Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 09 febbraio 2016, n.166

L'art. 96, comma 4 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che
“Gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere
utilizzati fuori dell’orario del servizio scolastico per
attività che realizzino la funzione della scuola come centro di
promozione culturale, sociale e civile …”. Tale norma
tuttavia non scinde il nesso con le attribuzioni
dell’istituzione che ha in uso i locali, ancorandone la
destinazione al raggiungimento di obiettivi che sottintendono la piena
partecipazione della comunità scolastica, oltre che della
collettività in generale, in funzione di una crescita
complessiva improntata all’arricchimento del loro patrimonio
culturale, civile e sociale. In questo senso, a parere della Tribunale
adito, non v’è spazio pertanto per riti religiosi –
riservati per loro natura alla sfera individuale dei consociati
–, mentre possono esservi occasioni di incontro su temi anche
religiosi che consentano confronti e riflessioni in ordine a questioni
di rilevanza sociale, culturale e civile, idonei a favorire lo
sviluppo delle capacità intellettuali e morali della
popolazione, soprattutto scolastica, senza al contempo sacrificare la
libertà religiosa o comprimere le relative scelte. Il fatto che
un’invalicabile linea di confine sia a tali fini costituita
dalla circostanza che si tratti o meno di un atto di culto religioso
è del resto confermato da una pronuncia del giudice
amministrativo che, chiamato a stabilire se dovesse riconoscersi alla
visita pastorale dell’Ordinario diocesano presso le
comunità scolastiche un effetto discriminatorio nei confronti
dei non appartenenti alla religione cattolica, ha rilevato come, alla
luce della definizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 222
del 1985, non si trattasse di attività di culto o di cura delle
anime ma piuttosto di testimonianza culturale tesa ad evidenziare i
contenuti della religione cattolica in vista di una corretta
conoscenza della stessa, così come sarebbe stato nel caso di
audizione di un esponente di un diverso credo religioso o spirituale
(v.
Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2010 n. 1911)
. Nel caso in esame,
al contrario, è stato autorizzato un vero e proprio rito
religioso da compiersi nei locali della scuola e alla presenza della
comunità scolastica, sì che non ricorre l’ipotesi
di cui all’art. 96, comma 4, del d.lgs. n. 297 del 1994. Sono
pertanto annullate le deliberazioni del Consiglio di Istituto che
avevano concesso l'apertura dei locali scolastici per le
benedizioni pasquali richieste dai parroci del territorio al termine
dell'orario scolastico.


[La Redazione di OLIR.it ringrazia
per la segnalazione del documento il Prof. Manlio Miele –
Università degli Studi di Padova]

Ordinanza 13 novembre 2015, n.1483

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione
Quarta), accoglie la domanda cautelare, e per l’effetto sospende
l’efficacia dei provvedimenti aventi ad oggetto
l'assegnazione provvisoria in uso di immobili di proprietà
comunale per il loro utilizzo per finalità religiose e
ulteriori attività sociali e culturali, posto che le
clausole della lex specialis che precludono la partecipazione ai
concorrenti che hanno contenziosi in atto con l'amministrazione
comunale, oltre a violare il principio di tassatività delle
cause di esclusione dettato in materia di appalti pubblici, si pongono
altresì in aperto contrasto con i principi di non
discriminazione, parità di trattamento, e
proporzionalità, atteso che la semplice esistenza di un
contenzioso in atto non è di per sé indice di
inaffidabilità, potendosi peraltro la lite chiudersi in favore
del concorrente (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 15.1.2013 n. 313)

Sentenza 28 ottobre 2015, n.2271

Con riferimento alla determinazione regionale di porre a totale carico
degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo
eterologo, diversamente da quanto previsto per la PMA di tipo omologo
– per la quale gli utenti sono tenuti al versamento del solo ticket,
restando in capo alla Regione il costo dell'intervento -, le
censure contenute nel ricorso sono fondate. Anzitutto non assume
rilievo determinante la circostanza che la PMA, sia omologa che
eterologa, non sia ricompresa formalmente nel d.P.C.M. che individua
le prestazioni da qualificare livelli essenziali di assistenza, atteso
che, se l'inserimento della prestazione nei LEA può avere
un effetto costitutivo nella qualificazione della stessa, rendendone
quindi doverosa l'erogazione su tutto il territorio nazionale alle
medesime condizioni minime, il mancato inserimento nell'elenco non
può determinare l'effetto opposto, considerato che va
verificata in concreto l'appartenenza di una determinata
prestazione al novero dei diritti fondamentali e, in caso affermativo,
va certamente garantita nel suo nucleo essenziale a tutti i soggetti e
su tutto il territorio nazionale. A tal proposito appare
opportuno richiamare la sentenza n. 162 del 2014 della Corte
costituzionale che ha evidenziato come "la scelta di [una] coppia
di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale
libertà di autodeterminarsi, libertà che, come [la]
Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso,
è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché
concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le
limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto
assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e
congruamente giustificate dall'impossibilità di tutelare
altrimenti interessi di pari rango". Inoltre la tematica in esame
è altresì riconducibile al "diritto alla salute,
che, secondo la costante giurisprudenza [della] Corte, va inteso
«nel significato, proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo
anche della salute psichica oltre che fisica» (sentenza n. 251
del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e
«la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute
fisica» (sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione
corrisponde a quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato
di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni
essere umano» (Atto di costituzione dell'OMS, firmato a New
York il 22 luglio 1946). In relazione a questo profilo, non sono
dirimenti le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo,
benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un
figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della
coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano
dette tecniche, è, infatti, certo che
l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme
al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo,
possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute
della coppia, nell'accezione che al relativo diritto deve essere
data, secondo quanto sopra esposto. In coerenza con questa
nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che,
«per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio
corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi
leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre che non siano lesi
altri interessi costituzionali" (Corte costituzionale, sentenza
n. 162 del 2014).
Trattandosi quindi di prestazione
riconducibile a una pluralità di beni costituzionali –
libertà di autodeterminazione e diritto alla salute – né
il legislatore né, a maggior ragione, l'autorità
amministrativa possono ostacolarne l'esercizio o condizionarne in
via assoluta, la realizzazione, ponendo a carico degli interessati
l'intero costo della stessa, al di fuori di ogni valutazione e
senza alcun contemperamento con l'eventuale limitatezza delle
risorse finanziarie.

Sentenza 21 maggio 2015, n.228

Spetta solo all'Autorità giudiziaria ordinaria disporre la
cancellazione di un atto indebitamente registrato nel Registro degli
atti di matrimonio, posto che le registrazioni dello stato civile non
possono subire variazioni se non nei limitati casi descritti e
normativamente previsti in modo espresso. L'ufficiale di stato
civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di correggere gli
errori materiali, laddove ogni rettificazione o cancellazione è
attribuita alla competenza dell'autorità giudiziaria
ordinaria (nel caso di specie, la trascrizione nei registri dello
stato civile di un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto
all'estero).

Sentenza 08 maggio 2015, n.501

Nel caso di specie, il Tribunale adito ha annullato la deliberazione
della Giunta regionale Venento n. 1645 del 2014, relativa al
"Documento sulle problematiche relative alla fecondazione
eterologa a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162
del 2014" della Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome, nella parte in cui stabilisce l'accesso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistitia (PMA) di tipo eterologo a carico
del SSN fino al compimento deil 43° anno di età della
donna, limite fissato invece a 50 anni, nel caso di PMA di tipo
omologo. La distinzione conseguente al mantenimento, per la sola
omologa, dei criteri e dei requisiti soggettivi più favorevoli
(50 anni) rispetto alla eterologa (43) – afferma la Corte – non
è infatti "in alcun modo giustificata, tanto da apparire
frutto di una non oculata valutazione circa le conseguenze che tale
specificazione avrebbe comportato". Il Collegio accoglie dunque
il ricorso proposto, in parte qua, avverso la delibera impugnata, in
quanto viziata per violazione dei principi costituzionali di
eguaglianza, nonché del diritto alla genitorialità ed
alla salute, disponendone l’annullamento nella parte in cui ha
ritenuto di applicare solo nel caso della PMA eterologa il menzionato
limite di età.

Sentenza 16 aprile 2015, n.943

La giurisprudenza amministrativa ha elaborato un principio di
carattere generale (riguardante in particolare la materia
dell'urbanistica), secondo il quale nel caso di jus superveniens,
rispetto ad un precedente giudizio, rileva solo la normativa
sopravvenuta "anteriore" alla notificazione della sentenza
(cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1). La regola
della notificazione tuttavia non si applica alle situazioni giuridiche
di carattere durevole (che riguardano cioè rapporti giuridici
di durata): in queste ipotesi sarà infatti applicabile la
normativa sopravvenuta, anche se successiva alla notificazione della
sentenza (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 11 maggio 1998, n. 2). Si
è inoltre chiarito che il giudicato è senz'altro
suscettibile di restare, per così dire,
"impermeabile" alle sopravvenienze normative solo quando la
sentenza abbia effetto vincolante pieno, e cioè abbia dato una
sostanziale soluzione definitiva alla questione controversa. Ora, nel
caso di specie, la sentenza di cui si chiede l'esecuzione non ha
sancito che l'interesse della ricorrente ad ottenere
l'individuazione di un'area da adibire ad attrezzature per il
culto islamico dovesse essere senz'altro accolta (si veda TAR
Lombardia sentanza 8 novembre 2013, n. 2485
), posto che tale
deliberazione si è limitata ad affermare che il Comune
esaminasse l'istanza presentata dalla ricorrente accertando
preliminarmente il possesso in capo a quest'ultima dei requisiti
richiesti dall'art. 70 della l.r. n. 12 del 2005 (aspetto
quest'ultimo trascurato – secondo la Corte – nella definizione del
PGT). Si deve pertanto ritenere che la l.r. n. 2 del 2015 sia
applicabile alla fattispecie in esame, con conseguente valutazione dei
requisiti richiesti da tale normativa in favore dei possibili
destinatari.

Sentenza 09 marzo 2015, n.3912

Una trascrizione nel Registro degli atti di matrimonio può
essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento
dell'Autorità giudiziaria e non anche adottando un
provvedimento amministrativo da parte dell’Amministrazione
centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che,
effettivamente, il Ministro dell'Interno vanta sul Sindaco in tema
di stato civile. Spetta cioè solo al Tribunale civile disporre
la cancellazione di un atto indebitamente registrato nel Registro
degli atti di matrimonio, posto che: le registrazioni dello stato
civile non possono subire variazioni se non nei limitati casi
descritti e normativamente previsti in modo espresso; l'ufficiale
di stato civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di
correggere gli errori materiali; ogni rettificazione o cancellazione
è attribuita alla competenza dell'autorità
giudiziaria ordinaria; fra le annotazioni possibili nel registro dei
matrimoni non è previsto alcun atto di annullamento o di
autotutela ma solo l'annotazione della rettificazione giudiziaria
[in questo senso cfr. TAR Lazio, Sezione I Ter, sentenze 9 marzo 2015,
nn. 3911 e 3907].

Sentenza 03 luglio 2014, n.7068

Osserva il Collegio che la valutazione compiuta dal Governo in ordine
al carattere non confessionale dell’Associazione ricorrente (nel
caso di specie, UAAR), in quanto richiama una concezione di
confessione religiosa avente un contenuto positivo e, quale
presupposto, “un fatto di fede rivolto al divino” –
escludendo per converso da tale nozione un contenuto negativo rivolto
ad escludere l’esistenza del trascendente e del divino – non
sembra manifestamente inattendibile o implausibile, risultando
viceversa coerente con il significato che, nell’accezione
comune, ha la religione, quale insieme delle credenze e degli atti di
culto che legano la vita di un individuo o di una comunità con
ciò che ritiene un ordine superiore e divino; tenuto poi conto
del fatto che la stessa UAAR si autodefinisce (nello
"Statuto") "organizzazione filosofica non
confessionale", che "si propone di rappresentare le
concezioni del mondo razionaliste, atee o agnostiche, come le
organizzazioni filosofiche confessionali rappresentano le concezioni
del mondo di carattere religioso", con ciò
autoqualificandosi essa stessa al di fuori dell'ambito delle
confessioni religiose, deve ritenersi infondato il ricorso presentato
contro il provvedimento di diniego dell'avvio delle trattatative
per stipulare una intesa con lo Stato ex art. 8, comma 3 della
Costituzione.


In OLIR.it:
Corte di
Cassazione. Sezioni Unite
Civili. Sentenza
28 giugno 2013, n. 16305

Consiglio
di Stato. Sentenza 18 novembre 2011, n. 6083

Sentenza 28 dicembre 2013, n.1176

Il Piano dei servizi, che ai sensi dell’art. 7 della l.r.
Lombardia 12/2005 è una delle articolazioni del PGT, ai sensi
del successivo art. 9 comma 4 “valuta prioritariamente
l'insieme delle attrezzature al servizio delle funzioni insediate
nel territorio comunale […] e, in caso di accertata
insufficienza o inadeguatezza delle attrezzature stesse, quantifica i
costi per il loro adeguamento e individua le modalità di
intervento. Analogamente il piano indica […] le
necessità di sviluppo e integrazione dei servizi esistenti, ne
quantifica i costi e ne prefigura le modalità di
attuazione”. Ai sensi degli artt. 71 e 72 della stessa l.r.
12/2005, fanno poi parte dei “servizi” che il relativo
Piano deve considerare anche le “attrezzature di interesse
comune destinate a servizi religiosi”, da pianificare
“valutate le istanze avanzate dagli enti delle confessioni
religiose di cui all’articolo 70”, ovvero di tutte le
confessioni religiose “come tali qualificate in base a criteri
desumibili dall’ordinamento ed aventi una presenza diffusa,
organizzata e stabile nell’ambito del comune ove siano
effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo, ed i cui
statuti esprimano il carattere religioso delle loro finalità
istituzionali”. La medesima norma prevede anche una
“previa convenzione” fra le associazioni ed il Comune
interessato. Un richiamo che va però interpretato in senso
conforme alle norme che nel nostro ordinamento garantiscono la
libertà di culto, nel senso che – secondo la Corte adita – la
stipula di tale convenzione deve ritenersi richiesta per realizzare
opere con contributi e provvidenze pubblici, non per la qualificazione
degli istanti come realtà sociali ai fini della programmazione
dei servizi religiosi. Tanto rilevato, la delibera di approvazione del
PGT viene dunque annullata nella parte in cui omette di apprezzare,
attraverso una corretta e completa istruttoria, quali e quante
realtà sociali islamiche, esistano nel Comune, di valutare le
loro istanze in termini di servizi religiosi e di decidere
motivatamente se e in che misura esse possano essere soddisfatte nel
Piano dei servizi.

Sentenza 08 novembre 2013, n.2485

Nel caso in esame un Comune lombardo ha negato la possibilità
di destinare una porzione del proprio territorio ad attrezzature
religiose per il culto islamico evidenziando, da un lato, il forte
impatto sociale che tale destinazione avrebbe provocato e,
dall'altro, la mancata stipulazione, da parte dell’ente
richiedente, della convenzione prevista dall’art. 70, comma
secondo, della l.r. Lombardia n. 12 del 2005. Il ricorso presentato
dalla associazione culturale islamica ricorrente è stato
accolto in base a due ordini di motivazioni. In primo luogo, il
Giudice adito ha rilevato che la normativa regionale non subordina la
possibilità di destinare aree per attrezzature religiose al
gradimento o alla condizione della “tolleranza sociale” da
parte della maggioranza della popolazione residente. Per quanto
riguarda invece la mancata stipula della convezione sopra citata, la
Corte ha ritenuto che parte ricorrente abbia adeguatamente dimostrato
che ciò sia dipeso dal fatto che la bozza, presentata dal
Comune, riguardasse aspetti non rilevanti ai fini urbanistici ed
edilizi ma incidenti sulle pratiche del culto o su aspetti
organizzativi dell’ente.