Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 08 maggio 2007, n.727

La giurisprudenza ha più volte chiarito come – in seguito della
sentenza della Corte Costituzionale n. 396 del 1988 – l’accertamento
della natura pubblica o privata delle IPAB regionali e infraregionali
già esistenti vada effettuato anche direttamente dal Giudice sulla
base dei criteri indicati dal D.P.C.M. 16 febbraio 1990, che ha
stabilito gli specifici presupposti cui avere riguardo. In proposito
è stato, inoltre, precisato (cfr., ex multis, Cass., SS.UU., 29 marzo
1989 n. 1545) che l’accertamento della natura privata di detti enti
venga effettuato dal Giudice sulla base dei seguenti indici di
riconoscimento, fra loro alternativi: la costituzione dell’Ente da
parte di soggetti privati o religiosi; un patrimonio composto, anche
in parte, da fondi di provenienza privata; la nomina (anche solo in
parte) privata dei membri degli organi direttivi dell’Ente;
l’irrilevanza della denominazione assunta dagli Enti e della stessa
volontà dei loro organi direttivi (cfr., Cass., SS.UU., 7 maggio 1998
n. 4631; 3 dicembre 1990 n. 11564).

Sentenza 15 novembre 2007, n.3635

E’ inammissibile, per carenza di legittimazione attiva
dell’associazione ricorrente, il ricorso che impugni la delibera che
autorizza la visita pastorale dell’Ordinario diocesano alle
comunità scolastiche, laddove l’associzione stessa non dimostri
l’esistenza, nell’ambito territoriale interessato, di qualche
soggetto affiliato all’associazione, che si affermi concretamente
leso da tale provvedimento.

Sentenza 26 ottobre 2007, n.2512

In materia di riconoscimento della personalità giuridica vige il
principio per cui l’applicabilità della normativa speciale sui c.d.
“culti ammessi” (legge n. 1159/1929) scatta ogni qualvolta si
rinvenga la presenza di un fine di culto nell’organizzazione,
qualunque importanza questo possa assumere nella sua esistenza
giuridica (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 25 maggio 1979, n. 369, a
proposito delle confraternite delle confessioni diverse dalla
cattolica). Ciò rilevato, compete dunque al solo Ministero
dell’Interno, per legge, l’accertamento delle finalità religiose
(come costitutive ed essenziali) di un ente che intenda ottenere il
riconoscimento della personalità giuridica civile quale ente di culto
(cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere 8 novembre 2006, n. 3621).
Nel caso di specie, tale riconoscimento è stato negato per la non
chiara distinzione – tra gli obiettivi dell’associzione – delle
finalità di carattere più propriamente religioso e per la mancata
previsione statutaria di ministri di culto. La presenza di ministri di
culto riconosciuti – secondo il giudice adito – consente, infatti, sia
di individuare un preciso interlocutore per le autorità civili, nei
rapporti con l’ente religioso e le sue articolazioni/aggregazioni
sul territorio, sia costituisce una fondamentale garanzia interna
sotto il profilo del rispetto della libertà di coscienza degli
aderenti.

Sentenza 28 settembre 2007, n.1505

Non sussiste un potere discrezionale di valutazione della personalità
morale del richiedente, che si appunta in capo al Ministero
dell’Interno, nell’attività di approvazione dei ministri di culto
di confessioni diverse da quella cattolica. L’art. 3, della L.n.
1159 del 26 giugno 1929 (Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi
nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti
medesimi) si limita, infatti, a prevedere l’approvazione della nomina
a ministro di culto da parte dell’autorità statale, al fine di
conferire rilevanza giuridica agli atti posti in essere da questi
ultimi, ma in assenza di una espressa menzione dei requisiti
soggettivi cui l’approvazione sarebbe subordinata, si deve ritenere
che si tratti di un atto vincolato, soggetto ad una verifica di mera
regolarità formale (cioè l’effettiva provenienza dell’atto di
nomina dalla confessione religiosa richiamata nella domanda).

Sentenza 15 giugno 2001, n.567

Al fine di stabilire se sussista la giurisdizione del giudice
ordinario oppure quella del giudice amministrativo occorre dare
rilievo decisivo alla vera natura della controversia, con riferimento
alle concrete posizioni soggettive delle parti in relazione alla
disciplina legale della materia. In partioclare, deve evidenziarsi
che, in base ai principi generali, esclusi i casi di giurisdizione
esclusiva, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la
tutela dei diritti soggettivi, mentre sono devolute al giudice
amministrativo le controversie in cui si assumano lese posizioni di
interesse legittimo. Nel caso di specie l’interessata ha impugnato
la sua esclusione dalla sessione degli esami per conseguire
l’abilitazione all’insegnamento, cioè un atto finalizzato a
conseguire la possibilità di ingresso nei ruoli della P.A. in
qualità di insegnante. Tale controversia non attiene al pubblico
impiego, riservata al giudice ordinario, né alla materia dei concorsi
per l’ingresso nella P.A. oggi residuata al giudice amministrativo.
In realtà, la questione deve essere infatti compresa tra quelle che
attengono ai pubblici servizi i quali sono stati attribuiti al giudice
amministrativo in via esclusiva. Tuttavia, la stessa norma effettua
una esclusione, relativamente ai rapporti individuali di utenza con
soggetti privati; questi rapporti non possono, quindi, essere
ricondotti nell’ambito della giurisdizione esclusiva e, pertanto, la
loro giurisdizione va individuata in base ai principi che radicano il
giudizio presso il giudice amministrativo con riferimento ai principi
vigenti in tema di giurisdizione generale di legittimità. Ne consegue
che il relativo giudizio verrà assorbito nell’alveo della
giurisdizione amministrativa solo nel caso che il provvedimento della
pubblica amministrazione rientri nel novero degli atti autoritativi,
permeati della discrezionalità piena della Pubblica Amministrazione.
Tuttavia, la stessa norma effettua una esclusione, relativamente ai
rapporti individuali di utenza con soggetti privati; questi rapporti
non possono, quindi, essere ricondotti nell’ambito della
giurisdizione esclusiva e, pertanto, la giurisdizione di essi va
individuata in base ai principi che radicano il giudizio presso il
giudice amministrativo con riferimento ai principi vigenti in tema di
giurisdizione generale di legittimità, per cui il relativo giudizio
verrà assorbito nell’alveo della giurisdizione amministrativa solo
nel caso che il provvedimento della pubblica amministrazione rientri
nel novero degli atti autoritativi, permeati della discrezionalità
piena della Pubblica Amministrazione. Ne consegue che la controversia
rientra tra quelle che riguardano un rapporto individuale di utenza
con un soggetto privato al di fuori della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo e riguarda la tutele di una situazione
giuridica soggettiva di interesse legittimo. Con riferimento a tale
posizione giuridica soggettiva dedotta deve, pertanto, ritenersi
sussistente la giurisdizione di questo Tribunale a conoscere della
controversia in esame.

Sentenza 16 aprile 2007, n.3689

Ai fine della partecipazione alla sessione riservata per il
conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola
secondaria, l’art. 1 comma 2 dell’Ordinanza Ministeriale n. 1 del
2 gennaio 2001 preve la prestazione di almeno 360 giorni di servizio –
nel periodo compreso fra l’anno scolastico 1989 ed il 27 aprile 2000
– per le materie corrispondenti a quelle per le quali si chiede
l’abilitazione. La motivazione di questa scelta risiede nella
volontà del legislatore di utilizzare le esperienze professionali
maturate nel mondo della scuola, sul presupposto della preparazione
culturale riferita al titolo universitario posseduto (nel caso di
specie, non veniva calcolato , ai fini dell’ammissione al concorso di
abilitazione, il periodo di servizio prestato dalla ricorrente
nell’insegnamento della religione cattolica).

Sentenza 25 luglio 2007, n.6926

Il Diploma di Specializzazione in pedagogia religiosa, conseguito
presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, rappresenta
l’atto finale di un corso biennale di specializzazione, rilasciato da
un Istituto Universitario ammesso dallo Stato italiano al
riconoscimento di Lauree e Titoli Universitari Superiori. Sotto tale
profilo questo titolo chiude dunque un percorso formativo della durata
complessiva di sei anni e non può pertanto essere valutato quale
diploma di magistero, ma come diploma post-universitario di
specializzazione.

Sentenza 25 luglio 2007, n.6914

Il responsabile del procedimento, in presenza di
un’autodichiarazione relativa al possesso di un titolo, di fronte al
dubbio sull’effettivo possesso, sulla data di conseguimento, o sulla
validità stessa del titolo dichiarato, deve procedere
all’integrazione documentale prevista dall’art. 6 lett. b della L.
n. 241/1990. La giurisprudenza ha infatti ribadito il principio
secondo cui, in assenza di specifiche previsioni normative, nelle
procedure concorsuali ad impieghi pubblici, le attestazioni di status
o di qualità prive delle prescritte formalità devono ritenersi
regolarizzabili ogni qualvolta sussista l’esigenza di accordare
prevalenza all’accertamento dell’effettivo possesso di un titolo
tempestivamente prodotto. Siffatto modo di procedere, ferma restando
l’immodificabilità sostanziale del contenuto del documento, non lede
in alcun modo il principio di imparzialità ma, al contrario, ne
rappresenta un’applicazione equa e ragionevole (nel caso di specie,
veniva accolto il ricorso di un’insegnante di religione il cui
“Diploma di Specializzazione in Scienze Religiose” non era stato
valutato dall’Amministrazione sull’erroneo presupposto che
l’interessata avesse prodotto solo il certificato di iscrizione e di
frequenza al secondo anno, concludendo quindi per la non
documentazione dello stesso ai fini del conferimento del punteggio)

Ordinanza 14 giugno 2006, n.3422

TAR LAzio. Ordinanza 14 giugno 2006, n. 3422: “IRC: Concorso riservato e titoli di qualificazione professionale richiesti”. TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO – ROMA SEZIONE TERZA QUATER nelle persone dei Signori: MARIO DI GIUSEPPE Presidente CARLO TAGLIENTI Cons. UMBERTO REALFONZO Cons. , relatore ha pronunciato la seguente ORDINANZA nella Camera di Consiglio del 14 Giugno […]

Sentenza 02 aprile 2007, n.3016

I presidi del servizio sanitario nazionale, siano essi pubblici che
privati, vanno considerati in linea di principio su di un piano di
parità, assicurata attraverso un meccanismo di finanziamento del
settore basato sul sistema di remunerazione a tariffa delle
prestazioni sanitarie rese all’utenza, sia per quelle direttamente
erogate dalle aziende sanitarie e ospedaliere, sia per quelle
acquistate, in base ad accordo o contratto, da ogni altra struttura
accreditata. Vi è tuttavia una peculiarità che distingue
l’operatività delle strutture pubbliche da quelle private. I presidi
sanitari pubblici, a differenza degli altri soggetti privati
accreditati, hanno l’obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti
anche oltre il tetto preventivato, nei limiti ovviamente della loro
capacità operativa determinata dall’assetto strutturale ed
organizzativo. Le strutture private, invece, pur prestando un servizio
pubblico del tutto analogo sotto ogni altro aspetto, sono vincolate ad
erogare le prestazioni sanitarie richieste nell’ambito del servizio
sanitario nazionale unicamente nei limiti stabiliti negozialmente (nel
caso di specie, veniva riconosciuto come gli atti impugnati tendessero
ad imporre una proposta “contrattuale” essenzialmente basata sul
presupposto di un protocollo di intesa elaborato per la sanità
privata, rispetto al quale la ricorrente – titolare di un ospedale
“classificato”, ex lege n. 132 del 1968 – era estranea).