Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 25 ottobre 2010, n.7050

L’art. 52, comma 3 bis, della legge regionale Lombardia n.
12/2005 (il quale stabilisce che “I mutamenti di destinazione
d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di
opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi
destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di
costruire”), per la sua collocazione e la sua ratio è
palesemente volto al controllo di mutamenti di destinazione
d’uso suscettibili, per l’afflusso di persone o di utenti,
di creare centri di aggregazione (chiese, moschee, centri sociali,
ecc.) aventi come destinazione principale o esclusiva
l’esercizio del culto religioso o altre attività con
riflessi di rilevante impatto urbanistico, che richiedono la verifica
delle dotazioni di attrezzature pubbliche rapportate a dette
destinazioni.
La norma non pare quindi applicabile nel caso in
cui l’immobile venga utilizzato da un’associazione
culturale in cui il fine religioso rivesta carattere di
accessorietà e di marginalità nel contesto degli scopi
statutari. Del pari insufficiente è la circostanza che nella
sede dell’associazione sia stata occasionalmente riscontrata la
presenza di persone di religione islamica ovvero di persone raccolta
in preghiera, non potendosi qualificare, ai predetti fini,
“luogo di culto” un centro culturale o altro luogo di
riunione nel quale si svolgano, privatamente e saltuariamente,
preghiere religiose, tanto più ove si consideri che non rileva
di norma ai fini urbanistici l’uso di fatto dell’immobile
in relazione alle molteplici attività umane che il titolare
è libero di esplicare.

Sentenza 21 settembre 2010, n.6353

Il sussidio integrativo al minimo vitale non può essere definito
come una prestazione sociale fondante un diritto soggettivo ai sensi
dell’art. 80, comma 19 della legge n. 388/2000, bensì come una
prestazione residuale che il Comune elargisce in base ai compiti
assistenziali di natura generale e ricadente, dunque, entro l’ambito
applicativo dell”art. 41 del T.U. immigrazione. Questa norma prevede,
in materia assistenziale, la parità di trattamentro con i cittadini
nazionali degli stranieri legalmente residenti in Italia con permesso
di soggiorno della durata di almeno un anno.

Ordinanza 04 marzo 2010, n.160

TAR Veneto. Sezione III. Ordinanza sospensiva 4 marzo 2010, n. 160: "Accolta la richiesta di sospensione cautelare dell'ordinanza anti-accattonaggio". Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) ha pronunciato la presente ORDINANZA Sul ricorso numero di registro generale 245 del 2010, proposto da: Razzismo Stop Associazione Onlus, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Dell'Agnese, con […]

Ordinanza 22 marzo 2010, n.40

E’ rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli
articoli 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76,
77, 97,113, 117 e 118 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 54, comma 4, del Dlgs. 18 agosto 2000,
n. 267, come modificato dal decreto legge 23 maggio 2008, n. 92,
convertito, con modificazioni, in legge 24 luglio 2008, n. 125, nella
parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle
parole “contingibili ed urgenti”. Secondo l’attuale formula,
infatti, Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta “con atto
motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei
principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di
eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la
sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono
preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della
predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro
attuazione” . Per effetto della legge di conversione è stato
pertanto attribuita al Sindaco, accanto al tradizionale potere di
adottare provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini,
la possibilità di adottare ordinanze anche non contingibili ed
urgenti (nel caso di specie, l’ impugnatava riguarda una ordinanza
comunale di divieto dell’accattonaggio su tutto il territorio
comunale, compresi una serie di luoghi puntualmente indicati: le
intersezioni stradali, l’interno delle aree adibite a
parcheggio, le zone in prossimità di luoghi di culto e di cimiteri,
gli ingressi di esercizi commerciali o di uffici pubblici).

Sentenza 28 gennaio 2010, n.183

Le cartelle cliniche non costituiscono, quanto meno isolatamente
considerate, un elemento di per sé probante ai fini
dell’accertamento della validità del vincolo matrimoniale religioso
ed alla connessa valutazione della discrezione di giudizio circa i
diritti e i doveri del matrimonio e della capacità di assumere le
obbligazioni essenziali del matrimonio. Un’eventuale valutazione di
indispensabilità della loro acquisizione nell’ambito del giudizio
di validità del matrimonio spetta, pertanto, unicamente al tribunale
ecclesiastico, il quale dispone di ampie possibilità istruttorie,
connesse al principio fondamentale, espresso dal canone 1527 del
Codice di diritto canonico, secondo cui possono essere addotte prove
di qualunque genere, che sembrino utili per esaminare la causa e siano
lecite.

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In OLIR.it
Consiglio di Stato. Sezione Quinta. Sentenza 28 settembre 2010, n.
7166 (II grado)
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5504]

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In OLIR.it cfr.:
TAR Puglia. Sentenza 27 luglio 2007, n. 3015
[https://www.olir.it/documenti/?documento=4376]
Consiglio di Stato. Sezione Quinta. Sentenza 14 novembre 2006, n. 6681
TAR Campania. Sentenza 10 novembre 2005, n. 2248
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4117]
Consiglio di Stato. Sezione V. Sentenza 8 aprile 2003, n. 4002

Ordinanza 01 ottobre 2010, n.700

L’ordinanza impugnata, sebbene non intenda sanzionare di per sé la
mendicità, ma solo quella posta in essere recando disturbo e
molestia, si fonda su una norma di dubbia legittimità costituzionale.
Infatti l’articolo 54 TUEL novellato, che attribuisce al Sindaco un
vasto potere di ordinanza, esercitabile senza limiti di tempo e a
prescindere da situazioni di urgenza, è potenzialmente eversivo della
gerarchia delle fonti prevista dalla Carta costituzionale, che
consente in linea di principio solo alla legge e agli atti equiparati
di incidere sulla sfera giuridica di libertà del cittadino.

Sentenza 14 settembre 2010, n.3477

Il medico obiettore, legittimamente inserito, nella struttura del
Consultorio è comunque tenuto all’espletamento di tutte
le attività istruttorie e consultive previste dalla legge n.
194/1978. L’avere o non avere manifestato una specifica convinzione
personale, attraverso la presentazione ovvero l’omessa presentazione
della dichiarazione di obiezione di coscienza ex art. 9 legge n.
194/1978, non costituisce dunque requisito essenziale e determinante
ai fini dello svolgimento dell’attività in esame, diversamente da
quanto accade nelle strutture autorizzate a praticare l’interruzione
della gravidanza.
Ciò rilevato, la procedura selettiva che escluda aprioristicamente i
medici specialisti obiettori dall’accesso ai Consultori appare
discriminatoria, oltre che irrazionale, poiché non giustificata da
alcuna plausibile ragione oggettiva. Ne consegue che la clausola del
bando che richieda specialisti non obiettori di coscienza per
attività consultoriali, viola il principio costituzionale di
eguaglianza (art. 3 Cost.), i principi posti a fondamento della
obiezione di coscienza (artt. 19 e 21 Cost.) e contrasta, altresì,
con l’art. 4 Cost. relativo al diritto al lavoro, realizzando una
inammissibile discriminazione. 
Nel caso di specie, il Tribunale adito ritenendo che la clausola
“espulsiva” del bando impugnato (la nota prot. 242 dell’8.4.2010
denominata “Pubblicazione Turni Vacanti” 1° trimestre 2010,
effettuata dal Comitato Consultivo Zonale Medici Specialisti
Ambulatoriali Interni della Regione Puglia – Bari) e la scelta
amministrativa degli atti programmatici presupposti (deliberazione
della Giunta Regionale n. 735 del 15.3.2010; Piano Attuativo Locale
adottato dalla ASL Bari; deliberazione della Giunta Regionale n. 405
del 17.3.2009) si ponessero in contrasto con i principi di
proporzionalità e ragionevolezza, ha accolto il ricorso proposto,
annullando sia gli atti programmatici presupposti, nei limiti in
cui veniva impedito l’accesso ai Consultori ai medici ginecologi
obiettori, sia la nota prot. 242 dell’8.4.2010, nella parte in cui
sotto il paragrafo “Ostetricia-Ginecologia” con riferimento ai
punti 18) ASL-BA n. 38 ore sett/li DSS n. 2 di Corato e 19) ASL-BA n.
38 ore sett/li DSS n. 14 di Putignano specificava: “Si richiedono
specialisti non obiettori di coscienza per attività consultoriali dei
Comuni del DSS n. 2 e del DSS n. 14”.

Sentenza 29 settembre 2010, n.32600

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche
corrisponde non a scelte squisitamente didattiche, ma ad un impegno
assunto dallo Stato rispetto ad altro Ente sovrano, al cui magistero
resta direttamente connessa una dottrina – il cui apprendimento è
comunque facoltativo – ritenuta attinente al patrimonio storico e
culturale del popolo italiano, con modalità di selezione del
personale docente del tutto peculiari, dovendo l’idoneità del
medesimo essere riconosciuta dalla competente autorità ecclesiastica,
non estranea nemmeno alla scelta dei testi di apprendimento e ad altre
modalità organizzative (artt. 2 e 3 D.P.R. n. 751/1985 cit.; cfr.
anche, Cons. St., sez. VI, 27.8.1988, n. 1006). Un siffatto percorso
formativo, i cui contenuti morali e culturali giustificano la pari
dignità del relativo personale docente, rispetto a quello addetto ad
altre discipline, nell’ambito di quanto attenga allo svolgimento
dell’anno scolastico, senza che ciò possa razionalmente escludere
una diversa valutazione dell’esperienza didattica in questione, in
rapporto a normative eccezionali di favore (nel caso di specie,
l’ O.M. n. 153 del 15 giugno 1999, integrata dalla O.M. n. 33 del 7
febbraio 2000), attraverso le quali l’amministrazione intenda
agevolare l’immissione nei ruoli di personale precario, che sia
stato reclutato e abbia svolto attività di insegnamento secondo le
regole dettate dallo Stato stesso, per finalità strettamente inerenti
alla formazione culturale e scientifica degli studenti.

Sentenza 13 aprile 2010, n.6669

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane non
universitarie di ogni ordine e grado è impartito in adempimento
dell’impegno assunto dallo Stato italiano con l’art. 36 del Concordato
del 1929 che ha trovato conferma nell’art. 9 comma 2 legge n. 121 del
1985, di ratifica delle modificazioni introdotte dal Concordato
medesimo. Quanto ai soggetti abilitati ad impartire il predetto
insegnamento l’art. 2 comma 5 dell’intesa tra Autorità scolastica
italiana e Conferenza episcopale italiana, resa esecutiva con D.P.R.
16/12/1985 n. 761, ha stabilito che ” l’insegnamento della religione
cattolica è impartito da appositi docenti che siano sacerdoti oppure
religiosi oppure laici riconosciuti idonei dall’ordinamento diocesano,
nominati dall’Autorità italiana competenti d’intesa con l’Ordinariato
stesso ” (cfr. Parere Sez.II C.d.S 243/07 del 20/12/2007). In tale
ottica la giurisprudenza del Consiglio di Stato, lungi da scorgere una
totale ed incondizionata equiparazione fra insegnamento della
religione cattolica e gli altri insegnamenti, ha quanto ai soggetti
abilitati ad impartire il primo, costantemente rilevato la
pecularietà della posizione di “status ” dei docenti di religione in
rapporto ai differenziati profili di abilitazione professionale
richiesti, alle distinte modalità di nomina e di accesso ai compiti
didattici, nonché alla specificità dell’oggetto dell’insegnamento
che non ne consentono l’omologazione agli insegnanti in posizione
ordinaria (cfr, già citato C.d.S. Sez. II parere 243/07 e la
giurisprudenza ivi richiamata).

Sentenza 13 aprile 2010, n.4958

Posto che né il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante
“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica” (convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125), né la legge 15
luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica”, attribuiscono ai Sindaci poteri relativi
all’organizzazione ed alla gestione delle istituzioni statali
ricadenti sul territorio comunale e rilevato, inoltre, che l’art. 2
del D.M. 5 agosto 2008 sollecita l’esercizio dei poteri sindacali in
materia di sicurezza urbana ed incolumità pubblica nella direzione
funzionale della prevenzione e del contrasto di una serie di
situazioni tassativamente tipizzate dalla stessa disposizione,
attraverso una elencazione alla quale rimane estranea la materia della
esposizione dei simboli religiosi, deve ritenersi che il provvedimento
che impone il mantenimento del crocifisso nelle aule scolastiche e
negli uffici pubblici comunali, sia emanato da un’autorità
amministrativa priva già in astratto di competenza in materia di
disciplina dell’oggetto del provvedimento medesimo. In ragione della
specificità della ipotesi in esame (esercizio di un potere estraneo
alle competenze attribuite dalla legge all’amministrazione emanante,
perché attribuito ad altra amministrazione) appare pertanto
preferibile ricondurre la stessa, nell’ambito della disciplina
posta dall’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, alla
fattispecie di nullità per difetto assoluto di
attribuzione. Pertanto, la specifica causa di nullità riscontrata
(difetto assoluto di attribuzione), implicando l’assenza nella
fattispecie di profili effettuali riconducibili all’esercizio di un
potere autoritativo, non consente di radicare la giurisdizione del
giudice amministrativo, in considerazione del fatto che nessun effetto
giuridico (e dunque neppure effetti suscettibili di incidere sulla
posizione soggettiva del destinatario) si è prodotto in conseguenza
dell’esercizio di un potere privo di una attribuzione legale, al cui
atto di esercizio la legge espressamente commina la sanzione della
nullità.