemporaneo, 19 dicembre 2016.

Ordinanza 08 ottobre 2012

Ai fini della sussistenza della responsabilità di cui all’art. 2049
c.c., deve rilevarsi come per costante giurisprudenza il preponente
sia responsabile allorché l’instaurarsi del rapporto di
preposizione si ponga in rapporto di occasionalità necessaria
rispetto al fatto di reato, nel senso che proprio il rapporto di
preposizione – con l’attribuzione al preposto di determinati
compiti e responsabilità (nel caso di specie, in qualità di Parroco)
– lo abbia messo nella condizione di potere compiere più
agevolmente il fatto dannoso (nel caso in oggetto, un fatto di reato),
che altrimenti sarebbe stato al di fuori della sua portata o avrebbe
potuto commettere solo con molta più difficoltà.

Sentenza 07 marzo 1963

Fatto costitutivo del delitto di vilipendio della religione dello
Stato è l’offesa grave diretta contro le credenze fondamentali
della religione stessa, offesa che, esprimendosi con atti, gesti,
parole, disegni, immagini, suoni o qualsiasi altra forma di
manifestazione del pensiero e del sentimento, assuma il carattere
della derisione, del disprezzo, del dileggio o dello scherno, si che
l’agente mostri di tenere a vile l’istituzione tutelata dalla
legge. Commette pertanto vilipendio della religione dello Stato il
regista che, nel rappresentare la ripresa cinematografica di alcune
scene della passione di Cristo, metta in ridicolo simboli e soggetti
sacri, costituenti l’intima essenza della religione, attraverso il
commento musicale, la mimica degli attori, il dialogo e i rumori.

Sentenza 24 giugno 2009

RICORDATO CHE LA MINACCIA PUÒ CONSUMARSI ANCHE CON LOCUZIONI VERBALI
CHE IN MODO INDIRETTO RAPPRESENTINO IL MALE MINACCIATO (ES. MINACCIA
IMPLICITA),  L'ACCUSARE UNA PERSONA  DI ESSERE UNA MUSULMANA
APOSTATA DIVENUTA CRISTIANA, PUÒ VALERE COME MINACCIA DI MORTE (NEL
CASO DI SPECIE, VENIVA RITENUTO SUSSISTENTE IL DOLO – CHE NEL CASO
DELLA MINACCIA RICHIEDE LA COSCIENZA E VOLONTÀ DI PROSPETTARE UN MALE
INGIUSTO DIRETTO AD INTIMIDIRE, NON IMPORTANDO L'EFFETTIVO
PROPOSITO DI TRADURRE IN ATTO IL MALE MINACCIATO – IN QUANTO
L'IMPUTATO, CREDENTE ISLAMICO, NON POTEVA NON SAPERE CHE
L'APOSTATA È PASSIBILE DI MORTE SECONDO LA LEGGE ISLAMICA).

Decreto di archiviazione 23 gennaio 2009

Per il Tribunale di Vicenza, l’indiano aderente alla religione sikh
che, in conformità ai precetti della propria religione, porti in
pubblico un pugnale kirpan privo del filo di lama non commette il
reato di ‘Porto di armi od oggetti atti ad offendere’ (art. 4 l.
n. 110/75). Ciò non già perché il porto di quel pugnale è
giustificato, in ossequio alla libertà di religione riconosciuta
dall’art. 19 Cost., dal motivo religioso che lo sorregge, bensì
perché l’assenza del filo di lama impedirebbe di qualificare il
kirpan come strumento “atto ad offendere”.

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Un’annotazione dell’ordinanza, da parte di Gian Luigi Gatta, è
stata pubblicata ne Il Corriere del Merito (Ipsoa ed.), 2009, n. 5, p.
536 s., all’interno della rubrica ‘Osservatorio di diritto e
processo penale’.

Sentenza 19 febbraio 2009

Il porto del pugnale kirpan costituisce un segno distintivo di
adesione ad una regola religiosa e, quindi, una modalità di
espressione della fede religiosa Sikh, garantita dall’art. 19 Cost.
oltre che da plurimi atti internazionali, perciò non costituisce
reato.
Nella fattispecie il Tribunale di Cremona ha assolto un indiano sikh
dal reato di porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad offendere
(art. 4 l. 18 aprile 1975 n. 110) per avere portato con sé fuori
dalla propria abitazione un pugnale kirpan della lunghezza complessiva
di 17 cm (di cui 10 di lama), calzato in un fodero. L’indiano era
stato fermato dalle forze dell’ordine mentre si trovava
all’interno di un centro commerciale, vestito con una tunica bianca
e con un turbante. Una volta fermato, aveva subito giustificato il
porto del pugnale kirpan affermandone la natura di simbolo religioso:
una circostanza ha trovato riscontro durante il processo, dove è
risultato provato, anche grazie a un certificato del Consolato
generale dell’India, che per i sikh il kirpan è simbolo della
resistenza al male e che deve essere sempre portato in modo visibile.

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Un’annotazione dell’ordinanza, da parte di Gian Luigi Gatta, è
stata pubblicata ne Il Corriere del Merito (Ipsoa ed.), 2009, n. 4, p.
399 s., all’interno della rubrica ‘Osservatorio di diritto e
processo penale’.

Sentenza 09 novembre 2007

La circoncisione rituale consiste in una menomazione dell’integrità
fisica che non può prescindere dall’attenta valutazione delle
condizioni del soggetto che la subisce, per le potenziali conseguenze
negative che potrebbero aversi sulla sua salute, e che deve essere
eseguita nel rispetto della buona pratica clinica, garantendo
successivamente un’adeguata assistenza. Lo svolgimento di tale
attività richiede, dunque, in ogni caso l’intervento di personale
medico (nel caso di specie, veniva ritenuta responsabile del reato di
cui all’art. 348 c.p. la madre di un neonato che aveva sottoposto il
figlio a circoncisione rituale, affidandolo a persona estranea alla
professione medica).

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In proposito: VITO PLANTAMURA, _Brevi note in tema di circoncisione
maschile rituale, esercizio abusivo della professione e lesioni_, in
“Giurisprudenza di merito”, 2008, 10, p. 2590 ss.; ANTONIO G.
CHIZZONITI, _Multiculturalismo, libertà religiosa e norme penali_, in
G. De Frenacesco – C. Piemontese – E. Venafro (a cura di), _Religione
e religioni: prospettive di tutela, tutela della libertà_, Torino,
2007, 29 ss., e, spec., p. 42 ss.