Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 aprile 2005, n.1091

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche di
primo e secondo grado può essere affidato solamente a chi risulti in
possesso dei titoli di qualificazione professionale previsti dal
D.P.R. n. 751/1985. L’elenco di tali titoli, contenuto nel punto 4.3
dell’articolo 4, si apre, alla lettera a), con l’indicazione del
titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in teologia o
nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà
approvata dalla Santa Sede. Precisa però il successivo punto 4.5 che
la Conferenza episcopale italiana comunica al Ministero della pubblica
istruzione (oggi Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca) l’elenco delle facoltà e degli istituti che
rilasciano detti titoli. Tale disposizione deve essere interpretata
nel senso che esclusivamente i titoli accademici rilasciati dalle
facoltà o dagli istituti compresi negli elenchi comunicati dalla
C.E.I. hanno valore quale titolo di qualificazione professionale ai
fini dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche. L’eventuale valorizzazione a detti fini dei titoli
rilasciati da facoltà o istituti non compresi negli elenchi
comporterebbe infatti il rischio di ingerenze nella sfera di
attribuzioni riservate alla competenza della C.E.I. e vizio tale da
inficiare il provvedimento conclusivo della procedura concorsuale.

Sentenza 16 agosto 2005

Il mancato arrotondamento per eccesso (nel caso di specie, da 8.25 a
9) della media delle ore di insegnamento settimanali richieste, nel
periodo continuativo di servizio svolto, per un orario non inferiore
alla metà di quello d’obbligo, quale requisito per la
partecipazione a concorso riservato per esami e titoli a posti di
insegnante di religione cattolica, non costituisce violazione del
principio di equità, considerato che l’applicazione di tale
arrotondamento risulterebbe inevitabilmente discriminatoria nei
riguardi degli altri candidati.

Sentenza 29 agosto 2005, n.3637

Le pubblicazioni, di cui in sede di valutazione comparativa dei
candidati a posti di docente universitario la Commissione giudicatrice
deve valutare, ai sensi dell’art. 4, co. 2, lett. d) D.P.R. 23 marzo
2000 n. 117, la collocazione editoriale e la diffusione all’interno
della comunità scientifica, sono solo quelle di cui un editore abbia
curato la stampa, la distribuzione e la diffusione e che, alla data di
scadenza del termine per la presentazione della domanda di ammissione
alla procedura comparativa, risultino già diffuse dallo stesso
editore e dall’autore fra gli studiosi della materia, del cui
giudizio, ove espresso, la Commissione, pur nella sua ampia autonomia,
deve tener conto quanto meno come elemento di conoscenza.

Sentenza 28 febbraio 2005, n.959

La mancata conferma dell’incarico di insegnante di religione e la
relativa nomina di un nuovo docente, disposta su proposta
dell’Ordinario Diocesano, risulta conforme al dettato del punto 5,
lett. a) del Protocollo addizionale dell’Accordo di revisione del
Concordato del 18 febbraio 1984, ratificato con legge 25 marzo 1985,
n. 121, il quale prevede che l’insegnamento della religione cattolica
venga impartito “da insegnanti che siano riconosciuti idonei
dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa,
dall’autorità scolatica”. Né può invocarsi, al riguardo,
l’automatica conferma del precedente incarico, giacché lo speciale
rapporto di servizio del docente incaricato dell’insegnamento della
religione cattolica ha durata annuale, anche se rinnovabile.

Sentenza 28 aprile 2005, n.6540

L’art. 22 del d.lgs. n. 151/2001, con formula generale ed
onnicomprensiva, espressamente dispone che i periodi di congedo
obbligatorio per maternità devono essere computati nell’anzianità di
servizio “a tutti gli effetti”, aggiungendo, al quinto comma, che
gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella
carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non
richiedano a tale scopo particolari requisiti. Allo stesso modo, per
il successivo art. 34, i periodi di congedo parentale di tipo
facoltativo sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli
effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla
gratifica natalizia. Non può, dunque, essere revocata in dubbio
l’astratta attitudine del congedo per maternità ad incidere, per
fictio iuris, sulla durata del rapporto di collaborazione spendibile
anche ai fini concorsuali (Nella fattispecie in esame un’insegnate di
religione veniva esclusa dal concorso riservato per esami e titoli a
posti di insegnante di religione cattolica, di cui aveva superato le
relative prove, perché considerata – non venendole computato il
periodo di congedo per maternità – non in possesso del requisito,
previsto dal bando di concorso, dell’avvenuta prestazione del servizio
di insegnamento della religione cattolica continuativo per almeno
quattro anni, nelle scuole statali o paritarie dall’anno scolastico
1993/1994 all’anno scolastico 2002/2003).

Sentenza 27 giugno 2005, n.3103

Le valutazioni della Commissione giudicatrice di un concorso a
pubblici impieghi sono espressione di un ampia discrezionalità, tanto
da risultare censurabili solo in presenza di determinazioni
manifestamente incoerenti od irragionevoli. In particolare, appare
insindacabile, in sede giurisdizionale, la valutazione discrezionale
dei titoli scientifici esibiti dai candidati, salvo nel caso in cui
vengano dedotti vizi di manifesta illogicità o indebita e palese
disparità di trattamento. Fuori da tali ipotesi, l’operato della
Commissione non pare invece sindacabile, in quanto consistente in un
libero apprezzamento, effettuato sulla base di conoscenze
tecnico-scientifiche di non univoca interpretazione per grado di
elevata soggettività ed irripetibilità. Per quanto concerne, infine,
la valutazione delle pubblicazioni scientifiche prodotte dai
candidati, occorre sottolineare che lo scopo dell’esame di tali
pubblicazioni non costituisce un fine a sé, come avviene negli
ordinari concorsi per titoli, ma è un elemento che, in correlazione
con gli altri, serve a ricostruire la complessiva personalità
scientifica del partecipante al concorso; pertanto è sufficiente una
valutazione unitaria di dette pubblicazioni, senza che ciò implichi
la necessità di un’analitica disamina di tutte quelle presentate Né,
qualora risulti dai verbali che la Commissione esaminatrice abbia
valutato tutti i titoli dei candidati esprimendo un giudizio finale
rispetto al quale i punteggi appaiono congrui, può essere attribuita
un’importanza decisiva al numero delle pubblicazioni prese in
considerazione, ricadendo la valutazione delle stesse nella
discrezionalità tecnica, il cui sindacato è limitato a macroscopici
vizi di logicità.

Sentenza 16 marzo 2005, n.241

Ai sensi dell’art. 26. dell’allegato A, del D.P.R. 25 giugno 1983, n.
347, il riconoscimento dell’ottava qualifica funzionale – per i
dipendenti degli enti locali – è riservato a coloro che, oltre ad
essere muniti di titolo di laurea, siano abilitati allo svolgimento di
un’attività professionale, nel caso in cui la prestazione
lavorativa richiesta comporti lo svolgimento di mansioni di natura
professionale; ove si tratti di attività di carattere diverso è
sufficiente per contro il solo titolo di laurea. Ciò considerato,
pertanto, nel caso di Cappellano cimiteriale, l’Ordinazione
sacerdotale va intesa non solo come laurea, ma come “laurea
professionale” ai sensi del citato art. 26, allegato A, del D.P.R.
25 giugno 1983, n. 347. Tale disposizione richiede, inoltre, ai fini
dell’integrazione dell’ottava qualifica funzionale, che l’attività
svolta sia caratterizzata da “complessità e difficoltà delle
prestazioni”, onde evincere dalle stesse profili di autonomia
operativa e responsabilità da parte del funzionario; detti aspetti
non appaiono, in particolare, caratterizzare l’attività del
Cappellano cimiteriale, il quale proprio in considerazione del suo
status di sacerdote cattolico, svolge esclusivamente l’adempimento
di mansioni di natura propriamente religiosa, quali celebrazioni delle
Sante messe e benedizione di salme, e non anche – ai sensi della
normativa sopra citata – attività di “istruttoria, predisposizione
e formazione di atti e provvedimenti di notevole grado di
difficoltà”.

Sentenza 07 febbraio 2005, n.849

In ossequio al vigente impianto costituzionale relativo ai rapporti
tra Stato e Chiesa Cattolica, la Legge n. 512 del 1961 – nel
disciplinare lo Stato giuridico del personale dell’assistenza
spirituale alle Forze armate dello Stato – è partita dal postulato
dell’esistenza di due ordinamenti giuridici, quello statale e quello
canonico, fra loro paralleli e reciprocamente intersecantisi senza
prevalenza dell’uno sull’altro, nel tentativo riuscito di assicurare
una sostanziale autonomia degli atti e dei giudizi che si vengono via
via a formare nel corso dei procedimenti avviati da entrambe le
autorità. Al riguardo, in tema di designazione dei cappellani
militari, l’art. 17 della legge suddetta stabilisce che le nomine
siano effettuate con decreto da parte dell’amministrazione statale,
“previa designazione dell’Ordinario Militare”, e l’art. 26 prevede
inoltre, in ordine alle modalità di esercizio di tale potere, che
“l’Ordinario Militare o, per sua delega, il Vicario generale
militare, sulla base del rapporto informativo e di ogni altro elemento
a disposizione, compili, entro il mese di gennaio dell’anno
successivo, le note caratteristiche per ciascun cappellano militare
integrate da un giudizio complessivo espresso per le qualifiche di
ottimo, buono, mediocre, insufficiente”. Ai sensi di dette
disposizioni si può dunque escludere che il giudizio in questione sia
in qualche modo vincolato dalle valutazioni eventualmente operate
dall’amministrazione militare, in quell’ottica di “separazione
delle sfere di competenza tra autorità religiosa e statale” sopra
tratteggiata. Da tutto ciò consegue che il provvedimento di congedo a
tempo illimitato, fondato su argomentazioni di esclusiva competenza
dell’Ordinario Militare (il giudizio complessivo de qua), non possa
che risultare del tutto legittimo in quanto motivato in forza di un
diniego sulla cui validità ed efficacia l’amministrazione militare
non ha possibilità di interloquire.

Sentenza 13 giugno 2005, n.172

L’art. 5, della L. 25 marzo 1985, n. 121, il quale prevede che gli
edifici aperti al culto non possano essere espropriati se non per
gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità
ecclesiastica, si riferisce ai soli edifici di culto, in quanto
religiosi ed in quanto aperti al culto stesso e non certo ad aree
libere non edificate, come tali non gravate da vincoli culturali con
il luogo di culto. Inoltre, anche nel caso in cui dovesse essere
necessario considerare edifici di culto nell’ambito di una
funzionalità religiosa in essere, la assunta non tangibilità
autoritativa, determinata pure dalla sussistenza di vincoli culturali,
sarebbe comunque relativa e limitata al fatto che, in sede
pianificatoria, non se ne snaturi la funzione in essere e
l’interesse culturale; solo nel caso di interferenza effettiva e
concreta sull’attività di culto che si svolga in edifici a ciò
dedicati, v’è dunque la necessità di un assenso della Autorità
ecclesiastica competente. Ciò considerato, in presenza di particelle
immobiliari libere e prive dei vincoli culturali in questione, il
Comune può disporre di queste ultime nei limiti della logica, della
razionalità e della non contraddittorietà; nè è tenuto, per
qualificare le stesse sotto l’aspetto pianificatorio, ad un
preventivo assenso da parte dell’Autorità ecclesiastica.

Sentenza 24 febbraio 2005, n.1135

T.A.R. Puglia. Seconda sezione. Sentenza 24 febbraio 2005, n. 1135: “Valutazione dei titoli di qualificazione professionale nel concorso riservato per l’insegnamento della religione cattolica bandito con D.D.G.M. MIUR 2/2/04 in attuazione della L. 186/03”. REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA LECCE SECONDA SEZIONE Registro Decis.: 1135/05 Registro Generale: 254/2005 nelle persone dei Signori: […]