Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 10 marzo 2004, n.133

La destinazione all’esercizio pubblico del culto cattolico assume
rilevanza per l’ordinamento giuridico statuale, al fine di
assicurare il particolare regime giuridico di cui godono gli edifici
di culto; per accertare detta destinazione il nostro ordinamento
rinvia espressamente al diritto canonico. Al riguardo è necessario in
particolare un atto, proprio dell’Autorità ecclesiastica,
costitutivo della destinazione al culto pubblico, il quale risulta
produttivo di effetti anche sul diritto statuale e non viceversa. La
prova della cessazione della destinazione all’esercizio pubblico del
culto cattolico degli edifici in questione non può pertanto essere
raggiunta, secondo la previsione dell’art. 831 c.c., che “in
conformità alle norme che li riguardano” e cioè le previsioni del
diritto canonico. (Nel caso di specie, la Parrocchia ricorrente non
produceva in giudizio copia dell’atto scritto – previsto nelle varie
ipotesi dai canoni 1208, 1215 e 1223 – recante la deputatio ad cultum
pubblicum deglli immobili de quibus).

Sentenza 24 gennaio 2005

Nel caso di pronuncia di nuovi voti presso un altro ordine religioso
deve ritenersi viziato per falsità dei presupposti il provvedimento
di revoca del permesso di soggiorno per motivi religiosi fondato sulla
circostanza della perdita della condizione di religioso per
scioglimento dei voti dall’ordine di origine. Vero è, infatti, che
in base all’art. 645 del codice canonico viene richiesta per
l’assunzione ad un nuovo istituto un attestato dell’ordinario del
luogo o del superiore dell’ordine di precedente ammissione,
finalizzato ad una completa conoscenza della situazione precedente da
parte dei rappresentati del nuovo ordine, ma tale dichiarazione
comunque non sembra costituire condizione di legittimità per
l’ammissione ad un nuovo ordine, ladddove la stessa non risulti in
contestazione ad opera delle competenti autorità ecclesiastiche, nè
risulti essere stato instaurato al riguardo alcun procedimento (artt.
694 e 695 del Codice di Diritto Canonico)a carico del richiedente.

Sentenza 28 gennaio 2003

Possono qualificarsi come “chiese ed altri edifici religiosi” ai
sensi dall’art. 4 della Legge 29 Settembre 1964 n° 847 (come
integrato dall’art. 44 della Legge 2 Ottobre 1971 n° 865) e – come
tali – quali opere di urbanizzazione secondaria, solamente quegli
immobili la cui complementarità con la funzione religiosa della
confessione interessata sia stata ufficialmente dichiarata dai
competenti organi istituzionalmente rappresentativi della stessa
confessione religiosa. In difetto di esplicito riconoscimento del
carattere di “chiesa o altro edificio religioso”, ritualmente
effettuato dalle rappresentanze ufficiali delle varie confessioni
religiose esistenti, non appare pertanto possibile attribuire ad un
edificio de facto destinato al culto la qualificazione di opera di
interesse pubblico. Dunque, in presenza di una cappella e di altri
manufatti votivi, realizzati e frequentati da soggetti che praticano
la religione cattolica, ma non consacrati dall’Autorità
Ecclesiastica, appare corretto ritenere che tali costruzioni siano
idonee a soddisfare unicamente gli interessi del gruppo particolare di
persone che li frequentano, ma non anche l’interesse pubblico
generale.

Sentenza 03 febbraio 2003, n.881

Il ricorso, volto ad ottenere la rimozione dei simboli religiosi dalle
scuole pubbliche, è inamissibile per nullità della
notificazione,laddove quest’ultima sia stata effettuta presso la sede
del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
anziché, come previsto dall’art. 144 c.p.c. e dalle relative leggi
speciali, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

Sentenza 09 maggio 2005, n.3452

L’art. 13 della legge n. 40 del 2004 vieta qualsiasi sperimentazione
su embrioni umani e consente, in particolare, la ricerca clinica e
sperimentale soltanto per finalità terapeutiche e diagnostiche –
volte alla tutela della salute ed allo sviluppo dell’embrione –
qualora non siano possibili metodologie alternative. Le Linee guida
ministeriali prevedono invece unicamente al riguardo l’indagine
osservazionale, basata cioè sull’esame al microscopio di eventuali
anomalie di sviluppo dell’embrione creato in vitro, ponendo il
divieto della diagnosi preimpianto a finalità eugenetica. Sul punto,
non può tuttavia considerarsi sussistente alcuna difformità tra le
previsioni considerate, sebbene la legge n. 40/2004 sembri “prima
facie” dotata di una portata di applicazione più ampia rispetto al
provvedimento ministeriale. Infatti, considerato che non esistono
ancora terapie geniche che permettano di curare un embrione malato,
con possibile incidenza sullo stato di salute del medesimo, la
diagnosi preimpianto invasiva non può che concernere le sole qualità
genetiche dello stesso embrione senza alcuna diretta finalità
terapeutica. Dunque, essendo questo, ad oggi, lo stato dell’arte
medica, il divieto di diagnosi preimpianto risulta coerente con la
legge n. 40 ed, in particolare, con quanto prescritto dall’art. 13,
II comma.

Sentenza 17 marzo 2005, n.1110

Nella attuale realtà sociale, si può sostenere che il crocifisso
debba essere considerato, oltre che come simbolo di un’evoluzione
storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo,
anche quale segno altresì di un sistema di valori di libertà,
eguaglianza, dignità umana, tolleranza religiosa e quindi anche
laicità dello Stato, che caratterizza la nostra Carta costituzionale.
In altri termini, i valori di libertà hanno molte radici; una di
queste è indubbiamente costituita dal cristianesimo. Sarebbe pertanto
sottilmente paradossale escludere un segno cristiano da una struttura
pubblica in nome di una laicità, che ha sicuramente una delle sue
fonti lontane proprio nella religione cattolica. Il segno della croce
quindi va considerato – nella sua collocazione scolastica – anche come
simbolo religioso del cristianesimo, non certo inteso nella sua
totalità, ma nella misura in cui i suoi valori fondanti di
accettazione e rispetto del prossimo – che ne costituiscono le
fondamenta e l’architrave – sono stati trasfusi nei principi
costituzionali di libertà dello Stato, sancendo la condivisione di
alcuni principi fondamentali della Repubblica con il patrimonio
cristiano. Pertanto, il crocifisso inteso sia come simbolo di una
particolare storia, cultura e identità nazionale – elemento questo
immediatamente percepibile – oltre che, per i motivi sopra esposti,
quale espressione di alcuni principi laici della comunità, può
essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in
quanto segno non solo non contrastante ma addirittura affermativo e
confermativo del principio della laicità dello Stato repubblicano.

Sentenza 19 maggio 2004, n.863

Il decreto di concessione della cittadinanza italiana è un
provvedimento ampiamente discrezionale, adottato
dall’Amministrazione sulla base di valutazioni aventi ad oggetto –
tra gli altri – il requisito dell’avvenuta integrazione dello
straniero in Italia. Nel concedere il provvedimento in questione,
tuttavia, l’Amministrazione non può basare il proprio eventuale
diniego su elementi relativi a scelte e convinzioni di natura
personale del richiedente, le quali non possono formare oggetto di
alcuna valutazione da parte della stessa (Nel caso di specie, il
Ministero dell’Interno aveva negato il decreto di concessione della
cittadinanza in considerazione dell’attaccamento, del richiedente,
ai valori della cultura del paese di provenienza).

Sentenza 27 gennaio 2005, n.666

Insegnanti di religione – Legittima la previsione del bando di
concorso che esclude la valutabilità dell’insegnamento della
religione cattolica per l’ammissione alla sessione di abilitazione
riservata nelle scuole materne e secondarie e di idoneità per gli
insegnanti di scuole elementari.

Sentenza 11 novembre 2004, n.15336

Le dichiarazioni rese alla stampa da un cittadino straniero di
religione mussulmana, a favore dell’integralismo islamico, non
giustificano l’espulsione di quest’ultimo dall’Italia, posto che
dette condotte non appaiono – per le concrete modalità di
esternazione che le hanno caratterizzate nel caso di specie – tali da
arrecare un grave turbamento per l’ordine pubblico e da costituire un
pericolo per la sicurezza dello Stato. Le suddette dichiarazioni
appaiono, infatti, quali semplici manifestazioni di pensiero, tutelate
dalla Carta costituzionale, le quali essendo state espresse in modo
palese e non connotate da alcuna forma di riservatezza o
“mimetismo”, risultano inconciliabili – secondo i dati della
comune esperienza – con la volontà di arrecare a chicchessia un
reale nocumento.

Sentenza 23 luglio 2003, n.8128

Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III Bis Sentenza 23 luglio 2003, n. 8128 Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III bis, composto dai signori Magistrati: Luigi COSSU Presidente Eduardo PUGLIESE Consigliere Vito CARELLA Consigliere ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A sul ricorso n. 6621 del 2003 proposto […]